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Autore: Ily Briarroot    02/05/2018    5 recensioni
[FORSE CITAZIONE SPOILER] La giovane scienziata ricambiò la stretta, le dita affondate nella stoffa della sua felpa e i sussulti che cercava di ignorare, mentre il detective la sosteneva, senza imbarazzo e senza timidezza. Stavolta non era rimasto teso a guardarla piangere in ginocchio, no. Stavolta era riuscito a reagire, mentre spingeva Ai verso se'. E sarebbe rimasto in quella posizione con lei tra le braccia finché non si fosse calmata, pian piano, ascoltando i battiti frenetici del suo cuore che, per la prima volta, gli fecero realizzare quanto tenesse a lei.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Hiroshi Agasa, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice: ciao a tutti! Ecco subito una oneshot che premeva per essere scritta da più o meno tutto il giorno (eh sì, avete capito bene!). Volevo solo fare un AVVISO IMPORTANTE PRIMA DI LEGGERE: nella fanfic faccio riferimento a un avvenimento che non sono sicura che nell’anime in Italia sia già uscito (riguarda Akai). Detto questo, buona lettura!
 
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Rain
 

La pioggia che batteva forte contro il vetro della finestra e il tetto dell'abitazione era l'unico suono udibile nelle vicinanze. L'umidità trapelava dall'esterno a una velocità impressionante e, unita al freddo della giornata, provocava brividi non indifferenti, tanto da costringere a tirare fuori dall'armadio felpe e coperte della stagione appena trascorsa.
Ai si avvicinò al bancone della cucina, versando il thé caldo nella tazza che ormai il dottor Agasa riservava a lei. Sorrise a quel pensiero e si voltò verso il davanzale, attraverso il cortile che circondava il laboratorio nel quale abitava da tempo, ormai. La strada sembrava deserta e le gocce picchiettavano veloci contro l'asfalto.
Il tempo era volato e il cielo, così com'era, sembrava esternare ciò che lei provava in quel momento, pioggia e lacrime, in un miscuglio che sentiva forte dentro il petto.
Erano passati due anni esatti e si ricordava ancora la vertigine improvvisa, quando lo aveva saputo. Il gelo dentro la pelle, la fitta violenta all'altezza del petto. L'ossigeno che non tornava ai polmoni, nonostante lo sforzo, e il cuore che stentava a riprendere il suo movimento naturale. Erano bastate poche e semplici parole dette dalla voce e dalla persona sbagliata, una frase che non avrebbe mai dovuto sentire nella vita, a distruggere tutto.
Non aveva fatto in tempo neanche ad afferrare il concetto, a realizzare la situazione, né tantomeno a rielaborarla. Imparando a trattenere ogni sorta di sentimento ed emozione, in quegli anni, era riuscita a non dare alcun segno di disperazione. Aveva abbassato lo sguardo, in modo da evitare di lasciare trapelare il dolore e l'angoscia che le si leggevano nell'anima e che, ancora adesso, era riuscita solo ad accantonare, a mettere da parte.
«Perché... ?».
Aveva fatto un'unica domanda, alla quale nessuno aveva dato risposta. Perché il suo essere qualcuno, in quell'ambiente angusto e criminale, non significava nulla. Non valeva nulla.
La bambina si riscosse dai propri pensieri quando sentì un tonfo provenire dal salone e vi si affacciò preoccupata, la tazza fumante ancora in mano.
«Professore, va tutto bene? Cos'ha combinato stavolta?».
L'anziano scienziato le mostrò una strana cintura, mentre si massaggiava il naso dolorante.
«Oh... sì, non preoccuparti. Sto cercando di riparare la cintura di Shinichi e un pallone è esploso improvvisamente... » sdrammatizzò lui, ridacchiando. Ai sospirò, mostrando un lieve sorriso. Non sarebbe mai cambiato. Tornò in cucina sedendosi al bancone e si perse di nuovo tra le gocce di pioggia fuori dalla finestra, lasciandosi trasportare da quel suono e da ricordi che facevano male e che non era riuscita ad assopire.
L'ultimo collegamento con sua sorella era stata una frase, quella frase, che le avevano detto per informarla della sua morte. Nient'altro. Non una spiegazione, non un motivo. Se non avesse letto il giornale, nel quale era pubblicata la foto di un corpo coperto da un telo chiazzato di sangue, non avrebbe neanche saputo il modo. Nessuno le aveva detto come fosse successo e soprattutto cosa. Perché si trovava da sola a piangere la perdita dell'unica persona che avesse mai amato, la sua unica famiglia, lottando contro l'angoscia che la portava via. Si ritrovava a pensarlo più che mai, quel pomeriggio.
All'improvviso, qualcosa la distolse dai suoi pensieri, per la seconda volta in meno di quaranta minuti. Una voce che conosceva bene e che non apparteneva al dottor Agasa.
«Cosa c'è di così bello nello stare a fissare la pioggia, non lo capirò mai» disse Shinichi accanto a lei, del quale si era appena accorta. Si voltò a guardarlo con aria di superficialità, bevendo un altro sorso di thé.
«Suppongo tu sia qui perché manca all’appello un oggetto dal Kit del Grande Detective. È ancora in riparazione» rispose Ai, composta. L'espressione indifferente, il pensiero rivolto a un qualcosa che aveva paura di dimenticarsi, ma che non voleva più ricordare.
Il detective sospirò, spostando una sedia di fianco a lei.
«Sì, il dottor Agasa me lo ha detto» risposte lui, sospirando. «Ci vorrà almeno un'altra ora. Vorrà dire che ti farò compagnia».
Le si sedette accanto facendosi trascinare nel silenzio più totale, fatto di malinconia pura, quella malinconia che rivedeva in lei ogni tanto e che cercava ogni volta di combattere, distraendola in qualche maniera. Ma adesso era diverso, la vedeva attirata verso la finestra, quella pioggia scrosciante che non accennava a placarsi.
«Devo quindi dedurre che starai qui ad annoiarti con me?» chiese l'amica maliziosa, sorridendo. Shinichi le fece il verso per prenderla in giro, sentendosi punto nell'orgoglio. Ormai era quello il loro modo di comunicare. Era così e basta, erano semplicemente loro.
Ai non disse più niente, continuando a sorseggiare la bevanda ormai tiepida, presa da altro, sentendosi spinta da tutt'altra parte, anni luce dal luogo nel quale si trovava, lontana da tutti.
Lui se ne accorse. Lo sapeva sempre, quando succedeva. Ma questa volta la percepiva diversa. Le sue risposte non erano pensate, né studiate. Erano automatiche, istintive, diverse dal solito. C'era qualcosa nell'aria, qualcosa che lei non voleva dirgli.
La seguì con lo sguardo, concentrato in ogni sua minima mossa. Attese minuti interi nei quali la scienziata non disse niente e ci provò, attento.
«Beh... se vuoi continuare la tua comunicazione solitaria con la pioggia in pace, io posso andare a vedere come se la sta cavando Agasa» le disse, senza distogliere lo sguardo dagli occhi verdi della giovane. Lei sollevò la testa di scatto, come risvegliata in quel momento.
«Che dici? No, scusa. Io... certo che puoi stare qui».
"Cosa ti prende? Sei più strana del solito, lo sai?».
Glielo chiese direttamente, cercando di non mostrare la minima preoccupazione. Si fidava delle percezioni di Ai e, di solito, quando assumeva quel comportamento non arrivavano mai buone notizie.
Finalmente, la castana incrociò il suo sguardo, specchiandosi negli occhi blu. Occhi che le trasmettevano sempre un senso di sicurezza forte, occhi che cercava continuamente, che la facevano sentire bene.
«Niente di preoccupante, stai tranquillo» rispose poi, forzando un sorriso. «È solo che oggi ricorre il secondo anniversario della morte di mia sorella».
Shinichi sgranò gli occhi, dandosi mentalmente dello stupido. Non aveva utilizzato il minimo tatto, lo sapeva, troppo concentrato sulle solite provocazioni e frecciatine che si lanciavano quasi continuamente.
Ne seguirono alcuni attimi di silenzio nei quali lui smise di guardarla, prendendo a fissare il tavolo che aveva davanti.
«Mi dispiace... non immaginavo che-»
«-Tranquillo, Shinichi. Non importa, davvero».
Entrambi erano certi che non fosse quella la verità. Importava. Eccome se importava, per tutti e due. Il macigno di non essere riuscito a salvare Akemi Miyano tornò forte in lui, mozzandogli il respiro nei polmoni. Per questo, inconsciamente, aveva accantonato quel pensiero.
Rimasero persi entrambi in quel silenzio che sembrava avvolgerli completamente, senza lasciare loro via di scampo. Senza trovare il modo di reagire. Il detective la guardò velocemente e sospirò, senza riuscire a reggere la tensione dei suoi occhi.
«Shinichi».
Ai posò la tazza sul bancone, decisa. Lo aveva chiamato appena, giusto per avere la sua attenzione, ma con forte sicurezza.
L'amico la osservò con attenzione, stupito da quel gesto improvviso, attendendo.
«Ho bisogno di chiederti una cosa. Una cosa seria».
Dovette prendere il tempo necessario e respirare a pieni polmoni, prima di aggiungere altro.
«Secondo te... c'è qualche possibilità che Akemi possa essere ancora viva?».
Shinichi rimase a bocca semichiusa, cercando le parole giuste. Non si aspettava di certo una domanda del genere, una domanda che non si era mai neanche posto, nella sua convinzione. Rimase fisso su di lei, vedendola in difficoltà. Notava la sofferenza per quella frase attraverso il suo corpo, nella sua voce che tremava appena, nei brividi appena percettibili della sua schiena.
«Perché me lo chiedi? Non... ecco... » le risposte, pensando al modo migliore di parlarle senza farle del male. Era l'ultima cosa che voleva, dopo averla vista ai suoi piedi in lacrime perché lui, e solo lui, non era riuscito a salvare tutto ciò che le rimaneva al mondo.
«No» disse Ai, scuotendo piano la testa e anticipando la sua risposta. «Non me l'hanno fatta vedere quando è morta. Non so neanche il motivo per il quale l'hanno uccisa».
Un altro nodo bloccò la gola del detective, impedendogli di deglutire. Quel motivo, lui lo conosceva, ma non poteva parlare, non ancora. In quel momento aveva quasi deciso di mandare tutto al diavolo e dirglielo, ma all'ultimo istante riuscì a trattenersi. Non poteva rivelarle niente di Shuichi Akai e di ciò che aveva comportato la sua presenza da infiltrato all'interno dell'Organizzazione, compreso l'assassinio di sua sorella.
Gli fece male, però, la sua frase. Il vederla così impotente, così fragile, rispetto a quel qualcosa che le aveva distrutto la vita, così all'improvviso. La rabbia prese il sopravvento su di lui, quando si rese conto che lei, in realtà, quella morte ce l'aveva stampata solo nel cuore. Potevano essere così meschini da non averle neanche mostrato il corpo della sorella, per l'ultima volta? Sì, lo avevano fatto e la conferma gli era appena arrivata dall'angoscia della sua amica.
«Ai... » iniziò poi il bambino, respirando profondamente. «Non credo che sia viva. Lei... era tra le mie braccia, quando ha smesso di respirare».
Si odiò con tutto se stesso, ancora una volta. Si strinse le dita nei palmi facendosi male, sentendosi in colpa per essere costretto a riportarle alla mente quella situazione.
Lei annuì. Piccola, innocente, come una bambina di sette anni. Non lo guardava più in faccia e, in quel momento, Shinichi ne capì il motivo. Lo stava accusando, nella sua testa. Lo stava accusando senza volerlo, lo riteneva ancora responsabile. Faceva male, faceva ancora molto male.
«E tu sei sicuro, insomma... anche quell'agente dell'FBI, Shuichi Akai, aveva inscenato la sua morte, no? Pensavo che magari anche lei... ».
Le parole le morirono in gola. Non sapeva neanche a cosa sarebbe servito continuare a insistere. Lo fece comunque, nonostante si fidasse di quel piccolo detective più di ogni altra persona al mondo. Lui le si avvicinò, con calma, senza smettere un solo secondo di osservarla. Le appoggiò una mano sulla spalla, percependo tutto ciò che lei tratteneva dentro se'. Dopodiché scosse la testa, sollevandole appena lo sguardo con l'altra mano.
«Io sono stato con lei. Sono stato con lei e le ho parlato, le ho detto chi sono. Non l'avevo mai fatto con nessuno. Sapeva che sono Shinichi Kudo» cominciò e lei lo guardò di scatto, sorpresa, con gli occhi sgranati. «Gin... le ha sparato allo stomaco. Non c'era niente che io potessi fare e ancora mi sento questo peso addosso. Però, tua sorella mi ha fatto promettere una cosa... ».
I loro sguardi s'incrociarono qualche attimo e le lacrime iniziarono a scivolare veloci dal viso di Ai. Non riuscì più a reggere quei sentimenti che la uccidevano, che la spogliavano della maschera fredda che aveva deciso di indossare da molto tempo. E capitava sempre con lui. Lui, che di colpo la prese tra le braccia, facendole appoggiare la testa nell'incavo della sua spalla. Lui, che si sforzava di confortarla quando il vederla così, piccola e disperata, gli distruggeva l'anima.
«Le ho promesso che avrei distrutto tutti loro, che non l'avrebbero avuta vinta. E poi le ho fatto un'altra promessa, anche se non poteva sentirmi... ».
Stavolta i singhiozzi di Ai erano forti, tanto da scuotere entrambi. Shinichi la strinse più a se', sorridendo appena nel tentativo di donarle almeno un po' del coraggio che avrebbe dovuto avere anche per lui.
«Le ho promesso che avrei protetto sua sorella, che mi sarei impegnato a fondo per aiutarla e che mi avrebbe trovato qui, ogni volta che avesse avuto bisogno»
La giovane scienziata ricambiò la stretta, le dita affondate nella stoffa della sua felpa e i sussulti che cercava di ignorare, mentre il detective la sosteneva, senza imbarazzo e senza timidezza. Stavolta non era rimasto teso a guardarla piangere in ginocchio, no. Stavolta era riuscito a reagire, mentre spingeva Ai verso se'. E sarebbe rimasto in quella posizione con lei tra le braccia finché non si fosse calmata, pian piano, ascoltando i battiti frenetici del proprio cuore che, per la prima volta, gli fecero realizzare quanto tenesse a lei.
Perché ci sarebbe stato, sempre.
Ci sarebbe stato ogni volta, per Ai.
 
Te l’ho promesso, Akemi.
  
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