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Autore: nikita82roma    07/04/2018    6 recensioni
Ottava stagione. Prima dell’anniversario di Matrimonio dei Caskett. Una variazione sul tema.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'Partner in Crime. Partner in Life'
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Coney Island a novembre non aveva più nulla del brio e dell’allegria estiva. Era più silenziosa, placida, malinconica. Non c’era la musica, il chiacchiericcio della gente, le risate dei bambini e nemmeno l’odore del cibo di strada che veniva dai chioschi ormai chiusi e con i graffiti sbiaditi dal sole e dal sale. C’era solo un forte odore di salsedine portato dal vento che alzava anche la sabbia dalla spiaggia dove solo qualche temerario correva silenzioso con i passi che affondavano appena sulla sabbia umida.

Kate stava seduta su una panchina avvolta nel cappotto nero, troppo leggero per quel freddo venuto all’improvviso e che l’aveva colta impreparata. Doveva tornare a casa a prendere il resto delle sue cose e doveva smettere di chiamare quel posto “casa”. Non doveva biasimare nessuno, solo se stessa. Era colpa sua se la situazione era arrivata a questo punto, delle sue scelte, e di nessun altro.

Aveva avuto più volte l’istinto di seguire quei runner solitari, cominciare a correre anche lei, più lontano possibile, più veloce possibile per sfuggire al suo destino che incombeva ma non poteva mai scappare da se stessa. Era quello il problema.

Mai un anno prima avrebbe pensato di ritrovarsi così, su una panchina ad aspettare che la spada di Damocle cadesse sulla sua testa, recidendo ogni flebile speranza rimasta. Aveva giurato che sarebbe stato per sempre e non c’era niente che avrebbe voluto di più. Non avrebbe mai immaginato una vita diversa, senza di lui, eppure doveva abituarsi all’idea che sarebbe stato così. 

In ogni altro momento avrebbe tenuto le mani nelle tasche del cappotto, nascoste sotto le maniche a proteggersi dal freddo che invece sfidava, ignorando il tremore, accarezzandosi la fede. Solo un anno prima quel matrimonio improvviso, il giorno più bello della sua vita. Era stato tutto perfetto, troppo, e doveva saperlo le cose perfette non esistono. 

Chiuse gli occhi e rivide ogni istante di quel giorno, l’emozione di suo padre e quella di Rick che l’aspettava impaziente all’altare, i suoi occhi che brillavano mentre gli giurava amore eterno e le parole di lui che sapeva a memoria e che ancora erano capaci di provocarle emozioni difficili da controllare. Ricordava quel bacio, il suo abbraccio, il loro ballo sulle note della loro canzone. Avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a quel giorno, cambiare il corso degli eventi, pensare di più a lui, a loro.

Le mani tremavano nell’accarezzare la fede ed il vento faceva diventare le lacrime piccole lame che le trafiggevano il volto.

Sarebbe voluta scappare lontano da lì, ma non era una vigliacca. Almeno questo glielo doveva, anche se faceva tremendamente male.

Aveva sentito al telefono quelle parole che le avevano bloccato il respiro.

“Dobbiamo parlare”

Tutto si aspettava da lui, non quella fermezza, non quel distacco. Non sapeva se era un caso, ma era stato quello il preciso istante in cui aveva cominciato a sentire freddo, come se si fosse spento qualcosa che inconsciamente l’aveva riscaldata per tutto quel tempo, forse per anni, da quando lui era entrato nella sua vita.

Provò a sfilarsi la fede ma non ci riuscì. La sua mano si bloccò appena cominciato il movimento, anzi serrò il pugno per difenderla, per difendere quello che di più caro aveva al mondo e non era stata capace di dimostrarlo.

Aveva sperato che lui capisse, che la aspettasse, che non sapeva nemmeno lei per quale motivo le desse fiducia, ma non poteva biasimarlo per non averlo fatto. Perché era giusto che lui volesse chiudere quel capitolo doloroso e andare avanti. Perché sapeva che stava soffrendo e non ne conosceva nemmeno il motivo.

“Dobbiamo parlare” non era una richiesta era una sentenza. 

 

Non lo sentì arrivare fino a quando non fu alle sue spalle. Non si era accorta che da più di qualche minuto lui era a pochi passi da lei con lo sguardo fisso sulla sua figura fino a quando non si era avvicinato con passo deciso, quando l’aveva vista sussultare. Le avvolse la sua sciarpa intorno al collo e Kate sentì il suo calore ma ancora di più il suo profumo. Castle era un gentiluomo, lo sarebbe stato fino alla fine.

“Grazie” sussurrò inspirando il suo profumo e chiedendosi come avrebbe fatto senza poterlo sentire più. Ricordava tutte le volte che la abbracciava e lei appoggiava la testa nell’incavo del suo collo e lasciava che lui la stringesse e tutto spariva. Era quella la sua casa, il posto dove si sentiva meglio al mondo.

“Hai freddo” non era una domanda quella di Castle, solo una constatazione. Lei annuì senza riuscire a guardarlo, teneva gli occhi fissi sulle sue mani che strofinava nervosamente.

“So tutto Beckett.” Si era seduto al suo fianco, mantenendo la giusta distanza per non sfiorarsi e quella distanza le sembrava un abisso e un muro invalicabile nello stesso momento.

“Cosa?”

“Tutto quello che potevo sapere. So che mi hai mentito, che non ti sei fidata di me. So che tutto quello che credevo essere alla base del nostro matrimonio non valeva nulla per te.”

“Non è così, Castle... io ho dovuto... Per proteggerti....”

“Cosa? Lasciarmi? Perché? Potevi dirmelo, potevi spiegarmi. Avrei capito, avremmo combattuto insieme, come sempre, avremmo fatto finta ma no, a te non bastava. Forse sono io, forse non sono abbastanza per te.” Poteva sentire nelle sue parole tutta l’amarezza e la delusione, non era arrabbiato, era calmo ed era quello che le faceva più male.

“Tu non sei abbastanza, sei tutto per me e morirei se ti accadesse qualcosa, Rick” si voltò a guardarlo per la prima volta da quando era lì, incrociò i suoi occhi per un solo istante perché poi fu lui a guardare in basso e come lei a sfregarsi nervosamente le mani. Lo vide mentre girava la fede sul dito. Tremava al pensiero che da un momento all’altro potesse sfilarsela. 

“Avrei fatto qualsiasi cosa per te Kate. Combattuto al tuo fianco qualsiasi battaglia, come sempre. Non mi importa quanto pericolosa, ero pronto a tutto per te, non a perderti, non a combattere contro di te, ancora.”

Tutto nelle sue parole sapeva di addio erano amare, dolorose, erano lame taglienti che squarciavano le sue carni lentamente.

“Perché hai voluto che ci vedessimo qui, Castle?”

“Ti ricordi la prima volta che siamo venuti qui, insieme?”

Sorrise amaramente. Come poteva dimenticarlo. Stavano insieme da pochi giorni, lei era ancora sospesa e avevano tanto tempo da passare insieme anche se non era abbastanza per recuperare tutti gli anni buttati. Era maggio e le giornate cominciavano ad essere più calde, anche se non abbastanza per concedersi un bagno o del tempo in spiaggia, anche se non mancavano coraggiosi che la popolavano. Avevano passeggiato a lungo e lei era stata tutto il tempo tesa perché aveva paura che qualcuno li riconoscesse. Avevano mangiato hot dog seduti ad una panchina come quella e più di una volta si erano trovati troppo vicini e costretti ad allontanarsi. Non era ancora il momento di farsi vedere in pubblico, anche se lì poche persone l’avrebbero potuta riconoscere la prudenza non era mai troppa e poi lo stesso discorso non valeva per lui e tutto voleva tranne che finire in copertina in atteggiamenti intimi con Castle. Era una stupida, pensò in quel momento che avrebbe dato qualsiasi cosa per un abbraccio o un bacio. Si voltò a guardare la ruota panoramica. Era ferma. Anche lui stava guardando nella stessa direzione e Kate era convinta che i ricordi erano gli stessi. L’aveva convinta a fare un giro, che poi erano diventati due e infine tre e quando erano proprio sul punto più alto la ruota si era bloccata. Lei non sapeva ancora che erano soli su quella ruota ed era stato Castle dando una generosa mancia al giostraio a chiedergli di bloccarla per loro. Erano in alto, sopra la città, dove nessuno avrebbe potuto vederli, dove poteva baciarla senza alcun timore, dove poteva dirle di amarla senza orecchie indiscrete. Era lì che lo fece anche lei, per la prima volta.

“Ti amo, Castle.” Glielo disse pensando a quel giorno convinta che lì era stata la prima e l’ultima volta. In un gesto di rabbia si sfilò la fede e l’appoggio sulla panchina tra di loro. Rick la guardò pietrificato senza riuscire nemmeno a fermare la sua mano. Pensava che stesse per scappare, invece non si mosse. Era immobile, si muovevano solo le spalle, impercettibilmente, segno di un pianto che faceva fatica a trattenere.

“Vorrei che piovesse anche oggi” le disse Rick. Kate si morse la guancia pensando a quando, appena scesi dalla ruota panoramica, li aveva sorpresi una tempesta improvvisa, obbligandoli a rifugiarsi dentro la prima caffetteria dove passarono in un angolo appartato il resto del pomeriggio tra poche chiacchiere, tanti sguardi e piccoli gesti.

“La caffetteria ha chiuso” disse nascondendo il pianto. Era vero, era passata appositamente lì davanti prima di sedersi su quella panchina. Forse era un segno del destino.

“Il caffè non era un granché, non mi stupisce, ma lo vorrei per quello...”

“Per cosa, allora?”

“Non voglio vederti piangere.” Le sfiorò la mano poggiata sul legno della panchina e fu una scossa per lei. Kate si voltò di scatto obbligandolo a vedere i suoi occhi lucidi e le guance rigate.

“Non puoi chiedermi di non farlo. Non avrei mai voluto che finisse così.”

“Non avrei mai voluto che finisse, Kate...”

Lei fece per togliersi la sua sciarpa, ma lui la fermò. “... e non lo voglio ancora.”

Non capì le parole di Castle, rimase bloccata.

“Avevo tante cose in mente per questo giorno Beckett. Avrei voluto svegliarti con la colazione a letto, ma mi sono svegliato da solo. Avrei voluto portarti una rosa al distretto o fartene avere 365 una per ogni giorno insieme, ma non sono benvenuto e forse mi avresti fatto arrestare. Avrei prenotato il miglior ristorante della città per cenare insieme.”

“Mi dispiace Castle.”

“Anche a me. Ma Kate, avremo altre occasioni. Altri anniversari da festeggiare. Pensavo che avrei fatto tante cose oggi, ma mai questo...” Prese la sua mano e le infilò di nuovo la fede che si era tolta poco prima. “... Ti prego, non farlo mai più.” La supplicò.

“Credevo volessi lasciarmi.” Disse lei con un filo di voce.

“Tu pensi sempre il peggio quando dobbiamo parlare!” Provò a sdrammatizzare ricordandole il giorno che le aveva chiesto di sposarlo per la prima volta, ed anche allora lei pensava che lui la stessa per lasciare e anche quella volta l’aveva stupita.

“E tu finisci sempre per mettermi un anello al dito!” Replicò lei sorridendo tra le lacrime.

“Sono piuttosto prevedibile, quindi?”

“Sei perfetto così.” Provò ad avvicinarsi, ma lui la fermò, aveva ancora qualcosa da dirle.

“Ero arrabbiato Kate. Tanto. Ma ancora di più ero deluso. Mi sono sentito ferito nel mio orgoglio, tradito. Però ho capito che quello che provo per te è più forte di tutto il resto e che non possiamo far finire tutto così, non dopo tutto quello che abbiamo fatto per arrivare fino a qui. Ti amo Kate e non so se sarà difficile o quanto lo sarà, ma voglio che il per sempre che ti ho detto un anno fa sia veramente per sempre.”

La lasciò avvicinare e trovò posto lì dove era la sua casa, tra le sue braccia, nell’incavo del suo collo. Non sentì più freddo mentre lui la stringeva, eppure tremava più di prima.

“Buon Anniversario Signora Castle” le disse dandole un delicato bacio sulle labbra, quel tanto che bastava perché ne sentisse il sapore e non ne avesse mai abbastanza.

“Buon Anniversario Babe, essere tua moglie la cosa che mi rende più felice ed orgogliosa e vorrei essere in grado di dimostrartelo.”

Rick appoggiò il mento sulla sua testa. Annuì appena. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma non lo era mai stato niente tra loro. Cercò la mano di Kate appoggiata sul suo petto, la strinse nella sua intrecciando le dita. Non sarebbe stato facile, ma sarebbero stati insieme.

   
 
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