Giochi di Ruolo > Dolce Flirt
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Autore: PandaNemoMinerva    30/04/2018    1 recensioni
Kentin. Il ragazzino indifeso che abbiamo conosciuto nei primi episodi.
Kentin. Il ragazzino che segue la ragazza di cui è innamorato in un nuovo liceo. Ragazza che non lo sopporta.
Kentin. Il ragazzino vittima dei bulli.
Kentin. Il ragazzino che viene mandato dal padre all'Accademia Militare.
Kentin. Il ragazzino che da quell'Accademia non è tornato.
Ma se a qualcuno mancasse quel ragazzo genuino e gentile?
Il racconto di come viveva le giornate quel piccolo nerd, la Gazzella mangiata dai Leoni, i suoi pensieri, le sue speranze, la sua visione del mondo con giusto un pizzico di cinismo.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dolcetta, Kentin, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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°§° Note Introduttive§°§ Ciao e Benvenut* ^.^
Ho scritto questa lunghissima OS pensando al Kentin dei primi episodi, che mi piace molto di più dell’originale palestrato e fintamente sicuro di sé.
Lei è ovviamente la Dolcetta, il personaggio standard dell’otome, mentre PeSco è un mio personaggio originale, come Chuck e Becca.
°§°§°§°§
 
 
Dolce Amoris.
È un nome strano per un liceo.
È insolito, incongruo.
Al Dolce Amoris non c’è niente di dolce.
Non sono dolci le spinte dei bulli che fanno scontrare la mia schiena contro il metallo freddo degli armadietti.
Non sono dolci le voci che mi appellano con epiteti quali “sfigato” e “quattr’occhi” – tanto per menzionare i più gentili.
Non sono dolci i dispetti che si concludono con quaderni e compiti stracciati, insozzati, oppure presi da mani altrui e spacciati per propri, occhiali rotti e cibo addosso.
Questa è la vita di un nerd con occhiali spessi e capelli dal taglio a ciotola, null’altro che un giocattolo per ragazzi popolari.
Di bello ci sono solo i più a lato dei dieci che ornano di rosso i compiti e la campanella che segna l’orario di uscita.
Di bello c’è lei, la ragazza per cui mi sono trasferito, la ragazza di cui sono innamorato da tempo immemore.
La ragazza che mi ignora.
I sacrifici, le rinunce (specie quelle fatte per altri) non sono mai dolci.
Come al solito, passo l’intervallo sulle scale dell’ingresso laterale mangiando biscotti e cercando riparo dai bulli che, in questo lasso di tempo, raggiungono il massimo dell’attività.
Mi accorgo di Castiel, si sta avvicinando, attraversa il cortile a grandi passi.
Riconoscerei ovunque la chioma tinta d’un rosso accesso e accecante, i passi sicuri di chi cammina senza vedere chi gli sta attorno.
Mi lancia un’occhiata.
Entro nel suo campo visivo per un paio di secondi, trattengo il fiato.
Passa oltre.
 “Sei qui, PeSco” lo sento chiamare.
“Come sempre”
PeSco. Con la S maiuscola, come iniziale d’un’altra parola.
Petite Sco. Un soprannome così usato da rendere obliato il nome originale.
Riconoscerei ovunque pure questo soprannome e il suo modo di camminare, i passi di chi non sa bene su quale terreno cammina e cosa vede intorno, lo sguardo distante.
“Andiamo?”
Un cenno d’assenso con la testolina di capelli scuri.
Riattraversano il cortile a ritroso e come al solito concentro lo sguardo sui biscotti.
Stavolta Castiel m’ignora, è concentrato sul plettro della chitarra che tiene in mano - respiro di sollievo – ma gli occhi di lei, di PeSco, tornano indietro a gettarmi un’occhiata.
Una sola occhiata prima di passare troppo oltre.
Lo fa sempre.
I suoi occhi sfumati tornano sempre indietro ad osservare fino all’ultimo ogni cosa – che sia una persona, un animale, un libro o una statua – e non perdere nulla di ciò, studiare e carpire.
Il cortile torna deserto, ingoio l’ultimo biscotto rimasto.
In uno dei cambi d’ora divengo bersaglio di un bicchiere di plastica volante che contiene bibita gassata e qualche sorta di liquido vischioso.
Il liquido dolciastro e appiccicoso impregna totalmente i miei capelli gocciolando sul collo.
Durante l’ora di lezione i capelli si incollano fra loro in tanti piccoli ciuffi ed è quasi inutile cercare di ripulirsi con l’acqua di un lavandino.
I dispenser di sapone sono, come al solito, vuoti.
Mi rifugio nell’aula dove si svolge il corso avanzato di matematica che è utile per i crediti.
È una delle mie aule preferite, occupata da neppure una decina di studenti facenti parte della stessa categoria: gli snack che i popolari amano sgranocchiare.
Torno a casa e per cena e assieme al minestrone della mamma papà mi serve anche venticinque sollevamenti alla sbarra posta nel vano della porta: la Barra della Vergogna.
Si è accorto che i miei capelli odorano di Diet Coke.
Non sono il figlio di un Sergente*
Per lui, essere come sono, è motivo di vergogna.
Non sono un ragazzo atletico e scattante, bravo negli sport e pieno di muscoli.
Sono un ragazzo di appena cinquantacinque kg che sta troppo curvo sui libri
 (*richiamo al Sergente Hartman di Full Metal Jacket)
 
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
 
Noi sfigati, ultimi della catena alimentare, sappiamo adattarci.
Noi sfigati, ultimi della catena alimentare, compiamo lo stesso percorso tracciato nei secoli dalle specie in evoluzione.
Se le gazzelle hanno imparato a correre per sfuggire ai leoni, noi impariamo egualmente a percepire i nostri predatori, impariamo a riconoscere le tipologie delle loro occhiate, il suono dei loro passi in avvicinamento.
In questo momento so che Chuck si sta avvicinando.
So pure il perché.
Prendere il mio compito e spacciarlo per suo.
Non seguo molto le lezioni di letteratura sebbene sia un corso avanzato, troppo complessa con i suoi stili quasi simili, lunghi e vacui i libri dalle centinaia di pagine, per cui ho scelto un libro a caso da recensire.
L’ha letto Googole, per la maggior parte.
Chuck prende il plico di fogli e sorridendo lo porta via, come un bimbo col dono meritato.
A protestare non ci provo nemmeno, anche se la cosa mi infastidisce molto.
È il mio compito, io ho letto per giorni quel libro noioso.
Fortunatamente vedo arrivare Lei e subito le vado incontro, illumina il corridoio solo passando.
Le ho portato dei biscotti ripieni al gianduia.
Sono molto meglio di quelli ricoperti di semplice cioccolato.
Stavolta mi dirà di sì, lo sento.
 
Io, sfigato, ultimo della catena alimentare, non ho imparato ad affinare il sesto senso.
Chuck sta tornando, lo sento.
Tutti lo sentono e lo vedono mentre percorre il corridoio.
È simile al toro che, massiccio, corre per le strade di sabbia di Pamplona cercando qualcuno per incornarlo.
E io, al solito, sono il drappo rosso contro il quale si scaglia.
Una delle sue mani enormi colpisce la superficie metallica di un armadietto poco dietro di me ed a quel rumore tutto il corridoio si ferma.
Chi è vicino a noi si sposta, qualcuno mormora, ma non per fermarlo, no, per ridacchiare d’un divertimento crudele.
Vengo afferrato per il colletto della maglia di lana e schiacciato contro un armadietto.
“Pensavi di cavartela, vero? Farmi uno scherzo con un compito sbagliato. Ma non te la faccio passare liscia.”
Chuck non ha calcolato che i programmi dei corsi avanzati non coincidono con gli altri, i corsi standard.
E lui non ne segue tanti, non Letteratura per lo meno.
Quella non è necessaria per la borsa di studio sportiva.
Mi preparo ad altri lividi, ad essere di nuovo una gazzella sgranocchiata, non per fame – allora forse comprenderei – ma per noia.
Gli studenti osservano, si danno di gomito, bisbigliano.
Pure se qualcuno provasse indignazione, nessun dito verrà mosso.
Tutti si aspettano che lo faccia qualcun altro.
Se non ricordo male ne lessi en passant tempo fa, si chiama effetto spettatore.
Persino Nathaniel non ne è immune, l’espressione è contrariata, ma resta lì, accanto all’aula delegati assieme a Lei.
Chiudo gli occhi preparandomi all’inevitabile e pregando che gli occhiali restino interi e sulla mia faccia.
“Chuck”
PeSco è arrivata senza far rumore, in silenzio come un refolo.
Il refolo di vento che porta alle narici del predatore un odore più allettante.
È tranquilla, come se non si stesse trovando innanzi ad un – quasi – pestaggio e chissà che sta davvero osservando mentre muove le dita macchiate.
Chuck risponde con un grugnito.
“Castiel vuole parlarti. Ti aspetta fuori”
E miracolosamente il toro lascia perdere.
La gazzella non sarà sgranocchiata, non oggi.
Cerco PeSco per ringraziarla, ma non la vedo più.
È andata com’è arrivata, in silenzio, senza farsi notare.
Riconosco la chioma scarlatta di Castiel accanto alla aula A.
 
°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*
 
 
I giorni tranquilli sono finiti.
Nell’aria c’è una strana elettricità che pervade chiunque cammini nei corridoi o entri nelle aule.
La buona entità che proteggeva il branco delle prede si è dissolta e i predatori hanno di nuovo via libera, come hanno ben imparato i membri del Club di Scacchi.
Non si sa chi, nell’Olimpo dei Popolari ha organizzato una super – festa – imperdibile e tutti fremono all’idea di parteciparvi.
Io sono più preoccupato per la scomparsa del tappo nella falla, che d’essere escluso dall’evento dell’anno.
Un’anta metallo sbatte forte, non riesco a trattenere un sobbalzo.
Cerco di dissimularlo, ma i libri che dovevo riporre cadono comunque per terra.
Qualcuno ridacchia, mi chino a raccogliere i libri.
Una mano dalle unghie mangiucchiate e macchiate dnero afferra il libro di trigonometria e me lo porge.
Sono troppo sbalordito per poterla ringraziare.
Recupero la voce solo qualche istante (di troppo) dopo, quando si sta già allontanando.
Ricambia con un gesto della testa.
Non è proprio una personcina loquace, PeSco.
 
Nei giorni seguenti mi ritrovo a cercarla con una facilità quasi inquietante.
È abbastanza difficile, però, cercarla in mezzo agli altri studenti.
Castiel, Chuck e gli altri si riconoscono da lontano, spiccano nella piccola popolazione di studenti; Petite Sco apparentemente fa del dissimularsi il suo hobby, si confonde con la folla – se non è assieme a Castiel, lì nulla può.
 
Aula di chimica, lezione con poco capo e poca coda e un professore troppo vicino alla pensione per preoccuparsi della calma.
Oggi purtroppo è giorno di pratica, con sostanze potenzialmente letali a distanza troppo ravvicinata.
Lascio al mio compagno di lavoro il compito di miscelare il tutto, dopo che il troppo entusiasmo da me usato ha provocato più danni che altro.
Compilo la scheda e mi guardo attorno.
I più chiacchierano liberamente mentre lavorano.
Al loro tavolo, Iris e altre ragazze – fra cui Lei - parlano fitto fitto.
Chiacchiere di zucchero filato rosa e lustrini.
Incontrollato, lo sguardo scorre sugli altri tavoli.
Del tutto incredibilmente Castiel sembra lavorare al compito assegnato, scrive qualcosa s’un foglio.
PeSco lo osserva, affamata di gesti e significati, ogni tanto s’avvicina e scambiano qualche frase.
Riesco a coglierne una, nel chiacchiericcio generale.
“Niente. Le tue mani.”
 
Ora di fisica.
Qualcuno mi rende bersaglio mobile per ogni palla lanciata durante palla avvelenata.
La falla si è ufficialmente riaperta pure per me.
 
Ora di cena.
I sollevamenti alla Barra della Vergogna aumentano.
Li finirò ben oltre l’ora di cena.
Decisamente non sono il figlio che mio padre agognava.
Avec moi, après moi, la déception. (Con me, dopo di me, la delusione)
 
 
°*°**°*°*°*°*°*°*°*°*°*°*°
 
 
Mancano due giorni alla festa.
Non faccio altro che pensare al progetto che sancirà la fine del quadrimestre e che ci è stato assegnato oggi.
È totalmente assurdo - dobbiamo contestualizzare la teoria di Darwin in un ambiente a noi noto – e non ho idea di che significhi.
Ci rimugino su, seduto come al solito nel mio rifugio, prendendo cioccolata da un incarto che era destinato ad essere condiviso.
Ne ho portata troppa, di cioccolata, sperando di dividerla con Lei.
Si scioglierà nello zaino, probabilmente.
Trovo un invito infilato nell’armadietto, all’orario di uscita.
 
Mamma ha trovato l’invito mentre puliva la camera, un foglio malamente stropicciato gettato accanto al cestino.
Ne è stata così entusiasticamente commossa da essere quasi imbarazzante, nei suoi modi.
Il suo piccolo Kentin ad una festa coi compagni.
Non poteva crederci, il suo desiderio di sempre si avverava nelle sue mani.
Chissà che s’immagina.
Aspettative rosee e patinate di bontà, probabilmente.
Palloncini e allegre risate di compagnucci.
Io immagino più qualche scherzo in cui attirarmi, il clown di turno.
L’ho quasi convinta a farmi restare a casa.
Purtroppo ne ha parlato a papà e con lui suppliche e lacrime non hanno appigli.
Per l’integerrimo e coriaceo Sergente le umiliazioni fortificano il carattere – eh certo, guardate i serial killer, sono un perfetto esempio, quelli.
Non accetta rifiuti.
Vuole che partecipi alla festa e quindi ci dovrò andare.
Dovrò pure divertirmi e trarre insegnamento dalle beffe.
Manca un giorno alla Grande Umiliazione.
 
 
L’intera popolazione studentesca è in fermento per la festa.
L’eccitazione degli animali all’inizio della Stagione delle Piogge. O degli Accoppiamenti.
Non mi fa né caldo né freddo.
Un’altra serata di umiliazioni e prese in giro, altre ore da passare in un angolo defilato sperando d’essere invisibile.
Molto probabilmente l’invito a me recapitato si rivelerà un crudele scherzo.
Chuck ruba al solito il mio compito, oggi tocca ad Inglese.
Lezione che seguiamo assieme.
Sento Lei parlottare con le amiche di trucco e abiti da indossare alla festa – shopping e pomeriggi di preparazione.
La preparazione animale, il mutamento del manto per il Corteggiamento.
 
 
Il punch è disgustoso, allungato con qualche alcolico troppo dolce e molto probabilmente economico.
Ho provato a fingere un malessere, prima, ma mio padre non si è fatto convincere.
Lui e mia mamma mi hanno accompagnato in auto – mamma mi ha infilato dei pacchi di biscotti, quelli piccoli e con la sorpresa dentro, per “dividerli con gli amichetti.”
Imbarazzante.
Come dirle che non ho nessuno con cui dividerli, al massimo potranno rubarmeli.
O tirarmeli contro. O costringermi a mangiarli.
Per cui eccomi qui, come preventivato, in un angolo del salone gremito di gente e rumoroso di musica da ballo, con del disgustoso punch in mano.
Ancora due ore da passare qui.
Una coppia di ragazzi mi scaccia malamente dal mio rifugio.
A quanto pare, è una delle zone adibite alla Conquista delle Prime Due Basi del Corteggiamento.
Vago per la casa. Nemmeno so di chi sia.
Ogni stanza ed ogni corridoio sono pieni di corpi accalcati l’uno sull’altro, passo a fatica, ricevo qualche pestone.
L’aria è satura dei profumi dolci delle ragazze, quelli forti dei ragazzi, odore di alcolici e corpi sudati.
Immagino che, nella Scala di Successo delle Feste, questa raggiunga un buon piazzamento.
Alcune porte sono chiuse a chiave.
Una ha una sorta di bandana attaccata alla maniglia.
È aperta.
Entro.
È una sorta di stanza da bagno, lilla e bianca.
Vuoto il bicchiere di punch nel lavandino.
Mi scappa la pipì.
“Chi accidenti è che rompe? Stanza off limits, non avete visto il segno?”
Una voce incorporea.
Vorrei poter smettere di far pipì, ma non posso.
“Oddio, perfetto.” Bofonchia la voce.
La riconosco.
PeSco.
Spero che non spunti fuori un esemplare di Castiel Nudo ed Infuriato.
Tiro l’acqua e mi lavo le mani.
La tenda che cela la vasca da bagno si sposta.
PeSco è seduta dentro la vasca, le braccia incrociate sulle ginocchia.
“Oh, sei tu.”
Mi stupisce che una come lei conosca uno come me.
“Scusa, non volevo disturbare. Non sapevo nulla del segnale e quindi sono entrato. Non sapevo nemmeno che fosse un bagno. O che ci fossi tu qui.
Avrei dovuto bussare, in effetti, se solo avessi saputo ch’era un bagno e anche occupato.” esclamo tutto d’un fiato.
PeSco scoppia a ridere e mi dice di respirare.
“Vieni qui”
Mi avvicino alla vasca, dondolo sui piedi.
“Intendo dentro con me.”
Avvampo.
Mai stati amici, io e lei.
Nemmeno Conoscenti da Chiacchiere in Classe.
Tantomeno Amici che Dividono una Vasca da Bagno.
“P-perché?” balbetto.
“È un rifugio per piccoli cuccioli spauriti.
E tu lo sei, o sbaglio?”
No, non sbaglia.
Indugio.
“Non mi sembra igienico.”
Sbuffa.
“Becca non usa mai questo bagno, è troppo piccolo per lei.
Ed è zona off limits, potere delle bandane.
Fa come ti pare.”
Infila di nuovo le cuffiette bianche nelle orecchie, appoggia il mento sulle braccia.
Entro con lei.
Habitat Migliore della Terra dei Coccodrilli al Piano Basso.
PeSco è vestita di scuro, ai piedi delle deliziose scarpine con il tacco, in vernice nera, da bambola.
Cerco di occupare meno spazio che posso per mantenere la maggior distanza possibile.
Non oso immaginare la situazione vista dall’esterno, se qualcuno entrasse.
PeSco tira la tenda di plastica a fiorellini.
Rimaniamo in silenzio.
Provo ad ascoltare la musica che trapela dagli auricolari.
Non la conosco.
Dabbasso giungono voci, grida, rumori e musica.
Non avrei creduto mai di poter trovarmi ad una festa del genere.
Né, tantomeno, di ritrovarmi dentro ad una vasca da bagno, in una succitata festa, con la fidanzata di Castiel.
Dentro la vasca, riparati dalla tenda, è come essere in un mondo a parte.
Il nostro Habitat Privato.
La musica dall’Ipod si interrompe.
“Che ci fa tu qui?” mi chiede secca PeSco dopo minuti di silenzio, passati ad osservarmi.
Visto che le ho già detto del bagno, ipotizzo si riferisca alla festa.
So di non essere il tipo di invitato adatto.
“Ho ricevuto un invito. I miei mi hanno obbligato a venirci.”
“Già. Ti capisco.”
“Ti hanno obbligata i tuoi?” chiedo, senza trattenere lo stupore.
 Lei sembra proprio il tipo da festa di questo genere.
Fa una faccia strana, uno sguardo che non comprendo malgrado mi stia fissando.
“Noblesse Oblige.”
Eh?
“Il mio Status Sociale esige che io partecipi.
Fidanzata di Castiel e il resto, molto poco altro in verità.”
Oh.
È logico.
Maschio e femmina Alpha che si mostrano al resto del branco.
Le giro la domanda.
“Che ci fai tu qui?”
Alludo alla vasca da bagno.
Perché non è sotto con gli altri, col resto del branco?
“Odio questo.
Queste stupide feste, tutte le persone finte là sotto.
Ora sono tutti amici, si dividono cibo e bevande, ballano e parlano assieme.
Domani tutti questi” amici” non faranno che sparlare di tale persona che è andata con quell’altra, chi ha vinto la Gara del Ripostiglio o della Maglietta – e non è lusinghiero vincerne sai, troppo “da facili” - additeranno chi ha un paio di corna, criticheranno per com’era vestita quella persona, rideranno per la figuraccia che ha fatto quell’altra.” Lo sguardo nelle iridi castane è smorto, la voce piatta.
“Per cui…” abbozzo una frase, non riesco a finirla.
Non capisco tutto questo, tale mondo mi è alieno.
Specie Sconosciute con Abitudini Sconosciute.
PeSco ticchetta le dita sul bordo immacolato della vasca.
Una sorta di risposta.
Non riesco a far collidere l’idea che c’è di lei, la lei del liceo, con la ragazza seduta in questa vasca.
Una festa dopo l’altra, uno sguardo smorto dopo uno sguardo smorto, rifugi improvvisati chissà dove.
“È come il leone che gioca col piccolo di gazzella.
Lo coccola e sembrano teneri, ma prima o poi lo mangerà con i suoi affilati denti bianchi.
Qui, a scuola, è la stessa cosa.
Salvo che poi ci scopriamo sopravvissuti, anche se non indenni.
Assolvo i miei obblighi e scompaio.
Fa anche parte del fascino, del personaggio.” La voce è piccola, sottile, piatta.
Mi chiedo perché lo faccia.
Perché non stia a casa.
O in un posto in cui si diverte.
Forse per lo stesso motivo per cui le zebre sfidano i fiumi pieni di coccodrilli e caimani per giungere sull’altra riva.
Sopravvivenza.
Decido di non farmi domande, non ora, di lasciarmi trasportare dagli eventi e dai due sorsi di punch bevuto.
Anche se non ci conosciamo.
Anche se tutto questo, qualsiasi cosa sia, finirà appena usciti da qui.
Anche se lei sembra avere la sbronza triste, senza però odorare di alcool.
“Non ti ho mai ringraziato per quanto fai a scuola.
Per la cosa di Chuck.
Grazie.”
Fa spallucce.
“Non c’è di che.
È stata solo una piccola cosa.”
“L’unica che qualcuno abbia mai fatto.”
“Ci provo.
Quando posso, quando riesco.
So che significa”
“No, non puoi.” La frase esce secca e dura prima che possa averla solo pensata coscientemente.
Lei è popolare, la fidanzata di Castiel, quasi tutte le ragazze sognano d’essere al suo posto, soggetto dei sorrisi teneri, dei baci e delle dita strette ch’egli le rivolge.
Mi guarda serena, comprensiva.
“Posso, invece – sussurra – e lo so.
Senza Castiel sarei solo quella eccentrica, che veste in modo strano e non dà confidenza a nessuno.
Mi sarei mischiata fra la folla senza essere notata, e per certi versi sarebbe anche bello.
Sarei una piccola lepre leccata e mangiata dal leone.”
Per questo se posso provare a fermare Chuck o gli altri tento di farlo.”
In effetti, ora che ci penso, poche volte ho sentito dire malignità da lei.
“Grazie a nome dei nerd di Matematica Avanzata.
Però non credo che nella savana ci siano le lepri.”
Sorride.
Le borbotta lo stomaco.
Arrossisce.
Tiro fuori le due retine con i biscotti.
Gliene offro una.
La accetta con un cenno del capo.
Racchiusi nella nostra bolla privata di porcellana sgranocchiamo biscotti.
È la festa più strana cui abbia mai partecipato. La Prima Festa.
E pure la più piacevole.
È bello stare qui con lei.
Con un lato di lei che non immaginavo esistesse.
Forse non lo immagina nessuno.
Ma esiste davvero, poi, fuori da questo posto?
Esistiamo o siamo soltanto un istante?
Apre la sfera contenente la sorpresa.
Un portachiavi.
Dei Pokémon.
Un piccolissimo portachiavi dei Pokémon a forma di Bulbasaur.
Voglio sprofondare, di nuovo.
Già è grave essere un nerd sfigato, ancor più girare con dei biscotti da bambini nel marsupio.
PeSco lo fa dondolare davanti al viso.
Decido di aprire il mio.
Magikarp.
Il Pokémon più sfigato di sempre per il nerd sfigato.
“Possiamo fare cambio?” mi chiede.
Lascio cadere il pupazzo nelle sue mani socchiuse a coppa, ricevo l’altro dalle sue mani tiepide.
Sono dei pupazzini fatti pure bene, con tutti i dettagli curati precisamente, gli occhi, la bocca, le piccole squame o le striature.
Ma restano sempre un po’ da sfigati, ad una delle Feste Migliori del liceo.
PeSco osserva il Magikarp sorridendo.
“Ti piace davvero?”
“Certo”
“Sul serio? A nessuno piace Magikarp.”
“A quanto pare non proprio a nessuno.
In ogni schedina di gioco, per ogni città, catturavo un Magikarp.”
“Avrai avuto un sacco di Gyarydos.”
“Non li facevo evolvere.
Magikarp è un pesce che ha coraggio.
Gli allenatori lo sottovalutano, ma non gli importa.
Resta così, ci prova e fa del suo meglio, pure se i risultati sono pessimi.
È debole, ma è presente ovunque, e ha squame durissime.
Anche se poi, evolvendosi, diventa quella specie di bisca d’acqua gigante.
E lo detesto un sacco.
Non c’entrano niente l’uno con l’altro.
È facile essere Gyarydos, dei tronfi prepotenti e violenti per trionfare sugli altri.
Essere un Magikarp umile e che ci prova è molto più difficile
Secondo me rappresenta la scelta che dobbiamo fare nella vita.”
“Fai psicologia-sociologia coi Pokémon?”
“Già. Castiel mi prende sempre in giro su questo.”
“Lui sarebbe senza dubbio Charizard.
Non un Gyaraydos, è un bullo, ma non è mai violento o prepotente, al massimo dice qualche battuta, ma non lancia granite o spedisce gente contro gli armadietti o per terra.
Chuck, invece, sarebbe un Gyarydos molto cattivo.”
Sorride, un sorriso dolce e tenero, luminoso e intimo, come se le avessi detto qualcosa di bello, qualcosa che riguarda il suo fidanzato e le fa piacere.
“No, non è affatto quel genere. Proprio per niente.
Sarebbe un ibrido con Charizard e un altro.
Davvero, davvero strano” Ridacchia sofficemente.
Qualcosa mi trattiene dal chiederle quale altra creatura sarebbe coinvolta.
“E io? Che Pokémon sarei?”
“Magikarp.
Sei te stesso, con i tuoi maglioni e la tua passione per le materie scientifiche.
Gente come Chuck può ferirti, ma non distruggerti, se vuoi resistere.”
Non è male come descrizione, ma non so quanto mi rispecchi.
O quanto voglia farmela piacere.
Decido di non dirglielo.
Essere forte come Gyarydos non sarebbe male, non più sottomesso o deriso.
Io quello che incede spavaldo per i corridoi, non più il ragazzetto impaurito addossato all’anta dell’armadietto.
PeSco si allaccia il ciondolino al bracciale che porta al polso sinistro.
Quasi per riflesso guardo l’orologio che ho al polso.
“Che ore sono?”.
“Undici e un quarto.”
Manca ancora un’ eternità al ritorno a casa.
Manca davvero poco.
“Ho il coprifuoco a mezzanotte, passerà mia mamma.
Ti serve un passaggio?”
“No, grazie.
È carina tua mamma a venirti a prendere.”
“Immagino ti porti Castiel.
I tuoi per quando ti aspettano?”
Uno sguardo strano, scuro.
Non mi risponde.
Ho fatto una domanda inopportuna.
“Mi aspetta solo Castiel.” Sussurra con voce quasi inudibile.
Decido di non chiedere oltre.
Parliamo ancora.
Di sotto la festa è ancora più scatenata.
Non pensavo fosse possibile.
Qui nella vasca sembra di essere lontani mille miglia, un’altra galassia.
Infila di nuovo le cuffie, me ne offre una.
Brani che sono solamente assoli di chitarra.
Sorride di nuovo in [i]quel modo[/i] e capisco che è Castiel a suonare.
Mi chiedo perché lui non sia qui con lei, nella vasca, a dividere confidenze e degli auricolari dal filo arricciato.
So che è di sotto a divertirsi, l’ho visto.
Ma sono contento che non ci sia, che sia sotto a bere e ballare.
Finiamo i biscotti.
Mezzanotte e tre.
Lascio l’astronave-vasca e aiuto PeSco ad uscire.
Si aggiusta la gonna, si osserva a lungo nello specchio bianco e respira a fondo.
Un sorriso le compare sulle labbra per magia.
Vado verso la porta d’ingresso e la vedo raggiungere un crocchio di persone, Castiel la raggiunge, la prende per mano e, una volta seduto sul divano, se l’attira in grembo.
La stringe premurosamente a sé.
Gli Alpha che dominano il branco dall’alto della rupe.
Esco, l’aria della notte è fresca; la musica si sente anche fuori dalla casa.
Mamma ha parcheggiato proprio davanti al vialetto.
Mi addormento in auto.
 
Per due giorni sono in bilico fra il dubbio d’aver sognato, un sogno dovuto all’alcool, e la certezza che sia accaduto davvero.
Ricomincia la scuola, dopo il week end.
Non so cosa aspettarmi.
Tutto come prima.
I Leoni Popolari che sgranocchiano le piccole Antilopi Nerd e Sfigate.
A volte i Leoni vengono dirottati altrove.
PeSco sorride fra la folla di studenti che sciamano nei corridoi al cambio dell’ora, gli sguardi che scivolano sempre indietro su qualcosa o qualcuno.
Mi piace pensare che siano per me.
Almeno i suoi.
Lei, a quanto pare, sta avendo contatti con un ragazzo conosciuto alla festa.
Mercoledì, dopo aver dato l’ennesimo compito sbagliato di Letteratura a Chuck, trovo un regalo nel mio armadietto.
Un ciondolo a forma di Magikarp, copia molto simile di quello apparso dentro una vasca-astronave durante una festa.
 
°§°§
 
Papà ha intensificato il programma di allenamenti.
Sfoga così la delusione per ciò che subisco.
Come se fosse colpa mia.
Mea culpa per i bicchieri di bibite gettati addosso, mea culpa per i compiti da rifare, mea culpa per essere me stesso.
Stamattina, all’alba, corsa per un’ora.
Pensavo di morire dopo soli dieci minuti.
Mi fanno male le gambe in un modo impossibile, tremano anche ora che sono seduto in classe.
Alzarmi e raggiungere l’armadietto è una sofferenza.
Appeso nella parte interna dell’anta, il ciondolo di Magikarp.
Lo fisso.
È uno strano legame con qualcuno di incredibile.
Sono già sette volte che c’incontriamo e parliamo, all’intervallo, sulle scale delle scale d’emergenza.
Il cortile laterale è anche il suo rifugio.
Io metto i biscotti, lei le bottigliette di succo.
Abbiamo cose in comune, l’odio per il caos dell’intervallo che è l’unico momento in cui tiriamo il fiato, l’adorazione per come insegna la professoressa di filosofia, la passione per le stelle e le poesie.
Oggi finalmente passo il pomeriggio con Lei, l’aiuto in matematica, venerdì ci sarà il compito.
Scorgo Castiel e PeSco passare per i corridoi, diretti in mensa.
 
Le scale d’emergenza sono sempre fredde, appena ci si siede.
Le gambe mi fanno ancora più male, ora che si sono aggiunti squat e calci all’aria che non so a che servano.
Forse sono un modo per prendere a calci la versione debole di me.
Speravo di passare il pomeriggio o anche solo l’intervallo con Lei, per festeggiare il buon voto nel compito, ma mi ha detto d’essere impegnata.
Una bottiglietta di succo mi compare davanti agli occhi.
Sorrido e tiro fuori i biscotti dal marsupio.
“Ti sei fatta male?” le chiedo, notando la benda sull’avambraccio.
“Oh, questa? È la mia stupidaggine da settemila dollari.” Sorride tenera.
“Secondo Castiel è la cifra che sarà necessaria alla rimozione con il laser, quando mi stancherò di avere “questo coso” tatuato addosso.” Mi spiega notando il mio sguardo perplesso.
“Oh, è un tatuaggio. Quando l’hai fatto? Ti fa male?” la sommergo di domande.
“L’ho fatto martedì mattina. Venerdì potrò fartelo vedere.
E sì, ha fatto male specie sulle ossa, ma fa parte della bellezza d’avere un tatuaggio.
È il dolore, il prezzo. Non a caso “tatuaggio” significa “ferita aperta” in samoano.
 “Sarà bello.” Annuisco.
“Sarò una Lepre Albina, forse.”
La teoria dell’evoluzione.
Mutazioni genetiche spontanee.
 
Ma non lo vidi mai, quel tatuaggio, né venerdì né un altro giorno.
Il giorno successivo a quell’incontro, tornai a casa con una bella collezione di lividi, regali di Chuck e dell’anta dell’armadietto.
Papà si è arrabbiato.
Più con me che con loro, non mi sono saputo difendere adeguatamente.
Il giorno dopo, a colazione, mi sono ritrovato davanti alla tazza di latte il foglio d’ammissione all’Accademia Militare.
Papà conosce un sacco di gente lì dentro, quasi tutti gli istruttori, ieri ha chiamato per fare domanda e sono stato subito accettato.
Viva la corsia preferenziale…
Partirò oggi pomeriggio.
Non ho possibilità di scelta.
Papà mi osserva quando preparo i bagagli.
Vorrei urlargli contro, buttare tutto all’aria, spaccare a pugni quella sua faccia impassibile del cazzo, una brutta statua di stampo sovietico da fracassare.
Stringo i pugni, invece, le lenti degli occhiali appannati.
Mamma piange, mentre mi aiuta, ma non obietta molto su questa scelta.
Immagino abbia provato a dissuaderlo stanotte o stamattina, mente dormivo.
Ma i suoi modi blandi e pacati non avranno avuto effetto.
Vorrebbe mettere nello zaino anche i maglioni e la mia coperta preferita, ma secondo papà non servono, avrò la divisa della scuola militare e la coperta che fa parte della dotazione standard.
Porterò via solo biancheria, documenti, e articoli da toeletta quali dentifricio, spazzolino e poco altro.
Un bagaglio pratico, essenziale, da maschio.
Osservo la mia camera, solo pochi dettagli indicano che non l’abiterò più.
Restano i miei libri di fisica e calcolo, i miei maglioni, il pacco di biscotti al cioccolato semivuoto sulla scrivania, il telescopio.
E il ciondolo di Magikarp allacciato al portapenne.
Fortunatamente l’avevo tolto dall’armadietto giorni addietro.
 
 
[i]Magikarp è un pesce che ha coraggio.
Gli allenatori lo sottovalutano, ma non gli importa.
Resta così, ci prova e fa del suo meglio, pure se i risultati sono pessimi.
È debole, ma è presente ovunque, e ha squame durissime.
 
Gente come Chuck può ferirti, ma non distruggerti, se vuoi resistere.[/i]
 
Resisterò. Ci proverò. Farò del mio meglio.
 
 
°§°§
 
Dolce Amoris.
È un nome strano per un liceo.
È insolito, incongruo.
Al Dolce Amoris non c’era niente di dolce.
Ma ci sarà.
Ci sarà per Ken.
Ken che non è come il piccolo, patetico, Kentin.
Ken che non si farà spaventare dai bulli.
Ken che ricambierà pugni e spintoni.
Ken che non perderà tempo dietro una ragazza, ma ne avrà mille.
Ken che non verrà deriso o sbeffeggiato.
Entro con passo sicuro, la suola degli anfibi militari rimbomba sul pavimento a ritmo dei miei passi marziali.
La mia vendetta inizia da Ambra.
Non mi riconosce.
Ora sono un bel ragazzo. L’attraggo.
La bacio. Le sue labbra sono pastose e amare di rossetto.
La butto via.
Come una confezione vuota o dei biscotti cattivi.
 
Le scale anti incendio.
Sembra passata un’eternità.
Sono sempre imponenti e grigie.
Sono vuote, ora.
Vado nel cortile davanti.
 
Rumore di piccoli tacchi sul pavimento, passi veloci.
Due occhi colmi di rabbia, dolore.
Occhi di fuoco.
Una piccola mano tiepida mi forza qualcosa nel pugno contratto.
La mia schiena è contro l’anta gelida dell’armadietto. Istinto.
“Sei come loro.
Ti sei fatto rompere. Ti sei rotto, hai voluto farlo.
Non voglio avere più nulla a che fare con te.” Il tono pungente e velenoso, il sibilo di un piccolo scorpione ferito.
Apro le dita socchiuse.
Un ciondolo di Magikarp.
Quello apparso dentro una vasca-astronave durante una festa.
“Sei solo un Gyarydos.” un sussurro amaro mentre s’allontana.
I tacchi ticchettano sul pavimento.
La puntura dello scorpione, fulminea e letale.
 
 
È dolce, la rinascita, piccolo Kentin?
 
 
 Angolo di Panda: 
Bentrovati alla fine di questa bestia di storia, è lunghissima!
Vi ringrazio per aver dedicato qualche minuto a leggere la mia fanfic, grazie mille ^.^
Kentin all'inizio come personaggio mi piaceva, andando avanti trovo abbia perso un sacco, è la copia sbiadita e malfatta di Castiel, un finto bulletto, che però trema alla prima occasione e fa solo il gradasso.
Ho cercato di dargli spessore, tridimensionalità, cosa che in DF non accade mai, visto che tutto è filtrato dagli occhi della protagonista.
La situazione di Kentin non è facile, è deriso da tutti e preso di mira in modo bullistico per il suo aspetto ed il suo modo da fare, persino Dolcetta lo accantona e lo liquida come una piattola.
Immagino poi come fossero difficili i rapporti fra lui ed il padre, che è il classico soldatone duro e coriaceo, che - come visto nell'ep coi genitori - accetta il figlio solo quando divine simile a lui.
Ovvero uno smargiasso.
Ho provato a dar voce ai pensieri di quel ragazzo deriso e non accettato persino in famiglia, ho provato a creare qualcuno che gli tendesse una mano e gli dicesse "sei meglio così come sei, che come gli altri."
Magikarp e Gyarydos, appunto.
Well, vi saluto e spero che bene o male la storia vi abbia lasciato qualcosa; spero di leggere i vostri commenti a riguardo. Anche solo per dirmi di non scrivere più così tanto :D
Alle prossime, ovvero una shot su Ambra, e una long su Castiel e PeSco, e tutti gli altri personaggi.
Se capisco come usare la pagina fb dell'account vi lascerò info ed anticipazioni.
Saluti Pandosi ^.^

P.s. la storia è stata pubblicata anche sul forum di DF,  nessun copiamento. 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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