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Autore: esmoi_pride    26/03/2018    0 recensioni
Il Gran Regno di Saab è stato rifondato dalle sue antiche rovine, e adora il dio Saab. L'Imperatore scelto dal Dio ha accolto i reietti della società e li ha resi il popolo della città. Ma adesso i signori rivogliono indietro i loro schiavi e creano un'Alleanza, formata dalle sette città più importanti della regione, per annientare il loro piccolo avversario. Quella che scoppierà sarà una lotta tra gli uomini... e qualcosa di ben più grande di loro. | Storia fantasy. Cosa c'è dentro: guerra, drow, omosessualità latente, dettagli truculenti, drow, omosessualità sfacciata, morte, drow, slash, comandanti bboni, ho già detto drow?, pseudoincesto, scoperte molto boh, qualche umano, poteri psionici/cineti, una minoranza di altre razze, cose improvvisamente sci-fi ve lo ggiuro, e... drow, principalmente.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Saab'
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metterò dei disegni. lo giuro.






 





Saab: Down to Earth
Capitolo 9 – Rhuzupømu
*parassita






La Piazza del Mercato si era sfollata. Erano rimasti pochi mercanti dietro i banchi allestiti, e alcuni di essi chiacchieravano tra loro e con i passanti. Più in là, la città era deserta. Le porte e le finestre erano chiuse. Gli unici suoni nell’aria erano i pochi di chi lavorava non appena finito il suo pasto, e i bisbigli nelle case. Valentino era sporto a una finestra del muro dorato del Palazzo Imperiale, con le braccia incrociate e poggiate sul davanzale.
Le sue orecchie fremettero cogliendo un rumore vicino, un fruscio di vestiti. Ra’shak lo imitò, poggiandosi in avanti sui gomiti, accanto al mezzelfo. Teneva lo sguardo alto e osservava le nuvole grigie che minacciavano la città, oscurando il sole.

“Sembra una città fantasma,” mormorò Valentino, scandagliando per l’ennesima volta le stradine vuote tra gli edifici. “Hanno sentito un’esplosione e hanno visto il fumo salire dal Palazzo. Credevano che fossimo intoccabili, ma non era così. Abbiamo detto alla popolazione che il colpevole era stato preso e il pericolo scampato, ma non ci hanno creduto. Sono troppo intelligenti per crederci. Ora hanno paura.”
Ra’shak sospirò, abbassando gli occhi gialli verso la discesa della Strada del Pirata che portava dritto alla spiaggia. Nel porto erano ancora attraccate alcune grandi navi, arrivate insieme agli alleati delle Nuove Terre. Omini piccoli come formiche trafficavano sul molo, avanti e indietro.
“Ti stai preoccupando troppo per gli altri. Non farmi diventare geloso.”
Valentino scrollò il capo, proseguendo, più severo.
“Non sono stupidi. Sanno che siamo in svantaggio. È solo fortuna che non si sia scoperto cosa è successo veramente. C’è tensione, e non si fidano di me, te o di Azul. Sanno che gli mentiremmo per tenerli a bada.”
Gettò un sospiro fuori dalle labbra e abbassò lo sguardo, irrequieto.

Ra’shak voltò il capo per scrutare il ragazzo.
“I miei ragazzi sono determinati. Per quanto le loro famiglie siano degli sciocchi smidollati, i guerrieri di Saab non esiteranno davanti al nemico.” Allungò una mano per intrecciarla alle dita di quella di Valentino, che serrò le labbra in una smorfia. Il drow ne studiò l’espressione assorta. “L’hai detto ad Azul?”
Valentino si strinse nelle spalle. “Azul lo sa già…”
“Non parlo di questo.”
Valentino colse il cenno del capo di Ra’shak verso l’interno del palazzo. Si portò le mani sulla faccia e sospirò, abbassando il viso, così che le mani si infrangessero tra i capelli biondi.
“No, non ancora. È troppo scosso. Forse per il ritorno di Vilya, forse per il ratto di Saab… ma non mi sembra stare bene. Non voglio dargli altri pensieri, e quei ragazzini sono degli incoscienti a mettersi ancora di più nei guai in una situazione già così fragile…”
“Val,” lo chiamò Ra’shak. Afferrò la spalla del mezzelfo, facendolo sussultare appena, “non farti trascinare da questa merda.”
Valentino scostò le mani dal volto e guardò Ra’shak.
“No,” annuì, “certo. Siamo ancora vivi e casa nostra è ancora un luogo sicuro, dopotutto. Non ho idea di come siano entrati… ma dev’essere qualcosa che non possono fare sempre, no? Altrimenti saremmo già finiti, no?”
“Questo è molto rassicurante,” rise Ra’shak abbandonando la spalla del compagno.
“Già,” rise Valentino. Studiò il volto del drow. “Ti amo.”
“Anche io, Val,” sussurrò in risposta l’altro, ricambiando lo sguardo per un istante prima di affacciarsi di nuovo alla città oltre la finestra.

“Vorrei… che finisse tutto.”
“Tutto cosa?”, chiese Valentino, sorpreso, “tutto il mondo?”, rise.
Ra’shak sbuffò dalle narici in un sorriso, che si spense presto.
“La guerra. I problemi. Azul… vorrei che sistemasse le cose con Imesah.”
Valentino inarcò le sopracciglia.
“Così potrai chiedermi qualcosa dopo?”, rise di nuovo, arrossendo. Ra’shak piantò gli occhi in basso, ma le sue labbra si piegarono in un accenno di sorriso. Valentino proseguì, più serio. “Non credo che abbia dei problemi con Imesah. Credo che abbia dei problemi con… se stesso.”
“È un drow,” replicò Ra’shak, “cosa pretendi? Non mostra affetto come gli altri. Va bene così.”
“In quindici anni non ho visto un uomo forte, Ra’sh,” obiettò Valentino. “Ho visto un uomo debole, solo. Non lascia entrare niente, e mai troppo vicino.”

“Evidentemente gli sta bene.” Ra’shak si alzò dal davanzale, drizzando la schiena. “Evidentemente sta bene a entrambi. Non è lo stesso per me.”
Valentino si voltò per incrociare lo sguardo rosso del jaluk.
“Anche io avevo paura, ma sono andato avanti.”
Valentino sorrise.
“Hai tagliato la testa di un orco e l’hai portato alla Ilharess per riavermi indietro, intendi dire.”
“Sì,” ammise Ra’shak, arrossendo, “anche se era proibito. Anche se non sapevo cosa mi stava succedendo. Io ho lottato, per questo.”

Il mezzelfo si strinse nelle spalle.
“Strano, mi sembrava di capire che non dovrei pretendere molto dai drow.”
Ra’shak raggiunse Valentino dei pochi passi che li separavano e catturò la sua mano nella propria, guardandolo negli occhi. Inarcò un sopracciglio.
“Io sono un drow molto motivato.”
Tirò a sé la mano del mezzelfo, scostandolo dalla finestra. Valentino si voltò verso di lui e gli allacciò le braccia al collo quando Ra’shak cinse i suoi fianchi. Il drow lo fece aderire al muro e lo imprigionò contro il proprio corpo, incontrando le sue labbra.




 



***
 




La pioggia iniziò a bagnare la strada. Le prime gocce d’acqua si posarono sul vetro in un ticchettio che proseguì ritmicamente, in un suono sommesso e rilassante.
Vilya guardava, oltre il vetro, la luce del giorno sfiorire lentamente. So’o sospirò accanto a lui e allungò una mano alla bottiglia poggiata sul tavolo. La luce della candela, tremula per le correnti d’aria, rendeva più caldi i colori di quell’angolo riservato nella locanda. La musica pigra di un liuto vibrava sul nuovo ritmo della pioggia.

“Finalmente possiamo goderci un po’ di pace,” mormorò Vilya.
So’o versò il succo corretto nel bicchiere e lo portò a sé. Osservò il fratello maggiore, valutandolo.
“Ha ragione, sai?”
Vilya inarcò un sopracciglio.
“Chi?”
“Wolfspirit. Tu… sei nato per questo.”
Vilya corrugò la fronte. Voltò il capo verso il ragazzo. Il biondino aveva raccolto i lunghi capelli in un cappello e segnato gli occhi con il kajal. Degli abiti semplici completavano il camuffamento.
“Questo cosa? Che dice Wolfspirit?”
“Questo!”, esclamò So’o insistente. “Per guidare. Per lottare per la tua gente.”
Il drow sgranò gli occhi.
“Quando ha detto questa cosa? Ma che dici? Che diavolo ti salta in testa? Come ti escono queste cose?”
Il mezzodrow si strinse nelle spalle.
“Sei bravo… mi hai aiutato.”
Vilya scrollò il capo. Si voltò del tutto verso il fratello minore.
Tu sei nato per questo. Sei cresciuto, per questo. Io non sono che un paria drow,” rise sarcastico.
So’o lo guardò contrariato, inasprendo l’espressione del volto.
“Non dovresti giudicare te stesso dal tuo passato.”

Il drow evitò lo sguardo dell’altro. Abbassò le palpebre, sotto il tavolo. So’o bevve un sorso del suo bicchiere.
“Non so se posso prendermi cura di qualcun altro,” ammise.
“L’hai già fatto,” sorrise So’o, rivolgendogli uno sguardo grato.
Vilya incrociò i suoi occhi.
“Di me lo stai facendo,” proseguì il mezzodrow, “mi stai aiutando a scoprire la verità. Abbiamo capito tante cose.”
“Sì, è vero,” disse Vilya. Aggiunse, frettoloso, “insieme. Tante volte, se non mi avessi convinto tu… non saremmo andati avanti.”
“Hm,” So’o annuì, scrutando il volto del drow. “Allora insieme,” aggiunse. Gli sorrise di nuovo.
Il drow ricambiò il sorriso. “Sì, insieme.”
Vilya allungò un braccio per prendere la mano di So’o nella propria. Il mezzodrow bevve un altro sorso, trattenendo gli occhi nei suoi.

“Ti ho protetto, quella volta,” disse Vilya. “Sono riuscito a difenderti. È stato bello sapere di poterlo fare. È da allora che… che ho iniziato a fidarmi di Saab, sai,” il ragazzo sbuffò beffardo, evasivo con lo sguardo, “… e a cercare di fare la cosa giusta. Credevo che con lui ci sarei riuscito. Sentivo della… speranza.”
Il mezzodrow indagò la sua espressione.
“Forse non è così male, in fondo,” rispose So’o.
Vilya incrociò i suoi occhi.
“Assecondare Saab,” chiarì il ragazzo. “Non è andata male finora.”
Vilya scrollò il capo in una smorfia severa delle labbra.
“Non sai dove ci sta portando. Non sai quali sono le sue intenzioni. Vuoi berti anche quello che ti dice?” Contrariato, Vilya scrutò negli occhi verdi del fratello minore.
So’o ricambiò quello sguardo, poi abbassò il viso, assorto.
“Saab sembra una creatura ragionevole. Ci faremo dire la verità anche da lui.”
Il mezzodrow recuperò il contatto con gli occhi blu del drow.
“E da lì decideremo.”

L’espressione di Vilya si attenuò.
“Poteva controllare l’intero mondo. Entrare nella testa di chiunque e fargli fare quello che voleva lui. Se avesse voluto, saremmo diventati le sue pedine.”
Contrasse la fronte, confuso.
“Allora perché ci ha lasciati liberi?”
So’o finì il bicchiere e lo posò sul tavolo di legno.
“Parti con l’idea che gli interessi controllarci. Forse non vuole farlo, forse…” scrollò le spalle “gli piace guardarci.”
“Va bene, ma allora cosa vorrà da noi?”
Vilya afferrò una fetta di torta e si sbrodolò le briciole sui vestiti nell’addentare la punta finora illesa.
“Ha creato, dal nulla, una città, che poi è stata spazzata via da…” socchiuse gli occhi all’improvviso e tornò a So’o “se è in grado di fare tutto questo, come ha fatto a venire sconfitto la prima volta?”
Il mezzodrow si strinse nelle spalle, versandosi dell’altro succo corretto nel bicchiere. Vilya proseguì.
“Cosa dobbiamo aspettarci? C’è qualcosa di più grande di lui? Qualcosa come lui? E comunque, se ha fatto tutto questo ci sarà un motivo. Raccogliere delle persone ‘difficili’ in un solo posto. Farsi adorare da loro. Creare un regno.”
“Non lo adorano,” lo corresse So’o, sollevando il bicchiere per puntualizzare. “I saabiani sono liberi di adorare chiunque vogliano. Molti di loro adorano Saab per avergli dato una casa, ma Saab non li obbliga a venerarli.” Il mezzodrow si prese del tempo per riflettere. “Anche se potrebbe,” osservò, stringendosi nelle spalle. Bevve.
“Esatto!”, esclamò Vilya esasperato. “Cosa lo spinge a lasciare le persone libere di rifiutarlo? Perché non usa il suo potere per ottenere ciò che vuole- voglio dire… sembra farlo male. Dovrebbe semplicemente far esplodere le cervella di tutti quelli che vogliono attaccarci.”
“Questo è semplicistico,” commentò So’o.
“È diretto, ed efficace,” sospirò Vilya ritirandosi contro lo schienale della panca imbottita.
Si occupò la bocca con un altro morso di torta. Si creò un piacevole silenzio, disturbato solo dal rumore grigio della pioggia in sottofondo.
“Segnati tutto,” mormorò So’o, dopo un altro sorso.








 
***
 






“Scusate l’attesa.”
Azul Goldsmith si levò di dosso il tabarro nero, fradicio di pioggia, raggiungendo il tavolo in fondo alla Sala del Consiglio. Salì l’unico scalino che rialzava quella zona dal resto della sala e si fermò davanti a coloro che si trovavano già lì. Imesah puntò gli occhi verdi sul drow.
“Dov’eri?”
“Mi stavo facendo limare per bene le unghie,” rispose Azul abbandonando il tabarro su una sedia. Lanciò un’occhiata evasiva a Imesah prima di tornare a osservare i propri gesti, “mi servono per vendicarmi se vengo svegliato di nuovo nel cuore della notte. Era urgente, immagino possiate capire.”
Imesah scrutò i movimenti del compagno.
“Sembra che l’Alleanza non abbia più idee valide,” incalzò Valentino, guardando Azul. “Le nostre spie non vedono movimento, non hanno altre informazioni. È come se fossero fermi, in una situazione di stallo.”
Il drow spostò gli occhi sul mezzelfo, lasciando che la conversazione lo distraesse dal rosso.
“Pensavano di averci in pugno rapendo Saab, ma hanno fallito. Devono inventarsi qualcos’altro. Avremo tempo mentre loro penseranno alla prossima strategia.”
Ra’shak alzò gli occhi dalle mappe geografiche sul tavolo, osservando gli altri tre.
“Sarebbe una buona occasione per essere i primi ad attaccare, stavolta.”
“Sì,” rispose Azul con voce granitica, “dove? Quale delle sette forze più grandi di noi?”
“Quella più importante,” Ra’shak incrociò gli occhi gialli del drow. “Città Alta. Chi sta organizzando tutto questo.”
“Non è Città Alta a organizzare tutto questo, Città Alta è solo la facciata,” lo corresse Valentino, guardandolo.
Ra’shak infranse le dita tra i capelli, scostandoli dalla nuca in un gesto pensieroso.
“Sarebbe un messaggio,” disse.
“Non voglio messaggi,” rispose Azul, “voglio convincerli a rinunciare.”
“Allora diamogli il messaggio di rinunciare,” osservò Imesah, incrociando le braccia al petto. Guardò Ra’shak.
Ra’shak ricambiò quello sguardo, poi tornò ad Azul.
“Non possiamo sterminarli, non ne abbiamo il potere, a meno che Saab non ritratti improvvisamente la sua morale. Possiamo solo minacciarli. Loro hanno paura di quello che potremmo fare.”
“Quello che potremmo e non possiamo fare,” considerò Azul in un sospiro.
“Credo che Saab ci proteggerebbe solo se ci attaccassero direttamente,” osservò Valentino, guardando Imesah.

Il Cavaliere considerò le parole di Valentino.
“Saab non farebbe niente che possa sconvolgere il flusso delle cose.”
“Oh, che gioco divertente,” ironizzò secco Azul, guardando dalla parte opposta.
Imesah gli lanciò un’occhiata. Si avvicinò a lui, ma guardò Ra’shak.
“Colpiamo i loro punti deboli. Diamogli l’impressione che stiano perdendo e che non possano rialzarsi. Facciamogli perdere i loro punti di riferimento e le loro certezze. Basterà confonderli, le nostre spie possono deviare il traffico commerciale, gli illusionisti tireranno qualche brutto scherzo al sole e faranno diventare l’acqua rossa. La loro mente farà il resto. Si arrenderanno quando gli diremo che un grosso sasso li colpirà dal cielo se non fanno ciò che gli diremo.”
Valentino sbatté le palpebre interdetto. Ra’shak annuì piano.
“Li inganneremo. Quest’uomo mi piace,” commentò, guardando poi il mezzelfo. Valentino rispose.
“Anche se la situazione sembra a nostro vantaggio, per ora, non dobbiamo sottovalutarli. C’è tensione nel Palazzo della Signora Bianca. Potrebbero architettare mosse simili a quella del ratto di Saab.”
Azul avanzò deciso.
“Valentino, avvisa Sonia di trovare informazioni più dettagliate sui piani di Quella Stronza prima che sia troppo tardi. E seguiamo il piano di Imesah.”
Ra’shak e Valentino annuirono. Allontanandosi dal tavolo, si diressero verso la porta.

Quando Azul e Imesah furono soli, il drow si voltò verso l’altro. Gli scoccò un sorriso compiaciuto.
“Beh, tu non hai niente da fare?”
“Non sei contento che abbiamo trovato le soluzioni ai nostri problemi?”, chiese Imesah. Cercò il fianco di Azul con la mano.
Il corpo del drow si irrigidì, ma lui piegò il capo di lato trattenendo gli occhi nei suoi.
“Quali problemi? Siamo ancora nella merda fino al collo, carino.”
Il rosso si strinse nelle spalle.
“Potremmo fingere che non sia così. Vedi merda qui in giro?”
Il drow mormorò, incerto, guardando verso le vetrate, dove la pioggia bussava incessante.
Imesah si chinò su di lui. Piegò il capo per affondare il viso contro il collo di Azul, in un bacio.
Azul rabbrividì. Serrò le palpebre, in tensione.
Imesah lo spinse a sé e tracciò la pelle scura del drow con la lingua. Azul emise uno stento. Piegò il capo all’indietro, si offrì a lui. Corrugò la fronte in un’espressione combattuta mentre Imesah risaliva e addentava il bordo dell’orecchio appuntito del drow. Azul si fece sfuggire un gemito e premette le mani sul petto del compagno. Arrossì, con vergogna. Imesah gettò un caldo sospiro di piacere sul suo collo e spinse l’altro a sé, annullando le loro distanze. Il drow chinò il capo così da nascondere il volto. I capelli grigi scivolarono in avanti e lo celarono al rosso.

Imesah infilò una mano tra i loro corpi e strattonò la patta dei pantaloni dell’altro, iniziando a sbottonarla. Il respiro di Azul si appesantì. Strinse la stoffa imbottita tra le dita affusolate come zampe di ragno. Il rosso si insinuò sotto la stoffa e iniziò a prendersi cura di lui con carezze intense, tra le cosce. Il drow soffocò il respiro sul collo dell’altro, spingendosi piano nella sua mano.

“Se ci fosse qualcosa che non va… me lo diresti, vero?”, chiese Imesah con voce roca, all’orecchio di Azul.
Il drow contrasse di nuovo la fronte, seguendo il ritmo lento della mano altrui con il bacino.
“Lo vuoi sapere?”, replicò Azul, affannato.
Imesah insistette nelle carezze. “Sì,” sospirò al suo orecchio.
Azul gemette di sollievo. Le sue mani risalirono, fino a intrecciarsi attorno al collo di Imesah.
“È… tutto sbagliato,” sospirò Azul. Le dita di Imesah si avvolsero attorno a lui e iniziarono un movimento di polso, strappandogli un altro verso di piacere. Abbandonò la fronte sul suo petto.
“E come possiamo sistemarlo?”, chiese l’altro. La mano libera scivolò su una natica del drow e la afferrò in una stretta salda. Azul esortò la mano davanti con i propri fianchi.
“Così,” gemette Azul, “va bene così… vai avanti.”







 
***








La pioggia aveva assalito il chiostro. Perle d’acqua impreziosivano gli alberi radi e si infrangevano tra i fili d’erba ingialliti. L’odore intenso di terriccio e piante si diffondeva nell’aria insieme all’umidità. Wolfspirit catturò quell’odore tra le narici prendendo un profondo respiro che gli sollevò il petto. Osservò la cascata di pioggia che si riversava davanti a lui, protetto dal tetto del porticato.

Una pelliccia bianca cingeva le spalle del mannaro e tratteneva il calore del suo corpo. Nascondeva una manciata di collane che portava al collo, di cuoio, ossa, stoffa e piccole pietre. Su di essa, i capelli dello stregone erano raccolti in una lunga treccia bianca, poggiati su una spalla. La pelliccia si dilungava dietro in un cappuccio e dopo le spalle lasciava spazio a un mantello scuro che si apriva davanti, mostrando un torace quasi nudo. Una protezione di metallo copriva il pettorale sinistro, lasciando nudo il resto del busto. La peluria bianca contrastava con la pelle abbronzata del mannaro, e ne percorreva gli addominali scolpiti sparendo in una cintura di metallo, al cui centro si trovava una curiosa gemma rilucente. Dei pantaloni larghi, a sbuffo e dalla stoffa pesante si posavano sulle sue gambe, sedute sul muretto, in un elegante drappeggio, lasciandogli i piedi nudi.

Wolfspirit corrugò la fronte, turbato, quando un nuovo odore si mescolò agli altri e arrivò a lui. Era una zaffata calda. Era sudata, intensa. Trasportava con sé un altro odore, altrettanto intenso.
Il mannaro serrò la mascella. Le labbra carnose dell’uomo si schiusero e i suoi occhi verdi si assottigliarono, fulminando l’erba, persi in essa, afferrati da uno sguardo improvvisamente ferale. Un ringhio gorgogliò dalla gola del mannaro, che inasprì l’espressione, e attorno a lui si dipanò un bagliore rosso rubino.

“C’è qualche problema?”
Il lupo voltò il capo verso la fonte della voce. Dall’altra parte di una colonna, un uomo dai capelli mossi lo stava tenendo d’occhio. Aveva una barba incolta e due occhi verdi, ma più scuri e torbidi, che lo studiavano. Scrutò nelle iridi senza riuscire a coglierne lo sguardo.
Il mannaro strinse convulsamente la stoffa del pantalone in un pugno, sul ginocchio. L’espressione ostile si attenuò in uno sforzo, lui serrò le labbra e trattenne gli occhi severi nei suoi, nervoso.
“Sì. Non sono più solo,” rispose secco. L’aura dello stregone si affievolì.
Imesah tirò un sospiro e tornò a guardare davanti a sé. Sfilò da una tasca un curioso involto cilindrico e sottile, dall’aroma speziato.
“Mi accendi?”, chiese il rosso, lanciando un’altra occhiata al mannaro.
Wolfspirit sbuffò dalle narici.
“Subito,” replicò, alzando una mano verso di lui, “inizio dalla testa?”
Imesah inarcò un sopracciglio, interdetto. Una luce di preoccupazione scoccò nel suo sguardo.
“Intendo questa,” disse sollevando la mano con l’involto.
“Oh,” mormorò deluso lo stregone, “uhm, va bene.”
Chiuse la mano in un morbido pugno e fece schioccare le dita. Una fiammella investì l’involto speziato, protendendosi verso l’alto. La combustione coinvolse una ciocca di capelli rossi e la barba sul mento. Imesah urlò un’imprecazione e soffocò il piccolo incendio con la mano, perdendo la presa sull’involto, che cadde a terra.

Il mannaro rise divertito, prima di farsi apprensivo e studiare Imesah.
Il rosso guardò l’altro con aria contrariata e si accovacciò per recuperare l’oggetto. Lo pulì sommariamente e lo portò alle labbra, prendendo un tiro. La punta bruciata si accese come un tizzone e consumò parte dell’erba all’interno.


“Non ti ho mai visto in giro.”
Imesah soffiò via il fumo dalle labbra, la mano prese l’erba e la allontanò dalle labbra.
“Che ci fai qui?”
“Non lo so,” rispose Wolfspirit.
Perse di nuovo lo sguardo sulla pioggia.
“Questo posto non sembra volermi.”
“E che ti importa?”, chiese Imesah. Studiò il mannaro dall’altra parte della colonna.
“Se io la pensassi come te, non sarei qui.”
“No, immagino di no,” ringhiò il mannaro, negandosi all’altro.
“Sei abituato a sentirti fuori luogo?”
“Sono abituato a crearmi il mio luogo,” replicò il rosso.
Portò di nuovo l’erba alle labbra e zittì per assaporarla.
 
“Come un parassita, insomma,” osservò Wolfspirit.
“Sì!” annuì Imesah in un tono più entusiasta, “come un parassita.”


Lo stregone sbuffò dalle narici, contrariato. Il suo volto si inasprì di nuovo. La luce rossastra attorno a lui vibrò. Un accenno di erba cattiva ai suoi piedi fu colta da una combustione lenta e agonizzante, accartocciandosi su se stessa prima che le sue estremità prendessero fuoco, divorandola centimetro per centimetro, finché non si ridusse totalmente in cenere.

La mano, che aveva stretto convulsamente a sé la stoffa dei pantaloni, li mollò all’improvviso. Il mannaro si alzò e senza replicare altro avanzò, lasciando che la cascata di pioggia lo investisse. Attraversò il chiostro a piedi nudi allontanandosi e sparì dall’altra parte.



 
   
 
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