La gonna di raso rosa frusciava come
una vela accarezzata
dal vento e il grande cappello bianco faticava ad avvolgere ancora la
testa
bionda, ed era in procinto di planare tra i grattacieli della grande
metropoli.
“Peach, Peach!” trillò una voce
squillante vicino alla giovane principessa, intenta
a gustarsi una ciambella e affacciata a una delle tante ringhiere che
merlavano
le cime degli alti edifici del suggestivo luogo dove erano da poco
approdate.
La ragazza si voltò verso un piccolo fantasmino di una
coroncina fluttuante,
dagli enormi occhi rosa e il cui velo pareva voler seguire il cappello
dell’amica. “Lo sai che il festival di New Donk
City sembra abbia avuto un gran
successo?“ chiese volteggiando in una piccola piroetta su se
stessa.
“Lo so, Tiara, quanto mi sarebbe piaciuto assistervi, se non
fossi stata ancora
tra le grinfie di quel mostro…” Un attimo di
silenzio inframmezzato dagli
sfocati echi di clacson attraversò entrambe; il solito,
quando si trattava di
lui.
“Mi piacerebbe incontrare la sindaca di questa
città” sviò la principessa dopo
aver ingoiato l’ultimo boccone del suo dolcetto
“Mario me ne ha sempre parlato
spesso benissimo, sai?”
Tiara fece un piccolo mugolio e scosse il corpicino come per annuire. A
seguire
un altro inusuale silenzio staccò questa breve conversazione
dalle separate
riflessioni delle due.
Peach innalzò i suoi grandi occhi verso il vasto, infinito
cielo sovrastante,
ornato da alcune zefire, innocue nuvolette azzurre e promettente di un
altro
pomeriggio splendente rinfrescato dal vento. Se Cappy e soprattutto
Mario
avessero saputo per tempo della loro partenza, magari sarebbe riuscita
a parlargli
bene e a spiegargli con calma il motivo della sua drastica scelta...
era
conscia di aver spezzato il cuore all’uomo che più
di tutti l’aveva amata, e
non riusciva a darsene pace, lasciandola in un eterno limbo
d’incomunicabilità
reciproca.
Fu proprio la sua nuova amica Tiara a proporle quel viaggio attraverso
quegli
onirici panorami che insieme avevano solamente intravisto da un
oblò di
un’aeronave, per farla distrarre per qualche settimana da
quella sensazione
angosciosa che serbava nel cuore, ma servì a poco: nel corso
della sua vacanza
scambiò alcune parole insieme al suo adorato (quali
coincidenze!), ma
l’idraulico, nonostante non pareva serbarle rancore, non si
tratteneva
abbastanza a lungo per permetterle di esprimergli il suo più
completo
rammarico, e si sentisse conseguentemente peggio.
Sospirò. La principessa si sistemò il colletto
della camicetta bianca, e riuscì
a fermare per tempo il suo grande cappello prima che esso fosse caduto
definitivamente nella voragine del traffico. Ripresasi completamente si
rivolse
nuovamente all’amica:
“Allora Tiara, che ne dici, ti va di vedere altre
attrazioni?”
“Sì!” trillò la coroncina
entusiasta volteggiando intorno alla sua amica.
Insieme scesero rapidamente lungo il labirinto verticale di vetro e di
cemento,
caute a non incontrare i solitari e scontrosi goomba nei paraggi, e
riuscirono
ad arrivare nel mondo reale, per terra. Tutto ciò che
lassù era vagamente attutito
dall’altezza, adesso era amplificato dai fragori di urla e di
clacson, dove per
avanzare bisognava eludere agilmente sciami di persone assorte nei
propri
pensieri e alcuni cantieri di una città in eterna
costruzione.
“In quanto a rumore, era decisamente meglio l’Isola
Perduta” sbottò tra sé
Tiara seguendo goffamente Peach, che scoppiò in una lieve
risata.
La tazzina di caffè fredda
s’increspava formando piccole
onde marroni e il cornetto lasciato a metà gli faceva
compagnia sul piccolo e
tondo tavolino in cima al solingo grattacielo, uno dei più
alti della città.
Sedutasi davanti, incurante della colazione incompleta,
un’affascinante signora
i cui capelli color mogano e il libro che stava leggendo coprivano
quasi
completamente la visuale del viso. Si riusciva a malapena a percepire
il
mugolare di qualche nota delineata senza troppa attenzione; il centro
delle sue
attenzioni era proprio il volumetto che stava sfogliando, recante una
copertina
quasi interamente bianca, la cui unica scritta nera risaltava recando
il titolo
del romanzo: il giovane Toaden, un classico che ancora non era riuscita
a
metter mano per via degli impegni, ambientato proprio in quella
metropoli nella
quale viveva. Ne finì un paio di capitoli e lo ripose sul
tavolo, provò a
mangiare il resto del cornetto, divenuto oramai indigesto e si
fermò ad
osservare la città, la sua Dedalo di grattacieli, immobile e
compiaciuta di
essere stata una degli artefici principali del proprio benessere.
Era oramai da mesi che la città non riusciva ad ottenere un
periodo di serenità
simile, dopo tutti quei tragici trascorsi che aveva subito,
dall’improvvisa
invasione di Bowser e dei suoi tirapiedi alla conseguente mancanza di
energia
elettrica: era sorpresa di quanto i propri cittadini, tuttavia, fossero
stati
tanto tenaci da essersi rimboccati le maniche pur di ripristinare la
piena
funzionalità della città; ma era Mario, il vero
eroe della città, colui che
andava eternamente ringraziato per i suoi prestigi.
Un intero festival e la recente costruzione di un nuovo parco
commemorativo
dedicatigli era troppo poco, per lei, ma cosa poteva fare se
l’idraulico, dopo
aver raccolto tutte le lune della città, era tornato alla
sua madrepatria, nel
Regno dei Funghi? La donna dalla fluente chioma scura trepidava
assolutamente
di rivederlo e di omaggiarlo con un altro concerto, tanto da aver avuto
il
coraggio di scrivergli una lettera il giorno prima, e averla spedita in
mattinata.
A distrarla dal proprio flusso di pensieri fu il suono
dell’orologio del
municipio: Accidenti, erano già le tre; e il consiglio
comunale doveva partire
proprio allora! Prese con sé il libro, lasciando sul tavolo
la tazzina
semivuota di caffè, e corse, rallentata dai suoi tacchi,
verso il luogo
dell’incontro.
Una folla si sparpagliava come una
marea dall’uscita del
cinema, famoso per la sua interattività con alcuni degli
spettatori, verso il
resto della strada: alcuni attraversavano la strada facendo frenare
bruscamente
le automobili che rischiavano d’investirli; altri,
più tranquilli preferivano
dipanarsi tra le altre persone con cui avevano avuto la fortuita
coincidenza di
aver condiviso la sala per vedere la medesima proiezione. Tra questo
groviglio
umano si riconoscevano anche le fattezze di Peach e Tiara, che
discutevano
soddisfatte delle loro impressioni a riguardo alla proiezione; non
avevano
troppa fretta di allontanarsi, quindi aspettarono pazientemente che
l’ondeggiante folla si diradasse sempre più, fino
a ridursi ad alcuni esuli.
Uscirono finalmente dall’edifico, e una fresca brezza
accarezzò loro
delicatamente le gote; il cielo che si scorgeva tra un edificio a un
altro da
turchese stava assumendo tonalità rosate e arancioni, e le
piccole nuvolette si
erano inspessite di un poco.
“Peach, per favore, ci torniamo domani? Ti prego, ti prego,
ti prego” implorò
capricciosamente la piccola fantasmina alla propria amica, tenendo le
manine unite
e dimenando la sua codina, scatenando così
l’ilarità della principessa.
“Certo che ci torniamo” rispose accondiscendente
Peach accarezzandole
leggermente la testa, in modo quasi materno “E
farò di tutto affinché la
prossima volta possa essere tu la fortunata ad entrare nel
tubo!”
“Yuppie! Che bello, che bello! Torniamo al cinema!”
cinguettò la coroncina
abbracciando la ragazza come segno immediato della propria gratitudine.
“Allora, Tiara, si sta imbrunendo qui. Hai voglia di mangiare
fuori o di
tornare all’albergo?” chiese Peach guardando di
sbieco il cielo e lievemente
preoccupata per il freddo che si stava già percependo sulle
braccia nude.
“Assolutamente fuori!” replicò decisa la
coroncina “Il cibo dell’hotel era
terribile, puah, mai più!” continuò
veemente.
“Va bene, e che ristorante sia! Non vedo l’ora di
assaggiare le pietanze
tipiche di questo posto!” concluse entusiasta la principessa
già con
l’acquolina in bocca per le caloriche, ma buonissime
leccornie che già si stava
idealizzando nel tragitto.
Tuttavia, mentre camminava per le strade osservando insieme
all’amica la mappa,
lo stato di profondo disagio che le aveva intercorso durante tutto il
viaggio
della principessa tornò prepotentemente a dimostrarsi: quel
film che insieme
avevano visto altro non era che la riproduzione fedele del primissimo
tratto di
strada che Mario, il suo adoratissimo eroe, aveva percorso nella sua
epopea per
salvarla.
Com’era terribile quando persino una proiezione poteva
ricordarle di essere una
cattiva amica e di un’amante ancor peggiore!
“Mario, se solo tu non fossi ancora in giro per il mondo e
oltre, quanto vorrei
parlarti, almeno chiederti scusa per il mio comportamento
ignobile…” pensò
senza neanche riuscire a finire la frase, dato dal senso di vergogna
che le
schiacciava le viscere. “Come fanno ancora Daisy, Rosalinda,
Toad, Luigi… e
anche tu Mario a voler ancora bene a un’ingrata traditrice
come me? Come riesci
tu, piccola Tiara, a sopportare ancora la mia presenza?” e si
sforzò di non
piangere.
Provvidenzialmente a sopprimere questo flusso atemporalmente
autodistruttivo ci
pensò la stessa Tiara; che insistentemente indicò
a Peach, tirandola per i
lembi della gonna, un suggestivo locale all’aperto,
arricchito da una cornice
musicale travolgente e sincopata, su cui spiccava una voce agile e
squillante
che aggiungeva una sfumatura ancor più sofisticata alla
musica.
Incantata dalla raffinatezza che quel cabaret infondeva, la principessa
cercò
di nascondere quel principio di lacrime che le aveva reso gli occhi
splendenti
quanto la cima delle lampade presenti tra un tavolino e un altro del
locale,
che però rimanevano sorprendentemente vuoti per trovare una
calca impalpabile invece
nei pressi del palco. Sedutesi attorno a uno di questi, Peach e Tiara
non
riuscirono a ravvisare alcuna fattezza di quegli ottimi musicisti, ma
non
importava loro: erano contente di aver trovato un gradevole posticino
dove
potersi riposare insieme e godere al contempo della pura atmosfera
metropolitana della città.
“Grazie, grazie mille a tutti” urlò la
donna dai capelli castani innanzi al
lungo applauso finale della folla trepidante facendo un lieve
salamelecco e indicando
con le braccia il resto del complesso come per indirizzare gli elogi
del
pubblico anche a loro. Alcune voci in lontananza reclamavano con quanto
fiato
in gola l’ennesimo bis, che sarebbe stato il terzo della
serata, ma l’acclamata
cantante, pur nascondendo la fiacchezza che stava trattenendo decise di
terminare il concerto così, sgattaiolando quattamente nel
camerino appena notò
che la maggioranza delle persone era in procinto di tornare nelle
proprie
abitazioni, canticchiando alcuni motivetti sentiti in precedenza.
Era solita esibirsi una volta alla settimana in quel locale, il
più rinomato
della città, da quando era riuscita a fare breccia nel cuore
del pubblico: il
suo particolare timbro squillante e suadente era talmente richiesto che
gli
stessi abitanti spedirono alla stessa sindaca richieste di esibirsi
più spesso,
che la giovane donna clementemente accolse instituendo così
quelle serate così
gremite di persone.
Finalmente, nell’insicura stabilità del suo
camerino improvvisato appena
distante dal palco sostituì l’attillatissimo,
sfavillante abito rosso al più
agevole tailleur del medesimo colore. La sindaca, uscendo dalla sua
stanzetta, si
complimentò ancora con i suoi colleghi per la meravigliosa
serata che avevano
appena trascorso e
si congedò, esortando
loro di vedersi la volta dopo e di dare ancora il meglio di se stessi.
Appesantita dalla borsa strabordante di oggetti, si sentì
improvvisamente anche
la gola secca, come se fosse stata prosciugata dagli sforzi della sua
stessa
musica; prima di allontanarsi definitivamente dal posto decise di farsi
servire
un cocktail al bancone dell’ancora luminoso ed opulento
locale.
“Un 1-up girl, per favore” ordinò
lasciando cadere la borsa sotto i piedi e
appoggiando i gomiti sul piano ove erano presenti altri calici sporchi in attesa di essere presi
dagli
indaffaratissimi camerieri e di tornare nuovamente lucenti. Il suo
aperitivo
arrivò quasi immediatamente, seguito dal complimento del
giovane commesso, che
la donna sentì appena, essendo tutt’assorta nella
contemplazione del bicchiere,
come se un novello Graal le fosse appena passato davanti.
“Un’altra magnifica esecuzione, sindaca Pauline,
complimenti!”
“Grazie mille…” bofonchiò
confusa la cantante dai capelli di mogano dopo aver
finalmente trangugiato il liquido verdastro come se fosse acqua,
sentendosi
leggermente meglio dopo quella miracolosa bevuta.
Trasalì improvvisamente.
“Non può essere, cosa ci fanno loro due
lì?” pensò stropicciandosi gli occhi
pesantemente truccati, lasciando due righe violacee sui palmi delle
mani. Guardò
meglio quelle due figurine che aveva scorto per sbaglio nella
lontananza del
grande cabaret. Non poteva che essere uno scherzo della mente, ne era
sicura.
Fece un respiro profondo, due e tre, richiuse nuovamente gli occhi,
eppure ancora
le vedeva come se niente fosse: la Principessa Peach, dai suoi lunghi
capelli
paglierini e Tiara.
Non aveva mai interagito direttamente con loro, eppure Cappy e Mario
durante la
loro permanenza a New Donk City ne parlavano sovente, delineandole come
due
ragazze dal carattere dolce e amichevole, ma non era sicura sulla
veridicità di
queste affermazioni: conoscendo Mario, era conscia che quando
l’idraulico
s’invaghiva per qualcuna, era solito idealizzare fino
all’inverosimile le
proprie amate, esattamente come aveva fatto con lei, quei freschi e
giovani
giorni in cui lei aveva appena intrapreso i primi passi nella sua
carriera e
lui girovagava per il mondo in cerca di fortune, nonostante si dovesse
accontentare di qualche lavoretto occasionale. Si ricordava ancora di
quando
eroicamente si prodigò per salvarla dall’immatura
furia di Donkey Kong e di
quei teneri momenti che passarono insieme come giovani amanti.
Sfortunatamente si lasciarono piuttosto presto dopo una breve
relazione; niente
di traumatico,
entrambi avevano capito
di non essere abbastanza coinvolti per poter essere in una relazione
matura ma
abbastanza in sintonia per rimanere buoni amici.
Qual malinconia, però, quando il suo adoratissimo Mario
emigrò verso i luoghi
dove passò la propria infanzia, nel Regno dei Funghi; e che
sembrava aver
legato anche con la sua principessa, scrivendo a lei sempre meno.
Era riuscita, però, a scorgere quell’incantevole
fanciulla: da quella volta in
cui era in cima a quell’aeronave a implorare aiuto, a
quell’altra in cui era addirittura
costretta a presenziare alla cerimonia di quello sposalizio risoltosi
infine in
altro che un satellite semidistrutto e in nulla.
Trasalì nuovamente: le due, evidentemente accortesi del
lungo sguardo incredulo
che ella stessa aveva lanciato loro poco prima, provarono ad
avvicinarsi sempre
più, sicure nella loro lentezza. Non sembravano
ne’ infastidite, ne’ offese da
essa bensì amichevoli e sorridenti, come se entrambe
avessero percepito la sua
inquietudine e volessero già calmarla con
un’espressione.
Appena arrivata di fronte, prima di rivolgere la parola alla sindaca,
la
principessa fece una lieve, ossequiosa riverenza a Pauline
“Lieta di conoscervi, signorina Pauline, egregia sindaca di
New Donk City.
Chiedo venia se possiamo risultare scortesi, turbandola in questo
momento che
avrebbe preferito mantenere privato, ma sia la mia amica che io eravamo
trepidanti d’incontrarla durante il nostro viaggio nella
Grande Banana. Sicuramente
ne’ il mio viso ne’ quello della mia compagna di
viaggio le saranno nuovi, ma
ci permetta di dire che la vostra città è un
autentico gioiellino moderno”
E lo sguardo della principessa, da goffamente cerimonioso,
s’illuminò in una
più sincera espressione, come a delineare il complimento che
aveva appena
posto.
--- Note
d’Autrice---
Ciao a
tutti, e vi
ringrazio calorosamente anche solo della lettura di questa prima parte
di
questa breve fiction, mi auguro prima tra tante!
Premetto che questa è la prima storia seria che scrivo da
tanto tempo: la mia
autostima non è mai stata eccessiva, per quanto riguarda la
mia produzione “letteraria”
e spesso e volentieri tendo a non pubblicare i miei lavori in quanto
qualitativamente inferiori a ciò che sono solita leggere,
sia come libri che
come, appunto, fanfiction.
Sono stata fin da piccola un’ammiratrice delle surreali e
oniriche avventure
dell’idraulico baffuto e dei suoi amici, passione che si
è protratta fino ad
adesso, come vedete dalla mia comparsa in questa sezione.
Nell’immaginario comune tendiamo a immaginarci Peach e
Pauline come fossero due
nemiche mortali che anelano sanguinosamente al cuore di Mario, ma nel
mio
headcanon ce le vedo addirittura come amiche, nonostante tutto; per
questo
motivo sono rimasta delusa dalle interazioni minime che la principessa
e la
sindaca hanno avuto nel corso di Super Mario Odyssey, ed ecco quindi la
genesi
di questo mio lavoretto, in cui ho voluto approfondire non solo il
rapporto che
intercorre dalle due ragazze (e dalla tenerissima Tiara), ma anche
delle loro
angosce interiori, infrangibile (?) muro verso una più
matura comprensione
reciproca. Inoltre, come ben avrete potuto intuire, questa non
è una fanfiction
nella quale una sovrasta l’altra: di guerre simili ne
è già pieno questo fandom
in ogni suo angolo, e ho voluto rappresentare le due giovani donne sia
con i
propri pregi che coi relativi difetti.
Critiche e suggerimenti sono sempre i benvenuti: sono consapevole di
avere
molto da migliorare, ed è anche per questo che ho voluto
pubblicare questa
storia qui; quindi per ogni screzio che avete letto, siate liberi di
segnalarmi
gli eventuali errori e li correggerò volentieri!
Un saluto!