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Autore: WankyHastings    29/04/2018    5 recensioni
Dalla storia: "Non riuscivo a capire come fosse successo. Lo reputavo impossibile.
Ma mi sbagliavo. Il mio cuore aveva ripreso a battere. E batteva per Alice Hemingway."
Due studentesse e un amore che sembrava impossibile e improbabile.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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The Notebook







 
 
Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, non ci avrei scommesso nemmeno il più insulso dei centesimi.
 
Eppure stava succedendo.
 
Mi sedetti su una panchina, mentre mi schiacciavo una mano sul petto, sperando che quel gesto avesse potuto darmi sollievo.
Sperando, invano, che potesse far smettere quell’insulsa macchina che aveva preso a battermi nel petto dopo anni.
 
Io, Charlotte Rivers, potevo aspettarmi di tutto:

- la vittoria dei Celtics nel campionato NBA;
- Che Trump potesse morire soffocato dal suo parucchino;
- che gli unicorni potessero davvero correre sugli arcobaleni – e su questa avevo ancora qualche speranza;
- che gli alieni invadessero la terra.
 
Tutto.
 
Ma non che potessi sentire il mio cuore battere così forte ancora. Pensavo che ormai questa capacità fosse stata persa insieme a Katherine.
 
Eppure quel muscolo involontario stava facendo una corsa contro lo sterno e sembrava anche pronto a sfondarlo se fosse servito; e la colpa di questo risveglio era davanti ai miei occhi che camminava sorridendo, mentre una leggera brezza giocava con i suoi ricci.
 
Non riuscivo a capire come fosse successo.
Lo reputavo impossibile.
Ma mi sbagliavo.
Il mio cuore aveva ripreso a battere.
 
E batteva per Alice Hemingway.
 
Cercai di distogliere gli occhi dalla luce che emanava, senza riuscirci. Mi sentivo come una falena attratta dalla luce e se si fosse avvicinata troppo sarebbe morta.
 
Lo sapevo.
 
Per questo avevo ben pensato di mettere il mio cuore in un freezer, chiuso a doppia mandata e spedito nella fossa delle Marianne.
E ora mi maledivo.
 
Tutte.
Ma non lei.

Perché Alice Hemingway oltre a essere fuori dalla mia portata, completamente fuori, era anche fidanzata con un UOMO.
Non ci sarebbero stati problemi se fosse stata per pura voglia di scoparmi un’altra etero, ma c’era qualcosa in Alice che mi inibiva completamente, che mi portava ad avere quasi un timore riverenziale che mi rendeva una scolaretta timida e pacata. Ogni volta che incontravo quelle gemme incastonate, dello stesso verde dei prati, battevo la ritirata come se avessi paura di perdermi nei meandri di quegli occhi screziati.
E ci ero riuscita anche egregiamente ad evitarla e lasciare che gli anni di college mi scivolassero addosso come se fossero acqua.
 
Ma ero caduta.
Di faccia.
Nella merda.
 
Era bastato che lei si avvicinasse, che il suo odore, il suo corpo, i suoi occhi si avvicinassero e invadessero il mio spazio vitale una sola volta per mandare a puttane quel muro di cinta che mi ero creata con tanto di cartello: non sono interessata.
 
Quando finalmente lei uscì fuori dalla mia portata visiva, il cuore prese a calmarsi, ritornando a quella sensazione di vuoto assoluto che sentivo sempre nel petto.
Sbuffai sollevata, mentre lasciavo che le mani passassero tremanti tra i capelli.
I ricordi di come tutto era iniziato cominciarono ad assillarmi e inondami come un maremoto lasciandomi inerme, oltre che stremata.
 
 
Era una qualunque giornata al college, ero seduta in aula in attesa della lezione, mentre leggevo “La ragazza dello Sputnik” di Murakami. Ero così immersa nella lettura da non rendermi conto di niente di quello che succedeva al di fuori di quelle pagine, infatti non sentii che da quella porta erano cominciate ad entrare le mie colleghe di corso.
Ero completamente concentrata sulle parole dello scrittore che mi stregavano.
Questo stato di completa assuefazione terminò quando lo stridere della sedia al mio fianco riuscì a districarmi da quell’inchiostro stampato.
Mi voltai sbuffando, incontrando Lauren che timidamente cercava di prendere posto.
Mi guardai intorno, chiudendo il libro e stiracchiandomi stancamente.
Avevo perso il senso del tempo.
Sbadigliai rumorosamente, senza interessarmi di chi fosse entrato insieme alla ragazza. Stavo ancora pensando alla protagonista e come fosse simile a me sotto certi aspetti.
 
- Com’è? Sembra interessante –
 
Quella voce.
 
Mi voltai di scatto, incontrando gli occhi verdi di Alice… troppo vicini.
Mi ritrovai a tossire per l’imbarazzo, prima di rispondere cercando di mostrarmi sicura di me.
 
- Molto. È particolare –
 
Alice sorrise, puntando gli occhi sul libro rosso appoggiato sul banchetto prima di indicarlo.
 
- Posso? –
 
Avrei voluto davvero dirle di no, che non poteva, che i libri erano un fatto personale che leggere le righe sottolineate da lei avrebbero potuto scoprirla più del dovuto.
Avrebbe davvero voluto dire di no.

 
- Certo –

Alice sorrise contenta mentre prendeva il libro, per poi andarsi ad appoggiare al muro vicino al banchetto dove ero seduta, cominciando a sfogliare quelle pagine.
 
Era meravigliosa.
 
Non riuscivo a staccare gli occhi da quella figura che elegantemente leggeva con le sopracciglia corrucciate. Per la prima volta ebbi la possibilità di poterla guardare da così vicino.
Mi persi nelle onde dei suoi ricci, nella lunghezza delle sue ciglia, sul profilo delle sue labbra e poi giù, sul suo seno messo in risalto da una maglietta bianca, la vita stretta e le gambe…
Dio.
Quelle gambe avrebbero potuto uccidere.
Sentendomi una pervertita tolsi lo sguardo facendomi quasi violenza, portandolo a concentrarsi sull’entrata sperando che Talisa, Robin o Samantha entrassero da quella porta salvandola.
Fortuna che entrarono loro, anche se insieme al professore, costringendo Hemingway a restituirmi il libro con un sorriso.
 
- Devo assolutamente comprarlo. Sembra bellissimo –
 
Non riuscii a far altro che rispondere con un sorriso, mentre nella mia testa la precedente radiografia continuava a ripresentarsi fotogramma per fotogramma.
 
 
Sapevo che era stata colpa mia.
Avrei dovuto negarmi quel giorno, invece qualche forza astrale mi aveva completamente spinto alla follia.
Da quel giorno si sono susseguiti sempre più occasioni per stare insieme. Per stare vicine.
Per parlare.
Sorridersi.

E, inesorabilmente, stavo diventando pazza.
 
Ricordavo ancora quel giorno in cui questo mio cuore bastardo aveva cominciato a farmi male.
Anche quella volta la colpa era stata mia.
 
 
Come di consuetudine ero seduta al fianco di Alice. Ormai, da quel giorno del libro, ogni momento era buono per sedersi una di fianco all’altra per parlare di qualsiasi cosa ci venisse in mente.
Avevamo creato una strana connessione che faceva stare entrambe serene.
Mi appoggiai sul suo banchetto non sapendo esattamente cosa mi avesse spinto a farlo, o forse sì.
Sentivo il calore della sua mano vicino alla mia e per la prima volta il desiderio di toccarla, di sapere come fosse abbracciarla si insinuò come un tarlo.
Avevamo parlato tanto ma… non l’avevo mai sfiorata.
Volevo saggiare con i polpastrelli la consistenza della sua pelle, sentire con ogni senso ogni parte di lei. Per questo presi ad avvicinare la mano, lentamente, con quella strana ansia di poterle dare fastidio anche solo sfiorandola.
Era un gioco di attese e spinte.
Di ritirate e respiro trattenuto.
Sentivo le dita formicolare per quella straziante attesa.
E poi eccola.
Il pollice ad accarezzarle il dorso della mano, così dolcemente da stupire anche me stessa, così lenta da poter godere appieno delle sensazioni che stavo avendo, così accennato da permetterle di ritirare la mano se avesse voluto.
Stavo giocando con il fuoco e lo capii in quel momento, quando sentii un dolore sordo al petto.
Cosa mi stava succedendo? Cosa stavo facendo?
 
 
Scacciai via quei ricordi, alzandomi da quella panchina.
Non riuscivo più a sopportare questi sentimenti, mi stavano rendendo più ansiosa di quello che ero.
Perché è inutile prendersi in giro.
Mi stavo prendendo una cotta stratosferica per quella creatura, ma non sarebbe mai stata mia.
Presi a camminare verso le aule per un’altra giornata di lezione, mentre mi ripetevo come un mantra che questa volta non mi sarei seduta vicino a lei.
Che avrei lasciato del tempo, dello spazio tra di noi.
Per fare chiarezza.
Avrei mantenuto la distanza, ne andava della mia salvezza.
Ci avevo provato a essere coraggiosa, a dire quello che pensavo, avevo provato a dirle che ero interessata a lei…
… ma non era andata.
 
Avevo versato troppe lacrime.
 
Lacrime che mi ero promessa che non sarebbero più scese a causa di qualcuno.
Eppure un pensiero mi tartassava:
Chissà lei come stava?
Ma avevo finito il coraggio. Quel pomeriggio m’era bastato.
Avevo toccato il cielo con un dito e ora mi trovavo vicino a quella panchina, a guardarla da lontano, sperando che i suoi occhi non mi vedessero per quello che ero.
 
Perché Alice aveva ragione a non voler lasciare il suo fidanzato, cosa le avrei mai potuto dare?
Solo tormenti di un’anima dilaniata dal tempo, solo l’oscura consapevolezza di essere un giocattolo rotto abbandonato sui margini della strada.
 
Invece lei era come l’alba. Un tripudio di colori che nasce al nuovo giorno. Quella sensazione che al mondo qualcosa di buono deve pur esserci se c’è ancora uno spettacolo del genere ad aspettarti ogni giorno.
 
Lei era speranza.
 
Quindi una parte di me era contenta che non ci fosse il marcio, che ero io, a macchiarla.
Ma quando entrai in aula e i suoi occhi si posarono su di me, tutte le mie convinzioni, ragionamenti, assiomi si dissolsero in un unico sguardo umido che prese a trapanarmi il petto.
La volevo.
Egoisticamente la volevo nella mia vita.
E avrei combattuto contro questa voglia di scappare via, di abbandonare la nave prima che fosse troppo tardi, di lasciare andare via tutto, prima che fosse stata lei a lasciare andare me.
Questa volta sarei rimasta.

 


 
Erano ormai settimane che ogni giorno, prima di lezione, io e Alice ci incontravamo per poter passare un po’ di tempo insieme.
Non riuscivo a crederci che una persona come lei, dopo i dubbi iniziali, avesse scelto di darmi una possibilità; come se sapesse che sotto la coltre di fumo ci fosse altro da scoprire, quell’altro che io avevo dimenticato di avere.
Lei era davvero tutto quello che di buono ci potesse essere al mondo e la cosa più sconcertante è che lei nemmeno si accorgeva dell’effetto che aveva sulle persone, su di me.
Avevamo passato il tempo, prima delle lezioni, parlando di qualcosa o semplicemente leggendo qualche pagina di un libro, rinchiuse in un mondo così leggero che ogni preoccupazione era stata accantonata.
Anche oggi, infatti, stavamo passando le ore prima della lezione insieme lasciandoci travolgere da quella leggerezza.
 
Io stavo implodendo.
 
In queste settimane, tralasciando i momenti iniziali, Alice Hemingway mi aveva dimostrato che era davvero interessata a provarci. Una cosa completamente assurda.
 
Non potevo crederci che LEI potesse volere ME.
 
I miei dubbi e le mie incertezze erano ancora lì a bruciarmi dentro, ma ogni volta che mi sorrideva…
… non esisteva più niente.
 
Come in questo momento, mentre lei sorseggiava un caffè acquistato alle macchinette e io non potevo far altro che guardarla e desiderare di essere io quel bicchiere dove le sue labbra si stavano appoggiando.
 
La desideravo.
 
E questo desiderio aveva più le sembianze di un pugno alla bocca dello stomaco.
Volevo baciarla.
 
Lei parlava.
E io volevo afferrarle la nuca…
 
Lei si spostava i capelli dal viso.
E io volevo scoprire che sapore avesse la sua bocca.
 
Mi stava mandando in pappa il cervello.
 
- Tutto okay? –
 
Ed eccola lì, a scrutarmi come se fossi io un libro da leggere, con i suoi intensi occhi verdi che mi facevano naufragare.

- Sì …-
 
Lei mi guardò ancora, corrucciando la fronte, come se non mi credesse.
 
-… voglio baciarti –
 
Mi stupii di me stessa.
Cosa porcaminchia avevo detto?
 
Distolsi lo sguardo, evitando di mostrare quanto quelle parole avessero scombussolato anche me, senza guardare la reazione che avevo innescato in lei.
Perché lei per me era la cosa più pura su questo mondo.
È come se per la prima volta potessi capire cosa intendesse Dante quando parlava della sua Beatrice.
 
- Anche io –
 
La sentii sussurrare leggera, come se anche lei avesse quasi timore di quello che voleva.
Avevo una fottuta paura.
 
Se non le fosse piaciuto?
Se avesse capito che non era me quella che voleva?
Se fosse ritornata sui suoi passi?
E se…
 
BASTA!
 
Passai una mano tra i suoi ricci, spostando appena una ciocca, prima di sorriderle quasi grata per quella risposta.
 
- Dai andiamo. Fra poco inizia lezione –
 
Alice annuì semplicemente, prima di incamminarsi con me lungo il corridoio che portava all’esterno.
Cosa stavo facendo?
Anche lei voleva baciarmi e allora perché non la stavo facendo.
Perché mi stavo ostinando a darle spazio?
Cosa altro c’era da aspettare?
 
Lei era libera.
Lei dimostrava di voler stare con me.
Lei mi aveva appena detto che voleva baciarmi.
 
La guardai con la coda dell’occhio, trovandola al mio fianco serena, bella.
Bella da mozzare il fiato.
 
L’afferrai la mano all’improvviso, senza che lei si aspettasse un gesto del genere così in quel momento, o forse ci stava sperando?
La trascinai dietro una porta, schiacciandola poi contro un muro con il mio corpo.
Non l’avevo mai avuta così vicino.
Mi persi a guardare ogni suo minimo dettaglio, trovandola sempre più bella.
Presi ad accarezzarle il viso, mentre il mio bacino si sistemava meglio sul suo, incastrando le gambe a perfezione.
 
Il desiderio mi stava ardendo viva.
 
Sfiorai le sue labbra con le mie, le sue mani erano sui miei fianchi, come a chiedermi di rimanere lì mentre io esploravo ogni sua parte del corpo.
I nostri respiri si mescolavano in quell’attesa straziante a cui ci stavo sottoponendo, ma sapevo che se l’avessi baciata in quel momento avrei aperto una porta che sarebbe stata difficile da chiudere.
La guardai ancora una volta, prima che una mano scivolasse dietro la sua nuca per avvicinarla di più.

Eravamo così vicine, davvero così...
... ma a quanto pare non era il nostro momento, delle voci che si avvicinavano alla stanza dover eravamo nascoste ci fece staccare all'improvviso con i respiri accelerati e gli occhi brillanti di desiderio.

Le sorrisi nervosa, mentre il mio stomaco decideva di fare le capriole.
 
Voglia.
Devastante voglia.
 
Sentii distintamente la mia eccitazione bagnarmi le mutande.
È questo l’effetto che mi faceva Alice Hemingway.
E non avrei mai voluto farne a meno.
 
Mai più.










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Angolo Wanky!
Ciao a tutti.
Non ho saputo resistere al desiderio di pubblicare questo miscuglio di eventi che potremmo chiamare quasi "Spoiler" o "Trailer" di una long che vorrei iniziare. Ovviamente so che ho da terminare MNM, ma questa storia mi sta davvero tartassando il cuore, così come le protagoniste che ho deciso di creare nella mia testa.
Detto ciò, vorrei sapere voi cosa ne pensate, se siete curiose di conoscere la loro storia di come si è evoluta, insomma... se ne vale la pena farvi conoscere Charlotte Rivers e Alice Hemingway.
Grazie per chiunque leggerà e mi farà sapere.

Buona domenica :)


 
   
 
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