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Autore: Hotaru_Tomoe    28/04/2018    6 recensioni
[Doctor Strange]
Qualche mese fa, prima dell'avventura di Everett nel Regno di Wakanda, Stephen gli consegnò un anello molto speciale.
Everett ne comprende appieno l'importanza dopo i fatti di Infinity War.
Everett Ross x Stephen Strange
ATTENZIONE: la storia contiene spoilers su The Avengers Infinity War
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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New York, 177A Bleecker street,
qualche mese fa

Everett emerse dal sonno lentamente e sbatté gli occhi più volte, cercando di capire che ora fosse.
Impresa non facile, visto che i pesanti tendoni (magici, presumeva) che chiudevano la finestra della camera da letto non lasciavano filtrare molta luce.
Allungò la mano verso il suo comodino (e dio, doveva ancora venire a patti col fatto che esisteva un “suo” comodino, un “suo” lato del letto, e un lato che era di qualcun altro) alla ricerca della sveglia. Toccò qualcosa, ma non era un parallelepipedo di metallo, era qualcosa di morbido e tondeggiante, e fece *quack* quando vi premette più forte la mano.
La sua sveglia non faceva *quack*, non avrebbe dovuto farlo, a meno che qualcuno non l’avesse trasformata in una paperella di gomma con un trucco magico.
Accese la luce e si voltò dall’altra parte, dove era sdraiato il suo fidanzato, già sveglio, sorridente e senza un capello fuori posto (anche quella era una magia. Doveva esserlo).
“Molto divertente - borbottò Everett, tirandogli il giocattolo addosso - Che ore sono?”
Stephen gli accarezzò le labbra con un dito, poi lo baciò.
“Lo sai che quando sei con me, il tempo non ha importanza.”
“Ne ha quando ho un meeting alle nove.”
“Sono le nove e mezza.”
“Cazzo, non dovevi lasciarmi dormire così a lungo.”
Ross balzò giù dal letto e si mise in cerca dei suoi vestiti: dovevano perdere l’abitudine di sparpargliarli per tutta la stanza quando si saltavano addosso (cioè sempre).
“Sì che dovevo - sospirò Strange - questa indagine ti sta logorando.”
“Lavoro per la CIA, non ho bisogno di un badante.”
“No, avevi bisogno di riposo. E poi speravo di poterti parlare di una cosa, stamattina.”
“Sono già in ritardo di mezz’ora” protestò Ross, finendo di vestirsi.
“Sai benissimo che posso farti arrivare puntuale alla riunione mezz’ora fa, o anche prima, se lo desideri.”
Usando uno dei suoi portali e l’Occhio di Agamotto, ma Ross non voleva approfittarne troppo: una volta Wong gli aveva fatto una filippica sul fatto che la magia non dovesse essere usata a sproposito, e non voleva sentirne un’altra.
“No, prendo la mia auto. Senti, parleremo stasera, va bene?”
Everett recuperò la sua ventiquattro ore, aprì la porta della camera da letto… e si ritrovò dentro l’armadio, circondato da camicie e pantaloni.
“Ma cosa diavolo..?” spinse l’anta e caracollò di nuovo in camera da letto.
“Nell’armadio, Everett? Credevo avessi superato quella fase” scherzò Stephen con un sorriso divertito sulle labbra, appoggiandosi con la schiena alla testata del letto.
Il lenzuolo gli copriva a malapena l’inguine ed era una visione di cui Ross non aveva bisogno, per arrabbiarsi con lui. Infatti non ci riuscì.
“Va bene, parliamo” concesse Ross, sfilandosi la giacca e sedendosi sul letto: Stephen non era uno che mollava la presa tanto facilmente.
Strange si fece improvvisamente più serio e questo mise Ross leggermente in allarme. Vide Stephen allungare la mano verso il suo comodino ed estrarre una scatolina di velluto bordeaux, come in una scena al rallentatore; il suo cuore accelerò i battiti e il respiro si fece pesante, perché, “in nome del cielo, cosa sta facendo? Perché oggi? Che cos’è ha oggi di speciale? Non sono pronto, è una mattina come tante, non ho ancora preso il caffè né fatto la doccia, non… lui è bellissimo… dio, guarda i suoi occhi… sono impazzito, che cosa sto pensando? Lo amo, lo amo dal primo istante, ma è troppo presto, vero? Vero? Perché nessuno mi risponde?”
Mentre lui stava delirando, Stephen fece sparire la scatolina con la magia e sul suo palmo apparve una fede d’oro.
Everett restò a guardarla senza dire una parola così a lungo, che alla fine Strange si preoccupò e ruppe il silenzio con un discreto colpo di tosse.
“Hai bisogno della rianimazione cardiopolmonare? Ti avverto, è passato un po’ di tempo dal mio ultimo turno in pronto soccorso.”
Ross strinse le labbra: come poteva scherzare in quel momento, quando lui era sull’orlo di un attacco di panico?
Era stato in guerra, aveva pilotato caccia e partecipato a pericolose missioni in territorio nemico, ma nessun addestramento della CIA lo aveva preparato all’ondata di emozioni che lo stava travolgendo mentre era seduto sul loro letto e fissava il piccolo cerchio d’oro.
“Io… io non… così all’improvviso, io non pensavo…” balbettò infine Everett, ma le sue parole non avevano senso.
O forse per Stephen ne avevano, perché si sporse verso di lui e lo baciò sulle labbra.
“È così che funzionano le sorprese. Posso?” chiese, accennando col mento alla mano sinistra di Ross.
“Sì, sì certo.”
Poteva anche essere troppo presto, ma Ross realizzò di voler sentire il peso di quell’anello attorno al dito.
Le mani di Stephen tremarono, tremavano sempre un po’ quando non ricorreva alla magia e doveva compiere un gesto delicato e di solito era Everett che gli veniva in soccorso quando succedeva, ma in questo caso anche le sue tremavano vistosamente.
“Scusa - mormorò appoggiando la fronte a quella di Stephen - sono ancora un po’ scioccato.”
“Non scusarti, lo prendo come un complimento. Ecco fatto” disse Stephen, quando l’anello fu al dito di Everett.
“È bellissimo, grazie.”
Ross catturò le sue labbra in un lungo bacio che gli fece dimenticare ogni cosa, poi Strange gli appoggiò una mano sul petto e si allontanò di qualche millimetro.
“Aspetta, c’è un’altra cosa.”
“Non dirmi che hai già prenotato la chiesa e il ristorante. Devo vedere prima i miei impegni in agenda.”
“Oh, hai recuperato il senso dell’umorismo: immagino che lo shock sia passato.”
“Quindi, cosa c’è?”
“Slaccia la camicia e porta la mano sinistra sul petto, all’altezza del cuore.”
Leggermente titubante, Everett eseguì; nel momento in cui l’anello sfiorò il suo petto, un brillante incantesimo verde si formò attorno alla sua mano e il suo animo venne investito da un sentimento intenso e travolgente. Era amore, l’amore più puro e profondo che avesse mai provato.
“Cos’è?” domandò con un filo di voce.
“È abbastanza complicato da spiegare, ma in parole povere ho racchiuso in un loop temporale i sentimenti che provo per te: finché avrò vita, questo incantesimo te li mostrerà, ogni volta che vorrai.”
“Stephen, io so cosa provi per me, e spero che tu sappia cosa provo io per te.”
“Sì, lo so - disse Strange, baciandogli il palmo della mano - ma ho pensato che conduciamo entrambi vite pericolose e siamo spesso separati per lavoro, e che così sarà come se fossi sempre con te.”
“Lo amo: dovranno strapparmi la mano per togliermi questo anello.”
Poi Everett abbassò lo sguardo sulle mani di Stephen, ma lui non portava alcun anello.
“E tu?”
Strange scosse la testa.
“Non ancora.”
“Ma…”
“Non mi serve saper leggere nel pensiero per capire che hai pensato di non essere pronto. Se lo sarai, sceglierai tu l’anello da regalarmi.”
“Quando - precisò Ross - quando sarò pronto. Perché lo sarò, lo so. Solo non adesso, è…” si umettò le labbra, nervoso.
“Troppo presto.”
“Non avevo ancora pensato a questo, non ne ho avuto il tempo. Sai, con quel furto di vibranio e tutto il resto.”
“Non mi devi alcuna giustificazione.”
Ross si alzò in ginocchio e si sedette a cavalcioni su di lui.
“La tua offerta di farmi arrivare in tempo alla riunione di un’ora fa è ancora valida?”
“Sempre.”
“Ottimo. Adoro la magia” sospirò Everett, sfilandosi la camicia dalla testa.

New York, 177A Bleecker street,
oggi

Un ultimo brivido di piacere scosse il corpo di Everett mentre Stephen usciva da lui; lo stregone appoggiò il viso nell’incavo del suo collo e respirò adagio, accennando piccoli baci sulla pelle umida.
Everett gli accarezzò le braccia e la schiena tonica, sospirando soddisfatto, ma dopo un po’ corrugò la fronte: Stephen non era rilassato come al solito, dopo che avevano fatto l’amore, lo sentiva ancora rigido e teso.
E la sera prima era venuto a letto a notte fonda.
“Ehi, qualcosa ti preoccupa?” domandò, giocando coi suoi capelli.
Stephen appoggiò la testa sul suo petto e chiuse gli occhi.
“Nulla di concreto, sto solo facendo dei brutti sogni ultimamente.”
“Vuoi parlarne?”
“Mi trovo in una landa desolata, senza più vita, e percepisco l’arrivo imminente di una catastrofe.”
“E poi?”
“Tutto qui.”
“Mio dio, quest’anno ci sono le elezioni di midterm, speriamo non sia un cattivo presagio.”
La battuta funzionò e Stephen si rilassò tra le sue braccia, ridacchiando, poi si alzò e raccolse i suoi vestiti (no, non avevano ancora imparato a non gettarli ovunque).
“Non puoi restare a letto un altro po’?” chiese Ross, portando le braccia dietro la testa.
“Wong è qui e gli ho promesso di portarlo a mangiare una vera colazione americana, ma tu resta pure qui a riposarti.”
“Oh sì: oggi non devo andare in ufficio e non ho alcuna intenzione di muovermi da questo letto.”
“È una promessa?” domandò Strange con una luce maliziosa negli occhi.
“Tu torna in fretta, e lo scoprirai da solo.”
La porta si chiuse alle sue spalle e Ross cercò di riaddormentarsi, ma qualche minuto dopo, un boato assordante lo catapultò fuori dal letto; si vestì in un lampo, prese la pistola d’ordinanza e percorse velocemente il lungo corridoio tenendola spianata davanti a sé.
“Stephen!”
“Sono qui Everett, sto bene.”
Ross lo raggiunse nel salone principale: la vetrata era infranta e c’era un buco enorme al centro dello scalone.
“Cosa diavolo è successo, è caduto un meteorite?”
“Non proprio.”
Con un incantesimo, Strange fece levitare un uomo fuori dalla buca: era ricoperto di polvere e calcinacci e i suoi vestiti erano a brandelli, ma Ross lo riconobbe al volo.
“Dottor Banner?”
“Vice comandante Ross, salve.”
“Secondo la nostra intelligence lei aveva lasciato il pianeta due anni fa” osservò Ross, riponendo la pistola nella fondina.
“Lunga storia, ma adesso non ho tempo di spiegare: Thanos sta arrivando.”
“Chi?”
Stephen toccò la spalla del dottor Banner e chiuse gli occhi.
“Un grave pericolo incombe sul pianeta.”
“Come quello che hai visto nei tuoi sogni?” chiese Ross, prendendogli la mano.
“Sì.”
“Grandioso. Credo che dovrò rinunciare al mio giorno libero - disse Ross passandosi una mano tra i capelli - Devo andare immediatamente in ufficio.”
Strange annuì e aprì un portale per lui, ma prima di varcarlo, Ross lo tirò a sé e lo baciò un’ultima volta.
“Non capisco bene cosa stia per succedere, ma non mi piace: promettimi che farai attenzione e che al mio ritorno ti troverò qui.”
“Parola di boy scout” scherzò Strange, ma Ross non era in vena di spiritosaggini.
“Stephen…”
Le dita di Stephen sfiorarono l’anello al dito di Everett, e il suo sguardo si fece serio.
“Lo prometto.”

*

Ross coordinò i suoi agenti dal suo ufficio, ma quando la nave aliena comparve sulla città, gli fu subito chiaro che avevano a che fare con qualcosa immensamente più grande di loro, che non avevano i mezzi per fronteggiare.
Seguì la battaglia dai monitor della sala controllo e assistette impotente al rapimento di Stephen, trasportato privo di sensi sulla nave.
“Fate alzare in volo i caccia, lo space shuttle, non mi importa: non possiamo perdere di vista quell’astronave!” sbraitò.
“Signore, non possiamo - rispose uno dei suoi collaboratori, attonito - non abbiamo la tecnologia per farlo.”
“Maledizione” sibilò, stringendo gli occhi.
“Non osare andartene così, Stephen! Hai promesso, ricordati che hai promesso!”
Seguirono ore ed ore di attesa snervante, con notizie sempre più preoccupanti che giungevano da Wakanda, finché l’orrore non si consumò davanti ai suoi occhi: uno ad uno, colleghi, collaboratori e amici si disintegrarono, i loro corpi ridotti a un mucchietto di polvere sul pavimento.
Ross restò immobile con la schiena contro la parete, impietrito dal terrore, aspettando di fare la stessa fine da un momento all’altro, ma non accadde.
Sentì invece un bruciore terrificante attorno all’anulare della mano sinistra, dove c’era l’anello di Stephen, così doloroso da farlo urlare e crollare sulle ginocchia.
Il suo primo istinto fu quello di strapparlo via, ma resistette, chiuse la mano a pugno, coprendola con l’altra e si raggomitolò su se stesso.
Là fuori, da qualche parte, Stephen stava soffrendo, forse stava svanendo anche lui, ma proteggendo il suo anello, a Ross sembrò di proteggere anche lui.
“Stephen…” mugolò.
Lentamente, troppo lentamente, il dolore scemò, e solo allora Ross riaprì il pugno: la sua mano stava sanguinando, ma l’anello era ancora lì.
Doveva sapere cos’era accaduto.
Corse fuori dal palazzo, ignorando gli sguardi smarriti e le domande dei pochi agenti sopravvissuti a quella silenziosa ecatombe e salì in macchina, diretto al Sanctum.
Arrivarci non fu facile, dovette fare la gimcana tra le auto senza più passeggeri abbandonate in mezzo alla strada, e in prossimità di Greenwich Village, dovette proseguire a piedi, perché la distruzione della battaglia non consentiva alternative.
“Wong! - gridò spalancando la porta del palazzo - Wong.”
“Sono qui” rispose una voce stanca.
L’uomo sedeva ai piedi della scalinata, con la testa tra le mani.
“Wong! Stephen… dov’è Stephen?”
Wong sollevò a malapena la testa e Ross sussultò: sembrava invecchiato di dieci anni.
“L’ho cercato ovunque sul piano astrale, fino negli angoli più remoti dell’universo, ma non l’ho trovato. Lo stregone supremo non c’è più. Mi dispiace, so che voi due…”
“No, no, non può essere.”
“Mi rendo conto che è difficile da accettare, ma è così.”
Ross strinse le labbra e scosse caparbiamente la testa, poi si slacciò la camicia con dita tremanti e appoggiò l’anello sul petto.
Un secondo più tardi, un incantesimo verde circondò la sua mano e Ross fu investito da un’ondata di sollievo.
“No, non è morto, l’incantesimo c’è ancora.”
“Cos’è questo? - chiese Wong - Non ho mai visto un incantesimo così complesso, ed è stata usata la gemma del Tempo.”
“Stephen mi ha detto di avervi rinchiuso i sentimenti che prova per me e che, finché egli sarà vivo, l’incantesimo funzionerà.”
Wong si chinò su di lui e studiò l’intricata struttura dell’incantesimo e lo sfiorò con le dita.
“È molto di più… questa è una vera e propria emanazione di Strange.”
“Cioè?”
“C’è una parte di lui, forse della sua proiezione astrale in questo incantesimo. Figlio di puttana, questo è un capolavoro” mormorò Wong quasi incredulo.
Ross lo guardò a bocca aperta.
“Cosa?”
Wong si sedette di nuovo e scosse la testa.
“In qualche modo ha trovato un modo per restare sotto qualche forma: ora lui non è nella realtà né sul piano astrale, ma una parte di sé esiste. Altrimenti, come ha detto lei, l’incantesimo non si attiverebbe.”
Ross guardò la sua mano insanguinata.
“Prima, mentre tutti scomparivano, l’anello mi ha fatto questo. Ma ho avuto l’impressione che, se me lo fossi sfilato, sarebbe sparito anch’esso.”
“Credo di sì: come le ho detto non comprendo del tutto il funzionamento dell’incantesimo, ma tenendo su di sé l’anello, lei ha impedito che Strange scomparisse del tutto. E forse lo aiuterà a trovare la strada.”
“Come un radiofaro?”
Wong sbuffò una risata.
“È una metafora bizzarra, ma efficace.”
“Sarà come se fossi sempre con te” aveva detto Stephen, infilandogli l’anello al dito, e quella promessa l’aveva mantenuta.
Egli c’era ancora, da qualche parte. Ora doveva solo mantenere l’altra promessa, e tornare.
E prima di allora, Everett doveva fare una cosa importante, una cosa che aveva rimandato per troppo tempo; salutò Wong con un cenno del capo e si incamminò verso il portone.
“Vice comandante Ross, dove sta andando?”
“A comprare un anello.”
Wong lo guardò come se avesse completamente perso il lume della ragione.
“Adesso?”
“New York è la città che non dorme mai, sono sicuro che nonostante questo casino, una gioielleria aperta la trovo.”
“Ma perché?”
Everett sorrise.
“Perché voglio essere pronto, quando lui tornerà.”

   
 
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