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Autore: AkashaTheKitty    30/06/2009    12 recensioni
A volte si è una megera in un corpo di ninfa. Ed a volte si è solo una strega che tenta di nascondere la ninfa che è in sé.
Fanfiction vincitrice dei Dramione Awards nella categoria Best Short Story e runner up nella categoria Best Draco.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buona estate! :P
Eccomi di ritorno con una nuova autrice, AkashaTheKitty, una delle più note e più prolifiche fanwriter nel fandom Dramione inglese.

Affacciatasi al fandom nel 2007, conosciuta in primis per le sue due longfiction Silencio e The Bracelet (quest'ultima ancora WIP), The Nymph Hunt rappresenta il suo primo tentativo di partecipazione ad un ficexchange.

Questa short story, come la chiamerebbero nel fandom inglese, è una fic che si articola su cinque capitoli e si basa sulla seguente citazione di Mark Twain: Non c'è potere senza vestiti. E' il potere che governa la razza umana. Denuda i suoi capi, e nessun Stato potrebbe essere governato; gli ufficiali nudi non potrebbero esercitare alcuna autorità; sembrerebbero (e sarebbero) come tutti gli altri - comuni, irrilevanti.

The Nymph Hunt, infine, è stata nominata negli ultimi (e ancora in corso, i risultati si sapranno settimana prossima) dramione_awards, nelle categorie "Best Draco [Characterization]" e "Best Short Story".

Buona lettura,

Kit_05


Titolo: The Nymph Hunt
Titolo del capitolo: Capitolo 1
Autore: AkashaTheKitty
Link alla versione originale: Link
Rating: PG13
Personaggi: Draco, Hermione
Genere: Romantico, Commedia
Note: EWE! *epilogo ignorato*



Hermione trasse un lungo respiro e tentò di calmarsi. Non c’era motivo per cui essere tristi. Sì, c’erano stati alcuni piccoli effetti collaterali, certo. L’aveva saputo che ci sarebbero stati, quando aveva rifiutato il trattamento preferenziale che le avevano offerto per il suo essere stata un’eroina di guerra. Aveva saputo che il suo rifiuto avrebbe significato doversi fare un nome partendo da zero e aveva previsto che le sarebbero servite parecchie notti al lavoro per dimostrare il suo valore a gente che non credeva per nulla che lei fosse la Strega Più Brillante della Loro Era.

Quello che non aveva predetto era che ciò avrebbe significato dover rispondere al Più Grande Stronzo della Loro Epoca.

Non era iniziata così. In principio il suo lavoro era stato quasi piacevole. Lunghe ore di lavoro e paga bassa, ma era riuscita a intraprendere la strada per farsi sentire nel Dipartimento per la Regolazione e il Controllo delle Creature Magiche. Aveva pensato che, tempo uno o due anni, grazie alla sua esperienza e ai suoi contatti, sarebbe riuscita davvero a fare la differenza nel campo dei diritti degli elfi domestici e delle altre specie oppresse.

Nulla del genere. Era ormai lì da diciotto mesi, e l’unico cambiamento che le era stato permesso di fare riguardava la marca del caffè che doveva fare per i suoi capi.

Capi.

All’inizio, nella sua sottodivisione, c’erano stati solo lei e il suo capo, un vecchio mago piuttosto scorbutico, inamovibile rispetto alle sue idee e per nulla interessato ad ascoltare le sue proposte. Ma per quanto irritante fosse stato alle volte, specie quando voleva indottrinarla sul ‘modo in cui gira il mondo’ e su come lei avesse bisogno di qualche ‘esperienza di vita’ per ‘dare una scrollata al suo idealismo’, era stato un qualcosa che poteva sopportare.

Poi, circa nove mesi prima, lui era arrivato a occupare una posizione parallela alla sua. Lui non aveva voluto essere lì e aveva reso chiaro ben alla svelta che, se avesse avuto possibilità di parola al riguardo, non ci sarebbe stato affatto. Il caso Malfoy aveva finalmente raggiunto la rete della giustizia e l’intera famiglia – senza alcuna sorpresa in proposito – l’aveva fatta franca con nulla più che una multa, una prolungata vacanza all’estero per Lucius e Narcissa Malfoy, e qualche tempo di ‘lavoro correttivo’ forzato per Draco Malfoy, che si era rifiutato di lasciare il Paese fino a quando il resto della comunità non si fosse dimenticato dei suoi crimini.

Invece di fare alcun lavoro, però, aveva deciso di fare amicizia con il capo. Non era stata una cosa difficile da fare per lui, perché, sebbene al vecchio bigotto non potesse fregare di meno dei diritti di quelle povere creature che avrebbe dovuto difendere, gli interessavano molto sia i soldi sia il potere, e queste erano cose che i Malfoy avevano in abbondanza. Sfortunatamente.

Hermione avrebbe potuto essere in grado di ignorare quello sviluppo se non fosse stato per il fatto che Malfoy non solo non faceva alcun lavoro, ma continuava pure ad accettare irragionevoli incarichi, trovando poi sempre modo di sobbarcarli sulle sue spalle, non lasciandole più nemmeno il tempo per dormire, figurarsi per fare altro. Sapendo che lamentarsi con il loro capo sarebbe stato futile, aveva scavalcato la gerarchia e aveva fatto giungere le proprie rimostranze direttamente al Capo Dipartimento.

Il capo non aveva ben accolto quell’essere stato messo da parte e, come meschina vendetta – senza dubbio per “darle una regolata” –, aveva promosso Draco, dandogli persino un piccolo ufficio personale. E questo aveva dato a Malfoy la possibilità di tiranneggiarla senza più temere alcuna ripercussione. E lo faceva. A ogni piè sospinto. E sorridendo.

Naturalmente, Hermione aveva verificato se quella promozione, assurda com’era, non fosse contro le regole del Ministero. Sfortunatamente, non lo era. Fino a quando il suo capo fosse stato dentro il budget della sua sezione, era libero di organizzare il personale come meglio preferiva. Questo includeva il creare nuove posizioni per convitti che si deliziavano tiranneggiando terze persone.

S’era lamentata con Harry su quale cattivo colpo di sfortuna fosse stato l’aver destinato Draco Malfoy proprio al suo dipartimento, ma vedendo le sue orecchie rosse, s’era resa conto, ancor prima che lui potesse dire alcunché, che non era stata affatto una coincidenza. “Mi dispiace, Hermione,” aveva detto, “ma sapevo che tu saresti riuscita a tenerlo in riga, quindi ho spinto io perché venisse messo lì…” Con difficoltà aveva evitato una scenata sul posto, e Harry, probabilmente l’Auror Più Arrogante della Loro Era, era rimasto testardamente sulla sua linea, e Hermione sapeva che né le minacce di lasciare il lavoro né le lacrime sarebbero servite a fargli cambiare idea. “Inoltre,” aveva aggiunto, “tra un anno se ne andrà, e sono sicuro che allora tutto tornerà alla normalità.” Cercare di spiegare a Harry che Malfoy aveva ora il potere di farla rimanere in quell’ingrata e futile posizione per un altro anno ancora grazie a un menzognero commento alla sua performance lavorativa, tutto questo ben prima che se ne andasse felicemente per la sua strada (e la sola prospettiva le faceva venire voglia di fare una strage), sarebbe stato inutile, così aveva tenuto la bocca chiusa. Ma il suo comportamento verso Harry era stato molto più freddo da allora. Quando lui le aveva chiesto per quanto avesse intenzione di andare avanti così, lei aveva seccamente risposto: “Fino a quando la sua influenza sulla mia vita non sarà svanita,” e se ne era andata con il naso all’aria.

Naturalmente, quell’atteggiamento era stato un darsi la zappa sui piedi, visto come non aveva né il tempo né l’opportunità di fare nuove amicizie al Ministero e ora non aveva nemmeno Harry con cui condividere il suo prezioso e centellinato tempo libero.

“Sei terribilmente tranquilla, Granger.” Quell’irritante strascichio interruppe i suoi pensieri.

“Scordatelo!” sibilò. “Non passerò tutto il mio weekend a catalogare le minime differenze accettabili nel prezzo di vendita dei Vermicoli in Gran Bretagna solo perché a te gira così!”

“Oh, e che altro vorresti fare? Scopare quel tuo perdente dalla testa rossa?” chiese, indossando il mantello tre ore prima dell’ora in cui sarebbe dovuto tornare a casa. Di nuovo. “Magari se facessi il tuo lavoro, potrei vergare un commento carino tra due mesi.”

Il suo ghigno era malignità pura, e sapevano entrambi che non aveva alcuna intenzione di commentarla in un modo tale da poter permettere una promozione. Merlino, sarebbe stata fortunata a mantenere il suo lavoro una volta che lui avesse finito di scrivere tutte le sue menzogne.

La cosa più irritante era che non sembrava nemmeno farlo perché la odiava. No, lo faceva perché poteva e lo divertiva essere un bastardo totale.

“Non posso farlo questo finesettimana, Malfoy,” controbatté, spingendo verso di lui la pila di documenti. Calcolò male, però, la forza della propria spinta e spedì anche la boccetta d’inchiostro oltre il bordo della scrivania, imbrattando con il liquidi nero l’impeccabile vestito di seta grigia di Malfoy. Gli occhi di Hermione si sbarrarono per l’orrore nel vedere il disastro irreparabile. Le macchie di inchiostro non venivano facilmente tolte da un Gratta e Netta, e l’inchiostro che si usava al Ministero era della specie più duratura. Ed ecco come se ne andavano tanti, tanti dei suoi futuri weekend. Non c’era possibilità che Malfoy non cogliesse quell’opportunità per punirla.

Perché poteva.

Lui abbassò lo sguardo sul pasticcio che lei aveva combinato sui suoi costosi vestiti. “Pagherai per questo,” osservò.

Oh, lei ne era certa. Si chiese se la sua carriera valesse davvero tutto quello. Poteva andarsene e trovare un perfetto e idealistico lavoro – magari come giornalista per la Gazzetta del Profeta – che non le avrebbe richiesto di sgobbare quattordici ore al giorno, sette giorni a settimana, agli ordini di un ex Mangiamorte e per un salario da serva.

Ma se avesse mollato, lui avrebbe vinto. E non poteva lasciarlo vincere. Se solo fosse riuscita a sopportare tutto quello per solo un paio di mesi ancora, poi lui se ne sarebbe andato.

Solo un paio di mesi. Poteva farcela… giusto?

L’espressione pensierosa di Draco si aprì improvvisamente in un minaccioso sorriso. “Sì, proprio così. Tu mi pagherai un nuovo completo. E non di quel materiale spazzatura che indossi tu, ma uno come questo.”

Hermione lo guardò con espressione vacua. I suoi vestiti costavano probabilmente più del suo stipendio annuale. “Ne hai a centinaia come quello!” ribatté. “Probabilmente non l’avresti nemmeno indossato più.”

Il suo sorriso si allargò e lei ebbe conferma ancora una volta della sua convinzione che lui fosse completamente e intrinsecamente malvagio. La malvagità era la mancanza di coscienza o rimorso, giusto? La descrizione calzava sicuramente a pennello. “Tu e quelli come te non sostenete l’importanza dei principi?” chiese lui con voce vellutata. “Beh, è il principio che conta, no? Tu hai distrutto una mia proprietà, quindi devi compensare. E visto che non sono davvero interessato ad alcun altro tipo di compensazione che potresti offrire, il denaro è l’unica soluzione, no?”

Perfetto. Non aveva mai messo in dubbio la possibilità di mangiare, ma probabilmente per un po’ di tempo sarebbe stata a corto anche di cibo. E dire che non pensava di aver bisogno di mettersi a dieta. “Quanto?” gemette.

Lui parve rimuginarci su. “Pensandoci meglio, non sono dell’umore adatto per comprarmi vestiti nuovi, quindi lo farai tu al posto mio.”

“Non posso comprare dei vestiti per te.”

“Certo che puoi. Madama McClan conosce le mie misure.”

Hermione soffocò un altro gemito. “Colore e tessuto come quelli di questo?” chiese, atona.

“Ora, perché mai dovrei volere un completo identico a uno che ho già avuto? Lascia andare a briglie sciolte l’immaginazione.”

“Perfetto. Verde a pois viola.”

Guardò con un minimo di soddisfazione l’espressione orrificata che fece capolino sul volto di Malfoy.

Lui la guardò dall’alto in basso.

“E crederesti anche di aver avuto buon gusto, eh?” Hermione boccheggiò, indignata. Ma prima che potesse ribattere, lui fece un cenno noncurante con una mano. “Come se potessi permettere che una con il tuo pessimo senso dello stile provasse anche solo a comprarmi dei vestiti. Vedi solo di smetterla di buttarmi addosso l’inchiostro e di farmi avere quei numeri per lunedì.”

Hermione lottò contro la voglia di alzare gli occhi al cielo. “Non stavi andando da qualche parte?” chiese, non vedendo l’ora di sbarazzarsi di lui, fosse stato anche solo per poco tempo.

Lui osservò il proprio completo. “Stavo, prima che tu decidessi di farmi ritardare terribilmente. Ora, sarò costretto a cancellare l’impegno.” E con quell’affermazione, tornò a bighellonare nell’ufficio che non si era guadagnato.

Non più sotto il suo sguardo, Hermione alzò gli occhi al cielo, ma riuscì comunque a trattenere la lingua. Non ne valeva la pena. Ancora un poco e se ne sarebbe andato. Solo un paio di mesi… All’improvviso le tornò in mente una cosa. “Non posso farlo davvero in questo finesettimana,” gridò. “Ho una cosa.”

La figura di lui riprese il suo posto sotto lo stipite della porta, con indosso un nuovo completo. Blu. Pavone. Appropriato. “Allora cancella la tua cosa. Ho bisogno di quei numeri.”

Hermione lo fissò torva. “Tieni un cambio di vestiti in ufficio?”

“Beh, devo, considerando che gente stordita mi circonda, no?”

Hermione scosse la testa, scacciando i motivi che l’avrebbero fatta sentire parecchio a disagio sul perché aveva bisogno di completi extra in ufficio, visto che di certo lui non lavorava mai fino a tardi. “Io, um, non posso cancellare la cosa, perché è la cosa obbligatoria a cui dobbiamo presenziare tutti.”

“Oh. Giusto. Quella.” Draco si accigliò. “Buffo, sapevo che c’era, ma non credevo saresti venuta… Senza offesa, ma non sei veramente tipo da andare dove ci sia del vero divertimento.”

Senza offesa davvero. Hermione digrignò i denti. Era vero che lei non era esattamente una farfallina sociale – non aveva il tempo per esserlo – ma odiava come lui denigrasse sempre le sue apparenze e la sua dedizione al lavoro. Non poteva permettersi di vestire completi costosi e non aveva molto tempo libero al di fuori del lavoro, era vero, ma almeno aveva un obiettivo, una meta nella vita. Lui no. A volte sentiva persino della compassione per lui, ma di solito Malfoy faceva sparire ogni caritatevole sentimento che avesse mai avuto nei suoi confronti con uno dei suoi commenti taglienti.

Prevedibile come sempre, Malfoy iniziò a ridacchiare. “Ti vestirai da megera, vero? Probabilmente sei l’unica donna in tutto il pianeta che desidererebbe essere nata sfoggiando gobba e verruche.”

Lei lo guardò, nera, senza degnarlo di una risposta. Ovvio che non desiderasse nulla del genere. Solo perché non si metteva in mostra tutto il tempo, non significava che non avesse i suoi momenti di vanità! Aveva solo imparato a non darli a vedere in ufficio da quando Malfoy sembrava accorgersi di tutti i suoi cambiamenti e denigrarli in ogni singola occasione. Non era che la sua opinione contasse un qualcosa, ma visto che lui era l’unico ad accorgersi di quei cambiamenti, tanto valeva non sforzarsi nemmeno.

Lui aspettò per qualche istante per vedere se lei avesse una qualche replica da fare, ma quando rimase zitta, si limitò a scrollare le spalle. “Va bene, che siano pronti per martedì, allora,” disse, chiudendo la porta e dirigendosi al proprio ufficio. Lei non riusciva a immaginarsi a fare cosa, visto che di certo non si trattava di lavoro. Magari aveva bisogno di un sonnellino; dopotutto, doveva essere una vita così difficile essere ricco e coccolato da tutti.

**********


La ragazza dai capelli scuri, aliena persino a se stessa, lisciò con le mani il leggero tessuto argento che le copriva solamente mezza coscia. Era troppo corto, davvero. Non le era sembrato così corto quando il negoziante gliel’aveva mostrato, al negozio. E combinato con le spalline che le lasciavano le spalle scoperte e la scollatura che mostrava generosamente il petto, la faceva sentire nuda. O avrebbe dovuto farla sentire nuda. In realtà le sembrava solo che ad essere nuda fosse la donna riflessa dallo specchio. Lei, se stessa, si sentiva bizzarramente alienata da quella persona. La donna che le stava restituendo lo sguardo non sembrava reale.

Si toccò pigramente un boccolo nero perfettamente arricciato e fissò i suoi occhi verde smeraldo.

Dubitava che ci fosse qualcuno che avesse davvero occhi di quel colore. Persino quelli di Harry non erano di un verde così intenso, e non conosceva nessuno che non facesse commenti sugli occhi di Harry. Era strano essere fissata da iridi del colore sbagliato. Bizzarro ed esilarante allo stesso tempo. Come se lei fosse tutt’altra persona, qualcuno che potesse fare tutto quello che voleva, perché nessuno aveva delle aspettative nei suoi confronti.

Si sentiva libera.

Si toccò il viso troppo grazioso. La faceva sentire strana far scorrere le dita sulla pelle, quella sensazione familiare che non trovava corrispondenza su quanto vedeva allo specchio. I suoi tratti erano fin troppo regolari e la pelle aveva un aspetto perfetto e una brillantezza perlacea che non assomigliava affatto a quello che vedeva ogni mattina, quando usciva dalla doccia. Probabilmente non avrebbe dovuto continuare a sperimentare troppo su quel suo nuovo aspetto, o si sarebbe infilata qualcosa negli occhi.

“Oh, per amor del cielo, Hermione,” sbottò. “Non è poi diverso dalla Pozione Polisucco!”

Era una ninfa. Aveva davvero voluto mascherarsi da megera; Malfoy ci aveva visto giusto su quello, sebbene per tutti i motivi sbagliati. Al negozio, però, il padrone aveva fatto una scenata su come sarebbe stato un peccato lasciare che le sue sembianze giovanili venissero buttate al vento e di come sarebbe stato molto più semplice se la maschera avesse avuto un corrispettivo nella figura di chi l’avesse indossata. Si era ostinatamente rifiutato di darle un costume da megera, affermando di vantarsi su come i suoi costumi calzassero sempre a pennello e di come quel costume non sarebbe affatto stato bene. Era ridicolo. Non che avesse qualcosa in contrario ad essere una ninfa, a parte il fatto che probabilmente ci sarebbero state altre trecento ninfe o simili costumi di donne ridicolamente belle e che avrebbero pensato che lei fosse come loro.

La sua esperienza le diceva di non avere nulla in comune con le streghe che volevano apparire come ninfe.

Aveva molta più affinità con le megere.

Ma ora le megere avrebbero pensato che lei fosse una ninfa.

Hermione si accigliò. Non aveva molto senso. Inoltre lo scopo di quella festa era presentarsi come non si era, e di certo lei non era una ninfa vanitosa, splendida e senza cervello. Magari sarebbe stato interessante provare a cambiare, per una volta. Nessuno l’avrebbe saputo, a meno che lei non trovasse un motivo per rimanere lì tutta la notte. Questa stupida cosa congeniata dal Ministro per fare colpo su un diplomatico francese, alloggiato temporaneamente al Dipartimento per la Cooperazione Magica Internazionale avrebbe potuto anche essere obbligatoria, ma nessuno aveva specificato nei dettagli per quanto tempo sarebbe dovuta rimanere lì o quanto avrebbe dovuto intrattenersi con gli altri.

Tornò con lo sguardo allo specchio, meravigliandosi di quanto totale fosse il suo travestimento. Suppose che questo fosse il motivo per cui dovesse avere dei collegamenti con il suo aspetto, per non farla sentire troppo diversa dal solito, visto come quella fosse solo una maschera e non alterasse davvero il suo corpo al modo in cui operava la Polisucco. Non che qualcuno si sarebbe immaginato che quella fosse lei, ma rimaneva comunque un dettaglio piacevole.

Aveva quasi ceduto al desiderio di non andare del tutto, passando in rassegna malattie rare che avrebbero potuto giustificarla. Malfoy aveva quasi visto giusto anche in quello. Sarebbero state presenti molte persone che conosceva, ma l’invito dichiarava a chiare lettere come solo chi partecipava congiuntamente al coniuge potesse rivelare alle loro altra metà la proprie identità prima della mezzanotte, quindi, essenzialmente, sarebbe stata da sola. Non le piaceva essere sola.

Ma anche tutti gli altri sarebbero stati soli.

Eppure, come era diventato palese, nessun'altra sarebbe stata una megera intrappolata nel corpo di una ninfa.

Stava andando in circolo ed era una questione irrilevante. Era determinata a dimostrare la propria utilità e il proprio valore davanti ai propri datori di lavoro per poter ottenere quella promozione, e andare a uno stupido party era il minimo che potesse fare per dimostrare la propria dedizione.

Era ora di andare.

******


Il ballo in maschera si teneva in un vecchio e imponente maniero. Rabbrividì al pensare a quanti snob purosangue sarebbero stati presenti, ma quando si lavorava per il Ministero era praticamente impossibile evitare i diplomatici. O i purosangue snob. Le due categorie erano pressoché intercambiabili, l’aveva imparato alla svelta. Era una buona cosa che non avesse mai voluto diventare una diplomatica perché, eroe di guerra o meno, di certo non aveva il pedigree necessario per farsi strada in quel campo.

A volte si chiedeva davvero se valesse la pena sorbirsi tutto quello. Forse avrebbe fatto meglio ad arraffare la posizione più alta, quando le era stata offerta. Forse, con il tempo, sarebbe riuscita a convincere gli altri che quello era il posto che si meritava.

Se non fosse stato che la realtà le gridava che no, non ci sarebbe riuscita. Era giovane, era una donna, era idealista, ed era una Nata Babbana… non avrebbero dato retta a una singola cosa di quelle che avrebbe potuto dire, elencando tutte le sue mancanze. Aveva bisogno di provare di meritarsi una posizione dove avrebbe potuto fare dei cambiamenti, e quello sembrava l’unico modo possibile per farlo.

Porse l’invito al vampiro alla porta, chiedendosi se fosse vero o un travestimento. Lui gesticolò con la bacchetta, facendo sparire l’invito, e lei poté ufficialmente considerarsi una partecipante dell’evento. La presenza della bacchetta suggeriva come quello fosse, probabilmente, un costume. Quello sguardo affamato, però…

Decise di affrettarsi.

Le fu indicata una grande sala da ballo, dove i presenti erano lasciati liberi di mischiarsi tra loro. C’erano delle porte ai lati, Hermione dedusse che conducessero alle stanze private dei padroni di casa. Alcune erano aperte, però, per coloro che desiderassero spazi un po’ più tranquilli e silenziosi dove conversare.

Doveva tenerli a mente.

Il salone era affollato di gente, e si rese conto ben presto di non aver affatto sbagliato la sua stima sulla presenza di altri costumi da ninfe, Veela, o simili. Non c’erano due travestimenti identici, però, e anche solo rimanere ad osservare i costumi degli altri era un passatempo che quasi ripagava l’ignoranza sulle identità altrui. Senza contare il cercare di indovinare chi fosse veramente travestito e chi, invece, fosse semplicemente un rappresentante di un'altra specie. Dopotutto, erano riusciti a decretare la venuta in maschera obbligatoria solo per gli impiegati del Ministero.

Il costume più interessante era quello di un Quintaped. Beh, o era un costume o qualcuno aveva deciso di portarsi dietro il proprio animale. Portare a una festa un animale con un notorio appetito per la carne umana non sembrava, però, una cosa molto probabile – o sicura – così optò per il travestimento.

Era così intrigata dal giochino che stava intrattenendo con se stessa che, un paio d’ore più tardi, quando la folla aveva raggiunto il proprio picco, si dimenticò di guardare dove stesse andando e cozzò contro qualcuno.

Delle braccia si allungarono per sostenerla, e lei alzò lo sguardo sugli occhi dal più incredibile color azzurro che avesse mai visto. Le si mozzò il respiro in gola, e fissò lo sconosciuto, le pupille leggermente allargate per la sorpresa. Poi gli angoli di quei bellissimi occhi azzurri si raggrinzirono per il divertimento nel rendersi conto di quello che lei stava facendo. Ovvero gli occhi dolci a un qualcosa che non era altro che parte di un costume. Quegli occhi non erano più veri dei suoi, e un’indagine più accurata le permise di decidere che erano veramente troppo. Avrebbero potuto essere fatti di vetro per tutto il realismo e l’interesse che ora suscitavano in lei.

Imbarazzata, fece un passo indietro e, accigliandosi, tentò di capire quale fosse la maschera del mago. Era alto, ma non troppo. Era slanciato, e di sicuro non aveva sentito alcuna sporgenza morbida quando aveva colliso con il suo addome. Era abbronzato e aveva capelli di un castano chiaro, tagliati a una lunghezza tale che solo per poco non gli cadevano sugli occhi. Naturalmente, i suoi tratti erano impossibilmente belli. E come per gli occhi, erano artificiali e non irradiavano alcun fascino. Era come guardare un ritratto o, forse, una scultura romana – esteticamente piacevole, ma senza alcuna vera profondità sotto l’aspetto esteriore.

Ovviamente, non sapeva chi ci fosse dietro a quell’aspetto esteriore, ma, chiunque fosse, stava indossando una maschera, come lei. Dedusse che l’uomo che si celava sotto quell’aspetto dovesse essere l’esatto opposto di come appariva: pallido e con capelli e occhi scuri, e piuttosto insignificante da guardarsi.

E per quello che il costume dovesse rappresentare… Lasciò che i suoi occhi scorressero lungo tutta la sua figura, ma non avrebbe saputo dire cosa lui dovesse incarnare.

“Ti piace quel che vedi?” L’uomo era divertito dalla sua curiosità. Beh, che lo fosse. Si chiese se potesse conoscerlo di persona, visto come la sua voce le sembrava vagamente familiare. Non si era chiesta se anche la voce venisse modificata. Supponeva di no, visto che quella maschera cambiava solo gli aspetti visivi.

“Cosa sei?” chiese, sfacciatamente.

Lui inarcò un sopracciglio, tradendo dell’arroganza. Beh, almeno metà dei presenti erano arroganti. “Vuoi dirmi che non riesci a capirlo?”

Lei scosse il capo. “No…”

“Indovina.”

“Un uomo.”

“Oh,” commentò lui tra sé, inarcando ora entrambe le sopracciglia. “Le piace fare l’intelligente, allora.”

“Beh, ho ragione?” Inarcò anche lei le sopracciglia. Anche lei sapeva essere arrogante, quando ce n’era bisogno.

Le labbra di lui si arricciarono, ricordando nuovamente a Hermione qualcuno o qualcosa. “Per la grande disperazione di quel negoziante, hai ragione. Completamente. Sono solo un uomo.”

“Beh, è stupido.” Hermione si stava davvero calando nel personaggio. Di norma sarebbe stata più educata, ma perché avrebbe dovuto esserlo? Andare a una festa in maschera vestiti da “solo un uomo” era stupido.

“Forse. Ma è quello che volevo essere per questa sera. Nessun intricato demone, nessuna creatura o mago famoso mi stuzzicavano.”

Tra sé e sé, Hermione pensava che il diavolo che aveva notato appena entrata fosse abbastanza interessante da osservare. Più interessante di un uomo, non importava quanto affascinanti fossero i suoi tratti. “Quindi… cosa?” Notò i pantaloni che aveva addosso. “Vuoi essere un Babbano?”

Lui parve nuovamente essere preso in contropiede dalla sua schiettezza. “Voglio essere un Babbano?” rimuginò. “Beh… hanno la vita facile loro, no? Niente complicazioni sul sangue e su tutto quello che conduce alle guerre, e la politica e le infinite e noiose polemiche.”

Quindi non era di certo un Nato Babbano, visto come sembrava ignaro del fatto che ci fossero problemi simili anche là fuori. Sembrava, però, più che altro annoiato da quelle problematiche, quindi non era un idealista, a favore o contro quelle questioni. Solo un altro mago più interessato a vivere la propria vita che a fare una differenza in quella degli altri. Suppose che non ci fosse nulla di male in quello.

“Le complicazioni ci sono solo se le vuoi,” replicò, cercando di suonare il più neutrale possibile.

Lui scosse il capo con tristezza. “Le complicazioni sono solo una piccola parte. C’è stato un tempo dove corteggiare una strega non purosangue mi avrebbe fatto guadagnare la disgrazia eterna. Una volta ho pensato di farlo comunque, ma non sono mai stato molto coraggioso, quindi ho deciso di lasciar perdere. Ora… Non arriverei a dire che alla gente non interessi più, ma “disgrazia eterna” ha perso praticamente tutto il suo significato nel vortice della guerra e… dell’impatto che ha avuto su alcuni di noi. Il sangue misto è diventato all’improvviso una cosa così triviale, eppure c’è ancora chi sembra parlare e parlare su come sia importante averlo puro piuttosto che no.”

Hermione strabuzzò gli occhi alle candide parole di quell’estraneo che le stava di fronte. “Tu eri… con chi ha perso,” disse lentamente. Chiunque vivesse rispettando i vecchi standard purosangue doveva essersi o alleato con Voldemort o essere rimasto neutrale, ma l’amarezza nelle sue parole… lui non era rimasto neutrale, allora. Non che fosse un grande shock. C’erano molte persone che doveva vedere ogni giorno che avevano preso allora la decisione sbagliata. Il mondo non era in bianco e nero, e lei aveva imparato da tempo che la gente faceva quel che faceva per le ragioni più diverse, e non tutte erano buone o malvagie. Non significava che lei condonasse l’essersi schierati per un genocida psicopatico, ma tenere viva la fiamma dell’odio non sarebbe servito a nulla.

Lui le scoccò una cauta occhiata, fece una smorfia e poi sospirò in segno di rassegnazione. Sembrava aver carpito la sua censura. C’erano delle cose che lei non sapeva nascondere molto bene. “Ero un bambino allora,” mormorò. “Non avevo una parte mia. Ho fatto quello che mi è stato detto di fare.”

Hermione alzò gli occhi al cielo davanti alla sua debole difesa. “La guerra è stata vinta da dei bambini, sai.”

Lui annuì, sembrava un poco sovrappensiero. “Già, ma non erano me, però. Te l’ho già detto, non sono mai stato molto coraggioso. Non sarei mai andato contro i miei genitori. Avrei fatto tutto quello che loro mi avessero chiesto di fare. Anche se avesse significato uccidermi da solo.”

Lei ci rimuginò su per un secondo. “Magari non è mancanza di coraggio,” disse infine, sentendosi magnanima. “Magari è solo eccessiva lealtà.” Si rese conto di crederci davvero. Non si poteva certo dar la colpa a qualcuno per l’amore verso la propria famiglia e il volerla difendere. Anche lei aveva fatto alcune cose questionabili nel corso degli anni per aiutare genitori e amici.

Stranamente, lui scoppiò a ridere. “Non mi hanno mai accusato di essere mai stato eccessivamente leale, prima d’ora, ma grazie. È un piccolo passo avanti rispetto all’essere chiamato codardo.” Lui la guardò, soppesandola. “Non sei quello che mi sarei aspettato.”

Hermione inarcò un sopracciglio. “Avevi delle aspettative sulle persone che ti sarebbero venute addosso?”

Lo sguardo di lui scivolò sulla sua figura, dicendole chiaramente che era così. Quello era il problema dell’essere una megera in un corpo da ninfa. La gente si aspetta che tu sia una ninfa, e Hermione non aveva idea di come interpretarla – anzi, aveva solo la certezza di non volerlo essere.

“Quindi, qual è il tuo nome?” chiese lui.

Lei scosse il capo. “Lo sai che non posso dirtelo.”

Le labbra di lui si arricciarono di nuovo in un modo che Hermione sapeva di doversi ricordare. “Dimmi un nome qualunque, allora.”

Lei ci pensò su un momento. “Lethe.”

“Che nome strano,” osservò lui.

“Beh, è il nome di una ninfa.” Hermione incrociò le braccia al petto, sentendosi una ninfa molto secchiona che ne sapeva davvero di mitologia antica. La mitologia non era un argomento molto conosciuto nel mondo magico, ma i maghi non ne erano nemmeno completamente digiuni. Era solo che la vedevano in maniera diversa rispetto ai Babbani e avevano le loro versioni di alcuni miti, e Hermione aveva trovato alquanto intrigante comparare le diverse interpretazioni. Non solo, probabilmente poteva scrivere una tesi sulle influenze sociali, religiose e culturali dietro ad ogni singola similitudine e differenza tra le società Babbana e Magica del giorno d’oggi, e dei, se era secchiona non importava in che costume fosse.

Lui inclinò un poco il capo. “Che tipo di ninfa?”

Lei dovette dargli la spiegazione veloce per non essere colta in flagrante in fatto di secchiosità. “Lavora negli Inferi. Coloro che bevono dal fiume Lethe ottengono l’oblio dalle loro vite mortali.”

Qualcosa brillò nei suoi finti occhi azzurri. “Credo che mi piacerebbe molto farlo.”

All’inizio, Hermione non capì, poi all’improvviso si rese conto di quello che lui volesse dire e aprì la bocca per protestare su come quello non fosse un invito e su come di certo non ci sarebbero state bevute di alcun tipo. Poi vide una traccia di divertimento nelle sue iridi e nella linea delle sue labbra. La stava prendendo in giro? Si accigliò.

“Non sei abituata a questo,” disse, il tono pensieroso. “Non sei abituata a qualcuno che flirti con te.”

Lei arrossì, pregando che la maschera nascondesse almeno un poco del suo imbarazzo. Tempo di cambiare argomento. “E come posso chiamarti io, invece?”

Lui scrollò le spalle. “Qual è un nome comune da Babbano?”

“John?” suggerì lei.

Lui fece una smorfia. “Non è per nulla bello quanto Lethe, eh?”

“Credevo avessi detto che Lethe era un nome strano.”

“E’ strano, ma comunque bello.”

Già, già. Si doveva sicuramente sentire in dovere di dirlo. “John è comune, ma… comune,” replicò lei.

“Ed è quello che ho chiesto io, vero?” I suoi occhi brillarono, divertiti. “Tu non vorresti essere qui,” aggiunse poi, all’improvviso.

Quell’affermazione la colse di sorpresa. “Um, sicuro che lo voglio. Stiamo avendo una conversazione perfettamente piacevole -”

“Non volevo dire che non volessi parlare con me. Ma qui, al party. Andiamo.” La prese per mano e iniziò a sospingerla verso una porta.

“Cosa stai facendo?” chiese lei, senza sapere se dovesse opporsi o meno. Probabilmente avrebbe dovuto, ma cosa avrebbe mai potuto farle di male a una festa con così tanta gente?


*continua*


Al prossimo capitolo, e se nell'attesa volete lasciare un commento, come sempre sarà più che apprezzato (sia da me, sia da Akasha :) ) ^^
  
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