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Autore: Ghen    02/07/2009    1 recensioni
Biondi boccoli.
Lunghi capelli.
Gli occhi del colore del fondo marino.
Pelle pallida come la porcellana.
Il mio piccolo angelo.
[Ispirata ascoltando una musica al pianoforte]
Genere: Triste, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Biondi boccoli.
Lunghi capelli.
Gli occhi del colore del fondo marino.
Pelle pallida come la porcellana.

Il mio piccolo angelo.




Il perché quella notte uscii di casa era un mistero.
Forse ero stufo di attaccarmi alla solita bottiglia di birra e vaneggiare… Forse volevo provare qualcosa di nuovo: una passeggiata al chiaro della Luna. Alle tre e mezza della notte, comunque, era piuttosto inconsueto.

Era la prima notte dopo anni, che non ero ubriaco.
Anzi, quella insolita lucidità mi provocava un certo fastidio.
La luce dei lampioni nei marciapiedi era irritante: troppo forte e luminosa.
Mi misi subito alla ricerca dell’ombra, fu così, che mi avviai dove un lampione era rotto. Anche tutti quelli dopo erano rotti.
Il marciapiede era buio.
Probabilmente – pensai – mi dovevo essere imbattuto in una strada che non conoscevo; anche malfamata, magari.

Continuavo a camminare, non mi andava di tornare nella mia fredda e piccola casa, se si poteva chiamare casa, ovviamente. Capii troppo tardi di essermi infilato in un vicolo cieco.
Stavo per rimettermi in marcia verso l’uscita, quando sentii un lamento.
Vidi solo allora una fessura tra due muri troppo vicini. Dall’altro lato di questa, una figura si muoveva.
Il lamento: soffocato e triste, proveniva da là.
La mia curiosità si fece padrona come al solito, e mi sporsi per vedere. La mia testa non passava nella fessura, ma il mio solo occhio destro era sufficiente.

Sì, c’era sicuramente qualcuno e faceva qualcosa
Chissà…

Uscii dal vicolo e mi misi a camminare alla ricerca di quel lamento, che ancora sentivo.
Sembrava proprio triste, la sua vocina; mi spezzava il cuore. Era un lamento doloroso, quello, come non ne avevo mai sentito.

Tra due palazzi grigi, i soliti in quelle strade, vidi un passaggio.
Mi ci infilai.
E’ sicuramente là, mi dissi.

Sì, lo sentii di nuovo.
Mi sporsi da un muro e la cosa che vidi non mi era subito chiara: c’era una piccola figura che si muoveva lentamente.
Era suo il lamento?
Stava sopra qualcosa; qualcosa di scuro, non si capiva.

Mi sporsi ancora un poco.
Non volevo attirare l’attenzione, ma ero troppo curioso.

La piccola figura alzò un poco, quello che sembrava il volto.
La luce della luna la illuminò…
I suoi capelli biondi.
I suoi occhi blu.
Era una bambina.
Ma… C’era qualcosa di strano… Qualcosa che non capii subito…
Dalla sua bocca…
La sua bocca…
La sua piccola bocca rossa
I miei occhi si spalancarono.
Quello… era sangue.



Vampiro!



«Eeh…».
Accidenti!
Avevo involontariamente espresso il mio stupore. Feci un passo per tornare indietro, ma presi una pietra.
Mi ghiacciai.
Mi voltai a lei: i suoi piccoli occhi mi fissavano. Non si era mossa. Forse, pensava che non sarei fuggito?

Si alzò in piedi, facendo rotolare la massa di scuro che aveva sotto di essa.
Quando questa si fermò, sentii il ghiaccio invadermi le vene ancor di più.
Era un uomo.
Un barbone.
Uno come tanti.
Uno di quei tanti che senza un tetto, girovagano giorno e notte nelle vie puzzolenti.

Ecco, iniziò a piovere, ci mancava.
Il mio viso spaventato gocciolava, mentre anch’io la fissavo.

Avevo paura perché sapevo di non poter scappare. Non più, ormai.
I vampiri sono comunque più veloci, e se avrebbe voluto attaccarmi, lo avrebbe fatto lo stesso.

Mi fissava con quei suoi occhietti spenti, tristi, vuoti.
Il sangue le gocciolava insieme all’acqua che scendeva dal cielo. La sua bocca ne era piena. Il mento, e il suo vestitino rosa pallido.
Le sue manine erano lasciate senza forze.
Capii, in quel momento, che non mi avrebbe fatto del male.

Il lamento triste era suo: era sincero.

«Come ti chiami?», le chiesi, prendendo coraggio.
«Cosa?».
«Ho chiesto il tuo nome!».
«Io non ho un nome.».

Involse di tristezza anche me. Come poteva non avere un nome?
Era un vampiro, ma un nome, lo doveva per forza avere… No?

Forse anche per quello, quella notte, la presi con me.



La sollevai con le mie braccia, stringendola forte.
La presi con me.
La portai a casa, facendola sedere su quel divano rotto che avevo.

La sua espressione sempre uguale: triste.
Sembrava non portare che solo quell’unica emozione nel suo piccolo corpo.

Presi uno straccio dal cucinino e ritornai da lei.
Non si era neppure mossa a come l’avevo poggiata. Le passai accuratamente lo straccio sul volto, per levarle il sangue.
Mosse appena gli occhi, per guardarmi, nient’altro.

«Senti… Forse è meglio se fai un bel bagno! Guardati… Prenderai un malanno!».
Sinceramente, non sapevo se i vampiri si ammalassero o meno.
Ma non mi andava di non prendermi cura di lei come fosse stata una bambina qualunque. Anche se, non volevo ammetterlo ad alta voce, il vero motivo per cui volevo facesse il bagno, era per via dell’odore del sangue putrefatto che portava indosso: era nauseante.


Il suo visetto era quello di una comune bimba. Non so, di sei o sette anni, forse meno.
Era così carina.
Con i suoi boccoletti biondi ricordava una bambola. La bambola che viveva in casa mia quando ero bambino. Quella bambola che apparteneva a mia sorella.
Mia sorella.


La portai in bagno, piccolo e puzzolente bagno.
Meglio di niente, certo; ma era così piccolo che a malapena ci stava la vasca, per non parlare degli insetti che uscivano ogni tanto dalle tubature.
Non potevo pretendere molto, con quel poco che pagavo d’affitto. D’altronde, non avevo uno straccio di lavoro e una casa più cara, era impensabile mantenerla.

«Questa è la vasca!», le dissi. «Il vestito puoi pure lasciarlo in terra… Più tardi gli darò una lavata!».
Mi guardò appena.
Il suo viso era così bello che era un peccato vederlo sempre serio e triste. Mi mancava il fiato.
Stavo per uscire dal bagno, quando mi sentii tirare.
Mi voltati e vidi la sua piccola manina tenermi la maglia.
«Cosa c’è?», feci. «Non riesci a farti il bagno da sola?».
«No.», soffiò appena.
La sua voce era così leggera.
«Va bene!», dissi, rimboccandomi le maniche.

Lasciai il vestitino a terra e la immersi nella vasca, piena d’acqua, bolle e schiuma.
Mi rimboccai anche i pantaloni, al ginocchio, e immersi il mio piede sinistro nell’acqua, sedendomi sul bordo della piccola vasca.
Mi riempii le mani di shampoo e cominciai a passarglielo sui capelli. Erano così morbidi.
Non mi sarei stupito, se avessi scoperto che era veramente una bambola.
Era bella come un angelo.

La piccola non disse una parola, continuava a fissare le bolle e la schiuma, come se non le avesse mai viste prima. Chissà che forse era così per davvero.

Quando finii di lavarla, le infilai una mia maglia; non potevo certo farle indossare nuovamente il suo vestitino rosa.
Le asciugai i capelli con il phon, utilizzandolo per la seconda volta da quando lo comprai.
Era strano ricordarsi l’uso di cose a me inutili.

Dopo, decisi di infilarla sotto le coperte.
Non sapevo se i vampiri dormissero, ma se era così, doveva essere stanca e già di suo, il bagno, è stancante, era meglio farla dormire almeno un po’.
La portai in camera mia, l’unica camera, oltre alla cucina e l’ingresso-soggiorno che c’era.
«Ecco, questo è il mio letto!», le feci vedere quanto era morbido, sedendo prima io. «Puoi dormire qui!».
Mi guardò senza dire una sola parola; certo che era silenziosa, quel piccolo angelo.
«Non hai sonno?», le chiesi.
«Sì.», mi rispose delicata.
Beh, meno male… Almeno così, avevo capito che anche i vampiri dormivano.
La alzai con le mie braccia posandola sul lettone, dopodiché, le misi bene addosso le coperte.
«Bene. Allora dormi, io ti raggiungo tra un po’…».
Non disse nulla.
Afferrai la porta, stavo per chiudermela alle spalle, quando…
«Non hai paura?».

Quella domanda mi spiazzò.
Certo che avevo paura, era un vampiro.
Era normale averne.

«No.», le dichiarai, voltandomi a lei.
Che bugiardo.
«Perché me lo chiedi?».
«Perché sono cattiva.», soffiò a stento.
Mi spezzò il cuore.

Lei cattiva?
Il suo viso angelico, tutto sembrava, fuorché cattivo.
Era triste – molto triste – ma non cattiva.

La lasciai dentro alla camera e chiusi la porta.
Mi sedetti in cucina, su una di quelle poche sedie sgangherate che avevo. Afferrai uno specchio e mi vidi.
Ero triste anch’io.
Da quando, avevo questo viso così mangiato dalla vita?

La barbetta incolta, le occhiaie, i capelli troppo lunghi e scompigliati. Sembravo un vero mendicante. Non dimostravo nemmeno i miei ventinove anni…

Accidenti!
Ecco perché non usavo più uno specchio!

Lo gettai via.


Le lavai il vestitino rosa. Il sangue non andava via del tutto, era difficile.
Che ironia! Non lavavo mai i miei vestiti… o meglio, non sempre.
Non avevo il detersivo, ma il sapone, comunque, faceva abbastanza il suo lavoro. Usavo sempre quello per tutto.
Afferrai una molletta e lo appesi nella fune che avevo appeso sul bagno. Non avevo altro posto dove poter stendere la roba, se non quella vecchia fune.


Aprii la porta della camera pian paino, credevo dormisse, invece eccola là, ancora sveglia, con gli occhietti persi nel vuoto.
Mi tolsi le scarpe e m’infilai nel letto così com’ero, dalla parte opposta a lei.
«Come mai ancora sveglia? Non dicevi di avere sonno?».
«Non riesco a dormire.».
«E come mai?».
Emise appena «Ho paura del buio.».

La presi fra le mie braccia, coccolandola.
Com’era possibile avere paura del buio?! Era proprio una bambina.

«Non devi avere paura, ci sono io qui accanto a te!».

Quanto avrei voluto vedere un sorriso nella faccina triste di quel piccolo angelo.
Quanto lo avrei voluto.

«Come ti chiami?», mi domandò.
Era la prima volta che fu lei a fare una domanda.
«Tom!».
«Vivi da solo?».
«Sì…», risposi. «Non ho più una famiglia da un sacco di tempo!».
«Come mai?».
Sembrava prenderci gusto col fare domande. L’innata curiosità dei bambini.
«Beh… Ecco… Diciamo che sono stato sfortunato e sono nato in una famiglia cattiva…».
«Come me?».
«No! La mia era una famiglia veramente cattiva, non come te. Tu non sei cattiva!».
«Sì che sono cattiva.», continuò. «Uccido la gente…».
Sapeva bene quel che faceva. Il perché della sua tristezza…
«Non lo fai perché sei cattiva… Lo fai per vivere!», le risposi, sorridendole.

«Però lo faccio.».
Aveva sempre lei l’ultima parola.

«Se tu non uccidessi, moriresti, mio piccolo angelo… Lo fai per vivere, non hai colpe di questa tua natura così crudele!».
«Mio piccolo angelo?».
«Sì…», risi. «Sei come un angelo… Un angelo condannato ad un’esistenza crudele.».
Non disse più nulla; probabilmente, si addormentò.
Io ci si misi più tempo a farlo.

Il mio piccolo angelo aveva risvegliato il mio passato.
Il mio passato cattivo, che avrei voluto cancellare.
Mio padre violentava sia me che mia sorella, quando lei è morta, io, avevo tredici anni e scappai di casa.
Da quel giorno ad oggi, non era cambiato niente. Ero sempre quel ragazzino scappato di casa.
Non avevo una vita.

Io… ero morto a tredici anni.


Non quella mattina.


Quando quella mattina sfondarono la porta di casa mia a calci… e mi ritrovarono sul letto.
Non ero morto quel giorno. Ero già morto anni prima.

«Detective… E’ uguale a quel barbone che abbiamo trovato sulla trentaquattresima…».

Il sangue che ricopriva il letto.
Il mio corpo senza vita, immobile.


Mi dispiace, mio piccolo angelo. Avrei solo voluto vederti sorridere…


Perché lei ancora cammina, sola, in mezzo alle tenebre che tanto la spaventano.
La Luna, la sua sola amica. La sola che la capisce e la illumina, per non farle avere paura.

«Ehi, piccola… Ti sei persa? Come ti chiami? Chi sei?».
Un ennesimo barbone.
Si voltò a lui, tirando indietro i suoi bellissimi boccoli biondi.

«Io… sono il piccolo angelo di Tom.».




Fine





















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Oddio, si vede che questa one-shot l’ho scritta abbastanza tempo fa XD Piena, strapiena di errori sia grammaticali che di punteggiatura. L’ho rivista un po’ ma se avessi dovuto dare retta alla mia testolina l’avrei dovuta riscrivere da capo XD Non ho né il tempo né la costanza per farlo, odio riscrivere cose già scritte in precedenza (è già troppo per le poche cose che rifaccio) e soprattutto se non le ho scritte da tantissimo tempo ma nemmeno così tanto vicino (?). Insomma, il succo è che non riesco a riscriverla. Questa è datata febbraio, ora siamo a luglio X°D
Era partecipante ad un contest e per questo motivo non potevo postarla… (Però che bello, grazie a questa ho visto che sono cambiata di nuovo tantissimo nello scrivere tra febbraio ad oggi XD Almeno è servito a qualcosa)


Edit 11-7-2009: Le giudici (o la giudice, ancora non si è capito) non si sono prese cura di questo contest, prendendoci per i fondelli con un commento formato contentino di due righe senza esserci scritto niente e una classifica senza volore, per cui, a distanza di mesi, per quel che riguarda me - e ho visto anche per le altre partecipanti - questo contest è nullo. Quindi non posterò qui né targhetta né "commento".



Ciao, ciao da Ghen =^______^=

   
 
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