Vita
Dimitri
Non
conoscevo nemmeno il suo nome, ma ero certo fosse meraviglioso come lei.
Ero
stato stregato, e nulla avrebbe potuto rompere quell’incantesimo,
nemmeno la
più potente delle magie.
Osservarla
danzare era un’emozione fortissima, non riuscivo a staccare lo sguardo,
tuttavia
quella sensazione mi spaventava.
Cosa
mi hai fatto, candido giglio, che danzi come una farfalla sopra un
fiore, non
aspettandosi niente in cambio, e proprio per questo ottenendo tutto?
Tutto,
tutto il mio amore hai ottenuto. L’amore di una creatura immonda e
demoniaca,
che può solo portare distruzione…
Come
ogni sera, la ammiravo volteggiare sul palco, seduto nella mia morbida
poltrona
in velluto; eppure in quel momento non sarei voluto essere li, ma
vicino a lei,
e sfiorarla, baciarla, sentirla…
La
sua pelle candida brillava sotto la luce dei riflettori, e i suoi
capelli erano
come seta, lisci e color cioccolato, legati sulla nuca con dei nastri.
La
musica de “Il Lago dei Cigni”, su cui lei muoveva i passi, mi metteva
un po’ di
malinconia…
Non
mi accorsi neanche che gli strumenti avevano finito di suonare, tanto
ero
ammaliato da quella visione.
Il
teatro proruppe in applausi e ovazioni, mentre tutti i ballerini
regalavano
inchini e ringraziamenti. Lei stava al centro, e sorrideva radiosa.
Ah,
quanto era bella!
Avevo
perso totalmente la cognizione del tempo, quando qualcuno richiamò la
mia attenzione.
-
Signor Barone, la carrozza la attende… - mi disse un cameriere.
-
Arrivo. – mugugnai.
Il
sipario era calato, e il teatro si stava pian piano svuotando, così,
con gesti
lenti, mi alzai dalla mia poltrona e mi diressi all’esterno del
bell’edificio
neoclassico.
Salii
in carrozza, che mi riportava a casa, e proprio mentre giravo l’angolo,
la vidi.
Usciva
dal retro del teatro, con altri ballerini, e per un momento lanciò uno
sguardo
verso la mia direzione.
Nell’attimo
in cui i nostri sguardi si incrociarono ebbi conferma di una cosa: non
avrei
mai potuto rivelarle il mio sentimento.
Lei
era una creatura della luce, io dell’ombra; luce e ombra si respingono,
non
possono stare insieme, non possono convivere. L’ombra
distruggerebbe la luce…
Questo
era il pensiero che mi annebbiava la mente da un po’ di tempo, ed era
straziante e insopportabile. Era come se il mio cuore, per quanto non
battesse
più da tanto tempo, fosse dilaniato da mille coltelli e bruciato da
fiamme
ancestrali…
Avrei
voluto non soffrire così tanto, avrei voluto morire, scomparire,
semplicemente
non esistere più…
Il
sussulto della carrozza mi fece tornare alla realtà.
Notai
che finalmente ero arrivato al castello, così scesi dalla vettura con
uno
scatto e mi avviai verso casa con passo veloce.
Entrai
in biblioteca e mi sedetti nel divano, cercando di calmare quella
sensazione di
malessere e infinita tristezza che mi faceva venire voglia di piangere.
Inutile.
Non potevo piangere.
Potevo
solo tormentarmi e andare avanti.
Le
fiamme del camino scoppiettavano allegramente, davanti ai miei occhi,
ma io non
ne sentivo il calore. Però quel gesto, il gesto di accendere il fuoco,
mi
rallegrava un po’ l’animo.
I
miei servitori sapevano che non avevo bisogno di riscaldarmi, sapevano
che ero
diverso da ognuno di loro, tuttavia mi volevano bene, e ogni sera si
premuravano che io avessi tutto ciò di cui si dovrebbe aver bisogno.
Di
scatto mi alzai dal divano.
Non
potevo alternare amore e tormento. Avevo bisogno di una distrazione.
Dovevo
andare a caccia!
Gli
stretti vicoli dei bassifondi londinesi erano puzzolenti e sporchi, ma
per
trovare le mie prede erano sempre stati fruttuosi.
Camminavo
nell’ombra come un gatto, e al minimo rumore mi mimetizzavo per non
farmi
scoprire.
Un
accattone dormiva all’angolo di una strada semi-nascosta.
Era
lui. Era il mio cibo per quella
notte.
Mi
avvicinai, senza il minimo rumore, e lo misi seduto. Strano, non si
accorse di
niente. Si accorse, invece, di quando i miei canini brillanti gli
trapassarono
la pelle del collo, in cerca di quel meraviglioso nettare color rubino,
che mi
deliziava la lingua e placava il mio dolore.
L’uomo
cercava di spingermi via, ma io sentivo i suoi pugni sul mio torace
come il
solletico di una piuma… Non gridava nemmeno.
Mi
staccai all’improvviso.
L’uomo
mi guardò, anche se dubitavo mi avesse realmente visto in faccia, poi
si alzò
in piedi e, barcollando, scappò via terrorizzato.
Non
avevo mai commesso un omicidio.
Da
quando avevo iniziato a nutrirmi di sangue, non avevo mai ucciso
nessuna delle
mie vittime. Bevevo solo il necessario, solo la quantità che mi permetteva di sopravvivere.
Certo,
chi sarebbe mai venuto a conoscenza della morte di un barbone, solo,
senza famiglia
e abbandonato?
Avevo
comunque un profondo rispetto per gli umani, essendolo stato anch’io,
d’altronde.
Non
avrei mai potuto uccidere qualcuno; avrei aumentato il disgusto che
provavo nei
miei confronti.
Mi
ripulii la bocca, e tornai a casa mia.
La
sera seguente tornai al teatro. Dovevo
andarci. Era l’unico modo per poterla vedere.
Avevo
deciso che l’avrei ammirata da lontano. Tutto il mio profondo amore
sarebbe rimasto
sepolto nel mio cuore, senza vedere mai la luce.
Quando
nella sala si diffusero le prime note, e lei, timidamente, entrò in
scena, ebbi
un tremito.
Vederla
mi dava sempre quella sensazione.
Perché
dovevo soffrire così?
Lei
danzava, incurante degli sguardi del pubblico, trasportata da una
magica scia
di passione, con quell’espressione felice in volto che mi faceva
fremere.
La
danza era tutta la sua vita…
Vita,
vita effimera!
Avevo imparato troppo tardi quanto era preziosa, e ora non mi era
concessa
alcuna possibilità di tornare indietro…
Mi
sentivo come quel barbone: solo, abbandonato, condannato alla
solitudine per
tutta l’eternità.
La
musica svanì, come trasportata via dal vento del nord, e io mi
ritrovai,
sconvolto, seduto sulla solita poltrona.
Dovevo
andarmene, non resistevo più. Dovevo andar via per mai più ritornare.
Non
sarei più riuscito a guardarla, il mio cuore sarebbe esploso per tutto
l’amore
e il dolore che conteneva.
Con
furia, scesi l’enorme scalinata che conduceva all’uscita.
Poi,
accadde qualcosa che non avevo previsto, qualcosa che mi ridusse in
briciole e
mi spezzò l’anima.
Era
lei. Ma la ritrovai davanti.
Mi
bloccai a metà gradino. Stavo per svenire.
Lei
incedeva silenziosa, a testa china. Non mi aveva notato.
Quando
alzò lo sguardo, fui folgorato dalla bellezza dei suoi occhi: grandi,
dolci, di
un profondo color ambrato.
Anche
lei si bloccò, a pochi passi da me.
Si
strinse le mani al petto, imbarazzata. Le sue guance si tinsero di rosa
scuro.
Accidenti!
Mi faceva impazzire!
Pensai
che dovevo fuggire, ma in quel momento lei fece una cosa che mi
sconvolse.
Mi
sorrise.
Gli
angoli della sua morbida bocca si curvarono dolcemente, e il suo viso
si
illuminò.
Dovetti
reggermi al corrimano, altrimenti sarei caduto di sotto.
Lei
mosse un passo, facendo per proseguire.
Non
so cosa mi prese in quel momento, sicuramente una pazzia, perché la mia
mano si
mosse velocemente, e la bloccai per un polso.
Lei
si voltò, e mi fissò interrogativamente.
Ebbe
un brivido, forse a causa della mia pelle fredda, ma non ebbe paura.
Semplicemente era incuriosita.
-
Aspetta… - sussurrai. – Come… qual è il tuo nome? – le chiesi.
Lei
mi si avvicinò di nuovo. La nostra pelle era ancora in contatto.
-
Mi chiamo Etain. – disse.
Etain
Il
punto dove la sua mano mi bloccava sembrava prendere fuoco.
Era
strano, perché in fondo, la sua pelle era gelida.
Stava
succedendo davvero? Stava succedendo proprio a me?
Avevo
sempre sognato quel momento, da quando lo avevo visto la prima volta
osservarmi
durante un mio spettacolo.
Non
avevo più dimenticato quel viso, quello sguardo. Era un principe!
-
Etain… - mormorò, con la sua voce sensuale. – È un nome bellissimo. –
Abbassai
lo sguardo, non riuscendo a sostenere il suo.
Ma
perché gli ho sorriso? È stato un riflesso incondizionato… Forse è
stata
l’emozione di ritrovarmelo davanti!
-
Significa “eden”. – dissi io.
-
Allora è fatto su misura per te. – continuò lui.
Il
mio cuore stava per esplodere, me lo sentivo.
-
E lei, come si chiama, signore? – chiesi. Sapevo che era un nobile, ma
non ne
conoscevo il nome.
-
Io sono il Barone di Bloodless Hill, il mio nome è Dimitri. –
In
quel momento, mi resi conto che così non poteva andare. Cosa mi
aspettavo? Un
saluto era un saluto, e basta.
Pensavo
forse che sarebbe cambiato qualcosa nella mia vita?
Avrei
continuato a vivere come al solito, solo, il mio progetto di suicidio
sarebbe
stato rimandato.
Già,
volevo togliermi la vita, perché ormai non avevo più ragioni per cui
lottare.
Per
cosa avrei dovuto lottare? In fondo non mi era rimasto più niente.
C’ero solo
io, e nulla più...
Però...
ripensandoci... mi era rimasto qualcosa... il meraviglioso sguardo di
un uomo,
che poi tanto uomo non era...
-
Etain, vorresti venire una sera a danzare nel mio castello? – mi chiese
lui
all’improvviso.
Spalancai
gli occhi.
Non
potevo credere a ciò che mi chiedeva.
Sembrava
un po’ esitante, ma i suoi occhi erano fermi e sicuri.
-
Sarebbe un onore per me. – risposi, facendo un piccolo inchino.
-
Ti prego! – esclamò lui, prendendomi anche l’altra mano. – Non fare
riverenze e
non darmi del lei! Chiamami semplicemente Dimitri! –
Corsi
come una forsennata fino al mio camerino, dove mi accasciai sulla
poltroncina.
Respiravo
affannosamente, e mi tenevo il petto.
Il
mio stomaco si era stretto in una morsa, e non intendeva sciogliersi.
Avrei
voluto sfogarmi, gridare forte…
La
sera successiva avrei danzato solo per lui, per il mio meraviglioso
principe.
Poi,
un pensiero mi colse. E se invece era sposato?
Se voleva farmi danzare per allietare una delle sere della moglie?
Precipitai
nuovamente nello sconforto, tornando a meditare sul suicidio, ma la
forte emozione
provata poco prima, e la disperazione, mi fecero cadere in un sonno
profondo.
La
sera seguente, una carrozza sfarzosa, guidata da tre coppie di cavalli
neri
venne a prendermi.
Imbarazzata,
vi salii, e sprofondai in uno dei sedili, morbidi, di seta rossa.
Ero
emozionatissima all’idea di rivederlo, ma anche estremamente
terrorizzata
all’idea che avesse una sposa bellissima.
Se
fosse stato così il mio cuore si sarebbe spezzato irrimediabilmente, e
niente
sarebbe bastato a rimetterlo a posto, niente.
Tutto
l’amore che provavo per il mio bel principe, sarebbe stato spazzato via
come
sabbia del deserto, e non sarebbe rimasto altro che un guscio vuoto, il
mio
corpo.
Giungemmo
presto al castello, e il cocchiere mi aiutò a scendere.
Esitai.
-
Tutto a posto, signorina? – mi chiese.
Gli
sorrisi, annuendo, ma in realtà ero tesa e nervosa.
-
Signore, posso farle una domanda? – dissi io.
Il
cocchiere era ben disponibile a rispondermi.
-
Il Barone, per caso ha una moglie? –
L’uomo
scoppiò in una fragorosa risata e io non sapevo se rallegrarmene o
disperarmi.
-
Il Barone? Sposato? Ma chi mai ha inventato una simile idiozia? -
Tutta
la disperazione e il tormento che avevo maturato svanì come neve al
sole, e
anche a me venne da ridere.
-
Nessuno! Nessuno ha detto questo, stia tranquillo! – dissi al
cocchiere. Risi
davvero di gusto, sollevata e felice, al punto che quasi mi veniva da
piangere!
-
Venga, la accompagno dentro! – continuò il cocchiere, e mi prese sotto
braccio.
Il
castello era immenso. Se all’esterno ricordava Versailles, all’interno
era
l’esatta copia del Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo.
I
soffitti affrescati facevano da cielo a stanze riccamente arredate, a
saloni da
ballo, a camere per gli ospiti.
Rimasi
di stucco quando entrai nell’androne principale e vidi le due enormi
scalinate
curve che salivano al piano superiore.
Tutta
la bellezza del palazzo, però, si portò in secondo piano, quando vidi
che da
una scala scendeva l’uomo che avrebbe potuto vanificare la mia
intenzione di
suicidio.
-
Dimitri… - mormorai.
Lui
mi si avvicinò, e io arrossii come il giorno prima al teatro.
Mi
prese una mano e se la avvicinò alle gelide labbra. La sfiorò appena,
ma io
sentii lo stesso un forte fremito percorrermi tutta l’anima.
-
Benvenuta. – disse in un soffio.
Io
quasi mi sciolsi.
-
Grazie… - risposi io. – È magnifico qui… -
Dimitri
mi sorrise. Mi sorrise! Avrei potuto anche morire, a quel punto, perché
mi
aveva fatto il più bel regalo che potessi immaginare.
-
Andiamo? – mi disse, prendendomi sotto braccio.
Solo
in quel momento mi ricordai che ero andata li per danzare.
Mi
condusse in un bel salone, dove si trovava un grande palco in legno di
cedro.
Da
un lato invece si trovavano tanti strumenti diversi: pianoforte,
clavicembalo,
violoncello, flauti e tanti altri.
-
Se vuoi cambiarti, ti ho messo a disposizione alcuni abiti e delle
scarpette da
ballo. – mi disse Dimitri, e aprì una porta che dava su un’altra stanza.
Vi
entrai, e notai che era una stanza guardaroba.
La
camera era completamente stipata di manichini e stampelle, che
reggevano
meravigliosi abiti da ballerina. L’unico elemento di arredamento era un
divano
sul fondo della stanza, su cui erano poggiate alcune paia di scarpette
da ballo
di diverso colore, e un sacchetto, che conteneva un paio di nastrini
per
capelli, esattamente identici a quelli che usavo durante i miei
spettacoli.
Rimasi
davvero meravigliata, non me lo aspettavo proprio!
Gli
abiti erano tutti stupendi, e alla fine decisi di indossarne uno
bianco, con
alcuni dettagli verde chiaro.
Mi
legai i capelli con i nastri bianchi che poi indossai le scarpette,
bianche
anch’esse. Mi stupii, aveva indovinato la misura esatta.
Uscii
timidamente dalla stanza, e feci qualche passo avanti.
Dimitri
non si era accorto di me, e così potei osservarlo per un attimo.
Aveva
in mano un violino, e con l’archetto, solleticava dolcemente le corde,
forse
per accordarlo.
Ero
incantata da quella visione.
La
sua espressione concentrata mi faceva restare senza fiato, e quella
sensazione
strana allo stomaco era tornata.
Si
voltò all’improvviso, accorgendosi in quel momento che ero pronta.
Rimase
immobile a fissarmi, poi disse: - Sembri un angelo… -
Io
arrossii, e mi misi le mani sul viso.
-
Scusa, ti ho imbarazzata? – mi chiese lui, e io mi scoprii il volto,
trepidante.
Annuii,
sorridendo.
Lui
mi tese una mano, che io accettai, e mi portò fino al palco, dove mi
aiutò a
salire.
-
Suonerò io. – disse.
Io
respirai profondamente. Avevo il respiro corto, e non doveva essere
così. Se
volevo ballare al meglio dovevo concentrarmi.
Feci
qualche esercizio di riscaldamento, poi dissi a Dimitri: - Sono pronta.
–
Mi
misi sulle punte, pronta ad cominciare, quando accadde.
Iniziò
a suonare.
Quella
musica non aveva niente di umano! Era un qualcosa sconosciuto alle
persone.
Era
la voce degli
angeli!
Sulle
note di quella musica divina mi misi a danzare, rapita, come in trance,
mi
colmava, e io non potevo farne a meno, quella musica doveva essere mia!
Sentivo
lo sguardo di Dimitri che mi seguiva, e io lo ricambiavo, grata a lui
per
avermi fatto conoscere quella melodia angelica che mi trasportava, e mi
distruggeva al tempo stesso.
-
Etain! – esclamò all’improvviso Dimitri, abbandonando il violino da una
parte e
correndo verso di me.
Perché
si era fermato? Perché non continuava a far parlare ancora il suo
violino?
-
Etain, tutto bene? – mi chiese.
Certo
che andava tutto bene! E allora perché avevo le guance bagnate di
lacrime?
Mi
guardai intorno, e mi accorsi di essere seduta sul palco, in lacrime.
Che
stupida!
-
Si. Va tutto bene. – dissi, mentre davo libero sfogo alle lacrime.
-
Ma perché piangi? – mi chiese, preoccupato.
Io
risi, pur continuando a piangere. – È la tua musica! È… la musica degli
angeli!
–
Anche
Dimitri rise, e con un gesto rapido mi prese in braccio, come una
principessa.
-
Che… che fai? – mormorai, asciugandomi le lacrime.
Lui
mi zittì dolcemente, e mi portò verso la stanza guardaroba.
Tolse
tutte le scarpette dal divano, poi mi ci fece sdraiare.
-
Hai il battito accelerato, stai sdraiata. Vuoi dell’acqua? – mi disse.
-
No aspetta! Non ce n’è bisogno! – esclamai, mettendomi seduta.
Eravamo
vicinissimi.
-
Ti sei già ripresa? – mi disse Dimitri, sedendosi di fianco a me.
Annuii.
– Mi dispiace… -
-
Ma che dici? – fece lui. – Sapere che la mia musica ti ha emozionata
fino a
questo punto mi colma di gioia! –
Io
sorrisi.
Eravamo
davvero tanto vicini. Forse troppo.
Posò
la sua mano forte sulla mia guancia. Il freddo della sua pelle mi
confermava
l’idea che avevo teorizzato: lui, come la sua musica, non era umano.
Stranamente
non mi spaventava, semplicemente non mi importava.
I suoi occhi si posarono
sulle mie labbra.
Chissà cosa stava pensando…
Mi
avvicinai lentamente, come fece anche lui, e in un attimo ci fondemmo
nel bacio
che avevo da sempre atteso.
Intrecciai
le mie dita tra i suoi capelli corvini, attirandolo a me sempre di più.
Come
avrei fatto da allora in poi? Non sarei più potuta sopravvivere senza
di lui,
senza i suoi baci.
Ci
staccammo improvvisamente.
-
Che cosa sto facendo! – esclamò lui, prendendosi la testa tra le mani.
Io
non capivo. Era tutto così perfetto! Avevo trovato finalmente la
ragione della
mia vita, era lui!
-
Perché dici così? – dissi, alzandogli il viso all’altezza del mio.
-
Non possiamo stare insieme, noi… - mormorò lui.
L’espressione
di dolore che aveva in viso mi lacerava.
-
Non è vero… - cercai di replicare io, ma Dimitri chinò il capo
sconsolato.
-
Non si può, Etain, noi due siamo esseri opposti! –
-
Non mi importa! – ribadii. – Purché io possa restare con te mi va bene
tutto! –
Dimitri
mi fisso confuso.
-
Vuoi… vuoi restare con me? – mi chiese.
Annuii
scuotendo la testa. – Lo voglio più di ogni altra cosa al mondo! –
Per
un attimo parve ritrovare la felicità di prima, ma in un istante
scomparve di
nuovo.
-
Ma noi… potrei farti del male, e non voglio che tu corra questo
rischio! –
Stavo
per rimettermi a piangere.
Chinai
la testa all’indietro, scoprendo il collo.
-
Fammi diventare come te, così non correrò rischi. – gli dissi. Tremavo.
-
Tu… tu sai? – disse Dimitri. Tremava anche lui.
Mostrai
di nuovo il collo.
Con
mia sorpresa, lui trattenne una risata.
-
Sei proprio sicura? Sei certa di voler passare tutta l’eternità insieme
a me? –
Mi
avvicinai a lui e gli presi il viso tra le mani.
-
Io mi volevo suicidare, non avevo
più ragioni per continuare a vivere, ma adesso ne ho trovata una! Sei tu, la mia ragione! È stato vedendoti
al teatro che sono riuscita ad andare avanti!-
Lo
fissai intensamente negli occhi scuri.
-
Io ti amo! - gli dissi, cercando di
fargli capire quanto il mio cuore traboccava d’amore per lui.
Dimitri
si irrigidì, poi si voltò piano.
-
Anche io ti amo. Ti amo Etain, ti amo! –
Non
ci credevo! Non credevo che tutto quello che desideravo si stava
avverando!
Dimitri
mi amava! Amava proprio me!
Mi
avvicinai, sorridente, e lo baciai con passione.
Lui
rispose a quel bacio, stringendomi in un abbraccio e al tempo stesso
infuocato.
Le
sue labbra si spostarono dalle mie, scendendo lungo la linea della
mandibola e
arrivando fino al collo, dove pulsava la vena.
Chiusi
gli occhi. Sapevo ciò che doveva succedere, ma non ne ero spaventata.
-
Non pensare al dolore, pensa solo che dopo avremo tutta l’eternità da
passare
insieme…- disse lui, e io gli cinsi il torace con le braccia.
Ero
tranquilla, perché stavo con lui.
I
suoi denti premettero contro la mia pelle, sempre più forte, finché la
lacerò.
Trattenni
un grido, mentre Dimitri beveva il mio sangue, cercando di fare il più
in
fretta possibile per non farmi soffrire.
Poi,
non seppi quanto tempo era passato, si staccò, baciandomi sulla ferita
da lui
stesso causatami.
Mi
sentivo strana.
Avevo
la vista annebbiata, e il mio corpo aveva una percezione diversa della
realtà.
Sembrava
che tutto andasse molto più a rallentatore.
Vedevo
le pieghe dei miei abiti muoversi lentamente, sentivo suoni
impercettibili come
l’aria che filtrava dagli spifferi delle finestre.
Sbattei
le palpebre.
Ora
vedevo un po’ meglio, non più annebbiato, ma era davvero molto…
bizzarro.
La
cosa che mi stupì di più era che riuscii a vedere i granelli di polvere
sul
pavimento.
-
I tuoi camerieri non si danno tanto da fare… - dissi, scherzando, a
Dimitri, ma
quando lo vidi non riuscii più a parlare.
Era
come se fino ad allora avessi guardato quell’uomo avendo davanti un
velo
grigio.
Ora
che avevo la vista, come la
chiamavo
io, potevo vederlo in tutta la sua bellezza e straordinarietà.
Era
un dio sceso sulla Terra, era una
creatura modellata dagli angeli, la creatura più incredibile e stupenda
che si
fosse mai vista.
-
Sei bellissimo! – mi uscì dalle labbra, inconsciamente.
Lui
rise, ed io ebbi un colpo al cuore che, mi accorsi, era fermo.
Dimitri
mi sciolse i capelli dai nastri, e me ne legò uno al collo, facendo un
bel
fiocco, per coprire i buchi dei suoi canini, che si erano già
cicatrizzati.
L’altro
fiocco lo legai io al suo collo.
-
Ora potremmo restare insieme per tutta l’eternità. – disse.
-
Già, avremmo tutta l’eternità per amarci! – risposi, baciandolo.
Rise
di nuovo.
–
Perché non iniziamo subito? – mi propose, spingendomi dolcemente sul
letto, e
iniziando a slacciare il mio corsetto.
Mi
sentivo ancora un po’ intontita dalla trasformazione, ma anche piena di
nuove
energie e sensazioni che prima non avrei potuto nemmeno immaginare...
Lo
lasciai fare con calma concentrandomi sulla forte percezione che avevo
delle
sue mani forti che accarezzavano il mio corpo.
Mentre
le sue labbra si fondevano nuovamente con le mie compresi una cosa, una
cosa
molto importante che forse anche Dimitri aveva capito: non esistono
persone
buone o cattive, ma solo persone che attuano delle scelte.
Sono
le nostre scelte che ci guidano durante la vita, e la mia scelta era
stata
quella di seguire quella creatura meravigliosa anche oltre la vita, per
tutta
l’eternità.
Oh,
che emozione! Questa è la mia prima fan fiction sui vampiri...
Non
avendone mai scritta una sono un po’ sulle spine...
La
storia è ambientata verso la metà dell'800, e si svolge tra
Londra e una
zona di mia invenzione che dovrebbe trovarsi nei pressi della città.
Però,
che dire, adoro sia Dimitri che Etain, forse perché sono così fragili,
anche
teneri però!
Volevo
precisare una cosa che purtroppo non ho potuto spiegare durante la
storia, perché
raccontata in prima persona.
Ho
un po’ personalizzato la questione della vampirizzazione...
Allora...
per vampirizzare è necessario bere più del 70% del sangue della
vittima, per questo
il vagabondo non è stato trasformato, mentre Etain
invece si.
Bene,
spero che questa storia vi sia piaciuta, e spero anche di tornare
presto a
scrivere di vampiri! Alla prossima! ^^