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Autore: Cinthia chan    27/04/2018    4 recensioni
Il caffè di quel posto gli piaceva, gli piaceva molto, forse era l'unico caffè che in vita sua aveva mai apprezzato realmente con gusto. Inizialmente era stata una cosa decisamente strana per lui trovarsi li, seduto su quel tavolino a comportarsi come una persona normale, ma con il tempo aveva finito per farci inevitabilmente l'abitudine, e nonostante la sua routine di Specter fosse decisamente diversa da quella degli umani seduti in stanza con lui ci si era adeguato quasi alla perfezione riuscendo a mimetizzarsi bene tra loro nonostante tutto . Solo una cosa lo turbava, una cosa all'apparenza talmente piccola ed insignificante da essere quasi impercettibile, ma che nonostante la sua apparente impercettibilità era presente già da un po' nella sua testa. La verità era che da svariato tempo non era solo per il suo apprezzamento rivolto al caffè che ogni mattina si avviava li.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harpy Valentine
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il caffè di quel posto gli piaceva, gli piaceva molto, forse era l'unico caffè che in vita sua aveva mai apprezzato realmente con gusto.  Inizialmente era stata una cosa decisamente strana per lui trovarsi li, seduto su quel tavolino a comportarsi come una persona normale, ma con il tempo aveva finito per farci inevitabilmente l'abitudine, e nonostante la sua routine di Specter fosse decisamente diversa da quella degli umani seduti in stanza con lui ci si era adeguato quasi alla perfezione riuscendo a mimetizzarsi  bene  tra loro nonostante tutto . Solo una cosa lo turbava, una cosa all'apparenza talmente piccola ed insignificante da essere quasi impercettibile,  ma che nonostante la sua apparente impercettibilità era presente già da un po' nella sua testa. La verità era che da svariato tempo non era solo per il suo apprezzamento rivolto al caffè che ogni mattina si avviava li. C'era del altro, ed era la persona che gli e lo portava ogni mattina sorridendogli con dolcezza. Era assurdo per lui anche solo concepire una simile assurdità, assurdo, eppure era successo, si stava intenerendo lentamente, ed infarcendo di nuovi sentimenti inutili, cosa del tutto inconcepibile per uno come lui. Era uno Specter dannazione, un signor Specter, non poteva ritrovarsi a provare disagio alla vista di una semplice serva umana, aveva una dignità da mantenere salda. Eppure, lentamente ogni giorno che passava seduto li sentiva le sue difese crollare sempre di più senza che potesse fare nulla per impedirlo. E dire che la soluzione per risolvere la cosa poteva essere semplicemente non andare più li, ma nonostante ogni sera si intimasse personalmente di non mettere più piede in quel luogo si ritrovava sempre per ripetere la stessa cosa il giorno dopo come un mantra. Si sentiva ridicolo, ridicolo e debole a non riuscire a mantenere salda la sua decisione, era più forte di lui oramai, quasi una dipendenza andare la, bere quel dannatissimo caffè, vedere quel sorriso, e quei bellissimi occhi verdi guardarlo sorseggiare per un po'. Una maledetta dipendenza, e nonostante avesse appurato da tempo di avere un evidente problema di ossessione mentale anche quella mattina -nonostante anche il suo lungo discorso interiore sul troncare la cosa-  si trovava li, con una tazzina fumante in mano. 
Sarebbe di sicuro impazzito un giorno, ne era certo.
<< Qualcosa non va? >>
Quella voce, poco ci mancava che sputasse il caffè appena deglutito nel sentirla. Era la prima volta che gli rivolgeva la parola, e a denti stretti non poté fare a meno di notare che pure la sua voce suonava splendida per sue orecchie attente. Lo Specter annuì voltando lo sguardo per non vederla oltre, era più che certo di aver assunto un'espressione a dir poco stupida in viso e non voleva mostrarsi debole come non era. Sentì gli occhi di lei su di se per qualche altro secondo, e poi i suoi passi allontanarsi da lui lentamente. Il suo corpo riprese a respirare con calma e a godersi -per modo di dire- quel caffè oramai arrivato a raggiungere la metà della tazzina. Oramai stava diventando ripetitivo in tutto, sia nelle azioni che con se stesso, e non era quasi più abituato a qualcosa che potesse rompere quel circolo giornaliero che era diventato la sua vita. La mattina era dedicata al caffè, o meglio a cercare di non strozzarcisi ogni volta che vedeva passare la ragazza dei suoi desideri di fianco a lui. Una volta fatto, pagava e tornava nell'Ade a compiere i suoi doveri come un bravo Specter. Ovviamente bravo per modo di dire,  considerarsi "bravo" pur essendo uno Specter votato al male poteva risultare si un inevitabile paradosso. Chissà quanto ci sarebbe voluto prima che anche quel piccolo angolo di paradiso dove sedeva sarebbe andato anche esso distrutto, non lo sapeva e sinceramente non gli interessava saperlo. Era più che intenzionato a goderselo fino a quando sarebbe durato in tutto e per tutto, e forse quel giorno tutti suoi problemi avrebbero finalmente trovato una soluzione repentina e rapida. 
Ci sperava davvero.
<< Tieni. Oggi offre la casa. >>
Lo Specter ebbe un leggero sussulto che lo portò a fargli andare di traverso per la seconda volta il caffè che stava cercando di trangugiare tranquillamente. Neppure si era accorto che era ritornata vicino a lui, non era neppure riuscito a percepire la sua presenza, ne a sentire il suono dei suoi passi assorto come era da tutti quei pensieri. Tuttavia da "Bravo Specter" qual era riuscì miracolosamente a non far trasparire nulla esternamente della sua sorpresa nel vederla nuovamente li così vicina a lui. La sua testa era un turbine di domande, ma il suo corpo riusciva a compensare con una fortuita apparente impassibilità visiva. Quanto amava questo lato di se. Si girò nuovamente ad osservarla tenendo saldamente tra le labbra la tazzina con quel poco di caffè rimastone al interno ritrovandosi a fissare nuovamente quel visetto allegro che gli sorrideva spontaneamente. Più di una volta non aveva potuto fare a meno di chiedersi se sarebbe riuscita a mantenere quella dolce spontaneità se lo avesse visto nella sua vera veste, probabilmente no, non sarebbe stato normale, ma una parte di lui -tenuta molto nascosta- quasi ci sperava in quella anormalità. Si guardarono per un po' notando così che tra le mani non aveva nulla di particolare da offrigli, e non capendo dunque a cosa si riferisse con quel "Offre la casa" pronunciato appena poco prima che lo affogasse involontariamente si limitò semplicemente ad osservarla. La ragazza notando la sua espressione, probabilmente confusa, indicò qualcosa sul tavolino dove era seduto facendogli notare finalmente un piccolo incarto colorato posto vicino al piattino della sua tazzina. Un cioccolatino, era sicuramente un cioccolatino ma perchè gli e lo stava offendo così al improvviso? La sentì emettere una piccola risatina da sopra di lui, probabilmente notando nel suo volto una nuova espressione che non era riuscito a nascondere in tempo, si sentiva uno stupido ma vederla ridere così ingenuamente lo fece sbollire di tutta la rabbia sul nascere, cosa inaudita. 
Era diventato ufficialmente melenso.
<< Perdona la mia invadenza, è che, non so oggi sembri un po' triste e volevo provare a consolarti un po'. Se non lo vuoi puoi anche buttarlo. >>
Il ragazzo la fissò spaccando per poco tra i denti la tazzina posta ancora sulle sue labbra dalla sorpresa. Per la terza volta quella piccola umana lo aveva colto di sorpresa,  riuscendo persino a notare il suo cambio di umore perfettamente celato. Notevole. 
<< Non sono triste, hai preso un abbaglio ragazza. >>
<< Strano, in genere quando vieni qui hai un espressione molto più serena e carina rispetto ad oggi. Ma forse devo essermi sbagliata. >>
Un secondo.
Stop. 
Sbagliava lui o lei gli aveva davvero appena fatto un complimento, così a viso aperto? Questa poi, non se lo sarebbe mai aspettato.  Quella giornata aveva ufficialmente interrotto la sua routine, oramai era ufficiale. La guardò cercando di restare il più neutro possibile fissarlo ancora pensierosa con una mano appoggiata sul mento, perchè si stava preoccupando in quel modo per un estraneo come lui ora? 
<< Senti, ti assicuro che sto bene. Non è il caso che tu ti scomodi in nessun modo per me, so cavarmela. Va. >>
Quelle parole, quelle maledette parole, erano uscite dalla sua bocca in maniera ancora più fredda di come le avesse programmate, ma del resto era pur sempre uno Specter. Vide il sorriso della ragazza spegnersi e guardarlo ora con un velo di costernazione, i suoi occhi verdi si scostarono dai suoi imbarazzata, e con un blando "Mi dispiace" finì per voltargli le spalle e fare un passo in avanti lontano da lui. 
No, dannazione, no.
<< Aspetta, non devi scusarti. Ho esagerato io, davvero. Grazie. >>
Seriamente si stava scusando con qualcun altro che non fosse il suo Signore? Da quando era diventato così sottone? Doveva aver perso del tutto il senno. La ragazza si girò nuovamente in sua direzione guardandolo nuovamente negli occhi facendo scuotere lentamente in quel breve movimento suoi lunghi capelli rossicci legati come sempre in una bassa coda morbida. O loro occhi si incrociarono nuovamente gli uni con gli altri concedendosi qualche secondo di tempo per scrutarsi un po' a vicenda. 
<< Come ti chiami? >>
<< Gabrielle, tu? >>
<< Io sono Valentine. >>
Si era finalmente deciso a presentarsi dopo mesi e mesi passati diventando cliente fisso li. Era già un passo avanti, no? Gabrielle -ora finalmente sapeva il suo nome-  rise nuovamente in modo più acuto e spontaneo, ma mantenendo comunque una sorta di minimo contegno a rispetto degli altri clienti, facendogli quasi perdere un battito in sostituzione al affogamento da caffè di poco prima.
<< Che coincidenza, abbiamo entrambi un nome di provenienza straniera. Curioso qui in Italia, vero? >>
<< Già.... >>
Passarono un po' di tempo parlottando del più e del meno, conversazione nella quale dovette stare attento più volte ne non tradirsi nel rivelare la sua vera natura, e da quel giorno presero a farlo praticamente ogni mattina per qualche minuto. Ogni giorno scopriva di lei cose sempre più nuove, sempre più profonde, e più passava il tempo più il suo desiderio di sapere oltre su  quella strana ragazza aumentava. Ma nonostante quella pressione costante su di se non andava mai oltre a scambiare qualche parola o accennarle un mesto sorriso di cortesia. Era uno Specter del resto, le sue sciocche fantasie pregne di insolita sdolcinatezza non avrebbero mai potuto avere un futuro, ne era più che certo. Cercava dunque di godersi quei pochi attimi seduto li, in pace, con il brusio dei clienti in sottofondo ad accarezzargli le orecchie con delicatezza. Quel atmosfera quieta, così diversa da quella infernale a cui era solito, lo rilassava e metteva brevemente pace al suo spirito inquieto. C'era calma, molta calma, e lui amava la calma, calma che si, ogni volta si infrangeva quando lei andava a servirgli il caffè o a portargli un dolcetto di cortesia, ma quelli erano solo piacevoli dettagli a cui poteva sottostare. Pure gli Specter avevano diritto ad una pausa, no? Stava li, seduto in silenzio, indossando placidamente quella maschera da bravo ragazzo che si era costruito appositamente per le occasioni terrene, senza troppi pensieri ad intasargli il cervello e  soprattutto senza far del male ad una mosca. Attimi di menzogna che per lui erano stati incredibilmente piacevoli infrangendo tutti i preconcetti che si era fatto mesi a dietro. Chissà come doveva essere vivere costantemente così, senza il pensiero costante della lotta, o nella totale obbedienza nei confronti di un sinistro sovrano. Certo, pure gli umani sottostavano a delle leggi, ma erano di gran lunga molto più flessibili sotto un certo punto di vista, ed avevano pure più libertà. Le loro leggi non gli imponevano di certo di arrivare a sacrificare più volte la loro stessa vita in nome di qualche assurda causa che neppure loro comprendevano a pieno, il massimo che poteva succedergli era di essere rinchiusi in una prigione per un po' se sgarravano qualcosa. Sempre meglio della dannazione eterna del resto.  Non avevano da lamentarsi, la loro vita era agiata in un certo senso, di sicuro molto più della sua. Si, era un potentissimo Specter con uno status invidiabile, e con un'autorevolezza e notorietà  sempre più marcate, ma era anche vero che era proprio a causa di quello status sempre più in vista che non poteva concedersi troppe libertà, ne tanto meno il lusso di commettere sbagli. Ne sarebbe andato del nome e del onore delle truppe infernali, e non poteva permettere che una cosa del genere accadesse per colpa sua. Non ci teneva ne a deludere il suo signore, ne a subirsi i rimproveri, o peggio ancora i calci, di quella viziata di Pandora. Calci che doveva subire senza possibilità di difesa o reazione. Non era giusto, eppure doveva sopportare mestamente in silenzio, non tanto per lei, quanto per il rispetto che provava per Radamanthys, il suo unico signore. Già una volta lo aveva ucciso in passato per questo, e non ci teneva a provare nuovamente quel esperienza per quanto si sentisse onorato che fosse stato lui stesso a porre fine ad ogni suo sentimento. Del resto era proprio per quella sua fedeltà e fierezza che tanto lo ammirava. L'Arpia sospirò piano, il caffè lo aveva già finito da un pezzo e i rimasugli rimasti attaccati sul fondo della tazzina erano gelidi e quasi del tutto secchi da interminabili minuti. Quel giorno era rimasto seduto li più del solito, evidentemente i pensieri nella sua mente stavano aumentando nuovamente.  A passo placido e lento, ma comunque aggraziato, si avvicinò alla cassa per pagare la sua solita consumazione di rito, concedendosi ancora qualche secondo per ammirare la snella figura della sua fantasia preferita prendere una nuova ordinazione nel tavolo a fianco. Odiava quando la vedeva parlare con un altro uomo e sorridergli, ma era abbastanza intelligente da capire che quello era parte del suo lavoro e non poteva biasimarla per questo. Lui poi, considerando quello che faceva per vivere, era l'ultimo che poteva permettersi di fare delle critiche -neanche se fossero state serie- per rimproverare qualcuno di qualcosa. A denti stretti dovette dunque reprimere la persistente tentazione di vestire la Surplice e di trascinarla giù via con se, fantasia che albergava nella sua testa già da tempo, ma che scacciava periodicamente assieme a tutte le altre che la riguardavano. Non poteva di certo uccidere ogni cliente che osava posare gli occhi su di lei, ne sarebbe andato del atmosfera e del futuro del locale. Ma forse un giretto in ospedale poteva anche considerarlo come valida opzione futura. Non era da scartare come idea. Una volta pagato si avviò con poca voglia verso l'uscita preparandosi psicologicamente a tutto il caos infernale che quella giornata avrebbe comportato da quel momento in poi. Il suo attimo di pace era finito, doveva tornare a fare la persona seria e tornare a  lavoro prima che qualcuno avesse anche solo potuto sospettare della sua prolungata assenza sul posto. Si girò un ultima volta dando una veloce occhiata alla vetrina e se ne andò scomparendo in fine nel nulla.

  
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