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Autore: mare_    08/04/2018    0 recensioni
-Ha deciso di salvarti. Spero ne sia valsa la pena-.
Queste sono le parole che Aragorn, figlio di Arathorn, riserva all'elfo per il quale sua sorella ha dato la vita, al signore oscuro, che lo osserva con gli occhi pieni di lacrime e di un dolore che solo chi lo prova può spiegare.
Questa one shot nasce da un idea che ho avuto qualche tempo fa di una storia con protagonista una giovane mezz'elfa che, per uno strano gioco del destino si trova ad amare l'unico essere nella terra di mezzo a cui non avrebbe mai, secondo i suoi cari, dovuto nemmeno avvicinarsi.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aragorn, Gandalf, Nuovo personaggio, Sauron
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Attorno a me sento il vuoto. Non controllo il mio corpo, non percepisco stimoli, tutto ciò che so è che non sono morta. Non ancora almeno.
Non ricordo cosa sia successo, non so collocare gli eventi nel tempo né ricordo da quando sono così. Posso solo aspettare.
 
Una voce, sento una voce, qualcuno che parla, qualcun'altro che risponde, una voce concitata che grida qualcosa, dei passi.
Sto tornando in me, lentamente. Ricomincio a percepire lo scorrere del tempo e mi lascio cullare dal dolce tepore che mi pervade quando sento un delicato calore sulla pelle del mio viso. Dev'essere il sole. Ne deduco che sia giorno.
Le voci sfumano, indefinite, non capisco cosa dicano, non ricordo a chi appartengono.
Passa ancora qualche tempo, in cui mi assopisco varie volte finché finalmente tutto torna chiaro.
 
Siamo fuggiti da Barad-dûr, in sella al mio drago, lui gemeva per il dolore, io non riuscivo a sentirlo così.
Siamo passati sulla battaglia che infuriata ancora, mentre la torre cadeva. Poi, silenzio. Ci siamo allontanati, fuggendo da quello scenario.
Siamo atterrati a qualche centinaio di metri a nord della piana della battaglia, l'ho aiutato a scendere dal drago e a stendersi.
Lui non riusciva quasi a muoversi.
-Shh- gli ho sussurrato -presto sarà tutto finito-.
-No- ha cercato di fermarmi. Ma l'ho fatto comunque.
Ho appoggiato le mani sul suo cuore, premendo leggermente. Ho chiuso gli occhi e ho lasciato scorrere la mia vita in lui, tutta la mia energia, fino a cadere nel buio.
 
Sauron p.o.v.
 
-Shh- sussurra -Presto sarà tutto finito-.
-No- replico, con le poche forze che mi sono rimaste, non posso accettare che lei faccia quello che vuole fare per me. Lei è troppo importante per me.
Ma lo fa, e io non posso fare nulla se non guardare la vita scorrere via da lei. Si sta indebolendo, trema, poi cade al mio fianco.
Il dolore sta diminuendo permettendomi di alzarmi, lasciando spazio al dolore di quando mi rendo conto di cosa è successo, di cosa ha fatto.
Mi si forma un nodo in gola, sento il mio cuore fermarsi, gli occhi mi si riempiono di lacrime che oramai non ha più sento trattenere e lascio scorrere libere.
Il drago emette un lungo e straziante lamento che copre i miei gemiti e che avrà di sicuro attirato l'attenzione di qualcuno, ma non me ne importa più nulla.
La prendo tra le braccia, la stringo a me. Non si muove. La mia piccola non si muove. Non sento più il suo respiro.
Tutto attorno a me si fa buio, le lacrime scorrono copiose dai miei occhi, il mio respiro è irregolare, lei è tra le mie braccia, morta.
Non so quanto tempo passa, non molto penso, quando sento dei rumori, dei cavalli. Qualcuno sta cavalcando nella nostra direzione. 
Sollevo gli occhi, è suo fratello.
La stringo più forte a me.
-Ridatemela- è tutto quello che riesco a dire quando si avvicina a me con il suo seguito. -Ridatemela vi prego-, supplico.
Un vecchio si china su di noi, mentre Aragorn cade in ginocchio.
-Permettimi di controllarla- chiede lo stregone, fissando i suoi occhi nei miei. Allento la presa, quanto basta per permettergli di guardarla in viso.
Due mezz'uomini dietro di lui mi guardano, con le lacrime agli occhi.
-È possibile...- chiede l'uomo, con la voce spezzata.
-Se siamo arrivati in tempo si- risponde il vecchio prendendo le sue mani e iniziando a sussurrare parole con gli occhi chiusi, poi tace. -Portatela a Minas Tirith, se sarete abbastanza rapidi, potrebbe farcela, ha bisogno di riposo e di cure- dice -io andrò a cercare i nostri hobbit-.
Suo fratello si avvicina, non mi guarda, il suo sguardo è fisso su di lei, sul suo viso pallido.
-Ha deciso di salvarti. Spero ne sia valsa la pena- dice -Dobbiamo sbrigarci-.
Mi incita ad alzarmi, la sollevo tra le braccia. È più leggera di come la ricordassi.
Mi fanno montare a cavallo. Insisto per portarla io.
A cavallo ci mettiamo più tempo quello che ci avrei messo a volo ad arrivare alla città, ma non avrei saputo dove andare.
Tutto quello che ho potuto fare è stato cercate di evitare che prendesse colpi durante la cavalcata.
Non ho sentito il vento, né il sole, non ho notato la città bianca in lontananza. Non mi sono reso conto di nulla. Il senso di oppressione superava ogni sensazione, sentivo che il mio unico scopo era portarla al sicuro, da qualcuno che potesse aiutarla. Ed ora sono qua, lei è coricata su un letto, immobile.
Sono giorni che è così. Non so se mi sente, se prova dolore, se è cosciente o no.
Lo sforzo ha riaperto le sue vecchie ferite, quella della lama morgûl sulla gamba compresa, che ha ripreso la colorazione violacea che aveva all'inizio. Le ferite vecchie si sommano a quelle nuove che si è fatta in battaglia e che ora sono coperte da bende bianche.
È ancora pallida, non si è ancora mossa.
È stata lavata e cambiata, e quello è stato l'unico momento in cui non mi è stato permesso di rimanere al suo fianco.
Suo fratello ha passato molto tempo qua con me, l'abbiamo guardata per ore, senza rivolgerci la parola. 
Mi hanno fatto portare del cibo due volte al giorno, dicendo che non sarebbe stato giusto lasciarmi morire di fame dopo che lei ha dato la sua vita per me. Ed è vero.
Dopo una settimana di veglia accanto a lei un elfo biondo, un suo amico è entrato nella stanza.
-Il re ha chiesto se vuoi unirti a noi per cenare- ha detto.
-Il re non dovrebbe volermi alla sua tavola-.
-Lei è quanto di più importante avevamo tutti noi, è la sorella di tutti e per voi due il dolore è comunque molto più forte del nostro, penso che voglia aiutarti-.
Così ho accettato di lasciare la stanza.
 
Marti p.o.v.
 
I ricordi ora sono nitidi, ricordo la sua espressione spaventata, la paura di perderlo e il dolore che mi ha pervasa.
Apro gli occhi di scatto, rimanendo immobile. Non riconosco la stanza in cui mi trovo.
Non so da quanto tempo sono ferma su questo letto, so solo che quando provo a muovermi i muscoli mi bruciano. Ho sete.
Riesco a mettermi seduta sul letto, finalmente percepisco di nuovo il mio corpo, riesco a muovermi, riesco a collocare ciò che accade nel tempo.
Le pareti della stanza sono chiare, in pietra direi. Dalla finestra entra una luce flebile, dev'essere tardi.
Ho paura di sapere cosa sia successo. 
Sono a Minas Tirith, questo l'ho capito, ma non ho idea di come io ci sia arrivata.
Appoggio lentamente le piante dei piedi per terra, sentendo il freddo del pavimento, poi lentamente mi metto i piedi ignorando il dolore alle gambe.
Vicino al letto c'è una sedia con dei vestiti puliti, i miei e quelli di un uomo, non capisco, ma mi vesto comunque.
Il mio corpo è coperto di bende, qualcuno deve avermi curata. Su un mobile accento alla finestra trovo dei bicchieri e una brocca d'acqua, me ne verso un bicchiere e la bevo. Il liquido fresco e trasparente scende nella mia gola, dissetandomi e trasmettendoni un brivido leggero.
Dopo essermi dissetata indosso i miei stivali, poi a passo incerto, esco dalla stanza.
Mi trovo in un corridoio illuminato da torce, che percorro verso destra, fino ad una scala.
Conto una decina di scalini, che scendo avvicinandomi alla luce e a delle voci.
Un altro breve corridoio mi separa da un'ampia porta che da su una grande stanza illuminata. È da lì che vengono le voci.
Entro.
La luce delle candele e del fuoco delle torce illumina la stanza del trono del palazzo della città bianca. Nella stanza, spostato alla destra del trono si trova un grande tavolo apparecchiato.
I presenti si girano a guardarmi e io incerta mi avvicino, per poi fermarmi, paralizzata.
Sauron mi guarda, si alza, si avvicina cauto e si ferma a poco meno di un metro da me.
Ci guardiamo fissi negli occhi, zitti, attorno a noi solo silenzio.
Sento le lacrime bagnarmi le guancie, anche lui ha gli occhi lucidi.
Si avvicina a me e con i pollici mi asciuga sotto gli occhi, poi mi sorride.
Si inginocchia davanti a me, poi mi stringe a se, appoggiando la testa sul mio petto e respira profondamente.
Dopo qualche attimo si alza di scatto sollevandomi e appoggia le labbra sulle mie, suscitando ilarità nei presenti.
Stringo le gambe attorno ai suoi fianchi e passo le dita tra i suoi capelli scuri, non curante delle bende che sfregano contro le ferite aperte.
Ci baciamo per dei lunghi attimi, dolcemente, finché non mi rimette a terra.
-Pensavo di averti persa- sussurra stringendomi ancora.
-E io avevo paura di non essere riuscita a salvarti-.
   
 
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