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Autore: Umpa_lumpa    03/07/2009    6 recensioni
Altro piccolo scorcio dell'infanzia di L [nota OOC inserita per sicurezza] Per maggiori dettagli guardare all'interno^^
L contemplò estatico quel capolavoro, solo una lieve nota d’impazienza trapelava dai suoi occhi. Infine si decise ad addentare la crepe, ostacolato dallo scomodo cartone. Masticò con aria assente, come se effettivamente non stesse compiendo il gesto – il naso imbrattato appena di cioccolato – alimentando l’impazienza dell’adulto. Infine, ingoiò, strabuzzando ancor di più gli occhi e massaggiando le labbra fra loro con estrema lentezza.
-allora? Cosa ne pensi?
-Detto con sincerità, signor Whammy, è squisita
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: L
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: allora...cosa dire? Innanzittutto, questa storia, proprio come la precedente, era stata inizialmente concepita come una di quelle mini-storie per una round robin. L'ispirazione mi era venuta guardando il film "L change the world", alla vista del furgoncino rosa con la scritta "Angel crepes" da cui ho parzialmente tratto il titolo, modificandolo appena. Ad ogni modo, a differenza di "Pitagora", ho sviluppato questa storia come una one-shot. Penso sia abbastanza IC, eccetto per il finale. A dire il vero, nella mia testa era IC, ma temo di averlo reso in maniera inappropriata, fino a farlo diventare OOC. Lascio comunque il giudizio a voi^^ Tanto per fare qualcosa di originale, non sono soddisfatta del risultato XD Ma almeno la prima parte della storia mi piace, e questo è già un passo avanti, no? Beh, ora basta cianciare XD  Buona lettura^^


Angel’s crepes



Chino su di lui, aggiustò energicamente il colletto del cappotto un po’ logoro per coprire meglio quel bambino che, frattanto, manteneva uno sguardo fisso e vuoto sulle leggere e silenziose goccioline che picchiettavano con insistenza sull’asfalto grigio.

Quando erano usciti, il signor Whammy non aveva dato troppo peso a quella condensa grigia di nuvole compatte e allo stesso modo inconsistenti. D’altronde, non è altro che routine per un Londinese, niente che costringa a prendere l’ombrello. E invece, contrariamente ad ogni sua previsione, si era ritrovato a lottare, senza perdere la sua usuale e perenne compostezza, contro la fanghiglia di un parco deserto.
Il piccolo L, dal canto suo, sembrava compiaciuto da quella doccia naturale, tanto da lasciare che la pioggia impregnasse i suoi scomposti capelli corvini, facendoli aderire mollemente alle guance a dir poco nivee. Ogni tanto alzava un poco il viso per godersi lo spettacolo di quel gioco d’acqua, oppure, pensieroso, osservava le gocce scivolare languidamente sulle maniche del cappotto, o ancora, si limitava a fissarle mentre si rompevano e scindevano al suolo.

Il signor Whammy, nelle ultime settimane, si sentiva molto più vicino a quel bizzarro ragazzino di quanto non lo fosse stato prima. Se i primi tempi era semplicemente incuriosito dalle sue bizzarre abitudini e dalla difficoltà nel comprendere quel che passasse per la sua testa, di recente aveva cominciato a scorgere il suo aspetto più…umano.
E si era ritrovato a pensare che questo fosse ancora più curioso delle sue assurde consuetidini.
In quel momento stesso, ad esempio, si chiedeva come uno dei componenti più promettenti dell’istituto riuscisse a rimanere catturato da qualcosa di così comune e semplice come la pioggia. Il vestito ormai zuppo lo distolse dai suoi pensieri.

-Quindi, L?

-Cioccolata e fragole, per favore. – disse sfiorandosi delicatamente il labbro con il pollice. L’adulto annuì impercettibilmente, per poi avviarsi verso il furgoncino rosa brillante – accecante persino in quell’opprimente grigiore pomeridiano – affacciato sul ciglio del marciapiede. La scritta “Angel's crepes”, fatta ad imitare una calligrafia manuale, spiccava sulla fiancata sinistra.

Ne tornò poco dopo con uno strano involucro triangolare in mano, il tutto sotto lo sguardo attento e celatamente curioso del più giovane. Lo porse a quest’ultimo che, titubante, afferrò i due angoli superiori fra gli indici e i pollici delle mani: la pasta sottile di quello strano dolce, mai visto prima, a stento non collassava per via dell’eccessiva quantità di crema al cioccolato e i pezzi rossi e succosi della fragola sporgevano pericolosamente all’esterno, mentre lo zucchero a velo, appena intravedibile, coronava il tutto.
L contemplò estatico quel capolavoro, solo una lieve nota d’impazienza trapelava dai suoi occhi.
Infine si decise ad addentare la crepe, ostacolato dallo scomodo cartone. Masticò con aria assente, come se effettivamente non stesse compiendo il gesto – il naso imbrattato appena di cioccolato – alimentando l’impazienza dell’adulto. Infine, ingoiò, strabuzzando ancor di più gli occhi e massaggiando le labbra fra loro con estrema lentezza.

-…-

-allora? Cosa ne pensi?

-Detto con sincerità, signor Whammy, è squisita

L’uomo gongolò un poco, tentando di nascondere l’evidente soddisfazione. L, dal canto suo, lo ignorò bellamente, divorando la crepe in pochi secondi, palesemente contento della nuova esperienza. Infine, si pulì gli indici sui jeans, mentre l’uomo lo scortava all’auto, ponendo, così, fine alla loro “gita” settimanale.




***


Non poté fare a meno di abbandonarsi a quella fastidiosa sensazione di vuoto.
 
Aveva passato la notte intera a scandagliare con maniacale attenzione ogni fonte d’informazione presente su internet, a discapito, persino, della nazione di provenienza. Le ore erano trascorse incastrate fra righe fittizie di caratteri di ogni genere, sprigionando macabre notizie che il suo cervello aveva diligentemente immagazzinato e, lì dove ve ne era stata la necessità, analizzato.

Tuttavia, un po’ di tempo dopo, aveva d’improvviso interrotto questo rituale – discostandosi dalla ciclicità delle sue insolite abitudini-, con il solo scopo di non fare nulla.
Si era appollaiato sul davanzale della finestra, raccogliendo le ginocchia al petto come di consueto, e, appoggiando delicatamente la fronte contro il vetro, aveva inclinato un poco la testa di lato, abbandonandola a quella posizione in un atteggiamento quasi d’inerzia. Apparentemente, non vi era nulla di poi così bizzarro, visto che persino la sua espressione vacua risultava consona allo stato pensieroso nel quale, di solito, si avvolgeva.
Tuttavia, L non stava affatto riflettendo.
Per essere precisi, la sua mente era totalmente sgombra, vuota.
E questo non era da lui.
Aveva letto di almeno una decina di omicidi quella notte, ma si era ritrovato a fissare l’alba, accantonando nel dimenticatoio qualsiasi caso: il cielo, torbido nella sua parte inferiore, quasi fosse stata ancora notte fonda, sfumato da pennellate arancioni poco sopra, come stesse andando a fuoco, e, infine, rischiarato da un azzurro spento in cima, risultava pretenzioso in quel suo atto di virtuosismo. Chiuse gli occhi per proteggerli da quella luce così fievole, e per questo tanto fastidiosa; non poté fare a meno di trovare tutto quello insopportabilmente noioso.

Infine, si grattò un poco le ginocchia, accarezzando la stoffa ruvida dei suoi jeans, per poi sospirare quasi impercettibilmente e scendere dal davanzale.
Gli era venuta, stranamente, voglia di crepes.  


***


La settimana seguente, il signor Whammy ritenne opportuno far ripetere l’esperienza ad L. A dire il vero, non è che ne avvertisse, in effetti, una particolare necessità, tuttavia provava un’intima soddisfazione nell’avergli procurato qualche minuto piacevole, o forse sarebbe meglio dire nell’aver scatenato in lui una reazione in qualche modo differente. L’espressione era la stessa, apatica e scostante, e questa toccava ogni cosa intorno a lui con sufficienza.
Ma qualcosa non era la solita; ciò, ovviamente, non significava che sapesse bene identificare cosa.

Ad ogni modo, tale era il suo buonumore che persino la prospettiva di ore passate a strofinare macchie di fango incrostate sui pantaloni e di polpastrelli resi bianchi dal sapone non lo allarmavano, né provocavano in lui quel moto di repulsione, di solito naturale. Chiariamoci: non che fosse schizzinoso. Semplicemente, detestava il disordine.

Tornando a noi, l’uomo aspettò pazientemente l’arrivo del furgoncino rosa, risplendente sotto la luce diurna, per poi dirigersi verso di esso e prendere un dolce per il ragazzo.

Quest’ultimo, però, non sembrava prestare la minima attenzione a quel procedimento. Difatti, sebbene in quei giorni avesse occasionalmente concepito quel bizzarro capriccio –sì, perché non era un bisogno, ma solo un capriccio- , la sua concentrazione era totalmente calamitata dalla gente intorno a lui, dai bambini festanti che giocavano fra loro e dalle mamme apprensive che correvano affannate da una parte all’altra. Era strano come la confusione, elemento che detestava, poiché lo ostacolava nella sua ricerca di pensiero, invece di costituire un’indesiderata distrazione, si stava dimostrando solo come un curioso passatempo atto a riempire quel vuoto mentale che, ebbene sì, ancora non lo aveva abbandonato. Non che si sentisse effettivamente interessato o attratto da qualcosa di così comune, ma, in un certo senso, persino la banalità costituiva pur sempre qualcosa in grado di distrarlo dalla sua apatia (per una volta davvero reale), in modo che quasi non se ne accorgesse.

Si accucciò su una panchina, incavando la testa nelle spalle e comprimendo il resto del corpo nella solita maniera, per poi tornare ad essere un semplice e neutro spettatore.

Per quaunque londinese quella sarebbe stata la giornata perfetta:il sole, seppur pallido, illuminava la città, quasi avvolgendola in quello che appariva come un tepido alone, e le strade sembravano rischiarate da quell'idilliaca atmosfera, tanto che la sola prospettiva di rimanere chiusi in casa dava l'impressione di gettarsi in pasto al suicidio.
Il parco poi, custodiva con tanta gelosia la rigogliosità e la rugiada di ogni filo d'erba che anche il più impegnato uomo d'affari avrebbe sprecato 5 minuti del suo prezioso tempo per una passegiata.
Londra appariva quasi come una vecchia e stanca signora, di cui i segni del tempo si lasciavano intravedere, senza, però, segnarla del tutto, conferendole, nel complesso un'aria serena ed imperturbabile.

Proprio per questa atmosfera rassicurante il parco pullulava di bambini, mentre coppiette camminavano tenendosi per mano, sussurrandosi parole d'amore, appena udibili fra il chiacchiericcio generale ed il cigolio delle altalene ormai vecchie.

All'improvviso, però, qualcosa lo distrasse da tutto quello, quasi cancellandolo ai suoi occhi.
C'era qualcosa, in quel parco, che si discostava da tutto il resto. Non seppe spiegarne il motivo (il che, vista la piega assunta negli ultimi tempi, nemmeno lo stupiva più di tanto), ma il suo corpo si diresse verso quel punto meccanicamente, quasi come se anima e raziocinio fossero ormai due entità distinte, lontane fra loro e morte, impazzite di fronte ad un'incontrollabile corrente trascendentale.

Ad ogni modo, sfruttando la sua agilità e la sua costituzione esile, sgattaiolò fra alcuni cespugli fino a ritrovarsi in un piccolo spiazzo naturale.
Si tolse infastidito le scarpe, anch'esse un po' logore, che il signor Whammy gli aveva costretto ad indossare, godendo appieno della sensazione fresca e solleticante procuratagli da quel tappeto erboso, di un verde intenso. Infine, si guardò un po' intorno, osservando attento gli alberi vecchi e rinsecchiti che delineavano quella nicchia naturale, e i cespugni di rovi.

Probabilmente, viene spontaneo chiedersi cosa mai potesse averlo attirato in quel posto, e a dire la verità per qualche mometo si interrogò lui stesso a riguardo, per poi giungere alla conclusione che la chiave di tutto fosse il silenzio che gravava sull'intero luogo, quasi sovrumano nel suo assolutismo. Nessun suono, a partire dalle grida delle madri per finire con il rombo delle macchine che, prepotenti, scivolavano sull'asfalto, era più udibile, quasi come se, invece di superare qualche barriera arborea, avesse oltrepassato un misterioso portale, ritrovandosi in un mondo parallelo, o in un altro tempo, dopo chissà quanti anni.
Per un attimo, ebbe quasi la tentazione di guardarsi le mani per vedere se fossero diventate raggrinzite e nodose sotto il peso del tempo, ma poi, prima che il suo raziocinio potesse sprofondare ancora più giù del fondo - ahimè!- già toccato, si rese conto di quanto tutto quello fosse ridicolo. Quindi, si concesse qualche secondo per ricomporsi, e per tentare di recuperare quel distacco e quella razionalità che lo contraddistinguevano e che, da qualche giorno a quella parte, sembravano essere sprofondate sotto il peso di una gravosa noia.

-chi sei?

Si girò di scatto, senza tradire la minima sorpresa.
L'acuta e stridula vocina - pensò subito che fosse oltremodo fastidiosa - proveniva da una graziosa bambina, di tipici tratti albionici, accovacciata scomposta sull'erba, ai limiti della piazzetta naturale.
 
-tu?

-l'ho chiesto prima io! - rispose evidentemente irritata. Poi ripetè: -chi sei?

-Se tu hai diritto a non rispondere, altrettanto ne ho io.

-Sei scemo. E parli anche in maniera strana.

L sospirò pesantemente, come per scaricare la frustrazione accumulata in un solo soffio. Ad occhio e croce, quella bambina doveva avere pochi anni meno di lui: i suoi occhi vispi lo fissavano lambiti da una vuota intensità, mentre una strana smorfia le storpiava il viso. Dopotutto, non sembrava molto intelligente.

-Bleah! Sei senza scarpe!...Ma che schifo!

-...-

-La mamma dice che solo gli straccioni non hanno le scarpe, quindi tu sei un poveraccio.

L, a quelle parole, non poté fare a meno di rivolgerle uno sguardo di sufficienza, roteando, poi, gli occhi al cielo e trattenendosi dallo sbuffare ancora. Ogni parola in più proferita da quella bambina costituiva un'ulteriore, schiacciante dimostrazione della sua idiozia.

-Non le indosso poiché le trovo alquanto scomode e costrittive.

-Allora sei scemo

Già...perché sprecarsi a rivolgerle la parola? pensò annoiato.

-e sporco -riprese quella - se mi attacchi qualche malattia, mia madre ti fa arrestare! -concluse alzando il nasino all'aria, in un movimento superbo e stizzito.

Ma ormai L non l'ascoltava più, calamitato dal sussurrare delle fronde e da quei raggi di sole che, intrusivi, si facevano strada tra gli arbusti, carezzando ogni foglia e rischiarando di un pallido bagliore la sua pelle troppo bianca. D'altronde, perchè attardarsi a prestarle attenzione quando era certamente preclusa ogni possibilità di ottenere in cambio una risposta degna di nota o, quantomeno, vagamente intelligente?

La sua "compagna" doveva essersi accorta della superba indifferenza riservatagli, perchè cominciò a stropicciarsi la gonnellina con nervosismo, e a mordersi il labbro inferiore con forza.

-Non vorrei che mi attaccassi la tua bruttezza!

-sei noiosa

-e tu sei brutto

Sbuffò di nuovo. Si ritrovò a pensare, piuttosto sconcertato, di non riuscire a farne a meno.

-Semttila, scemo!

-Quantomeno, un minimo di originalità sarebbe gradita.

Udì uno stridore acuto e irregolare: la bambina, evidentemente furibonda, stava digrignando i denti e, serrate le labbra, si tratteneva a stento dall'urlare, emettendo, in cambio, quel fastidioso suono.
Ed L sorrise.
Non è che fosse uno di quei ghigni che mostrano file di denti bianchi e luccicanti, ma solo una lieve incurvatura della bocca, talmente nascosta da essere appena distinguibile dall'usuale linea dritta in cui si esibivano le sue labbra sottili. Eppure, non era proprio riuscito ad evitarlo: per qualche motivo a lui ancora sconosciuto, trovava tutto quello alquanto divertente.


-Smettila!

-Di fare cosa?

-Di trattarmi come una stupida!

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo qualche attimo, appoggiando l’indice della mano destra sul labbro inferiore della bocca impercettibilmente aperta, così come, ogni tanto, usava fare mentre rifletteva su qualcosa. Infine, riabbassò il capo, fissandola con un’espressione ingenua e priva di malizia.

-Ma  lo sei…- disse pacatamente; la sua voce sembrava voler sottolineare l’ovvietà di una simile affermazione, con tale innocenza che la stessa bambina si chiese se questa fosse vera, e non un’ulteriore presa in giro. A dire la verità, L non lo aveva detto per spingere l’irritazione della sua interlocutrice oltre i limiti umani. In realtà, era più che convinto della sua affermazione: non che, in effetti, non avesse potuto mascherarla con qualche piccola bugia – e la qual cosa sarebbe di certo risultata alquanto divertente– oppure rispondere con qualche studiata provocazione.
Semplicemente, in quel frangente non ne aveva visto né alcuna necessità, né alcun guadagno, e nella sua mente si era quasi annidata la convinzione che fosse un crimine rifilare qualche falsa idiozia a quella ragazzina che proprio non sopportava.
Sostanzialmente, proprio per questo motivo.

Era così immerso in questi pensieri che non si accorse nemmeno che la compagna, attirata dalle grida di un adulto (con ogni probabilità il padre), aveva smesso di tirargli con stizza i sassolini contro le scarpe logore, le gambe sottili e le ginocchia appena intravedibili sotto la stoffa dei pantaloni. Difatti, si riscosse solo quando avvertì le spesse dita del signor Whammy adagiarsi delicatamente sulla sua spalla, facendo sì che un fastidioso brivido gli percorresse veloce l’intero braccio.

-E’ tardi, L. Andiamo.

Il ragazzo non discusse, seguendo passivamente l’imponente figura del suo tutore.

Nel frattempo, la bambina seguiva trotterellando suo padre, mentre la moglie li aspettava pazientemente al posto di guida di un furgoncino rosa sfavillante – ancora impregnato del dolce aroma delle crepes- , pronta a mettere in moto.
Suo malgrado, non poté fare a meno di sorridere ancora, quasi fosse stato per lui un gesto usuale, e di sentire i residui di una qualche scarica di adrenalina animargli l’intero corpo. Poteva affermare al 97% che odiava quella ragazzina: lei che non gli aveva rivolto altro che insulti e giudizi superficiali, lei che non era stata trattata in altro modo, se non per la stupida che era.

Tuttavia, lei da sola era riuscita a spezzare, anche se solo per poco più di un’ora, la monotonia, la noia di una vita tutta uguale, seppur giusta. E per questo, L non poteva evitare di considerarla quasi come un’involontaria, insopportabile salvatrice: in un certo senso, il suo angelo senza ali, senza tunica, priva di qualsiasi misticismo e rilevanza. Però, il suo angelo.

-Non l’hai ancora mangiata; l’avevo presa per te, dopotutto. –disse il signor Whammy allungando una crepe riempita di pezzi di banana annegati nella cioccolata. L sembrò rifletterci su, quasi tentato di afferrare il dolce.  
Ma poi, sotto lo sguardo stupito dell’uomo, che aveva quasi aperto gli occhi di solito strizzati, tanta la sorpresa, rifiutò, infilandosi nella grande macchina scura.

-Ma…perché?- chiese l’altro, senza ricevere risposta.

No, L pensò che non avrebbe mai rovinato tutto quello rendendo qualcosa di così speciale come quella crepe un’abitudine scontata e ripetitiva. Così, i due lasciarono il parco in silenzio, guardando entrambi verso un odioso e accecante furgoncino rosa.     



Beh, eccoci alla conclusione della storia^^ Prima di tutto vorrei chiarire che, per quanti di voi stiano pensando che L sia inconsapevolmente innamorato della bambina, hanno toppato alla grande XD Non era affatto questa la mia idea, ma mi rendo conto, purtroppo, di averla resa in maniera alquanto equivocabile. Purtroppo, non sono riuscita ad esprimermi in maniera migliore, perciò spero che il messaggio si sia colto e che coloro che avevano frainteso, rileggendo, possano capire meglio^^ Ad ogni modo, in casi estremi, sono persino disposta ad arrabbattarmi per spiegarmi e chiarire le idee XD Non penso di avere altro da dire, se non esortarvi a recensire in tanti: spero in consigli per migliorarmi e vorrei un po' di opinioni sulla trama, sul modo in cui è scritta questa shot (mi lascia molti dubbi .__.) e sapere se secondo voi è OOC o meno^^

Ammetto che sono quasi tentata di non pubblicare più questa storia e di seporla nella mia pennetta XD
Beh, lasciamo stare....ringrazio tutti i lettori e i recensanti di "Pitagora" ancora una volta^^
Bacioni!

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