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Autore: blackthornssnaps    13/04/2018    0 recensioni
Avete mai lasciato il vostro ragazzo a casa da solo, ancora addormentato, mentre voi siete andate a lavoro? Juliet l'ha fatto.
Vi siete mai svegliati a casa della vostra ragazza, senza di lei, sentendone disperatamente la mancanza? Cameron, sì.
Avete mai cantato in playback, sulle note della vostra canzone preferita, fingendo di essere in un video musicale, appena usciti dalla doccia? Oppure in salotto, con il telecomando in mano al posto del microfono? Cameron ha fatto anche questo, entrambe le cose in realtà, contemporaneamente.
Siete mai stati visti in questa situazione? O avete mai visto qualcuno? Juliet ha trovato Cameron così appena entrata in casa.
Due ragazzi, due idioti. Amici da sempre, qualcosa di più da un anno.
Questa è una storia d'amore, sì, ma anche di risate, prese in giro e situazioni imbarazzanti.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Music makes you do the weirdest things




Juliet non pensava si sarebbe mai abituata alla sensazione di svegliarsi la mattina con Cameron accanto. 
Non che non fosse mai accaduto prima, avevano tutti perso il conto delle volte che, fin da bambini, li avevano ritrovati addormentati insieme dopo aver passato ore a parlare o litigare, finché la stanchezza non aveva vinto su di loro.
La maggior parte delle volte, in più, Juliet aveva anche usato Cameron come cuscino, senza minimamente sentirsi in colpa, nonostante le proteste del ragazzo.
«Fammi capire perché non puoi semplicemente usare i cuscini come le persone normali e devi proprio usare me tutte le volte» le ripeteva sempre lui, sbuffando.
«Perché tu sei più comodo, te l’ho già detto. E ora taci.» Tagliava corto lei, invece.
Ma questo era diverso.
Il modo in cui la faceva sentire era completamente diverso.
Forse lei stessa lo era, anche.
Era lei la prima ad alzarsi di solito, non riuscendo mai a dormire per più di poche ore. Cameron invece sarebbe potuto, probabilmente, restare a letto anche fino all’ora di pranzo. Sceglieva di non farlo, però, il più delle volte, per non lasciare Juliet (o sua madre, quando tornava a casa propria) da sola troppo a lungo.
Quella era una delle poche mattine in cui Cameron lasciava la sua pigrizia prendere il sopravvento, lottando contro la sveglia e il dovere di alzarsi, a favore di qualche ora in più di sonno. E questo permetteva a Juliet di perdersi nei suoi pensieri mentre, completamente adagiata contro al suo petto, lo guardava dal basso, tracciando mentalmente tutta la linea che dalla clavicola portava alla gola, alla mascella… 
Avrebbe voluto disegnarlo, oppure ricoprirlo di baci, ma sapeva bene di non poter fare nessuna delle due cose. Non in quel momento, almeno.
Si concesse altri 5 minuti al caldo sotto il piumone, guardando la sua espressione rilassata e accarezzandogli piano i capelli, prima di alzarsi il più cautamente possibile, per non svegliarlo. Sgusciare fuori dal piccolo rifugio tra le braccia del suo ragazzo era davvero una tortura, per Juliet. Tortura che, però, avrebbe dovuto affrontare, seppur controvoglia.
Guardò il telefono alla ricerca, lo sapeva, del messaggio di Joel che le scriveva in piena crisi mistica sull’outfit da indossare quel giorno – dici che con i pantaloni grigi sta meglio la camicia azzurra o la classica bianca? – per poi ricordarle di sbrigarsi e non arrivare tardi.
Non fare niente di quello che farei io, al tuo posto, se avessi un ragazzo come Cameron addormentato di fianco. – le scrisse poi, aggiungendoci un’emoji ammiccante.
Juliet ridacchiò sottovoce, era il solito cretino.
Lo ignorò e decise di iniziare a prepararsi sul serio, altrimenti avrebbe fatto davvero tardi, sempre ammesso che prima ritrovasse i jeans che il giorno prima aveva frettolosamente tolto.
Perché non poteva essere ordinata come la maggior parte delle sue coetanee? Perché doveva sempre essere quella incasinata?
Sospirò.
Mezz’ora dopo era incredibilmente pronta ad uscire di casa, accordandosi con quell’idiota del suo migliore amico di incontrarsi al bar dietro lo studio.
Si rifiutava categoricamente di andare a discutere sulla loro futura carriera con Chris, il loro vocal coach, senza aver ingerito una buona dose di caffeina e zucchero prima.
Forse più zucchero che caffeina.
Andò per scrupolo a controllare se Cameron si fosse svegliato, ma ancora dormiva beato.
Sorrise, allora, e gli mandò un bacio al volo, che lui ovviamente non poté vedere. 
Decise di lasciargli anche un biglietto sul comodino lì vicino, giusto per non farlo preoccupare, prima di uscire definitivamente di casa diretta a “lavoro”.
 
***
 
Quando Cameron si svegliò erano ormai le 11 passate. Non ricordava di aver fatto chissà quanto tardi la sera prima, eppure quando la sveglia della sua ragazza era suonata, qualche ora prima, – ricordava vagamente di aver sentito la musichetta di quell’aggeggio infernale – la stanchezza che aveva addosso era così tanta da impedirgli di alzarsi. Aveva davvero bisogno di dormire ancora e Juliet parve averlo intuito.
Aprì gli occhi a fatica, sforzandosi di cacciare la sonnolenza latente, che ancora lo richiamava tra le sue grinfie, e rimase per qualche minuto steso immobile a fissare il soffitto.
Ormai era tardi per fare qualunque cosa, così decise di prendersela comoda.
In quegli attimi cruciali, si ritrovò a riflettere su come la madre lo avrebbe ammazzato, se solo avesse saputo. Dormiva dalla sua ragazza e neanche si degnava di svegliarsi e accompagnarla a lavoro, che razza di fidanzato era? Uno davvero pessimo.
Fortuna che non lo saprà mai, sospirò ad alta voce infine, facendosi forza per alzarsi.
Passò un attimo in cui rimase fermo, in piedi al centro della stanza, in attesa – di cosa, esattamente, non lo sapeva nemmeno lui – mentre i sensi di colpa si impossessavano di lui.
Idiota, si maledisse. Ti sembra davvero il caso di farti prendere dal panico per una cavolata come questa?
Non seppe per quanto questi pensieri gli invasero la mente, ad un certo punto, semplicemente, sembrò rassegnarsi e si affrettò a raccattare il telefono dal comodino, mandando un messaggio a Juliet. 
Il pensiero fisso della faccia delusa di sua madre non lo aveva ancora abbandonato del tutto, ed era una cosa che odiava di se stesso.
Alla buon’ora Tigrotto – aveva visualizzato il suo messaggio in tempo record, tanto da riuscire a levargli un peso dal cuore – stavo iniziando a chiedermi se non fosse il caso di mandare un’ambulanza a controllare che stessi bene - gli rispose lei, con una risata.
Comunque fai con calma e non preoccuparti, non ce n’è motivo. A proposito, tra un po’ dovrei aver finito qui… quando torno ti ritrovo ancora a casa, vero? – aggiunse poco dopo. Se non l’avesse conosciuta bene, avrebbe scambiato la sua risposta come una minaccia più che una semplice domanda, anche se sospettava che lo fosse.
Cameron non poteva di certo andarsene dopo questo, non se ci teneva alla sua vita.
Juliet gliel’avrebbe fatta pagare cara quella fuga.
Il fatto che avesse una disperata voglia di vederla anche lui, poi, era sicuramente un incentivo a restare.
Sembrava un drogato in astinenza, nonostante l’avesse vista l’ultima volta solo la sera prima. Non era un tempo eccessivamente lungo per sentirne così tanto la mancanza, doveva darsi un contegno, diamine.
Nell’attesa del ritorno di Juliet, Cameron decise di cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
In realtà, però, aveva già una mezza idea di portare la sua ragazza fuori a pranzo non appena fosse rientrata.
Lo aveva rassicurato che fosse tutto a posto, ma lui si sentiva ancora tremendamente in colpa e in qualche modo doveva sedare questo suo malessere. Farla felice e uscire lo avrebbe aiutato.
Andò verso la cucina, ancora un po’ intontito dalla dormita, prese qualcosa dal cassetto – non era abbastanza lucido da capire cosa effettivamente stesse mangiando – e si adagiò sul divano in salotto, accendendo la radio come unica compagna in sottofondo.
In pochi minuti si ritrovò a maledire i dj.
Chiunque ha deciso la musica in questa stupida radio probabilmente si è appena mollato con la fidanzata – rifletté – una musica più deprimente di così non potevano sceglierla.
Si stava sforzando di tenere gli occhi aperti, ma la cosa gli risultava particolarmente complicata. Aveva la stessa vitalità di un bradipo in quel momento e di certo la musica non lo aiutava.
Doccia. Ho bisogno di fare una doccia. E anche fredda, possibilmente, così mi sveglio, pensò, prendendo la decisione una volta per tutte di alzarsi e dirigersi verso il bagno, dimenticandosi naturalmente la radio accesa.
Rimase sotto il getto della doccia per un tempo indefinito, l’acqua fredda che gli scorreva addosso, mentre si passava le mani sulla faccia, nel tentativo di riprendersi del tutto (e di non pensare a Juliet, era più forte di lui).
Quando finalmente chiuse l’acqua, si sentì subito meglio. 
Tutto quello che successe dopo, però, decisamente non faceva parte del suo piano originario per la giornata.
Non era ancora uscito del tutto dalla doccia, quando sporgendosi per recuperare l’accappatoio – che aveva lasciato dalla sua ragazza ormai da mesi – il suo udito decise proprio in quel momento di ricordare di attivarsi a dovere, sentendo la musica dall’altra stanza in sottofondo e riconoscendo la canzone: Shoutout to my ex delle Little Mix.
Cazzo.
Adesso decidono di mettere le belle canzoni? Davvero?
Non ebbe esattamente il tempo di pensare in quel momento, il suo cervello prese il comando in automatico e il suo corpo reagì da solo, escludendo ogni parte logica e razionale presente in lui.
In meno di mezzo secondo si ritrovò a correre in salotto, rinunciando all’accappatoio e avendo optato per un classico e molto più comodo asciugamano legato in vita, per poi alzare il volume della musica al massimo.
Era più forte di lui, non-così-tanto segretamente innamorato della girlband inglese, non poteva fare a meno di alzare il volume e cantare a squarciagola ogni volta che la radio passava un loro brano.
Tra le altre cose di cui non si era reso conto, per lo meno in un primo momento, c’era da aggiungere l’aver afferrato il telecomando della televisione con il solo scopo di usarlo come microfono.
Una piccola parte del suo cervello sapeva quanto sarebbe risultato imbarazzante, se mai lo avessero visto, ma la maggior parte del suo subconscio aveva evidentemente deciso di fregarsene della ragione per lasciare spazio all’istinto.
Tanto, chi potrebbe mai vedermi? Sono a casa da solo.
Dentro di sé Cameron sapeva quanto il tutto fosse ridicolo, ma fu solo dopo l’aver iniziato ad improvvisare una specie di balletto sulle note del ritornello che capì di aver davvero toccato il fondo.
 
***
 
Era esausta, sul serio. 
Non avevano fatto niente di particolarmente strano, ma quelle due ore le erano parse interminabili.
Odiava tutta la parte di marketing nel suo lavoro. Era un lungo e complicato processo che riusciva solo a farle venire il mal di testa e che per lei non aveva il minimo senso.
Aveva inciso un album, okay, ora che se ne occupasse qualcun altro dello sponsor pubblicitario! Juliet aveva già scritto e cantato 15 canzoni, le sembrava abbastanza.
Naturalmente se avesse osato dar voce ai suoi pensieri probabilmente l’avrebbero radiata, ma la cosa non le importava particolarmente. Non in quel momento, almeno.
Tutto quello che desiderava era poter tornare a casa e buttarsi sul divano a guardare Netflix con il suo ragazzo, divorando le schifezze che aveva ancora in frigorifero.
Non chiedeva altro. 
E pensare che fino a 10 minuti prima era stata convinta che la riunione sarebbe continuata ancora per ore! Quando la segretaria del manager pubblicitario gli aveva annunciato un “imprevisto improrogabile” che lo vide costretto a rimandare tutto e congedarsi immediatamente, Juliet per poco non si era messa in ginocchio a pregare per la grazia ricevuta.
Quello che si ritrovò davanti, però, una volta arrivata a casa, non corrispondeva a niente che avesse mai immaginato.
Riusciva a sentire la musica anche da fuori.
Ridacchiando tra sé – ecco cosa fa a casa da solo, si ascolta tutta la discografia completa ad un volume improponibile – inserì le chiavi nella serratura e aprì la porta.
Non aveva ancora messo del tutto un piede in casa quando si fermò, paralizzata dalla scena che le si parava davanti.
Cameron, in mezzo alla stanza, mezzo nudo – e se la cosa si fosse fermata qui non le sarebbe per niente dispiaciuto – con i capelli bagnati, un telecomando in mano, che si dimenava e “cantava” a squarciagola la canzone alla radio.
Era talmente sconvolta che le ci volle qualche minuto prima di rendersi effettivamente conto della cosa, continuando a sbattere le palpebre non convinta.
Non è vero. Tutto questo non è vero. Me lo sto sognando, mi hanno drogata e questi sono gli effetti della droga. Non è possibile.
Riprendendo piano piano coscienza della realtà, perché purtroppo quella era la realtà, mosse qualche altro passo verso l’interno, chiudendosi almeno la porta alle spalle, cercando di fare il meno rumore possibile, per poter osservare quel coglione del suo ragazzo un po’ meglio.
Ora che aveva appurato che non era lei quella priva delle sue facoltà mentali in quel momento, riuscì a notare che i capelli di Cameron non erano solo bagnati, quanto piuttosto incollati al suo viso e completamente zuppi d’acqua, con le gocce che gli cadevano addosso quando si muoveva e che poi riprendevano il loro percorso verso il basso, correndogli giù dai pettorali, lungo tutto l’addome sui muscoli scolpiti, scivolando sempre più giù verso il bacino e… 
Ehm ehm
Il suo cervello si scollegò per un attimo.
Juliet concentrati. 
Concentrati.
Si dovette fare della violenza psicologica per smettere di fissarlo imbambolata ed eliminare dalla sua mente tutti i pensieri poco casti che le erano appena passati per la testa.
Non aveva tempo per questo, c’erano cose più importanti da fare.
Come ad esempio capire perché Cameron avesse pensato fosse una cosa saggia uscire dalla doccia completamente grondante di acqua, solo per correre in sala a sentire una canzone.
Quella canzone, poi.
Oh, aveva sicuramente un mucchio di cose da spiegarle.
Ricercò dentro di sé un contegno che si stupì di avere ancora, date le circostanze, si avvicinò di più a lui, incrociò le braccia al petto, nella sua aria più seria e indignata possibile, e poi tossì cercando di richiamare la sua attenzione.
Non era esattamente sicura che l’avesse sentita all’inizio, almeno finché non lo vide girarsi di scatto con un’espressione sconvolta e tremendamente colpevole stampata in faccia.
Non che Juliet riuscisse davvero a concentrarsi sulla sua faccia, si intende, perché in quel momento, nella foga e nello spavento che probabilmente gli aveva fatto prendere, mentre Cameron si girava per affrontarla… il semplicissimo asciugamano che aveva frettolosamente indossato prima cadde.
 
Furono attimi di panico e silenzio assoluto.
Cameron si riprese dal blocco temporaneo, apparentemente, affrettandosi – Juliet non lo aveva mai visto muoversi così velocemente – a recuperare l’indumento caduto, rimettendolo al suo posto.
Quando rialzò lo sguardo verso di lei era già pronto a dirle qualcosa, qualunque cosa, per spiegarsi e scusarsi, ma non ne ebbe il tempo.
Probabilmente fu la sorpresa della scena a cui aveva appena assistito, o l’espressione di assoluto imbarazzo che aveva appena assunto il volto del ragazzo – aveva gli occhi grandi e spalancati ed era dello stesso colore dei suoi capelli, cosa che lo rendeva adorabile – ma Juliet mandò all’aria tutti i suoi propositi di tenergli il broncio e scoppiò a ridere.
Era più forte di lei, non fu più in grado di trattenersi.
Rideva così forte che nel frattempo iniziò a piangere.
Cameron la guardò stralunato per mezzo secondo, prima di alzare gli occhi al cielo e sbuffare, spegnendo finalmente la radio.
Il rossore sul suo viso non aveva, però, nessuna intenzione di sparire.
«Okay, va bene, ho capito che ti stai divertendo, ma direi che ora la puoi anche smettere» le disse, quando notò che le risate della ragazza non accennavano a diminuire, così come le sue lacrime. «Già dovrò convivere con il ricordo di questa scena per il resto della mia vita, visto che so che non perderai occasione di sfottermi ogni volta che potrai, per lo meno abbi la decenza di farla finita, ora!»
Juliet cercò di darsi un contegno ancora per qualche minuto, invano, prima di rispondergli.
«Lo so, lo so, hai ragione, scusa» riuscì a dirgli, senza fiato e tenendosi la pancia per il male dovuto al troppo ridere. «Ora la smetto, giuro.»
Cameron la fissò per qualche altro secondo, prima di alzare gli occhi al cielo ed avvicinarsi a lei, ridacchiando.
Mentre il respiro di Juliet stava tornando piano piano regolare, più o meno, lui le tolse gli occhiali e le passò le dita sulle guance, asciugandole le lacrime.
«Sei ridicola, e fidati che detto da me, date le circostanze, è tutto dire» le sussurrò, sempre ridacchiando.
«Quanto sono messa male?» chiese allora lei, sospirando. Non aveva davvero bisogno di chiederlo, poteva intuire da sola la risposta.
«Oh non tanto, se avessi avuto l’intenzione di trasformarti in un panda, si intende.»
E aveva ragione, quel bastardo, Juliet lo sapeva.
Non aveva uno specchio a portata di mano in cui guardarsi, ma non le serviva. Era ben consapevole dell’eyeliner e del mascara che aveva applicato prima di uscire di casa quella mattina.
Trucco che, sicuramente, ora le stava bellamente colando sulle guance, a giudicare dal sorrisetto che si era stampato sulla faccia del suo ragazzo.
Oh, aveva una voglia immensa di prenderlo a schiaffi.
Se non fosse che, ora che il momento era passato e il suo autocontrollo svanito, Cameron si trovava un po’ troppo vicino, troppo bagnato e con troppi pochi vestiti addosso. Per non dire proprio senza.
E di questo Juliet era decisamente troppo consapevole.
«Dovrai farti perdonare per avermi distrutto il make-up» gli disse allora, per distrarsi e prenderlo in giro, oltre che per avere una scusa plausibile per allontanarsi leggermente da lui. Non era sicura di essere in grado di stargli così vicino senza pensare a tutto quello che avrebbe voluto fargli e senza avvampare a sua volta. «E anche per avermi allagato la casa, in pratica» aggiunse, incrociando le braccia al petto.
Era abbastanza sicura di essere riuscita a dirlo con un tono scherzoso, nonostante la posa severa, pensando si sarebbe messo a ridere, invece lui si rabbuiò, gli occhi abbassati e nascosti dal ciuffo, che stava iniziando ad arricciarsi, ancora incollato alla sua fronte.
«Sì, a proposito di quello… io... insomma Julie non volevo. Cioè... lo sai…» balbettò lui, allontanandosi a sua volta, visibilmente in imbarazzo. Di nuovo.
A quel punto Juliet si sentì male e palesemente in colpa.
Non poteva vederlo così, davvero. Era un lato di lui che mostrava solo a lei e lo sapeva, ma non ce la faceva a vederlo così sconsolato per una stupidata. Anche perché doveva essere uno scherzo, non voleva ferirlo.
«CamCam» lo chiamò, eliminando la distanza tra loro che lui aveva ricreato. «Stavo scherzando, razza di idiota.» Si alzò in punta di piedi – Cameron era di una buona spanna più alto di lei – allacciandogli le braccia attorno al collo, ad un soffio dalle sue labbra.
«Non mi importa della casa, per niente.» Rimase lì, ferma, con il cuore che le martellava nel petto.
Era anche riuscita a non pensare a quanto fosse imbarazzante la situazione – con lui che ancora non si era rivestito di nuovo addosso a lei – non aveva importanza se lui non sorrideva.
Cameron la lasciò fare per mezzo secondo, fissandola e basta. Poi sembrò perdere ogni tipo di ragione e si sporse verso di lei, incapace di trattenersi ancora dal baciarla, mentre Juliet, all’ultimo, si spostò, stampandogli invece un bacio sulla guancia, con un ghigno malefico.
Eh no, non era capace a fare la brava, neanche – e specialmente – per Cameron.
«Tutto qui quello che sai fare per farti perdonare?» lo provocò di nuovo, ma stavolta la reazione fu quella che si aspettava.
Il ragazzo si mise a ridere, circondandola con le sue braccia e impedendole di scappare.
«Sei una piccola stronza maledetta, Principessa» le sussurrò all’orecchio, prima di lasciarle una lunga scia di baci sul collo, a cui lei rispose aggrappandosi di più a lui, facendogli – finalmente – scorrere le mani sulla schiena. «Forse è per questo che ti amo.»
La baciò e tutto il resto svanì.
Anche io, fu l’ultimo pensiero sensato di Juliet, prima di spegnere il cervello e abbandonarsi al tocco del suo ragazzo.
 
***
 
Okay, le cose non erano andate proprio esattamente secondo i suoi piani, ma ora Juliet era lì con lui, tra le sue braccia, la stava baciando e niente di tutto quello che era successo aveva più importanza.
Tutte le sue preoccupazioni, l’imbarazzo, il senso di colpa, si erano annullati dentro di lui.
Beh, più o meno.
Lei era lì, però, e andava tutto bene. Fortuna che le sono sempre piaciuti gli idioti.
Si staccò quel tanto che gli bastava per guardarla. Era davvero ridicola con tutto il nero che le colava sulle guance, eppure non riusciva a far smettere il suo cuore di martellare e fargli male dentro di lui. Sembrava volesse scoppiare e uscirgli dal torace.
Come accidenti fa a essere così bella pur sembrando la mezzana con il trucco sbavato di Mulan?
Cercò di asciugarle un po’ il viso con le mani, ma finì solo con combinare un disastro peggiore del precedente, impiastricciandosi anche lui con il nero.
Probabilmente fece pure un mezzo verso strano di frustrazione perché Juliet scoppiò a ridere di nuovo, guardandolo, contagiando anche lui.
Lo prese per il polso e lo trascinò in bagno, allora, senza smettere di sorridere, recuperando lo struccante dal mobiletto.
Nessuno dei due disse nulla, mentre si ripulivano. Cameron non si era nemmeno reso conto di essersi incantato a guardarla, mentre cercava di levare ogni traccia di mascara.
«Ancora un po’ e ci puoi anche entrare in quello specchio, se vai un po’ più vicino» le disse infine, per spezzare il silenzio.
La vide alzare un angolo della bocca divertita, prima di ribattere a tono. «Prova tu a non vedere niente. Fa schifo essere miopi.»
Cameron ridacchiò e lo sguardo gli finì sui vestiti che avrebbe dovuto mettere prima, uscito dalla doccia, invece di fiondarsi in salotto da bravo idiota quale era. Il divertimento si spense all’istante sul suo viso.
Si rese conto – forse per la prima vera volta della giornata – della sua condizione di quel momento.
Era quasi del tutto nudo, in bagno con la sua ragazza, a casa di quest’ultima.
Arrossì violentemente solo pensandoci.
Stupido. Stupido. Stupido. Ma che problemi ho? Si ritrovò a pensare.
Aveva un talento naturale nel finire in situazioni imbarazzanti con Juliet.
In realtà sei un coglione solo perché ti sei appena accorto della situazione – e già questo è un motivo sufficiente, considerato che avresti potuto anche accorgertene prima – ma soprattutto perché sei ancora lì fermo a non fare niente! – fece invece un’altra vocina nella sua testa.
Vocina che somigliava spaventosamente a quella di Andrew, il suo – diciamo – migliore amico.
Ci mancavi solo tu.
Si era dato dell’idiota una quantità infinita di volte negli ultimi 10 minuti, ma proprio non riusciva a smettere e ora aveva davvero toccato il fondo.
Andrew era l’ultima persona che si sarebbe dovuta insinuare nella sua testa in quel momento. La madre, piuttosto. Suo fratello Cecyl, che era una persona ragionevole. Ma non Andrew, il cui unico scopo nella vita era portarsi a letto più ragazze possibili.
Mentre tu non riesci nemmeno a farlo con l’unica che hai.
Oh dei.
Ora stava seriamente rasentando il limite massimo della follia.
Si passò una mano in faccia, sconsolato, cercando di liberarsi da quei pensieri e vide Juliet che dallo specchio lo fissava con una strana espressione preoccupata.
«Tutto bene CamCam? Sembra tu stia per vomitare.»
Eh, quasi.
«No, no sto bene» le rispose, cercando di sorriderle, magari evitando pure di soffermarsi sui punti in cui abbracciandola prima era riuscito a inzuppare anche lei e dove quindi la maglietta adesso aderiva al suo corpo.
Dannazione Cameron.
Juliet lo stava ancora guardando non convinta.
«Sei sicuro? Senti vestiti, stai prendendo freddo solo perché sei un cretino. Se ti ammali ti strozzo, sappilo.»
A quel punto la sua mente era un’accozzaglia di vocine, che cercavano di dargli consigli diversi facendogli solo venire mal di testa.
Cameron decise di ignorarle. Tutte quante.
Spense il cervello per la seconda volta della giornata e lasciò che il suo istinto prendesse il sopravvento.
Si avvicinò a Juliet, prendendola per i fianchi e stringendola, così che la sua schiena potesse aderire al suo petto, mentre si curvava su di lei. Doveva proprio essere così piccola?
«Io non mi ammalo» le bisbigliò all’orecchio e la sentì rabbrividire contro di lui.
Oh. Oh.
Ora un brivido aveva attraversato anche lui, che affondò il viso tra i capelli di lei, cercando la sua mascella e dandole un bacio proprio sotto l’orecchio.
Juliet rabbrividì di nuovo e Cameron si sentì morire dentro.
Non era abituato a farle quest’effetto. Non era abituato alla mancanza di autocontrollo, che teneva a freno le emozioni di entrambi.
«Non è detto» disse lei, come una specie di lamento.
Doveva essere un tentativo di ribattere, o almeno così lo aveva interpretato lui, ma non le uscì come sperato. Quel briciolo di ego che aveva si gonfiò, non poteva che fargli piacere sapere di avere un minimo potere sui suoi sentimenti.
Juliet si girò tra le sue braccia, fronteggiandolo ora, senza che lui la lasciasse andare, però.
«Non sfidare la sorte.» Fece scorrere le dita sulle braccia e sul petto di Cameron, quasi sovrappensiero, mandandogli in cortocircuito ogni terminazione nervosa.
Lui la strinse ancora di più, prima di prenderle il viso tra le mani, guardandola negli occhi.
«Io non mi ammalo, Julie» ripeté, questa volta più convinto.
La vide prendere un respiro e allungare le braccia per abbracciarlo, cingendogli i fianchi e appoggiandogli le mani gelide nella zona lombare, appena al di sopra dell’unico elemento che lo copriva. Beh, “copriva” per dire.
Cameron chiuse gli occhi e appoggiò la fronte su quella della sua ragazza – sto asciugamano sta diventando decisamente scomodo – poi sorrise. «E poi, dimmi la verità, vuoi davvero che mi rivesta?»
 
***
 
No.
No. No. No.
Oh dei, no, non farlo. Resta così, ti prego.
La sua testa era completamente nel pallone, l’unico pensiero coerente in quel momento era qualcosa di cui Juliet stessa si vergognava.
Sapeva di essere arrossita, lo sentiva, aveva le guance in fiamme.
Tutto il suo corpo lo era, Cameron aveva un potere su di lei che lui neanche immaginava.
E ora la stava guardando e sorrideva… si sentiva sempre come una tredicenne disperata quando le sorrideva.
Miserabile bastardo. Lo so che lo fa apposta.
E nonostante questo lo adorava, perché nessuno al mondo la faceva sentire così.
Gli doveva ancora una risposta, però. Come se non fosse ovvia.
«Sì.» Deglutì, le mancava la voce da quanto non era vero. «Dovresti, sì. Te l’ho detto: finirai con ammalarti.»
Non si era resa conto di star trattenendo il respiro, finché non sentì quello del ragazzo in faccia mentre scoppiava a ridere. Per la milionesima volta nell’arco della giornata.
«Eddai Jo, non sei credibile» esalò lui tra le risate.
Lei sbuffò e si divincolò, cercando di liberarsi dalla sua stretta. Non si può avere una conversazione con un ragazzo così.
Ma Cameron la trattenne. Era troppo forte perché lei potesse smuoverlo anche solo di 1 cm.
Alla fine ci rinunciò e sbuffò di nuovo.
A quel punto qualcosa scattò dentro di lui, si era stufato della situazione, erano ad un punto morto.
La prese per i fianchi e la sollevò come se non pesasse niente.
Lei gli allacciò le braccia al collo, per la sorpresa e lo squilibrio, e lui la portò senza il minimo sforzo in camera, chiudendosi la porta alle spalle.
«Che stai...?» provò a dire lei, ma non ci riuscì. Cameron l’aveva già zittita appropriandosi delle sue labbra, con un tale impeto da sembrare in astinenza. Dai baci, da lei, da tutto.
E Juliet si sciolse come un ghiacciolo al sole nuovamente, abbandonandosi a lui.
 
***

Si staccò dalle sue labbra controvoglia solo per il bisogno di respirare.
Non sapeva nemmeno lui che gli fosse preso, ma sentiva nelle ossa che se non fosse successo qualcosa nei prossimi minuti sarebbe impazzito.
Ora ne era consapevole: aveva una seria dipendenza da lei.
Rimasero in piedi abbracciati, ansimando e riprendendo fiato.
Lei era distrutta, struccata e spettinata – colpa sua – eppure non era mai stata così bella.
Gli occhi azzurri lo guardavano, lo chiamavano, grandi e spalancati, colmi di lui.
Lo stava implorando e questa cosa lo mandava fuori di testa.
«Dimmelo» le disse, avvicinandosi ancora di più. Lei fece istintivamente un passo indietro.
«Dimmi che cosa vuoi. Dimmi che mi vuoi. Mi basta una tua parola.»
Era ridicolo, lo sapeva. Il suo migliore amico non ci avrebbe neanche pensato mezzo secondo, al suo posto, ma Cameron non era Andrew e aveva bisogno di sentire Juliet dirgli che lo voleva, o non l’avrebbe mai toccata.
Quando alla fine lei parlò, non era quello che si aspettava come risposta. Eppure, era allo stesso tempo tutto.
«Se non sbaglio, devi ancora farti perdonare.»
E lui rise, con il cuore leggero e pieno di Juliet e di tutto quello che gli faceva provare, avvicinandosi a lei, attirandola a sé e sfilandole la maglietta dalla testa.
Fu lei a sporgersi verso di lui, stavolta, cercandolo e baciandolo, mentre Cameron la spogliava tracciando il profilo del suo corpo con le mani, lungo le sue curve, quasi la stesse modellando.
Non era lui l’artista dei due, ma aveva passato abbastanza tempo con lei da sapere come toccarla per farla impazzire. E lei non stava nemmeno provando a nasconderlo.
L’asciugamano era diventato davvero scomodo ora. Fu lei a liberarlo da quel peso – grazie agli dei – poco prima di avvicinarsi pericolosamente a lui, facendolo arretrare e finendo con spingerlo leggermente sul letto.
Juliet spostò i capelli su un lato, salendo a cavalcioni sul ragazzo che la guardava inerme con il desiderio negli occhi.
Oh Dei posso morire qui. È bella e fiera come un’amazzone. Sul serio, lasciatemi qui a morire.
Si chinò su di lui, baciandolo come aveva fatto mille volte prima di allora, sulla mascella, sul collo, sui pettorali e Cameron in risposta lasciava scorrere le sue mani sulla pelle rovente di lei, dalle cosce, ai glutei alla schiena. La sentiva sospirare ogni volta che spostava le dita su una nuova parte del suo corpo.
Juliet tornò a baciarlo, soffiando sulle sue labbra. «Hai davvero le mani d’oro, Tigrotto».
Glielo ripeteva di continuo, quando la toccava o anche solo quando voleva un massaggio.
E Cameron rise, come faceva sempre, ricambiando il suo bacio e approfittando della distrazione della sua ragazza per invertire le posizioni.
Toccò a lui, adesso, riempirla di baci, mentre lei si artigliava alle sue spalle, tirandoselo sempre più contro.
Gli prese il viso fra le mani, mentre lui si sorreggeva ai lati della sua testa, ed ebbe il tempo di notare come i suoi occhi fossero tornati di due colori diversi, a causa della mancanza di controllo, prima che catturasse nuovamente le sue labbra e lui si abbandonasse a lei, stavolta completamente.
 
***
 
Baci, morsi, ansiti e “ti amo” sussurrati dopo, Juliet e Cameron si ritrovarono abbracciati, esausti e felici, sdraiati sul letto di lei, che aveva ormai preso la forma dei loro corpi, dopo tutte le notti passate insieme.
Lei lo stava ancora usando come cuscino umano, ma stavolta lui non accennava a lamentarsi. Se la teneva stretta accanto, giocando con i suoi riccioli. Normalmente odiava che le si toccassero i capelli, – erano off-limits per chiunque, parrucchieri compresi – ma lui era sempre attento a non farle male in ogni gesto che la riguardasse, così lo lasciò fare.
C’era uno strano silenzio attorno a loro, senza però essere una cosa spiacevole. Questo permetteva a Juliet di perdersi nei suoi pensieri, cullata dalle carezze del suo ragazzo.
«Sono stato perdonato, allora?» si sentì chiedere ad un certo punto.
Alzò la testa per guardare il suo viso. Cameron aveva gli occhi chiusi, ma non aveva smesso di arricciarle i capelli. Questo la fece sorridere.
«Uhm. Non ho ancora deciso per bene, ma credo di poter dire di sì» gli rispose, alla fine.
Lui aprì un occhio con fare sospettoso.
«Non ho ancora deciso?» imitò la sua voce. «Ma che cosa vorrebbe dire? Me lo sono guadagnato il perdono» sbuffò.
Juliet rise e si sporse per dargli un bacio sulla guancia. Anzi, due.
Rimasero in silenzio ancora un po’, poi all’improvviso le venne in mente una cosa importante.
«CamCam?»
«Mmh?»
«Di che colore ho gli occhi?»
C’era una nota di panico nella sua voce, lo sapeva, e lui se ne accorse.
Abbassò lo sguardo per incrociare il suo e rimase a guardarla per qualche minuto, prima di spostarsi per poterle baciare le palpebre.
«Azzurri, Principessa. Sono di nuovo azzurri.» Juliet tirò un sospiro di sollievo.
«Prima sono tornati del loro vero colore, però. E come ti ho già detto, sono strani, ma sono bellissimi. E lo sono perché sono particolari. Smettila di vergognartene, non sei un mostro, non devi nasconderli. E in ogni caso, non devi nasconderli a me. Sono io, Juliet.»
Lei sospirò. Lo sapeva, di lui poteva fidarsi, ma non era facile togliersi la maschera, neanche con lui.
«Mi dispiace, Tigrotto» gli sussurrò poi, perché non sapeva davvero che altro dire.
Cameron lo aveva capito, però, la capiva sempre, anche quando lei non capiva se stessa. Così le accarezzò una guancia, sorridendo.
«Sai di cosa devi dispiacerti? Di esserti concentrata troppo sul mio ridicolo balletto in salotto e non avermi ancora raccontato com’è andata in studio.» Lei lo guardò stranita per mezzo istante, neanche si ricordava che cosa aveva fatto qualche ora prima, sembrava passata una vita.
«Alzati e vestiti, Principessa, dobbiamo uscire. Ti consiglierei di non truccarti per non conciarti come prima, ma sarebbe inutile perché non mi ascolteresti» continuò lui, ridendo.
Juliet gli tirò un pugno scherzoso sul petto.
«Sei proprio uno stronzo. È colpa tua se sono diventata un panda!» ribatté lei, alzandosi dal letto, però. «E comunque si può sapere dove andiamo?»
«A mangiare, no? Non so te, ma io sto morendo di fame, e se ti lascio cucinare ci ritroviamo senza cucina» le rispose lui, come se fosse ovvio, guadagnandosi una cuscinata in faccia per colpa della sua ultima uscita.
Era vero che Juliet era un assoluto disastro in cucina, ma non c’era bisogno di sottolinearlo.
Risero come i due bambini che in fondo erano ancora per tutto il tempo mentre si preparavano.
E tra una cuscinata e un’occhiataccia lanciata al suo ragazzo, Juliet non riuscì a trovare sensazione più bella dell’essere innamorata di quell’idiota del suo migliore amico.
 
***
 
«Non credi di avere una lieve ossessione per le Little Mix, comunque? Secondo me hai bisogno di cure, CamCam» proferì Juliet ad un certo punto, mentre si stavano entrambi ingozzando. Non sapendo dove andare si erano rintanati nel primo Mc Donalds che avevano trovato. Si va sempre sul sicuro, così.
«Secondo me tu invece non capisci niente, e sono pronto a scommettere che lo fai anche tu di continuo quando non ci sono» le rispose lui, riempiendosi la bocca di patatine, senza nemmeno scomporsi.
Juliet alzò gli occhi al cielo indignata.
«Cosa?! Non essere ridicolo!» Certo che lo faccio, ma di solito io sono vestita.
«Ammettilo, so che lo fai.»
«Tu non sai quello che dici.»
«Sei gelosa perché sono più belle di te.»
«E tu sei un idiota, anche solo per aver detto questa frase.»
Cameron rise e per qualche minuto rimasero entrambi in silenzio a finire il loro pranzo.
Finché…
«Ehi Jo?»
«mmh?»
«Me lo dai un bacio?»
«Vai a chiederlo alle Little Mix» e con questo Juliet uscì, diretta alla macchina, non aspettando il suo ragazzo, che stava ancora ridendo senza contegno dietro di lei.








 

HELLO THERE!

Provo a non dilungarmi perché ho già scritto troppo, ma qualche cosa la devo spiegare.
Prima cosa, devo sclerare un attimo perché non ci credo che sto davvero scrivendo di loro due e lo sto pubblicando WOW.
Seconda cosa: piccoli chiarimenti. Per chi non sa chi sono, non vi siete persi nulla. Juliet e Cameron sono i miei due bimbi, li ho creati da qualche anno, ma non li avevo mai messi per iscritto prima d’ora.
Ci dovrebbe essere un’intera long su loro due, in realtà, che vi spiega chi sono e la loro storia, ma sono in alto mare con quella. Non so quando riuscirò a scriverla e volevo iniziare a raccontarvi un po’ di questi due idioti. Penso che sia ora che abbiano un po’ di spazio.
Sarà un percorso a ritroso, dunque. Dalle scene random alla storia vera e propria. Spero abbiate voglia di seguirmi.
altre precisazioni che credo di dover fare in merito a questa oneshot in particolare: Juliet è l’artista dei due, nel caso non si fosse capito. E i suoi occhi sono di due colori diversi, sì, uno è completamente nero, l’altro è di un verde/azzurro molto chiaro – quasi bianco. Ha imparato a cambiare il loro colore negli anni, è il suo potere (uno dei tanti), ma solo se resta concentrata.
Detto questo, mi eclisso. Se qualcuno volesse chiedere altro, sono disponibile.
Love, Rebs.
   
 
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