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Autore: dariajkk    09/04/2018    1 recensioni
«Finalmente stavo bene, ero rilassato e quasi felice; sensazioni, queste, che non riuscivo a provare da diverso tempo – o almeno, non contemporaneamente. Probabilmente era perché Jeongguk non era con noi e la mia attenzione non era affatto su di lui, su quello che stava facendo, con chi stava parlando o di tutti gli occhi che aveva puntati addosso e di cui io ero profondamente geloso perché, egoisticamente, lo volevo per me, volevo che desiderasse me anche se non poteva farlo.»
Jimin che appena adolescente si era reso conto di provare qualcosa di particolare per uno dei suoi migliori amici, si ritrova a convivere per molti anni con dei sentimenti inappagabili, nella convinzione che il maggiore non possa ricambiarli. Ma poi arriva l’estate e, insieme al loro gruppo d’amici, preparano le valigie per trasferirsi per qualche settimana nella casa vicino al mare in cui erano soliti andare ogni anno; proprio qui, Jimin scoprirà qualcosa di Jeongguk che lo sconvolgerà e che ribalterà completamente la situazione.
[Jikook AU]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Non so cosa mi spinse quella notte ad entrare nella camera dove stava dormendo lui, il ragazzo per cui avevo una cotta; probabilmente il bisogno impellente di vederlo ancora una volta in quella giornata, perché sembrava assurdo, ma non mi stancavo mai di guardarlo. Era sdraiato sul divano, bello come la luna piena in una notte stellata; dormiva, con le labbra leggermente dischiuse ed un braccio che cadeva verso il pavimento fresco, sfiorandolo. Mi avvicinai lentamente a lui per sistemargli meglio la coperta addosso e gli accarezzai lievemente i capelli, facendo attenzione a non farlo svegliare; poi, mi distesi a terra dentro il mio sacco a pelo e lo osservai nell’ombra della stanza, quasi con il fiato corto. Sospirai. Era così vicino a me, ma allo stesso tempo lontano anni luce; tutto ciò mi logorava lentamente, mi faceva soffrire come poche cose. Dover far finta di niente, nascondere i miei sentimenti e fingere di essere interessato a persone per cui non nutrivo alcuna attrazione fisica o psicologica, era la cosa peggiore. Faceva male, ma l’unica cosa che potevo fare era continuare a nascondere tutto e fingere un sorriso o una risata dopo una battuta poco gradevole.
Probabilmente quella notte ho sbagliato ad intrufolarmi nella sua stanza, ad invadere il suo spazio personale dopo che aveva espressamente avvisato tutti che voleva stare solo, e a fissarlo per almeno quindici minuti mentre fantasticavo su di noi e ripetevo a me stesso quello che avrei sempre voluto dirgli, ma che non avrei mai detto ad alta voce. Quello di cui ero ignaro è che, quella notte, era più sveglio di me: mi aveva sentito entrare, sistemargli la coperta, accarezzargli i capelli e poi sdraiarmi vicino a lui; aveva notato il mio sguardo, ed anche che ad un certo punto avevo cominciato a piangere, ferito e triste a causa di tutti i sentimenti che provavo per lui, ma che sarebbero solo rimasti dei desideri profondamente inappagabili.
Non riuscì a dormire, sopraffatto dai pensieri e dalle domande che ero solito farmi e che mi toglievano anche quella poca quantità di sonno che mi era rimasta. Così, prima che il sole cominciasse a sorgere, sgattaiolai fuori dalla stanza, raccogliendo le mie cose e anche quel minimo di dignità che mi era rimasta. Avevo bisogno di distarmi in qualche modo, ma dovevo farlo da solo perché non potevo dire a nessuno cos’era che non andava. La testa mi scoppiava e gli occhi ancora bruciavano.
Non avevo mai pensato che amare qualcuno potesse fare così tanto male, perché irraggiungibile ed odiosamente lontana nonostante l’assurda vicinanza.
L’aria fresca prima dell’alba era una delle cose dell’estate che più apprezzavo. Mi bastava semplicemente raggiungere la riva del mare o sedermi sulle rocce ad osservare il sole che sorgeva per sentirmi più in pace con me stesso; il rumore delle onde mi aiutava a rilassarmi ed a pensare come una persona sana di mente.
“Sapevo che ti avrei trovato qui.” una voce bassa e calda mi scosse dalle mie fantasie e tirai un sospiro mentre alzavo gli occhi sulla sua figura alta. Feci spallucce. “È rilassante”, dissi.
“Lo so. Hai dormito?”
“Non molto.”
“Immaginavo.” rispose sedendosi affianco a me sulla sabbia fredda “C’è qualcosa che non va?”
“No, Nam. Sta’ tranquillo.” probabilmente avevo usato un tono fin troppo aggressivo, ma me ne accorsi solo quando Namjoon mi diede una pacca sulla spalla e, senza dire nient’altro, se ne tornò dentro casa, lasciandomi di nuovo da solo. Sapevo che dovevo smetterla di comportarmi come un completo idiota nei confronti di chiunque mi mostrasse un po’ di affetto, ma la maggior parte delle volte agivo d’istinto e poi me ne pentivo.
Quando ormai si erano fatte le 7:30, ritornai a casa. Per mia sorpresa trovai tutti gli altri ragazzi sulla terrazza a fare colazione ed a chiacchierare di qualcosa; però appena mi videro arrivare, sembrarono cambiare immediatamente discorso. Presi una mela e mi sedetti al tavolo.
“Perché avete smesso di parlare? Non mi sarei offeso mica, eh.” diedi un morso alla mela e li guardai, uno ad uno. Abbassarono lo sguardo, non rispondendo, allora io alzai gli occhi al cielo.
“Jimin, il fatto è che siamo preoccupati per te, tutto qui.” a parlare fu Taehyung – colui con cui condividevo più cose di quanto potessimo anche solo immaginare e col quale avevo il rapporto migliore – che ricevette immediatamente i peggior sguardi da parte di tutti, dato che non sapeva mai tenere la bocca chiusa.
“Ancora con questa storia? Prima Namjoon-hyung*, ora di nuovo voi!” sbottai, stizzito. “Ogni tanto a tutti piace starsene da soli con i propri pensieri. A quanto pare a me piace più di quanto piaccia a voi, ma questo non vuol dire che ci sia qualcosa che non va.” Ero arrabbiato più con me stesso che con gli altri, perché non riuscivo neanche a nascondere decentemente i miei stati d’animo e puntualmente tutti se ne accorgevano. Rimasero in silenzio e ringraziai il cielo che avessero smesso di parlarne; non mi andava affatto. Lanciai uno sguardo fugace verso di lui, verso Jeongguk, e lo beccai ad osservarmi; smisi immediatamente di guardarlo. Mi sentivo in difetto, colpevole, nonostante non avessi fatto nulla di male. E lui non sapeva nulla, giusto? Non doveva saperne nulla.


In tarda mattinata andammo a fare un’uscita in barca. Sette ragazzi coperti dalla testa ai piedi di crema solare, con gli occhiali da sole, dei costumi da bagno orribili e poche capacità di guidare una barca – nonostante Jin avesse la patente nautica–, erano un pericolo per chiunque si trovasse nei loro pressi.
Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Averlo difronte, mezzo nudo, di certo non mi aiutava a mantenere i miei ormoni al loro posto. In momenti come quelli potevo confermare che l’estate era la stagione che più amavo, ma che allo stesso tempo odiavo. Tutti quei corpi semi-nudi non mi facevano bene. Poi, il suo fisico diventava sempre più delineato e mi toglieva totalmente il fiato.
Per tornare sul pianeta terra, mi bagnai le mani con un po’ d’acqua del mare, passandole poi sul viso e tra i capelli.
“Chi vuole un panino?” urlò Hoseok con il suo solito entusiasmo, alzando verso l’alto un paio di panini che avevamo preparato prima di partire.
“Passa qua!” Hoseok, quindi, lasciò uno a Jeongguk che lo prese al volo, ovviamente.
Il mare quel giorno era calmo, il sole cocente era alto nel cielo e la giornata perfetta. O almeno, lo era; poi lui cominciò a parlare di una sua nuova conquista: una ragazza europea che aveva due bocce così – sue testuali parole. Non che non ne fossi abituato: lo conoscevo letteralmente da quando ero nato e ormai ero abbonato a tutti i suoi racconti piccanti con come protagoniste diverse ragazze, anche più di una contemporaneamente. La sua bellezza e il suo carattere gli permettevano di rimorchiare chiunque volesse, ed io ero sempre più geloso di tutte coloro che avevano avuto la loro occasione con lui, perché sapevo che ero destinato a far rimanere tutte le mie fantasie come tali.
La giornata proseguì tranquillamente, tra un bagno e l’altro, tante risate, birre e panini. Quando ormai era sera, rientrammo a casa, praticamente mezzi ubriachi per la quantità disumana di birra che avevamo bevuto in neanche sei ore. Eravamo stremati, ma nonostante ciò ancora abbastanza in forze per sfottere Yoongi che si era ustionato la schiena nonostante fosse stato quello più attento a farsi spalmare ovunque la crema solare almeno una volta all’ora.
“Yoongi-hyung, devo dirti una cosa.” annunciò Jeongguk, che già stava provando con tutto se stesso a trattenere le risate. “Che vuoi?” rispose il maggiore, già infuriato.
“Quella che ti abbiamo spalmato sulla schiena per tutta la giornata…” iniziò a dire, indietreggiando ad una distanza di sicurezza “Era solo crema idratante, non solare!” detto questo cominciò a correre per tutto il salone con a suo seguito Yoongi che gli urlava di essere un pezzo di merda mentre cercava di acchiapparlo, pronto a prenderlo a calci nel sedere. Io e gli altri quattro eravamo sul divano a gustarci la scena e a morire dalle risate, piegati in due alla ricerca di un polmone nuovo. Erano esilarati. Poi, vedere Jeongguk così sorridente e pieno di vitalità mi riempiva il cuore di gioia. Iniziava a diventare sempre più difficile negare i miei sentimenti, nasconderli, sopprimerli; in tutti quegli anni non si erano affievoliti nemmeno per un giorno solo, neanche quando litigavamo e smettevamo di parlarci per settimane intere, evitandoci completamente.
All’improvviso sentì il mio stomaco in subbuglio ed a seguire dei forti crampi che mi fecero piegare in avanti con un lamento di dolore. Subito dopo il sapore disgustoso della bile che saliva sù per l’esofago mi colpì senza preavviso.
“Cazzo.” sussurrai mettendomi una mano difronte alla bocca e scappai immediatamente in bagno per vomitare tutto ciò che avevo mangiato e bevuto. Tutti i ragazzi, preoccupati nel vedermi correre con quella fretta verso il bagno, smisero di ridere o fare qualsiasi altra cosa e mi seguirono. Ci voleva proprio una bella foto ad immortalare il momento: io in ginocchio a terra, chino verso la tazza a rimettere pure l’anima, e gli altri in piedi sulla soglia della porta, indisturbati, che semplicemente mi guardavano; forse il loro intento era solo quello di essere di supporto morale. Erano proprio d’aiuto i miei migliori amici! Sei ragazzi, grandi e grossi, che non riescono neanche a dare una mano ad un amico in difficoltà!
“Oh, non è che sei incinto?” chiese uno di loro, facendoci ridere. “Piuttosto mi chiederei che cacchio avete infilato in quei maledetti panini!”
Scoprimmo più tardi che la maionese era scaduta da un pezzo e loro l’avevano utilizzata in quantità industriali. Logicamente, con la mia solita fortuna, l’unico che si era sentito male ero stato io. Probabilmente avevano ragione i nostri genitori quando si allarmavano ogni volta che annunciavamo che saremmo andati tutti da soli da qualche parte per fare qualcosa di diverso: eravamo dei casi persi.
A cena, ovviamente, io mi rifiutai completamente di mangiare e non li seguii neanche dopo quando andarono ad una festa in spiaggia organizzata da alcuni ragazzi che abitavano in una casa poco più distante dalla nostra. “Io passo, non me la sento proprio.” mi ero lamentato dal divano mentre loro erano seduti al tavolo. “Allora rimango io con te.” aveva risposto Jeongguk alzando il tono della voce per farsi sentire. Insistetti per almeno cinque minuti a rimanere da solo a casa, dato che non avevo mica bisogno dell’accompagnatore, ma Lui aveva la testa dura come quella di una noce di cocco ed erano tutti inutili gli sforzi nel cercare di convincerlo di qualsiasi cosa. “Voglio rimanere anche io a casa perché quei tipi mi stanno sulle palle. Posso, o devo chiederti il permesso?” Ed eccoci di nuovo a litigare per una sciocchezza. Alzai gli occhi al cielo. “Fai come vuoi, non mi interessa neanche.”


I primi minuti che passammo completamente da soli in casa, furono di totale silenzio, se non fosse stato per la TV che Jeongguk stava guardando seduto a terra vicino al divano sul quale io, invece, stavo leggendo un libro. Di tanto in tanto gli lanciavo qualche occhiatina, consapevole che, essendo lui di spalle, non poteva notarle in nessun modo.
“Jimin?” disse ad un tratto girandosi verso di me e rompendo il silenzio tra di noi.
“Dimmi.” mormorai senza alzare gli occhi dal libro.
“Posso chiederti una cosa?”
Il mio cuore prese a battere più velocemente, come suo solito. “Dipende dall’argomento, ma va bene. Spara.” chiusi il libro e mi misi seduto in maniera composta, facendogli capire che ero aperto al dialogo. Lui, invece, si alzò da terra e mi raggiunse sul divano, sedendosi difronte a me.
“Perché ti tieni tutto dentro? Siamo i tuoi migliori amici…”
Questa domanda mi arrivò in faccia come un sonoro schiaffo. Mi irritai ancora di più e di conseguenza alzai gli occhi al cielo perché non mi andava affatto di parlarne, soprattutto a lui che era ignaro di essere al centro di tutti i miei problemi. “Jeongguk-”  cercai di dileguarmi dall’argomento e di scappare da quel divano, ma lui mi mise una mano sul braccio, trattenendomi con la sua solita delicatezza e fissando i suoi grandi occhi nei miei. “Non trovare un’altra scusa, Jimin. Forse sono l’ultimo del gruppo con cui preferisci confidarti, di qualsiasi cosa si tratti, ma non mi dire ancora una volta che stai bene, perché sappiamo entrambi che non è così.”
Sospirai, racchiudendomi di nuovo in me stesso, con le gambe contro il petto e il mento sulle ginocchia. “È solo un periodo, Guk-hyung. Sto male, hai ragione, ma dovete anche rispettare la mia decisione di non volerne parlare.” presi un altro respiro profondo e lo guardai di nuovo negli occhi. “Se dovessi averne davvero bisogno, sareste i primi a saperlo. Okay?”
“Va bene. Almeno hai ammesso che non va tutto bene.” allungò una mano ad accarezzarmi la guancia destra ed io abbozzai un sorriso, cercando di non andare in fiamme. “Vuoi guardare un film?” mi chiese subito dopo, spostando il soggetto della nostra conversazione. Io annuì in risposta, distogliendo infine lo sguardo.
Decidemmo di guardare The Imitation Game e se da una parte la cosa mi faceva sorridere, dall’altra ero preoccupato che potesse fare le sue solite battute a me scomode sull’omosessualità del protagonista, ma mi sorprese molto quando non disse niente, godendosi completamente il mio film preferito.
“Vieni più in qua.” mi disse ad un certo punto, tirandomi di più verso di lui. Ero un po’ a disagio, ma purtroppo non capiva il motivo per cui mi tenevo a distanza di sicurezza da lui; tuttavia, ci misi un attimo ad adattarmi alla situazione dopo che lui mi mise un braccio attorno alle spalle: misi il mio attorno al suo busto e poggiai la testa contro la sua spalla. Atteggiamento troppo gay? Probabilmente. Ma non mi interessava a meno che lui non si fosse lamentato. L’unica cosa di cui ero preoccupato era farmi tradire dal mio battito cardiaco che accelerava ogni volta che avevamo un contatto fisico ed essere così appiccati l’uno all’altro poteva fargli notare qualsiasi cosa io facessi.
“È uno di quei momenti in cui hai bisogno di affetto, Jiminie?” Io risposi di sì, annuendo. Avevo gli occhi fissi sullo schermo della TV, facendo finta di essere concentrato sul film o che non lo conoscessi già a memoria, battuta dopo battuta. Non succedeva spesso di avere un momento di leggera vicinanza ed intimità con lui, ma approfittavo un po’ del fatto che tutti sapessero che ogni tanto avevo anche io bisogno di essere coccolato da qualcuno, così da starmene un po’ tra le sue braccia.
“Perché non vai alla ricerca di una ragazza?” quella domanda fu come una pugnalata nella schiena, ma ero talmente abituato anche a quel genere di situazioni che ormai non me ne facevo più neanche un problema. Non avevo mai detto a nessuno di essere innamorato di uno dei miei migliori amici, né che mi piacessero i ragazzi; preferivo tenermelo per me, nonostante mi comportassi da perfetto vigliacco, ma le situazioni erano delicate e non volevo correre il rischio di perdere alcune delle persone a cui volevo bene per una cosa che non potevo assolutamente cambiare, ma che semplicemente mi definiva come me, come Park Jimin.
“Uhm… al momento non ne ho voglia. E poi, mica sono bravo quanto te a rimorchiare qualsiasi cosa respiri!” risposi in tono ironico, facendolo ridere. Dio quanto era bella la sua risata!
“Dai, magari qualche giorno ti spiego i miei trucchetti!”
“Li conosco già i tuoi trucchetti. Le guardi negli occhi, sorridi o addirittura ti limiti a respirare, ed il gioco è fatto: sono completamente tue. È una cosa naturale per te. È charme!”
“Charme?”
“Sì.” affermai con sicurezza, sollevandomi. “È un valore innato che non si può controllare e con il quale puoi calamitare a te chiunque tu voglia, raggiungere ogni obbiettivo tu voglia senza il minimo sforzo. Non è legato all’intelligenza o alla bellezza, è soltanto lì e fa parte di te. Probabilmente neanche ne sei consapevole – e questo è anche un grande privilegio – ma credimi Guk-hyung, tu hai charme.”
I suoi occhi si erano letteralmente illuminati a quella spiegazione, nonostante ci fosse anche un velo di confusione. Era meravigliato di ciò che gli avevo appena rivelato; probabilmente nessuno glielo aveva fatto notare, ma è stato un bene perché esserne troppo consapevoli porta spesso a perderlo, lo charme, in quanto si diventa noiosi ed arroganti. Lui, invece, era genuino in qualsiasi cosa facesse e riusciva ad attirare l’attenzione delle persone e a coinvolgerle malgrado la loro stessa volontà, ed era affascinante il modo naturale in cui si muoveva tra le gente, avendo sempre e comunque gli occhi puntati su di sé. “È la cosa più bella che qualcuno mi abbia mai detto, Jiminie. Grazie.” mi rispose, facendomi sorridere ancora di più.

   
 
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