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Autore: BrokenSmileSmoke    22/03/2018    0 recensioni
Mia moglie ha gravi problemi mentali specialmente nelle giornate in cui piove, io dopo anni di matrimonio sono sfinito fisicamente e mentalmente.
Avevamo un figlio, Jay, che è sparito misteriosamente e nessuno è mai riuscito a trovarlo.
Come se non bastasse strane cose iniziano ad accadere in casa mia, e vengo incolpato di crimini che mai mi sarei permesso di compiere.
O almeno credo.
Ad ogni modo, io sono innocente ma ogni prova è contro di me. Qualcuno sembra mi abbia incastrato e d'un tratto mi si mette contro anche mia moglie.
Sono stanco, sfinito, e mi manca poco per arrivare ad un crollo emotivo.
Chiunque legga questo: credetemi, io non ho fatto nulla.
Non avrei mai massacrato Jay.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi svegliai alla solita ora ma già da subito avevo notato che non sarebbe stata una giornata come le altre, ma sarebbe stata come quei giorni.
Forse perché si stava avvicinando l’inverno, forse perché qualcuno dal cielo voleva a tutti i costi complicarmi la vita… Ad ogni modo quella sarebbe stata una pessima giornata. Ed avevo ragione.
Guardai la figura nel mio letto e notai con sollievo che stava ancora dormendo, per il momento andava tutto bene.
Cercai di alzarmi senza far troppo rumore e mi diressi alla finestra per chiudere le tende, pioveva a dirotto. La pioggia che picchiettava contro la finestra faceva un suono appena udibile, ma decisi di eliminarlo ugualmente.
Accesi la vecchia tv a tubo catodico in modo che coprisse la pioggia e corsi in cucina.
Preparai velocemente la colazione mettendo nella tazzina colma di caffè decaffeinato dei calmanti per mia moglie lasciandomi un po’ cadere la mano e ne misi una dose che sarebbe riuscita a stordire un cavallo, tanto Judy se ne sarebbe accorta a malapena, preparai il vassoio e sopra ci buttai con noncuranza un giglio che sarebbe appassito fra non troppo tempo.
Mentre tornavo in camera mi guardai di sfuggita allo specchio, chiedendomi come avessi fatto a ridurmi così.
La pelle pallida, il viso scavato ed un pigiama che mi andava troppo largo. Non perché fossimo poveri e quindi dovevo prendere i vestiti alla Caritas, bensì perché quegli anni di matrimonio mi avevano stremato e ridotto – letteralmente – all’osso.
Ero sposato da tredici anni, e sono negli ultimi cinque la situazione era a dir poco innaturale. A Judy, mia moglie, avevano diagnosticato un raro fenomeno di aggressività e autolesionismo insoliti, ma solo durante i giorni di pioggia. Nessuno si spiegava come la pioggia fosse collegata alla scomparsa del nostro unico figlio, ma visto che i tempi coincidevano troppo allora non restava altro che far finta che fosse così e dare come unica via di fuga temporanea i calmanti, medicine che oltretutto dopo qualche mese avevano già iniziato a dare un effetto più leggero. E allora ne dovevo aumentare le dosi, al massimo avrebbe dormito per mezza giornata, ma comunque per diminuirne l’uso ci eravamo trasferiti a Cagliari in una vecchia e malmessa casetta in una campagna lontana dalla città.
Di norma mi avevano detto non piovesse molto, ma ci sono sempre le eccezioni. Come ad esempio quella mattina.
- Judy, tesoro, dove sei? – avevo domandato non trovandola in camera, le tende spostate.
Dannazione, ci avevo messo troppo perdendo l’occasione giusta per somministrarle il farmaco. Poggiai il vassoio sul letto ed andai a cercarla.
Con mia moglie che durante i giorni di pioggia era una letale psicopatica la penombra della casa appariva ancora più sinistra di quanto già non fosse.
Mentre attraversavo il lungo corridoio che mi avrebbe portato in salotto sentì dei gemiti provenire dalla cucina, poi un urlo.
Uno… Due… Tre…
- Steven! -
Ecco.
Uno… Due… Tre…
- Ste… Steven… - la sentì singhiozzare.
Nemmeno mi affrettai nel dirigermi da lei, tanto già sapevo l’avrei trovata seduta al tavolo nella nostra piccola cucina con in mano uno straccio mentre strofinava un coltello.
Come non detto.
Era lì a cullarsi sulla sedia con lo sguardo perso nel vuoto mentre canticchiava sottovoce e continuava a dire il mio nome.
Oh, Judy. Vederla in quelle condizioni mi faceva sempre piangere il cuore.
L’avevo conosciuta che eravamo adolescenti durante una sagra in primavera e ricordo che me ne innamorai subito. Allegra, spensierata, gentile ed anche molto divertente. A quei tempi avevo paura di un suo rifiuto, mi ci vollero tre mesi di frequentazione per riuscire a dichiararmi.
Ricordo perfettamente quel pomeriggio.
Dopo varie prove davanti allo specchio sotto le battute che mi facevano i miei genitori ero uscito di casa e mi ero diretto al nostro punto d’incontro, riconoscendola già da lontano.
Una ragazza con dei bellissimi capelli rossi, ondulati, lunghi e con un adorabile vestito bianco in pizzo che la rendeva più esile e graziosa di quanto già non fosse.
Mi ero avvicinato e l’avevo salutata con due baci sulle guance, come al solito, e le avevo offerto un tè freddo.
Avevamo passeggiato nel piccolo paesino e per evitare di fare un fiasco l’avevo portata in riva ad un lago dove finalmente ero riuscito a parlarle dei miei sentimenti.
Tutto il discorso che avevo preparato e studiato attentamente era svanito, lasciando il posto ad un orrendo balbettio e a due parole.
- Ti amo – avevo detto guardandola negli occhi.
Non l’avevo mai vista così felice, se non nel giorno del nostro matrimonio.
- Ce ne hai messo di tempo, Ven – mi disse prima di baciarmi.
Da quel momento nessuno ci aveva separati.
Ci eravamo sposati a vent’anni, dopo tre nacque il nostro primo ed unico figlio, Jay, che scomparse a cinque anni.
A nulla erano servite le indagini ed i vari appelli ai giornali locali e nazionali e alle reti televisive. Jay era scomparso nel nulla lasciando di sé solo un paio di scarpette blu, le sue preferite ed uniche scarpe, nell’armadio.
Nonostante il suo corpo non fu mai ritrovato il parroco ci aveva consigliato di fare ugualmente il funerale in modo che, ovunque fosse, alla sua anima era possibile trovare la pace, non che noi fossimo credenti, quel gesto serviva solo a farci illudere che Jay era in un posto migliore.
Poi, qualche giorno dopo, Judy cadde in quel limbo. All’inizio non ci avevo fatto molto caso, in fin dei conti avevamo da poco perso il nostro unico figlio, qualche episodio di isteria e aggressività era comprensibile, ma poi mi resi conto che era un problema mentale, così cambiammo città spendendo tutti i soldi che avevamo conservato per gli studi di Jay in quei cinque anni per comprare la casa lontana da occhi indiscreti e malelingue.
Ed ora quella ragazza spensierata, quella moglie felice e madre responsabile era lì davanti a me che sussurrava il mio nome.
Ad un tratto si fermò guardandomi negli occhi con lo sguardo acceso.
Continuava a lucidare il coltello con un panno, e non si rese conto quando l’oggetto le fece un taglio sulla mano. Il sangue iniziò ad uscire immediatamente, così mi precipitai velocemente da lei per fasciarle la mano sinistra con il panno. Lei non smetteva di fissarmi negli occhi e ciò mi fece rabbrividire. Quello era un nuovo stadio.
Non era mai arrivata a tanto.
Senza che io me ne accorgessi mi piantò il coltello nella coscia, lo estrasse senza indugiare e lo infilzò nuovamente nel ginocchio.
Mi sorpresi di quel gesto, e rimasi stupito di quanta freddezza c’era nel suo sguardo.
Con il sangue che ormai usciva coma dalla carne tagliata come un rubinetto dell’acqua lasciato aperto sentivo un bruciore che mi fece accasciare a terra con la gamba che andava in fiamme.
Lei si alzò dalla sedia e se ne andò lasciandomi da solo, così cercai di aggrapparmi al tavolo ed alzarmi. Zoppicando mi diressi al cassetto dove tenevamo le tovaglie. Ne strappai una e fasciai nel modo più sbrigativo possibile la gamba.
Ogni movimento portava a fitte di dolore acute, ma dovevo ritrovare Judy. Non era in se’ e non potevo lasciarla di certo girovagare per casa a mani libere.
Mi auguravo solo che avesse bevuto il caffè che le avevo lasciato in camera.
Appoggiandomi con i palmi delle mani alle pareti ero riuscito ad arrivare da lei, e la trovai accasciata accanto all’armadio, aperto. I tranquillanti iniziavano a fare effetto.
Corsi, per modo di dire, da lei e le tolsi il coltello dalle mani, poi seguì il suo sguardo vitreo nell’armadio nonostante qualcosa mi dicesse di non farlo.
Me ne pentì subito dopo.
Nell’armadio c’erano un paio di scarpette blu, impolverate e sgualcite.
Le scarpe di Jay, quelle che io avevo lasciato chiuse in una scatola nella vecchia casa.
Erano lì, qualcuno le aveva riportate, e questo voleva dire solo una cosa.
Gli attacchi di Judy sarebbero stati più forti.

 
   
 
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