Fanfic su artisti musicali > EXO
Ricorda la storia  |      
Autore: Il_Genio_del_Male    01/05/2018    12 recensioni
Un pasticcere troppo bello per essere vero, un tizio arcigno sempre vestito di nero, due cameriere dalla lingua biforcuta... e Torino.
[Italy!AU] [Pâtisserie!AU]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kai, Kai, Nuovo personaggio, Sehun, Sehun
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Quei fagiani maledetti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Dedicata a Egizia, lei sa perché <3.

 

 

 

 

 

Il problema, stabilì corrucciato l’uomo prendendo appunti su una Moleskine blu, era l’insegna. La vetrina esponeva un’ampia selezione di torte sontuosamente decorate che ammiccavano ai passanti, inducendone parecchi in tentazione. In cima all’ingresso, un sobrio cartello color cioccolato riportava, in un minimale font sui toni del crema, il nome del negozio: Kim. L’interno, ben illuminato al di là del vetro e decisamente affollato, era invitante. L’arredo ricordava quello di certe caffetterie viennesi di inizio ‘900, con un grande lampadario centrale in stile Liberty avvolto da fili di perle di vetro, eleganti tavolini in ferro battuto resi vivaci da addobbi floreali freschi di vivaio, specchi profilati di ottone e poltroncine in velluto. Gli avventori, seduti o in fila davanti al registratore di cassa in attesa di pagare, sembravano a proprio agio e contenti di trovarsi lì, in un ambiente confortevole ed intimo nonostante la sala da tè si trovasse in Via Cernaia, una strada alquanto frequentata. Eppure, rifletteva l’uomo, l’insegna mancava. E quello era indubbiamente un punto a sfavore del locale. Tutt’altra cosa rispetto agli States, dove aveva vissuto a lungo.

Allorché varcò l’ingresso, venne investito da un’orgia di aromi. Il suo olfatto allenato riconobbe il sentore asprigno del cedro candito, l'aroma intenso del cioccolato fondente e la ricchezza burrosa dei krapfen, rigorosamente fritti in olio di semi bollente. Il trillo sommesso di una campanella affissa alla porta annunciò al personale la sua entrata. L’uomo prese nota mentalmente dei modi cortesi e amichevoli con cui i commessi servivano i clienti, ma non si preoccupò di attirare la loro attenzione. Lui mirava al padrone, di cui aveva sentito dire solo cose lusinghiere. I suoi informatori gli avevano riferito che lo si poteva trovare tutti i giorni della settimana in pasticceria; non era certo uno sfaticato.

“Buongiorno, sono Jongin. Benvenuto nel mio locale. In cosa posso servirla?”

Un particolare su cui i suoi informatori -tutti, a prescindere dal sesso e dall’età- si erano dilungati anche troppo era la bellezza fuori dal comune del fondatore del negozio, Kim Jongin. Di origini coreane, come si evinceva da nome e cognome, possedeva la grazia che solitamente si attribuisce alle popolazioni orientali e liquidi occhi grigi che rivelavano antenati occidentali. Alto, la vita sottile bilanciata da spalle larghe e forti, la pelle su cui sembrava fosse stato colato del miele di acacia, lucidi capelli scuri, polsi ossuti ed un grembiule che non riusciva a celare le sue lunghe gambe, Jongin era effettivamente quanto di più vicino esistesse al concetto di divinità incarnata. L’uomo batté velocemente le palpebre, stordito di fronte ad una simile e sfacciata avvenenza.

“Salve. Mi hanno tanto parlato della sua pasticceria, perciò mi è venuta voglia di farci un salto” rispose, mescolando la menzogna alla verità. “Ammetto di non capirci molto di dolci. Mi aiuterebbe a scegliere quello più adatto a me?”

“Ma certo” sorrise, rivelando una dentatura abbagliante. “Devo dimostrare di essere all’altezza di una tale pubblicità. Credo di essere abbastanza bravo a indovinare i preferiti dei miei clienti… Prego, mi segua” lo invitò, andando dietro alla vetrina refrigerata con la merce esposta. L’altro obbedì.

“Innanzitutto mi occorre capire che tipo di dolce sta cercando. La piccola pasticceria, ad esempio, può essere servita in tutto l’arco della giornata, dalla colazione a un dopocena” indicò un settore ricolmo di bignè, biscotti e tartine dall’aria golosa, semplici oppure ricoperti di panna e frutta. “I dolci al cucchiaio come le bavaresi, i budini, le charlotte, i soufflé, gli aspic e le creme, leggeri e scenografici, sono perfetti per un’occasione importante. Le crespelle e le omelette, con i loro ripieni a sorpresa e spesso servite ben calde, sono indicate per la fine di un pranzo o di una cena ricercati” nel mentre presentava i dolci come fossero preziose creazioni, gioielli edibili che era quasi un dispiacere mangiare tanto erano curati.

“Quelle torte, invece?” domandò l’uomo puntando il dito senza sfiorare il vetro. Jongin gliene fu grato.

“Si dividono in torte semplici, lievitate, alla frutta, crostate, torte di yogurt e cheesecake. Sono tutte adatte ad una prima colazione, una merenda o un tè pomeridiano. Le torte di frutta sono indicate anche per una cena, specie le tarte, le pies, le sfogliate e le meringate. Le torte farcite, generalmente più sostanziose, vanno bene per un’occasione particolare come compleanni e anniversari ma possono completare anche un pasto leggero, soprattutto se rinforzate con mousse o frutta. Strudel e rotoli farciti sono consigliabili per l’ora del tè o a conclusione di una cena informale” spiegò affabile.

“Noto che avete anche i gelati” osservò l’altro.

“Sì, ora che ci apprestiamo ad entrare nella bella stagione li abbiamo rimessi in vendita. Tendiamo a consigliare i gusti più consoni al clima, prediligendo quelli alla frutta e le creme delicate, ma non mancano mai dell’ottima nocciola, cioccolato, zabaione e panna cotta. Siamo pur sempre a Torino” concluse con un gran sorriso.

“L’assortimento è notevole. È tutto di vostra produzione, mi dicevano”.

“Confermo” ammiccò simpaticamente. “Nel retro c’è il laboratorio, dove ci alterniamo io e due assistenti. Ogni giorno sforniamo brioche e cornetti, pasticcini e i dolci farciti con ingredienti deperibili. Le torte ed i semifreddi” li indicò nei due frigoriferi a vista che erano addossati alla parete opposta della stanza “hanno una conservazione un poco più lunga. Fortunatamente non ci capita spesso di ritrovarci con della merce prossima alla scadenza. In tal caso la scontiamo del 50% e avvisiamo i clienti di consumarla in giornata”.

“E quella invenduta che fine fa? La buttate?”

“Giammai!” il proprietario si infiammò di puro sdegno. “Collaboriamo con il Banco Alimentare, che gestisce una mensa dei poveri qui in città. Doniamo loro le giacenze, che fortunatamente per i miei affari sono poche, così per implementarle ogni ultimo weekend del mese prepariamo una partita intera di paste e panini dolci che diamo in beneficenza. Non è molto, ma nel mio piccolo contribuisco come posso” si strinse nelle spalle con modestia.

“Lodevole da parte sua. E gli ingredienti sono genuini, sì?” incalzò l’uomo.

“Genuini e biologici. Il burro, il latte, la panna, lo yogurt e le uova sono freschissimi, mi arrivano da una masseria a pochi chilometri da Torino. La frutta è sempre di stagione e matura al punto giusto, la scelgo personalmente ai mercati generali ogni tre giorni. Per friggere utilizziamo solo l’olio di semi di arachidi, ma in dispensa teniamo anche una bottiglia di olio extravergine d’oliva della Toscana per ogni evenienza” l’orgoglio (giustificato) traspariva da ogni sua parola.

L’uomo però non parve colpito. Aggrottò le sopracciglia e piegò la bocca in una smorfia quasi indispettita. “E sia. Prendo un cabaret di pasticcini, scelga lei la tipologia”.

“Da portar via?” domandò Jongin con garbo, benché la reazione fiacca del cliente avesse in parte smorzato il proprio entusiasmo. “Sei vanno bene?”

“Benissimo. Li mangio qui, se c’è un tavolo libero. Prendo anche una tazza di tè” rispose quegli impassibile.

“Come desidera. Egizia, cortesemente, libera un posto per il signore” Jongin si rivolse ad una delle cameriere che stazionava in sala.

La ragazza spalancò gli occhi e arrossì, preda di una visibile emozione. “Certo, capo” disse lasciando trapelare un leggero accento napoletano. Era palesemente infatuata del suo datore di lavoro; e chi non lo era?

Jongin sospirò mentre Egizia faceva sedere il nuovo cliente. Seguì il suo istinto e compose un vassoio variegato, con un profiterol farcito di gelato all’ananas e panna montata, un torcetto piemontese, una madeleine alle spezie (cardamomo, cannella, noce moscata e chiodi di garofano), un pasticcino malese cosparso di polpa di noce di cocco, un bastoncino ai pinoli e cioccolato e un éclair alla crema pasticcera ricoperto da una ghiaccia al caffè ristretto. Un accostamento insolito di sapori, a tratti esotico. Sperò che al cliente -che come lui presentava connotati marcatamente asiatici pur parlando italiano con accento inglese- piacesse. Chiamò con un gesto una ragazza dai capelli rossi.

“Marta, portali al tavolo 12, grazie” le porse i pasticcini.

“Intendi il Grumpy Cat che pare un becchino e che ti ha tartassato di domande fino a tre secondi fa?” ribatté la cameriera. “Simpatico come la sabbia nelle mutande. Secondo me gli piaci” sentenziò.

“Secondo te io piaccio a qualsiasi essere vivente dotato di gambe e attributi maschili” si schermì lui.

“Anche quelli con gli attributi femminili non ti disdegnano. Si tengono lontane solo perché hai un’insegna fosforescente con scritto ‘gay’ a caratteri cubitali sulla fronte, ma se potessero…” gli strizzò l’occhio.

“Te compresa?” ammiccò di rimando.

“Neanche se volessi. Spezzerei il cuore di mio marito, e inoltre ti voglio bene come ad un figlio” ridacchiò Marta, che aveva solo tre anni più di Jongin. “Meglio che mi sbrighi a servire Nosferatu, lo sento lanciarmi occhiatine velenose sin da qui” afferrò il vassoio e si esibì nel più convincente dei sorrisi prima di avviarsi verso il tavolo 12.

Jongin controllò Nosfer- il distinto cliente di tanto in tanto, tra uno scontrino ed un avventore affezionato che ci teneva a salutarlo e a scambiare quattro chiacchiere. Lo vide sbocconcellare il cibo, masticare piano, leccare via gli eccessi di farcia dagli angoli della bocca. Il piatto si svuotò in fretta, ma l’espressione del cliente non cambiò di una virgola. Jongin non poté esimersi dal chiedersene il motivo. I suoi prodotti erano buoni, ne era consapevole. A cosa era dovuto quel muso lungo? Forse la miscela di tè non era di suo gradimento? Il locale non era abbastanza raffinato, i pasticcini troppo classici, nutrienti, incuranti della moda del momento? Quando il cliente arrivò in cassa per saldare il conto, Jongin cercò di sondare il terreno.

“Tutto a posto? Si è trovato bene?” gli porse lo scontrino con voce pimpante.

L’uomo annuì. Insieme ad una banconota da venti euro gli lasciò un bigliettino da visita. Oh Sehun - freelance, lesse Jongin. Seguivano l’indirizzo email e il numero di cellulare. “Che fortuita coincidenza: anche lei è di origine coreana?” commentò piacevolmente sorpreso.

Sehun (finalmente poteva assegnargli un nome) annuì di nuovo. “Credo che tornerò. Buona giornata”.

Le due cameriere erano rimaste in disparte ad assistere al dialogo.

“Ha l’eloquenza di un sarago boccheggiante, e anche lo stesso sguardo” decretò Marta.

“Ma no, dai, è carino” protestò la collega.

“Egì, il suo culo alla Jennifer Lopez non nobilita la faccia da broccolo lesso che Madre Natura gli ha affibbiato alla nascita”.

“Beh, il capo lo ha squadrato per benino. Con ammirazione”.

“Ha anche lui i suoi difetti, purtroppo” scosse la testa sconsolata. “Il più interessato tra i due mi è sembrato proprio Mister Broccolo. Gli ha persino dato un biglietto da visita, con recapito e tutto. Ah, gli asiatici e le loro pessime tecniche di rimorchio!” ridacchiò esilarata.

Egizia la guardò di traverso. “Marta. Tuo marito è cinese”.

Il sorriso della ragazza divenne luciferino. “Infatti ho fatto io la prima mossa, altrimenti a quest’ora saremmo stati ancora amici”.

 

 

Torino era una città monumentale e al tempo stesso accogliente, e Jongin la amava per quella sua duplice natura. Le strade ampie del centro storico che si intersecavano razionalmente e i portici di palazzi in stile risorgimentale, che riparavano con la loro ombra marciapiedi altrettanto larghi, ospitavano botteghe affollate e piene di mistero: librerie a conduzione famigliare in cui dare la caccia a volumi introvabili altrove, bar e pizzerie che offrivano il meglio delle specialità regionali e ogni sorta di street food a prezzi modici, bugigattoli antiquari, filiali di note catene di abbigliamento e piccole boutique che resistevano orgogliose alla concorrenza. Numerosi giardini pubblici si intervallavano a distanze regolari, offrendo ristoro e la piacevolezza di aiuole ben curate a chi vi si recava in passeggiata. Affacciate sul cuore pulsante della città, tra Piazza Castello e Piazza San Carlo, le rinomate cioccolaterie si offrivano languide agli sguardi bramosi dei passanti, nascondendo i propri tesori dietro a tendaggi di velluto e maestose insegne in legno scuro, lucidato dagli anni e dall’usura.

La deliziosa Galleria Subalpina collegava le due grandi piazze; chi la imboccava aveva l’impressione di scoprire un passaggio segreto risalente alla Belle Époque e conservatosi intonso sino ai giorni nostri. Via Po, lunga al punto da sembrare infinita, sfociava nella splendida Piazza Vittorio Veneto, i cui locali notturni animavano la movida torinese. Lo spettacolo maggiore era però fornito dalla vista che da lì si godeva del fiume e della Gran Madre di Dio, uno dei più importanti luoghi di culto cattolici della città. Via Roma era un alveare di negozi di lusso e aveva il pregio di trovarsi vicino alla bella sede del Museo Egizio. A pochi metri di distanza, Palazzo Madama e Palazzo Reale stordivano i turisti con la loro mole imponente ed aggraziata. In lontananza la Mole Antonelliana svettava sui tetti torinesi, vigilando sullo shopping colorato che animava Via Garibaldi.

Jongin si recava spesso al mercato di Porta Palazzo per la spesa settimanale. Nel weekend, il Parco del Valentino ed il borgo medievale in esso contenuto erano una tappa obbligata da visitare insieme a Kai, il suo barboncino toy. Più volte si era recato in gita alla Basilica di Superga, risalendo le colline sul trenino a cremagliera, e non mancava di compiere il suo personale pellegrinaggio presso la Reggia di Venaria Reale e la Palazzina di Stupinigi almeno una volta l’anno. Torino era una città dolce in cui vivere, ricca di iniziative culturali, vivace e tuttavia non troppo trafficata, all’apparenza severa e francese nell’architettura, purtroppo molto inquinata e penalizzata da un clima gelido d’inverno e umido d’estate. Jongin le perdonava anche i suoi difetti e le sue contraddizioni.

“È a Torino che devo parte della mia storia personale” si ritrovò a raccontare una settimana dopo a Sehun, tornato in visita come aveva promesso. “La mia nonna materna è italiana, nata in questa città. Discende da una famiglia ebrea di origini miste, un po’ francesi e un po’ austriache. È merito suo se mi sono appassionato all’arte pasticciera: da bambino mi preparava dolci di ogni tipo, che risentivano parecchio delle sue origini mitteleuropee. Terminato il liceo a Seoul mi sono iscritto all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in provincia di Cuneo, e ho conseguito un master in pasticceria presso Alma, la scuola di Gualtiero Marchesi. Per fare un po’ di esperienza ho lavorato a Brescia, nel laboratorio di Iginio Massari, per circa tre anni. Quando ho capito di dover spiegare le ali e cavarmela da solo, ho messo in valigia il libro di ricette di mia nonna e mi sono stabilito qui” sorrise al ricordo.

Il volume occupava un posto speciale nella libreria di Jongin. Profumava di zucchero a velo ed essenza di fiori d’arancio. Le pagine, sottili come veli di cipolla, erano fitte di una grafia minuta e inclinata, vergata con inchiostro nero. Nelle giornate buie, in cui nemmeno la compagnia di Kai era sufficiente a colmare il peso della solitudine, a Jongin bastava sfogliarlo e odorarne la copertina di cuoio invecchiato per tirarsi su di morale. Una tazza di caffè, un romanzo giallo a contorno ed ecco che l’illusione della felicità tornava come per magia.

Sehun, che aveva ascoltato in silenzio partecipe il proprietario di Kim, raccolse le ultime gocce di gelatina di mele al rum bianco con cui erano state annaffiate le rissoles di pere servitegli quel giorno. Le aveva apprezzate, così come le frittelline di uva di Corinto e la treccia alla siciliana (con frutta candita, pasta di mandorle e cannella) dei giorni precedenti, ma nessuno si era rivelato essere il suo dolce preferito.

“Nemmeno questo è quello giusto, vero?” la voce di Jongin lo distolse dai suoi pensieri.

“Oh? No, mi dispiace. Squisito, comunque” si pulì i residui di cibo con un tovagliolino di carta.

“Troverò il tuo preferito -mi scusi, il suo” si affrettò a correggersi il pasticciere, imbarazzato.

Sehun si alzò di scatto, rigido e impettito. Uno sfumato rossore gli scaldava le guance. “Non scusarti” borbottò. “Siamo coetanei, questi formalismi sono inutili. Tieni pure il resto. Alla prossima” proferì prima di uscire in tutta fretta dal locale.

Jongin rimase perplesso a guardarlo allontanarsi. “Si è offeso?” domandò a nessuno in particolare.

Fu Egizia, di turno a quell’ora, a offrire una risposta. “Capo, se mi consenti l’ardire… Devo dare ragione a Marta, quel tipo ha una cotta per te”.

“Figurati” sbuffò lui.

 

 

Le settimane passarono senza che avvenissero grossi cambiamenti nella routine quotidiana di Kim. Oh Sehun si aggiunse alla folta schiera degli habituée del locale, con sommo diletto delle cameriere e dei commessi che assistevano ai siparietti della strana coppia. Jongin lo accoglieva trepidante, impaziente di sottoporre all’uomo una nuova creazione. E invero si dava da fare con grande sfoggio di perizia culinaria, attingendo alle ricette della nonna. Di conseguenza, Sehun ebbe modo di gustare dolci sempre più sorprendenti e arditi: una bomba gelata al sorbetto di cocomero e parfait di lamponi; un golosissimo Paris-Brest di pasta bignè ricolmo di una crema composta da panna fresca, burro e nocciole tostate; torta ungherese dall’impasto ricco di semi di papavero e gherigli di noce tritati, morbida e corposa; il Savarin Lussemburgo, cotto al forno nel suo stampo e caramellato da uno sciroppo al kirsch con una soffice guarnizione di panna montata alla base e, in cima, more fresche immerse in gelatina d’albicocche; fagottini di mele Golden e crema spolverizzati di cannella e zucchero a velo; dolcetti di datteri alla coreana arricchiti da miele e pinoli; un inedito punch ghiacciato al tè, realizzato unendo pregiato Champagne francese al rum, lo zucchero, mezzo albume, il succo di un limone e di un’arancia non trattati.

C’era di che ingrassare a dismisura o sviluppare un diabete da iperglicemia, ma sembrava che Sehun fosse immune alle calorie e che la sua insulina lavorasse a dovere. Arrivava in negozio verso le quattro meno cinque di ogni martedì, giovedì e sabato. Entrava con l’incedere di un airone stizzito, le gambe appuntite come matite, il nero dei suoi completi che ben si sposava al ciglio torvo che egli indossava a mo’ di segno distintivo. Nonostante la spocchia ostentata, era opinione comune (condivisa persino da alcuni clienti fedelissimi) che l’uomo celasse, dietro ai silenzi inespugnabili e ai vaghi cenni del capo con cui esprimeva il proprio apprezzamento, una profonda timidezza.

“Anche Yifan, quando ci siamo conosciuti, mi intimidiva da morire perché lo vedevo come un marcantonio perennemente incazzato e troppo bello per essere vero” si lasciò sfuggire Marta una volta, chiacchierando con la collega. “Poi però ho scoperto che erano le sopracciglia aggrottate a conferirgli un’aura minacciosa che non possedeva minimamente, e che in realtà era solo un gigantesco orsacchiotto imbranato”.

“E credi che valga lo stesso per il signor Oh?”

“Beh, lui ha la faccia da broccolo di default e temo che su quella non si possa intervenire. Però l’ho osservato spesso interagire con Jongin e ne ho ricavato una sensazione di enorme disagio. È goffo, impacciato, si mangia le parole, ne evita lo sguardo. Levagli gli abiti da impresario di pompe funebri-”

“Mi offro volontaria, se serve” interloquì Egizia, sbarazzina.

L’altra rabbrividì di disgusto. “Ti prego, torna a sbavare su Jongin che è seriamente bello da rodersi il fegato. Invece, se togli a Mister Broccolo quegli straccetti emo alla vorrei-essere-chic-ma-non-posso rimane un insicuro ragazzetto dinoccolato che tenta di darsi un tono e niente più”.

“Sei severa con lui” la rimproverò.

“Lo sono perché ci intravedo del potenziale. Sembra realmente cotto di Jongin, ma se con il suo atteggiamento da Marchese Di Stocazzo -passami il francesismo- dovesse finire per ferirlo in qualche modo sappi che non rispondo della mia reazione” dichiarò Marta, preparando l’ordine per un tavolo lì vicino.

“Io voglio essere ottimista” Egizia tagliò una fetta di crostata al pompelmo rosa, la superficie coperta di spicchi pelati a vivo e luccicanti come granati. “Sento che andrà a finire bene”.

“Mi auguro che tu abbia ragione, cara. Mi si stringe il cuore a vedere Jongin sempre solo” disse Marta, un velo di tristezza nella voce.

 

 

Sehun fissò il menu, palesemente indeciso. Alzò il capo verso Jongin. “Sono in difficoltà. Non so scegliere tra la bavarese alla menta, il budino alla spagnola e quello di ricotta alla romana” confessò ad occhi bassi, quasi si vergognasse.

“Puoi prendere tutte e tre nel formato più piccolo. Abbiamo anche le monoporzioni, te l’ho detto, no?” propose Jongin con un sorriso.

“Avrei preferito dimenticarlo. Tu e la tua pasticceria sarete la rovina della mia linea nonché del mio portafogli” ribatté l’altro, lasciando di stucco il proprietario. Era la prima volta che Sehun azzardava una battuta di spirito. “Mi arrendo: portami le monoporzioni” si decise infine.

“Forse posso tentarti con una nuova ricetta. Dimmi che te ne pare, eh. Si tratta di una ciambella di pasta choux farcita con una delicatissima crema al latte aromatizzato al limone, panna montata e fragoline di bosco, ed una glassa con Alchermes fatta colare sopra” elencò fiero.

“…Ti odio. Prendo le monoporzioni da mangiare qui, e la ciambella da asporto” Sehun tentò di suonare contrariato, ma i suoi occhi furono attraversati da un bagliore divertito.

“Sei il mio cliente preferito!” esclamò Jongin. “Se non stessi lavorando ti abbraccerei”.

Sehun fu lesto, persino abile, a coprire il rossore che gli divampò sulle guance. Non viste, le due cameriere se la ridevano sotto ai baffi.

 

 

La simpatia tra Jongin e Sehun crebbe sempre più, insieme al piccolo ma nutrito fan club di dipendenti e clienti della pasticceria che vedevano di buon occhio quell’amicizia e anzi speravano che si evolvesse in altro. Entrambi gli uomini traevano beneficio dalla rispettiva compagnia. Jongin era animato da un nuovo entusiasmo creativo che conferiva al suo lavoro e alle squisitezze che preparava una qualità superiore.
Dal canto suo Sehun aveva smesso i panni di algido principino sul pisello e sorrideva apertamente, sfoggiando di tanto in tanto qualche capo colorato più adatto alla primavera che serpeggiava in città. Aveva inoltre preso l’abitudine di consumare le proprie ordinazioni appollaiato su uno degli sgabelli del bar, preferendo la vicinanza fisica di Jongin alla privacy offerta dal solito tavolino d’angolo. L’onnipresente Moleskine si stava riempiendo di appunti e annotazioni la cui natura era sconosciuta a chiunque, giacché Sehun aveva cura di chiuderla non appena una persona qualsiasi gli si avvicinava.

“Mi piacerebbe sapere cosa scrivi con tanta foga su quell’agendina” lo accolse un giorno il proprietario del Kim a mo’ di saluto. Sottolineò con una risata l’imbarazzo dell’altro. “Questa è la specialità del giorno, ci tengo ad avere un tuo parere” aggiunse poi.

Gli mise sotto il naso una coppetta di vetro istoriato traboccante mirtilli, fettine di fragola, banane, ananas, mango e more intere. “Macedonia in gelatina fredda di spumante; e non uno qualsiasi, bensì il Fiori d’Arancio dei Colli Euganei, ottenuto dall’uva Moscato Giallo più dolce e intensa. L’alcol si sente appena, in modo da esaltare la fragranza della frutta. È molto amato anche dagli astemi. Spero sia di tuo gusto”.

Sehun osservò quel tripudio lucido e appetitoso. Non aveva dubbi che fosse buono. Scavando con il cucchiaino nella gelatina, divenne di colpo serio e pensoso. “Ho una domanda da farti”.

“Strano” Jongin si finse sorpreso. “Avanti, spara”.

“La tua è una pasticceria di classe, inserita in una delle vie più frequentate del centro. Hai una buona clientela. Mi chiedo come mai, trovandoti nella capitale mondiale del gianduia, tu non abbia pensato di produrre anche una linea di cioccolatini. Ti frutterebbe parecchio e attirerebbe ancora più clienti, non credi?” si fermò per riprendere fiato. Gli capitava di rado di formulare frasi tanto lunghe.

Jongin scrollò le spalle. “Potrebbe essere una precisa scelta stilistica, la mia” ammise con nonchalance. “Sai, un modo per distinguermi dai concorrenti. Torino è piena di locali che vendono gianduiotti, li lascio volentieri a loro. Preferisco concentrarmi sulla pasticceria e sui gelati”.

“Ampliare la produzione però non sminuirebbe il tuo talento. Al contrario, sarebbe una freccia in più al tuo arco” insistette lui.

“Sei gentile, ma non fa per me” lo guardò. “Se non conservassi il tuo aplomb in qualsiasi circostanza, mi verrebbe da pensare che tu sia nervoso. C’è un motivo particolare per cui sembri tenere tanto ad una mia futura carriera da maître chocolatier?” insinuò con amichevole malizia.

“No, cosa vai a pensare” ribatté Sehun in fretta. “Era un’idea, nient’altro. Ottima questa gelatina di frutta, a proposito”.

“Grazie. Domani ti farò trovare una sorpresa” promise Jongin, arricciando il naso come un coniglio molto carino. 

 

 

La mattina seguente uscì sul Corriere Torino, il quotidiano della città, una recensione nella rubrica dedicata ai locali da non perdere e a quelli da cui tenersi ben lontani. La recensione -il cui titolo recitava Kim: classico oppure obsoleto?- era firmata da Oh Sehun, critico gastronomico.
I complimenti alla perizia del pasticciere capo e alla bellezza del negozio (peccato per la mancanza di un’insegna come si deve!) abbondavano, e il voto finale assegnato dall’autore dell’articolo era quattro stelle su cinque. Il succo del discorso, da leggersi tra le righe tanto era espresso subdolamente, suggeriva però ben altro: ovvero che Kim Jongin era sì bravo e dedito al proprio lavoro come pochi professionisti del settore, ma il suo concetto di pasticceria era decisamente superato. Rifiutava di cimentarsi nel cake design, puntava su dolci cosmopoliti ma troppo elaborati e privi di quella ricercatezza trendy e fighetta che impazzava su Instagram tra i food blogger e le influencer. In compenso aveva la presunzione di credersi diverso, forse migliore dei suoi colleghi perché non si univa alla folta schiera di cioccolatai torinesi. Un vero peccato, concludeva il critico, che si dichiarava dispiaciuto di non aver potuto assegnare la quinta stella a Kim.

Le reazioni non tardarono ad arrivare e furono tutte di carattere abbastanza turbolento. Molti clienti manifestarono indignazione e sostegno morale al proprietario ingiustamente vilipeso dalla stampa, ma quelli davvero inviperiti furono i fedelissimi che frequentavano il locale quotidianamente e che avevano conosciuto Sehun, il vile traditore, scambiandoci persino qualche parola. I commessi si sentivano altrettanto oltraggiati, perché stimavano Jongin e gli volevano bene. I suoi aiutanti avevano esitato a lungo sul presentarsi o meno in cucina, allarmati dai suoni che avevano sentito provenire al di là della porta chiusa. Quando ne era emerso il capo, scarmigliato e con un’espressione che definire sanguinaria era semplicemente eufemistico, si erano presi un bello spavento. Dietro il bancone, una intenta a scaldare l’acqua per il tè e l’altra con uno strofinaccio in mano, le cameriere discutevano tra loro del fattaccio, a bassa voce per non alimentare il malumore generale.

“Marò, c’omm e merd” commentò Egizia con partenopea costernazione. In casi simili, l’uso del dialetto era un palliativo per l’anima.

“Quel figlio di un tagliagole” borbottò Marta. Allo sguardo interrogativo della collega, alzò le spalle. “Che c’è? Si insulta sempre la mamma degli stronzi, come se i padri non avessero alcuna responsabilità. ‘Figlio di un tagliagole’ suona meglio, è più infamante. La prostituta di rado sceglie il proprio mestiere, mentre uno che per campare uccide e deruba le persone è un bastardo senza appello” riprese a strofinare la superficie già pulita.

“Ci speravo tanto, sai. Sono delusa. Mi pareva un ragazzo sensibile, nu brav’ guaglion’, veramente interessato a Jongin” sospirò l’altra. “Non è stato sincero con lui. Una critica ci può stare, ma comportarsi così è proprio una bassezza”.

“Ha agito come il cuculo, il filibustiere: si è insinuato nel nostro nido e ha deposto l’uovo, sperando che il pulcino ci fagocitasse tutti” rincarò la dose Marta. “Ah, ma se lo becco lo fucilo a vista. O magari gli sguinzaglio dietro Zitao, mio cognato: è istruttore di arti marziali, non ci mette nulla a ridurlo in fin di vita” si esaltò.

“Beh, se hai intenzione di fargliela pagare ti conviene decidere una strategia in fretta” la avvertì Egizia, d’un tratto vigile. “L’omm e merd è qui” disse indicandolo con un cenno del capo, sprezzante.

Non sbagliava. Sehun varcò l’ingresso con l’usuale mescolanza di alterigia e ritrosia, gli occhi puntati sul registratore di cassa aspettandosi di trovarvi Jongin, allegro come suo solito. Non vedendolo si arrestò un attimo, spaesato. Al contrario avvertì gli sguardi dei presenti puntati su di sé, e nemmeno uno era benevolo. Le due cameriere, in particolare, lo fissavano con astio.

“Buongiorno, signorine” si schiarì la gola. “Il titolare c’è o-”

Prima che una di loro potesse rispondergli per le rime, dal laboratorio fece capolino Jongin in persona, la divisa in perfetto ordine ed una confezione regalo per torte in mano. Soltanto un tic alla bocca che lo induceva a digrignare i denti ne rivelava il reale stato d’animo. Sehun lo percepì.

“La recensione non ti è piaciuta” realizzò, sulla difensiva. “Mi devi scusare. Non era quella la bozza originale, hanno fatto casino al giornale” provò a giustificarsi.

“Offre la casa” replicò Jongin, incolore, posando la confezione sul bancone. “Benché antiquato, sono ancora in grado di svolgere il mio lavoro con professionalità. La prenda e se ne vada, signor Oh. La sua presenza non è più gradita nel mio locale” gli diede le spalle e si apprestò a tornare in cucina.

“Jongin, per favore-”

“Hai sentito il capo” lo interruppe Egizia, severa. “Smamma e non costringerci a cacciarti a calci nel sedere, screanzato”.

Simile ad un Cerbero, Marta si materializzò di fianco a Sehun. “Prego, mi consenta di accompagnarla alla porta” disse e lo strattonò malamente fuori dal negozio, nel silenzio colmo di risentimento degli altri clienti.

Jongin, rifugiatosi in bagno, si asciugò rabbioso una lacrima che aveva osato solcargli la guancia sinistra.

 

 

Sehun tornò a casa. Come girò le chiavi nella toppa, un abbaiare gioioso gli diede il benvenuto. Una massa di pelo bianca, fremente e saltellante gli andò incontro subito dopo.

“Ciao, Vivi. Buono, buono, papà è tornato” lo prese in braccio e accettò di buon grado una leccata sotto al mento. “Hai sentito la mia mancanza, eh?” baciò il cagnolino sulla testa e lo rimise giù.

Trasse in salvo la torta -o forse la mela avvelenata?- della pasticceria Kim, portandola in cucina. La lasciò accanto al lavello senza degnarla di un’occhiata e prelevò dal frigorifero il cibo per cani (macinato di tacchino cotto insieme a carote bollite, opera del suo macellaio di fiducia), che versò in una ciotola e diede a Vivi. Guardò l’orologio appeso alla parete. Erano le sei, un po’ in anticipo rispetto ai suoi soliti orari, ma non gli importava. In quattro e quattr’otto mise insieme una cena squallida e misera come si sentiva lui in quel momento: del pane in cassetta, una lattina di tonno di sottomarca, una mela verde e una bottiglia di birra vuota per tre quarti. Apparecchiò il tavolo con una tovaglietta all’americana, di quelle usate per la colazione. Non aveva davvero fame. Raramente ne aveva, nella desolazione del suo appartamento.

Non c’era calore in quelle stanze arredate in modo spartano, nelle pareti spoglie prive di quadri o stampe, nelle piastrelle lucide del bagno, nella sua camera da letto, nel televisore muto. L’unico sprazzo di vita domestica era costituito da Vivi, dai suoi giocattoli, dalle briciole di cibo che talvolta spargeva in giro in preda alla foga divoratrice. Sehun non aveva problemi ad ammettere di essere una persona introversa e chiusa, tendente all’isolamento, che al consorzio umano preferiva di gran lunga la compagnia di esseri a quattro zampe. Faticava maggiormente ad accettare la causa di quella solitudine, cioè i propri fantasmi. Qualcuno però li avrebbe definiti diversamente, attribuendo tutta la responsabilità al suo carattere ombroso e ad esperienze passate non certo traumatiche ma formative.

Il padre diplomatico aveva trascinato con sé la famiglia in giro per il mondo, incarico dopo incarico, garantendo a moglie e figlio qualche anno di stabilità salvo poi sradicarli e ripartire per una nuova avventura. Sehun aveva frequentato scuole pubbliche e istituiti privati, ricavandone una cultura a tratti lacunosa e imparando diverse lingue. Le amicizie, poche e difficoltose a causa della sua indole timida, non avevano retto. Le relazioni amorose erano state fugaci, insignificanti storielle senza ricorrenze né la possibilità di costruire alcunché. Completati gli studi di enogastronomia, era volato negli Stati Uniti per il suo primo incarico importante. Lo stile di vita estraniante americano non aveva giovato alla sua modesta condizione di infelicità, pertanto quando un conoscente lo aveva contattato per offrirgli un posto in Italia come critico gastronomico freelance non ci aveva pensato su due volte e si era trasferito a Roma, dove la sua strada aveva incrociato quella di Vivi. In seguito ad una promozione erano approdati insieme a Torino, in cui abitavano da circa un anno.

Fine della storia, pensò Sehun dando una carezza al cagnolino finalmente sazio. La cena restava intonsa sul tavolo. La confezione della pasticceria lo tentava, immobile sul ripiano vicino ai fornelli, e al tempo stesso sembrava sfidarlo. Mangiami se hai coraggio, gli sussurrava beffarda. Fine della storia, ripeté Sehun a voce alta. Devo assumermi le mie responsabilità. Disfò la scatola con mano tremante, trattenendo il fiato di fronte allo spettacolo che gli si parò dinnanzi agli occhi. Un budino giallo crema a due strati, semplice nella forma e riccamente punteggiato di frutta candita: ciliegie rosse come rubini, bucce di limoni verdi simili a smeraldi, scorze d’arancia di un vivo arancione. Un bigliettino volato fuori dalla scatola identificava il dessert come crema ottomana.

Il giornalista ammirò ancora un poco quell’opera d’arte, realizzata con il cuore da un uomo buono che probabilmente aveva perduto ancora prima di poterlo conquistare. Rovistò nel cassetto dove teneva le posate. Affondò il cucchiaino nel composto spumoso, sorprendendosi nel pescare altra frutta candita e biscotti ridotti a dadini. I sapori gli esplosero nel palato. La tenue crema al latte, l’aroma intenso della vaniglia che le dava corpo e una dolcezza senza pari, la consistenza croccante dei biscotti data dalle mandorle tritate, il gusto acidulo degli agrumi mitigato dalle ciliegie. Quel dolce era stato preparato con amore, un amore che lui non meritava. Il cucchiaio cadde di mano a Sehun, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.

 

 

Attese che fosse giunta l’ora di chiusura e che i dipendenti se ne fossero andati. Jongin chiudeva il locale ogni sera alle sette e mezza ed era l’ultimo ad uscire. Non permetteva a nessuno di pulire e ribaltare le sedie sui tavoli; ci teneva a farlo personalmente. Sosteneva che svolgere quegli umili compiti lo rilassasse. Sehun aspettò addirittura che la saracinesca fosse mezza abbassata, in modo da essere sicuro che in pasticceria fosse rimasto solo lui. Con un’agile mossa entrò.

Jongin si voltò. “Avevo appena passato lo straccio” osservò, gelido. “Ma suppongo di doverti preferire ad un ladro”.

“Vorrei parlarti. Spiegarmi” pronunciò goffamente Sehun. Giacché l’altro non lo aveva invitato a sedersi, rimase in piedi come uno stoccafisso.

“Non sono interessato ad ascoltare altre balle da parte tua” incrociò le braccia. “Sono stanco. Voglio tornare a casa. Non ho tempo per le tue stronzate, onestamente”.

“Scusami” gli parlò sopra. Tacque un attimo. “Scusa. Avrei dovuto chiarire chi ero e perché ero venuto qui da subito. Non mentivo quando ti ho detto che avevo sentito molti commenti positivi sul tuo conto. Il giornale mi aveva affidato il compito di recensire il Kim. Pensavo… Non so, che mi avresti trattato diversamente se mi fossi presentato come critico gastronomico. Che saresti stato meno spontaneo, più reticente a parlare del tuo lavoro con sincerità”.

“Mi hai giudicato a priori” lo accusò Jongin.

“Infatti, è stato un mio errore. E quando mi sono reso conto di aver fatto una cazzata ormai era troppo tardi per rivelare la mia identità senza conseguenze. Ti sei mostrato così gentile con me sin dal primo giorno, hai sopportato le mie domande petulanti senza mai vacillare, rispondendo con competenza e dedizione. Sempre disponibile, sempre sorridente. Mi trovavo bene con te; è raro che accada, che mi senta a mio agio con un estraneo. Desideravo esserti amico, anche se il nostro era un rapporto cliente-venditore”.

“Ho smesso di considerarti un semplice cliente da un bel po’, Sehun” Jongin evitò di incrociare il suo sguardo mentre le parole gli sgorgavano dalla bocca senza che lui potesse arginarle.

L’ambiente si riempì di un silenzio emozionato, carico di tensione.

“Non lo avevo capito. Scusami, sono una frana nei rapporti umani” scosse la testa. “Quello che ho scritto nella recensione lo penso davvero. L’ho formulato male e l’editing del curatore della rubrica ci ha messo il carico da undici, ma sono realmente convinto che se ti dessi alla produzione del cioccolato il locale avrebbe una marcia in più. Avendo vissuto a New York, dove va di moda un altro tipo di pasticceria, non è stato facile abituarmi alla tua, tradizionale e poco incline ad assecondare le variazioni del mercato. Tuttavia, sono ugualmente certo del tuo talento e credo che tu abbia un grande dono. I miei, sebbene espressi nel tono sbagliato, volevano essere consigli e non critiche. Consigli per spronarti a migliorare, aprirti alle novità. Tengo a te, Jongin, desidero il tuo successo e soprattutto la tua felicità. Devi credermi”.

“Sarebbe bastata un po’ di sincerità all’inizio, prima che la situazione ti sfuggisse di mano” sospirò Jongin. “Mi sono sentito preso in giro”.

“Adesso lo so, e mi dispiace immensamente” Sehun avanzò di un passo. “Sono venuto qui per questo. Non mi aspetto che mi perdoni, sono stato un cretino e merito la tua freddezza. Volevo solo chiederti scusa. Mettere le cose in chiaro”.

“Nient’altro?” la domanda suonò come una sfida.

Sehun si costrinse ad essere sincero fino in fondo. “La crema ottomana” mormorò.

“Non ti è piaciuta?” si accigliò.

Scosse la testa, sorridendo timidamente. “È il mio preferito”.

Jongin accolse la rivelazione con un silenzio stupito. Osservò l’uomo di fronte a sé strofinarsi maldestramente le nocche, dondolando il proprio peso da un piede all’altro simile ad un bambino titubante. Alla fine i sentimenti che provava ebbero la meglio sul suo orgoglio. “Siediti” disse. “Parliamo”.

Gli tese una mano. Sehun la afferrò.

 

 

 

 

Nella biblioteca dove lavoro, poco più di un mese fa, è arrivato un signore con dei libri di cucina di cui intendeva sbarazzarsi. Selezionando quali buttare e quali mettere in omaggio per gli utenti della biblioteca, mi è capitato tra le mani un bel volume profumato di zucchero vanigliato: Il grande libro dei dolci. Oltre 600 ricette golose. Intrigata dalle fotografie e dalle ricette (nonché affamata a bestia), l’idea di ispirarmici per scrivere una ficcy si è fatta strada nella mia mente alla velocità della luce. Spero di aver messo degnamente a frutto quanto imparato.

Torino è una città che adoro, ma che purtroppo ho visitato una sola volta (conto di rimediare presto). Sicché invito gli eventuali lettori torinesi a perdonare l’imprecisione delle mie descrizioni del centro storico e a correggermi, dovessero ritenerlo necessario.

Una cliccatina è sempre gradita: https://www.facebook.com/IlGeniodelMaleEFP/?ref=bookmarks.

 

 

 

   
 
Leggi le 12 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > EXO / Vai alla pagina dell'autore: Il_Genio_del_Male