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Autore: Elegy_Chan    30/03/2018    1 recensioni
[Come dopo la pioggia / Koi wa ameagari no you ni]
Akira Tachibana è una bella ragazza, ma allo stesso tempo fredda e malinconica: a causa di una ferita a un piede è stata costretta a rinunciare il suo sogno, la corsa.
In questa one-shot spero di riuscire ad approfondire cosa potesse essere successo alla protagonista di questo manga immediatamente prima di incontrare Kondo, e come quell'incontro abbia potuto spingerla ad avvicinarsi progressivamente a lui.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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koiame

Mentre gli edifici parevano sfiorare le nuvole bianche e la gente inseguiva affannosamente i propri appuntamenti, una ragazza pareva essersi fatta statua, in mezzo al ponte, slanciata come i grattacieli circostanti, a osservare il vuoto: il suo sguardo non pareva esprimere alcuna emozione, se non una vuota  angustia, percepibile appena nei suoi lucidi occhi indaco. Il crine sottile che scendeva dolcemente sulle spalle le dava un’aria ancora più immobile, nonché una strana impressione: era solita legarlo e sentirlo librarsi nell’aria, come un unico scampolo di seta nera.
Da ogni parte si susseguivano rumorosamente impiegati che discutevano al telefono e gloviali comitive di  studenti che si burlavano l’un con gli altri, ma pareva che lei non riuscisse neanche a concepirli, per quanto assorta fosse nell’ascoltare il suo silenzio interiore. Trillò il suo telefono: un messaggio da Haruka.

Akira, al club siamo tutte preoccupate per te!
Per favore, dacci tue notizie, vieni a trovarci!
Essendo la tua migliore amica, vorrei vederti felice, e
anche se non puoi più correre come prima,
 ricordati che la nostra amicizia continuerà,
e saremo anche più unite di prima!
Per favore, Akira, rispondici il più presto possibile…

 

La fanciulla rilesse quelle brevi righe per un numero imprecisato di volte: non riusciva a comprendere bene una frase e già essa ne aveva dimenticato il significato; il suo cuore le crepitava e chiuse gli occhi cercando, invano, di non piangere. Cercò di digitare qualcosa nello schermo del suo cellulare, ma non ci riuscì; lo spense e cominciò ad allontanarsi nel punto in cui era ferma da minuti.
Al piede percepì ancora un lieve dolore ma lei, con un andamento quasi zoppicante, continuò a camminare nella grande città gremita di gente ornata di accessori opulenti e i cui telefoni parevano essere parte integranti delle loro mani, la cui musica pareva un rumore indefinito e senza un preciso ordine, dagli odori oleosi delle baracchine dei takoyaki. Fu una di quest’ultime che attirò l’attenzione di Akira, che ne seguiva l’invitante, fragrante scia fino a quando vi si fermò innanzi e vi svoltò col pesce dorato in mano. Già dopo un morso si pentì del suo acquisto: troppo oleoso e pesante, l’avrebbe fatta ingrassare, indubbiamente. Il giorno dopo si vedeva, alla bilancia, col il suo impassibile ago che le segnalava mezzo grammo in più. Ora che non poteva più smaltire i grassi correndo, come poteva rimanere magra, se non con una dieta ferrea? Tuttavia finì il suo dolce e continuò a vedere impartecipe la vita nella città: si fermò in una libreria, nonostante non le piacesse leggere, e vi uscì dopo aver guardato velocemente gli scaggalo, la sala giochi davanti alla quale riposò il piede dolente era troppo assordante per i suoi ritmi (come facevano i suoi coetanei ad adorare questi luoghi?), osservò le frivole vetrine di un negozio che le sue compagne adoravano (come facevano ad apprezzare questi eccentrici vestiti che lasciavano così scoperte le membra?). Poteva lei tornare una ragazza normale, con degli interessi comuni alle sue coetanee? Poteva lei, Akira Tachibana, lasciarsi alle spalle l’atletica cristallizzandola in un’agrodolce memoria dei tempi delle scuole superiori? Haruka poteva capire che non poteva più vedere un atleta come prima?
Akira stessa poteva tornarle a parlare senza cadere in un baratro di tristezza e continuare a parlarle come prima?
Il dolore al piede si accentuò: non riusciva a camminare senza zoppicare, strenuamente si trascinò verso il parco e si appoggiò ormai esausta su una panchina. Socchiuse gli occhi e sospirò, cercando di togliersi dalla mente quelle sue paure: si era prefissata di non essere così sensibile come era, di diventare forte e impassibile. Era giunto il momento di maturare, e di andare oltre. Era in quello che dicevano fosse il miglior periodo della sua vita, nei suoi diciassette anni, e non poteva permettersi di deprimersi per questo; ma come poteva, se aveva perso il cuore della sua esistenza?


Alzò gli occhi dal piede verso il cielo, ora grigio e portavoce di una pioggia che si prefiggeva burrascosa. Il rigoglioso giardinetto si svuotò dei suoi piccoli abitanti e dei loro genitori, e la ragazza rimase sola.
Una goccia cadde sulla sua madida camicia della sua divisa, poi un’altra sulla guancia, e un’altra ancora sul braccio la convinsero ad alzarsi faticosamente e cercare un riparo; per un momento imprecò tra   per essersi allontanata eccessivamente da casa e di essersi dimenticata l’ombrello a scuola, ma stoicamente vagò, tra la tenue pioggerella, fino a trovare un accogliente locale che avrebbe potuto ospitarla per un po’.
Appena lo raggiunse, vi sedette sul primo posto libero che vide e guardò la pioggia battente sul vetro, trascinata dal vento, lasciando che il suo suono facesse da sottofondo al suo fluire di pensieri ed eliminasse la fastidiosa musichetta di sottofondo che avevano messo nel locale, fino a quando qualcuno attirò la sua attenzione.
“Sarà dura aspettare la fine di questo temporale”
Akira sussultò. Alzando lo sguardo squadrò colui che aveva pronunciato questa frase: era un uomo, sulla quarantina, il cui viso dava l’impressione di celare una personalità gentile, dietro alle prime rughe che affioravano e agli occhi spenti, comunque abbastanza espressivi da non farlo sembrare un automa. Tra le mani teneva una tazzina di caffè, che immediatamente poggiò sul tavolo, innanzi alla ragazza.
“Ma io non ho ordinato nulla…” ciancicò confusa, ma il signore non le permise di finire la frase.
“E’ un omaggio della casa!”
“Grazie…” mormorò Akira accennando un sorriso e tenendo in mano la tazzina. Bastò un attimo che la lingua potesse assaggiare il caffè che essa si ritrasse. Si rivolse al garbato cameriere, che continuava a starle vicino, per vedere se la sua cliente avesse avuto bisogno di qualcosa.
“Scusi” cominciò “Potrei avere un po’ di zucchero, per favore? I-Il caffè è troppo amaro per i miei gusti”
“Ah, lo zucchero!” esclamò l’uomo intimorito dallo sguardo di lei e dal tono monotono in cui pose la frase, ma si fece forza e applicò un trucchetto che sapeva divertisse i più giovani. “Dove sarà mai lo zucchero, vediamo, ah, si… un, due e… tre!” ecco che dalla sua grande mano apparve quasi per magia una zolletta di zucchero.
Akira, per niente esperta di giochi di prestigio, ne rimase sinceramente stupefatta tanto da far aprire i suoi occhi e la piccola bocca in un’espressione di lieta meraviglia. Il suo sorriso si fece più smagliante, e ringraziò vivamente quel gentile signore per la propria cortesia, e bevve tutto d’un sorso il suo caffè! Ah, com’era delizioso quel liquido nerastro, mai ne aveva bevuti di simili! Ah, com’erano gentili i camerieri in quel locale, come in nessun altro posto! Com’erano tornate rosee le nubi prosciugate della pioggia, sfiorate dalla morbida luce del tramonto. Per quanto era rimasta in quel locale? Non importava; ringraziò ulteriormente il proprietario del negozio e tornò finalmente a casa.


Incurante dei rimproveri della madre, Akira si accinse immediatamente in camera sua, si sdraiò sul suo letto e cominciò ad ascoltare un po’ di musica. Tra le dolci parole che ogni canzone librava nelle cuffiette, vi riconosceva quelle del signore che fu così gentile con lei in quel pomeriggio. Come poteva esprimere la propria gratitudine a quell’anima santa? Non era tenuto ad essere così gentile con lei, giovane atleta costretta al ritiro ancor prima che la sua carriera potesse iniziare, e percepì che i propri modi glaciali potessero aver leso i sentimenti di quel povero uomo. Davvero voleva abbandonare per sempre quella docile parte di sé per far totalmente spazio a quella che si stava costruendo? No che non la voleva abbandonare, ma come doveva comportarsi con Haruka e quelle ragazze così insistenti del club di atletica? Ormai la sua carriera non poteva più decollare, qual era il senso di continuare a frequentare quel gruppetto senza parteciparvi attivamente?
Sospirò e cominciò a pensare a quel signore. Nonostante l’età, a suo parere, non era per niente un brutto uomo, con quelle spalle larghe la sua altezza mastodontica, e quel suo carattere dolce e un po’ autoironico miglioravano nettamente la sua immagine; sì, non era per niente male Chissà qual era il suo nome, dove abitava, o se era sposato. Sussultò, era davvero arrivata fino a questo punto? Socchiuse gli occhi e continuò a immaginarsi quell’uomo, dalla vita sconosciuta e dagli interessi ancora più ignoti.
“Chissà da quanto tempo fa il cameriere” pensò sogghignando tra sé e sé, dimenando le gambe e scostando lievemente le madide coperte“ Che il suo sogno sia stato quello di diventare uno chef stellato? Impossibile, allora, che lavori ancora in un ristorante per famiglie, o… o se stia attraversando un periodo difficile e per sbarcare il lunario si divida tra qualche piccolo lavoretto? O… O…”

 

Era diventata un’ossessione, quello sconosciuto, una fugace deviazione al suo costante dolore nonché unico pensiero che riuscisse a farle continuare le giornate senza il rammarico dell’atletica. Passava sempre davanti al ristorante, prima di tornare a casa, senza però mai entrarvi, e dai lucidi vetri vi scorse sempre, tra le persone che conversavano insieme o che la guardavano straniti dalla sua presenza, la figura di quel gentile signore di cui scorse altre sfumature di carattere che la fecero definitivamente trasalire. Com’era adorabile quando chiedeva scusa ai clienti arrabbiati, o quando inciampava nell’intento di servire egli stesso i gustosi piatti a delle comitive di studente, oppure quando ascoltava imbarazzato i rimproveri della capocameriera! Non si aspettava da lui quel lato così maldestro, e già lo adorava, se lo immaginava tra le sue braccia, a consolarlo e a perdonarlo per tutte le sue magagne, era forse innamorata di lui?
Certo che lo era, nei drama che era solita guardare distrattamente da quando si era rotta il piede, un grande amore iniziava sempre con un pensiero fisso, proprio come il suo.
Svoltò immediatamente e interruppe improvvisamente ogni pensiero: aveva letto male o al ristorante cercavano dei camerieri? Si avvicinò e lesse più volte l’annuncio attaccato alla porta dell’ingresso; agì impulsivamente, non poteva perdere l’occasione di frequentarlo più sovente, di conoscere meglio gli anfratti della propria personalità, o perché no, di starci assieme come una coppia dopo essersi incontratia lungo.  Si lisciò i propri capelli corvini e si guardò nel riflesso del proprio telefonino: sì dai, era presentabile, aprì la porta e cercò il direttore affinché ella fosse assunta il giorno stesso.
Non le importava più dell’atletica, sarebbe rimasto un vecchio ricordo; non le importava dell’evidente differenza di età che correva tra i due, sarebbe bastato il proprio amore a giustificarla, grazie al suo lavoretto dopo la scuola e con la gratitudine verso quell’uomo che seppe aiutarla in quel dì di pioggia.

   
 
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