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Autore: Memi J    02/07/2009    3 recensioni
«Piove» sussurra.
«Piove da una vita, Gin» ribatte la donna.
E intanto, mentre sbandiera quelle parole aspre come un serpente sputa il proprio veleno, lo stomaco le si contorce formando un nodo insolubile,
il cuore scalpita come se volesse sfondare il suo petto, le mani tremano al peso di quei sentimenti oppressivi e soffocanti e non al peso dell'ombrello. E fa male.
«Sai, Rangiku» confida lui, senza distogliere lo sguardo dalle nuvole.
«Temo di averlo dimenticato. Il cielo blu».
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gin Ichimaru, Rangiku Matsumoto
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Farewell, forgotten sky
That sky I won't forgive


Le onde sonore lasciate da un rumore sordo si propagano all'interno di quella stanza, illuminata da una fioca e misera lampadina accesa.
«Allora, ti decidi a confessare?».
Lo stesso suono si ripete; un'altra volta, un altro pugno. L'ennesimo.
Un terzo colpo sfregia il suo labbro, facendolo sanguinare. E ancora, ancora.
«Ti decidi a parlare, bastardo?».
Le nocche di quest'uomo gli lesionano veementi la mandibola, trapuntandosi di innocue gocce di sangue. Arrossate dal dolore, impallidiscono nuovamente allo stringere il pugno.
Sentire le unghie affondare nella carne, per poi colpire ancora il volto del condannato, augurandosi di spezzargli la mascella.
«Fa male, faccia da volpe?».
L'interessato non si altera minimamente.
La sua espressione vuota, il ghigno che storpia i suoi lineamenti, i capelli grigi che ricadono sul suo viso allungato. Non è cambiato nulla.
Le ossa della mano di quell'uomo urlano di dolore, tinte di sangue misto.
Persino quelle spesse pareti che circonda quel gruppetto di criminali sembrano soffrire, frastornate dal suono di quei pugni che martella la loro superficie crespa e marcia.
Eppure il condannato rimane completamente impassibile.
«Senti, maledetto stronzo» un altro uomo, più giovane, si fa avanti, senza essere stato interpellato.
«O parli, o ti sfondo la mandibola, figlio d'un cane».
Si avvicina, facendo vibrare le catene che si stringono come serpi attorno ai polsi dell'interessato. Anch'esse sembrano gridare; gridare di non riuscire più a sopportare quel dolore maledettamente acuto e urtante.
«Le vedi queste? Sei incatenato. Non puoi fare nulla, perciò ti conviene rispondere».
Sfodera un destro ravvivando la guancia del prigioniero di rosso scarlatto.
«Parla, Gin. Dove hai messo i soldi?».
L'incatenato sogghigna; sadico, amaro, pungente come una lastra di chiodi.
«Che cazzo hai da ridere?».
Cinque dita si stampano infuocate sulla sua guancia martoriata. Gin smette di ridere.
Sente il suo viso andare in fiamme, incendiato da una scarica di colpi impetuosi e irruenti.
Brucia, dannazione, brucia.
Fa un male del diavolo.
«Va bene, va bene. Oggi non siamo molto loquaci, vedo, eh Gin» esordisce l'uomo più anziano, abbozzando un mezzo sorriso ipocrita. «Continueremo domani».
Intanto uno squarcio va aprendosi nel petto di Gin, che, sciolte le catene, si porta una mano al cuore per riflesso.
Si sente come se una lama appuntita fosse costantemente premuta sul suo collo, Gin.
Ma quel ghigno che storpia le sue finissime labbra non sfuma mai.

«Gin».
Una voce lo chiama, titubante, fievole, sottile.
Sovrastata da quella pioggia che non vuole cessare.
L'uomo si volta, i capelli zuppi di acqua ed il mento ricoperto di sangue. Si sforza di sorridere.
«Ciao, Rangiku».
Saluta, ma la guarda come se stesse posando lo sguardo su un'estranea.
Saluta e la guarda, ma sa che lei vorrebbe essere guardata con altri occhi.
Non si avvicina nemmeno di un passo, Rangiku, mani intrecciate e saldamente strette al manico dell'ombrello.
Gin alza il volto, scruta il cielo, cerca di immaginare cosa ci sia oltre quelle nubi.
Le gocce di pioggia insistono nel percuotere la sua pelle, lavano via il sangue.
«Piove» sussurra.
«Piove da una vita, Gin» ribatte la donna.
E intanto, mentre sbandiera quelle parole aspre come un serpente sputa il proprio veleno, lo stomaco le si contorce formando un nodo insolubile, il cuore scalpita come se volesse sfondare il suo petto, le mani tremano al peso di quei sentimenti oppressivi e soffocanti e non al peso dell'ombrello. E fa male.
«Sai, Rangiku» confida lui, senza distogliere lo sguardo dalle nuvole.
«Temo di averlo dimenticato. Il cielo blu» mormora.
Lei non chiede, non risponde, non respira. Non dischiude le labbra. Forse vuole solo fingere di non aver udito nulla. Fingere di non aver visto quel sangue gocciolare dalla sua bocca, fuoriuscire dalle sue narici. Trema, Rangiku. Trema, perché le sembra di sentire quel sangue scorrere viscoso sulla propria pelle.
«Glielo permetterai?» azzarda poi, lei, nell'intento di sviare il discorso. «Di sopraffarti».
Silenzio. Un silenzio che urla, che grida, che frattura il cielo con un tuono, che squarcia le nubi con il vento, che accende il buio con un lampo. Che allaga il cuore con la pioggia, ancora.
Rangiku non sa quando realmente smetterà di piovere. Ma sa che la pioggia la travolge, la trascina giù, spegne il suo sole come se non fosse altro che una candela.
Gin sorride. La guarda, si volta. E ricomincia a camminare.
«Chissà» risponde, mentre la sua sagoma si rimpicciolisce, sempre più lontana. Si allontana, lasciando la donna affogare nella propria desolazione, così. Così, come ha sempre fatto.
«Te ne vai, Gin? Te ne vai di nuovo, senza dirmi nulla?».
Sta alzando la voce, Rangiku. Ha paura che lui non la senta. Ha paura che lui non torni più da lei.
L'uomo si volta, bagnato dalla pioggia, bagnato dal sangue, bagnato dalla solitudine.
«Sayonara, Rangiku» sussurra, lasciando la donna interdetta e sola con le sue fobie.
Quando gli occhi perlacei di lei si riempiono di lacrime, l'ombra di Gin è già scomparsa, senza lasciare nulla dietro di sé. Non una parola, non un sorriso, non un gesto.
Soltanto il terrore di perdersi nell'inquietudine.
«Non la perderai mai, eh, Gin. Quella brutta abitudine di andartene senza dire una parola».
No, quella caratteristica, Gin, non l'avrebbe mai perduta.
Così come quel suo volto schernito da un ghigno non si sarebbe mai illuminato.

Nella sua auto nera, Gin sfreccia sull'asfalto urlante di una strada deserta, scagliandosi contro le gocce di pioggia che si diverte a rincorrere. Si sente vuoto, senza nessuno scopo, senza nessuna esauriente ragione per continuare a vivere. Il cielo minacciato dalle tenebre della tempesta lo avvolge ostile ricordandogli di aver dimenticato la sensazione di rimirare un cielo completamente azzurro, senza alcuna briciola bianca che lo macchi come il sangue chiazza da sempre i suoi vestiti.
Ripensa a Rangiku, per l'ultima volta.
Rammenta il suo viso, folgorato dalla malinconia e dalla mai accontentata voglia di rivedere di nuovo quella cupola celeste, delicatamente graffiata dai raggi di un sole che finalmente si è riacceso.
«Non ti perdonerò mai, cielo» bofonchia, allentando la stretta sul volante.
«Per esserti oscurato».
L'auto esce di strada, ondeggiando come una molla sul terreno sterrato e difficile.
C'è uno strapiombo, poco più in là. Qualche metro più avanti, nella sua direzione.
«No, mi sa che non ti perdono, eh» sussurra, infantile.
Sorride, Gin.
Dunque, preme l'acceleratore.









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Author's Corner <3
ODDIO. Da dove mi è uscita questa? XD. Da un momento di crisi di sclero, probabilmente.
No, seriamente, volevo scrivere qualcosa su Gin e Rangiku. Non so perché, però io adoro questa coppia
e da tempo mi ero decisa di scriverci qualcosa. Poi è nato questo schifo <3. Che inizialmente
era nato come una fanfic ichiruki, poi dopo aver scritto metà del primo pezzo, ho pensato subito a Gin.
Anche perché, cavolo, starete pensando "Basta con le Ichiruki!" XD. Seriamente, il 90 per cento di quello
che scrivo è Ichiruki XD. Che volete che vi dica, non trovo altri personaggi che mi ispirano come solo loro
sanno fare <3. XD Mi ispirano anche, appunto, Gin e Rangiku, perché sono dannatamente angst, però
trovo difficile scrivere qualcosa di buono su di loro. Parlo di me, eh. XD
Comunque, passando alla storia. Fatemi sapere cosa ne pensate perché davvero, la trovo senza senso XD.
Però mi piace il fatto che alla fine Gin decide di suicidarsi in un modo così infantile. Non so perché XD.
Mi piace solo quello, però ùwù. Il primo paragrafo forse non serve a nulla, però quella scena me la sono
sognata quindi l'ho voluta scrivere. XD Lo so sono scema. XD Ah, aggiungo che è una Alternate Universe,
nel senso che è come se si trovassero in una qualsiasi città, sono persone normali. Ora finisco qua perché sennò
va a finire che l'angolo dell'autore è più lungo della fiction XD. Ringrazio di cuore chi legge e chi recensisce, e colgo
l'occasione per ringraziare anche coloro che hanno recensito e/o aggiunto tra i preferiti "I belong to you" <3.
Bye bye! Kyù.
   
 
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