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Autore: mido_ri    20/03/2018    1 recensioni
"Oltre ogni limite fisico o lembo di pelle a contatto con la sua".
Un ragazzo ordinario e la ragazza più strana della scuola. Un amore che nasce e si sviluppa in poche parole. Una storia all'insegna della stranezza e le gomme da masticare.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caro diario,
questa storia parla di una strana ragazza a cui non piacciono i kiwi e le rose blu. Adora indossare calze a striscie e scarpe basse, accarezzare i criceti e arricciarsi i capelli con i bigodini.
E poi be'... parla anche di me. Il solito sfigato innamorato della ragazza sbagliata.
Mi chiamo Daniel, Daniel Kang. Mio padre è coreano, mia madre americana. Vivo nel Maine... ma non parliamo di questo.
Sto fissando intensamente le ante aperte del mio armadio. Intravedo uno smoking. Il maledetto smoking di mio padre macchiato di birra e solo Dio sa cosa. Indossato al mio primo ballo scolastico.
Intanto Pamela sonnecchia sul letto, con il libro di chimica a farle da cuscino, e farfuglia qualche frase sconnessa, ripresa da chissà quale libro pescato da uno scaffale sperduto della biblioteca scolastica.
Sospira e scuote la testa, perché i capelli le ricoprono il volto segnato da profonde occhiaie e da macchie di lucidalabbra alla pesca. Sul pavimento carte di lecca-lecca e una bottiglia vuota d'acqua gassata.
E io che continuo a fissare quello stramaledetto smoking.
La cui storia non interessa a nessuno.
Ma la racconto lo stesso.
Non è molto lunga...

Sbattei l'anta dell'armadietto con foga, rimuginando sull'ultima insufficienza della prima metà dell'anno scolastico. Mia madre avrebbe di nuovo fatto sparire la Play e papà, be' papà... avrebbe mandato giù l'ennesimo bicchiere di whiskey e si sarebbe fumato una canna.
Mia sorella arrivò verso di me saltellando; esibiva un sorriso a trentadue denti e una scintilla nei suoi mi diceva che che il suo animo era in fermentazione.
Mi punzecchiò una spalla e alzò le sopracciglia.
- Che ne dici di confessarti a Pamela?
- Chi?! Che?!
- Mah, nulla di serio. Ho notato che la guardi spesso e ridacchi con i tuoi amici quando passa.
Feci un passo indietro e inchiodai lo sguardo al pavimento.
- Certo che sì, nessuna ragazza viene a scuola parlando con un cactus in un vasetto.
Victoria mi guardò con sufficienza, poi ritornò alla sua incomprensibile espressione.
- E dimmi... perché le scatti foto di nascosto?
Rabbrividii. Mia sorella era davvero una pervertita e non si impegnava particolarmente a nasconderlo. Più volte l'avevo scoperta accovacciata dinanzi alla porta del bagno con una telecamera e si era giustificata ammettendo di voler raccogliere dei dati statistici su quante volte alla settimana mi masturbavo.
Per non parlare dei preservativi alla banana che gonfiava a mo' di palloncini e spacciava ai bimbi dell'asilo per due dollari l'uno, con lo strabiliante nome di "palloncini magici profumosi".
E pensare che aveva soltanto quattordici anni.
Ma, tornando a quel preciso istante, non avrei saputo spiegarle il perché di quella cosa. Anzi, sì. Però sarebbe stato troppo imbarazzante.
- Oh! Prima che ti scervelli oltre... so già che hai un fetish per le ragazze con le calze al ginocchio e i capelli colorati. Volevo solo tenerti un po' sulle spine.
Si dondolò sui piedi, compiacendosi delle proprie parole.
- Se sai già tutto - come sempre - allora perché sei venuta a rompermi le scatole?
- Be', in realtà il punto è un altro. C'entra con Pamela e devi accettare per forza. Sai che ho tanti mezzi per ricattarti.
Si guardò le unghie smaltate di fucsia e strinse le ciglia volumose per il troppo mascara.
- Vieni al ballo di fine semestre.
La scrutai per pochi istanti, studiando invano una mossa per anticipare la sua successiva.
- E io cosa ci guadagno?
- Tanto per cominciare... eviterai una figura di merda con mamma. Sì, ho pianificato di hackerare il sistema della TV e far partire un video in cui ti masturbi davanti a delle tipe dei cartoni giapponesi che urlano "senpai!", mentre lei guarda Dr. House.
Disse ciò tutto d'un fiato, eppure il suo respiro era così impercettibile e la sua voce così pacata, che mi sembrava di parlare con un ologramma.
- E poi ovviamente sesso, tanto sesso.
Risi.
- E con chi? Le tizie degli anime non esistono mica.
- Oh... e qui viene il bello. Forse Pamela adora gli anime quasi quanto te. Certo... magari non le piacciono le dodicenni nude, ma sicuramente ha imparato qualcosa da loro.
- Che vorresti dire?
- Che lei ti fa impazzire. Perché sembra uscita da un anime.
- Non dire stronzate.
Feci per girare i tacchi, ma lei mi afferrò per una manica e si alzò sulle punte per sussurrarmi delle orribili e al contempo allettanti parole all'orecchio.

Mi guardai allo specchio del bagno un'ultima volta. Lo smoking di mio padre era nuovo e sembrava essere stato creato su misura per me. Il problema ero io nel complesso. Io che avevo accettato di gettarmi a capofitto in una cosa così pericolosa, rischiando di diventare lo zimbello della scuola o di tutto lo stato se possibile.
Tutto
Per
Delle
Stupide
Parole
Di quella pazza pervertita di mia sorella.
"Hai notato anche tu che adora i lecca-lecca"
Aveva maledettamente ragione.
Quella cosa mi faceva impazzire ancora di più dei capelli colorati e le calze a striscie.

Ed eccolo lì. Quell'idiota di me stesso che si aggiustava la cravatta in mezzo alla folla, sporgendosi fra la gente urlante cercando una e una sola figura. Che sperava non ci fosse.
Deglutii. Dopo il quinto shot Pamela passò sotto l'arco floreale nel cortile e mostrò il biglietto a un energumeno dell'ultimo anno che sorvegliava l'entrata.
Volevo girarmi dall'altra parte, dove i miei amici ridevano e mandavano giù altri bicchierini senza aspettarmi. Ma le sue calze stracciate e la collana di cuoio al collo mi impedivano anche solo di rivolgere il pensiero altrove. Evitai di pensare anche al fatto che se avessi mostrato pure un minimo di interesse nei confronti di quella ragazza, i miei compagni mi avrebbero lasciato da solo senza esitazioni. E non intendo a quella festa. Ma solo per sempre.

Eppure

Eppure...

- Hey!
- Hey...?
La ragazza fu sorpresa di vedersi venire incontro un tipo che neanche conosceva, ma non a tal punto da sembrare infastidita all'idea che qualcuno ci stesse provando con lei dopo appena due minuti dal suo inatteso arrivo.
- Tu sei quel ragazzo che mi fa le foto durante la pausa pranzo, giusto? Com'è che ti chiami?
Sbiancai.
Come diavolo aveva fatto ad accorgersene? Avevo sempre preso le giuste precauzioni.
- D-Daniel...
- Io sono Pamela. Ma penso che tu lo sappia già. Per caso sai anche il mio indirizzo?
Mi sentii un fottuto psicopatico.
Ma lei scoppiò a ridere.
Ed era meravigliosa.
- Scherzavo. Anche se non mi dispiace ricevere ospiti, visto che succede raramente. E sono i miei genitori che tornano dalla Francia.
- Sei francese?
- Oui, mon chéri...
Imposi al mio amichetto di non fare troppi pensieri scomodi sulle labbra piccole e umide che pronunciarono quelle parole. E non sto parlando del mio cervello.

- Bene, vuoi invitarmi a ballare con te?
- I-io... penso di sì.
In quel momento mi resi conto che mia sorella non mi aveva comunicato uno straccio di piano e mi aveva piantato lì come un idiota, senza sapere cosa fare.
Ma lei si limitò nuovamente a sorridere, come se stesse leggendo i miei pensieri nell'istante esatto in cui venivano originati.

Le cinsi la vita con una mano e appoggiai l'altra sulla sua schiena. E così mi accorsi che aveva le spalle da fuori e non solo quelle. Era totalmente scoperta fino al fondoschiena. E quel vestitino le stava perfettamente bene.
Ingoiai la saliva per via della gola completamente rinsecchita e cominciai a muovermi a tempo della musica, sebbene fosse difficile in uno spazio così stretto.

E non riuscivo a non guardarla. I suoi occhi erano due magneti, più potenti delle calze nere che le arrivavano alle ginocchia nude e bianche.

E lei mi guardava di rimando. Dapprima esprimendo un "chi diavolo sei? Però mi piaci, cavolo. Sei forte!" e poi, dopo una buona oretta di avanti e indietro e altri shottini trafugati di nascosto ai tipi ubriachi, i suoi occhi mi dissero: "smettila di fissarmi le labbra come se fossero la tua unica salvezza".
E lo erano eccome.
E lei lo sapeva benissimo.

E non ci fu bisogno di ribadirlo quando mi spinse su per scale di ferro, costringendomi a camminare all'indietro.
Giungemmo sul tetto.
E le stelle non c'erano, ma pensai "fa niente, stasera ho di meglio da ammirare".

Ed era vero. Il suo vestito brillava più di tutte le stelle insieme, ancor di più le sue labbra schiuse, da cui fuoriusciva un risata amabile, accompagnata dalla musica in sottofondo che giungeva ormai ovattata alle nostre orecchie.
Mi mise le braccia al collo e mi chiese di prenderla in braccio. Così feci.
Non era ubriaca, ma io sì. Anzi, di più. La desideravo così tanto da avere le mani sudate e il cuore che batteva a mille, come ad annunciarmi un attacco di panico che non arrivò mai. Perché lei c'era e voleva che ne fossi consapevole.

E me ne accorsi del tutto quando mi spinse per terra con una forza che non immaginavo avesse, mentre io barcollavo in preda all'alcol, al desiderio e al suo profumo pungente. Stavolta mi chiese di contare le stelle in cielo. Le dissi che non riuscivo a vederne neanche una.

- Guarda bene.

Alzai gli occhi colpiti dalla brezza fresca e sentii il contatto delle sue labbra vive, calde, unite alle mie.

E poi la sua lingua.
Sapeva di chewing gum e rhum. Dolce e amara. Mi faceva impazzire e sorridere al contempo. Ma non ero disperato. Ero soltanto
innamorato.
Oltre ogni limite fisico o lembo di pelle a contatto con la sua.
Dentro ogni limite fisico e desiderio di strapparle i vestiti di dosso e chiederle dove diavolo fosse mentre io sospiravo il suo nome il sabato notte, immaginando di tirarle i capelli e lasciarle un bacio umido sulla nuca.

E mi chiesi dove diavolo fossi io mentre le sue morbide mani sbottonavano i miei jeans e la sua lingua dolce e amara ripercorreva la mia intimità da sopra un sottile strato di stoffa blu.
Ed ero proprio lì, a sospirare il suo nome davvero. E lei era proprio lì, ad ascoltarmi. A bearsi delle mie dita intrecciate ai suoi capelli e delle mie unghie che le graffiavano la nuca; dell'altra mia mano che si muoveva in modo convulso e irragionevole sul suolo e il torso mi si raschiava tutto. La spingevo verso di me e lei si lasciava guidare e al contempo guidava il ritmo del mio respiro.
E quando esalai l'ultimo respiro dettato dal piacere risi. Perché lo sapevo, non sarebbe stato davvero l'ultimo.


Cavolo. Solo ora capisco il perché della mia fissazione con quello smoking. Quella sera non ho bevuto birra. Era già macchiato. Mio padre l'ha usato prima di me, questo è ovvio. Quando andava al liceo probabilmente.
Ed è lì che ha conosciuto la donna della sua vita, per la quale si è sicuramente rovesciato un boccale di birra addosso. Ed è per questo che ha lo sguardo così assente e la testa così vuota. Perché lei non c'è. Ed è per questo che mia madre non è altro che la madre di suo figlio. Perché non è quella ragazza dalle labbra dolci come quelle di Pam.

Diamine, questa pazza non mi ha mai detto che la sera del ballo avevo una macchia enorme sul vestito che credevo mai utilizzato. E io, da idiota qual ero, non me ne ero accorto.
Perché quella sera ero troppo impegnato a pensare a lei e alla sua fissazione per i cactus e le gomme da masticare alla fragola.
  
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