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Autore: Karyon    02/05/2018    1 recensioni
Chi ha visto la verità rimarrà per sempre inconsolabile (Baricco, Oceano Mare).
La guerra è finita, il male è stato estirpato. La felicità dovrebbe essere scontata, quasi automatica.
Ma le fiamme che sgretolano la pietra millenaria di Hogwarts, le urla, le maledizioni, le ferite, le morti... nulla di tutto questo è cancellabile facilmente con un colpo di bacchetta. Qualcosa resta, sempre, sotto la pelle e negli occhi.
Tutti loro, i sopravvissuti, condividono questo qualcosa.
Come una finestra nel corpo, spalancata sul nulla. Uno spazio bianco e tanto freddo, fin dentro le ossa.
[Blaise Zabini/Hermione Granger]
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Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Fleur Delacour, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Nick autore sul forum e su EFP: karyon
Pacchetto scelto: Pacchetto 3
Titolo: Spazi bianchi
Personaggio protagonista: Blaise Zabini, Hermione Granger
Coppia protagonista: Blaise Zabini/Hermione Granger
Altri personaggi: Harry Potter, Ginny Weasley, Neville Paciock, Fleur Delacour.
Generi: introspettivo, malinconico, triste, angst.
Avvertimenti: lime, what if?, tematiche delicate
Contesto: post II guerra magica/ricordi di passati contesti
Rating: Giallo
Note: Ci sono delle note disseminate in tutto il testo. Le ho inserite nelle pagine corrispondenti così che sia più facile leggerle.
Vorrei sottolineare che il mio what if? Riguarda sia la presenza di Blaise Zabini a Hogwarts, sia un po’ tutto il dopo-guerra: non seguo Pottermore e non ho idea se ci siano novità in merito, ma da quello che so non ci sono grandi notizie su quello che accade tra la fine del settimo e i 19 anni dopo. Sappiamo che Hermione torna a Hogwarts, ma ho immaginato lo facesse un po’ di tempo dopo (in  questo caso, parecchio tempo dopo: circa due anni), periodo in cui vi sono anche Ginny e Neville. Ho immaginato anche un certo rifiuto per le divisioni in Case, soprattutto dopo che la Casa Serpeverde si è dimostrata così pronta a voltare le spalle alla scuola; però ho voluto fare in modo che le tensioni rimanessero, come strascico di quanto accaduto. Tutte le date e i riferimenti storici provengono da internet, principalmente il Lexicon Harry Potter e Potterpedia. Le fattezze fisiche di Zabini sono quelle della Rowling in persona (sottolineo, perché nel fandom è sempre molto diverso).
Quello che accade ai Malfoy è metà vero metà inventato: solo Harry testimonierà in loro favore, ma ho voluto aggiungere la McGranitt.
 
 Partecipa al Contest "I graffi dei sopravvissuti" di Rosemary. 
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Spazi  bianchi


2 Maggio 2000   
     Le fiamme erano alte, alte e accecanti. Quando chiudeva gli occhi, il verde cupo dell’Ardemonio ancora gli feriva gli occhi, come se un incendio fosse appena scoppiato nella stanza e non tra le pareti di Hogwarts quasi due anni prima. Allora cadeva in sonni agitati, nei quali la sua pelle diventava friabile come la pietra del Castello – cedente sotto gli attacchi dei giganti – e poi cenere, come qualsiasi cosa sulla strada di quel fuoco demoniaco. Blaise non si chiedeva più perché facesse quei sogni, forse perché una parte di sé li accoglieva come una forma di espiazione contorta, ma giusta, di quanto accaduto.
Gli orologi magici di tutta Inghilterra avevano appena rintoccato a mezzogiorno; allo scadere del riverbero sonoro sarebbero stati due anni: due anni dalla fine della guerra e lui ancora non riusciva a guardarsi in faccia, mentre fissava ogni notte negli occhi vacui e ferrigni di Draco Malfoy. Subito dopo la proclamazione ufficiale della fine della Battaglia di Hogwarts, i Malfoy erano stai arrestati dai primi Auror che si erano presentati sul terreno di battaglia, ma tutti i processi successivi li avevano scagionati da qualsiasi accusa grazie a due interventi miracolosi: quello di Minerva McGranitt e quello ancora più stupefacente di Harry Potter. L’ultima volta che aveva visto Draco era stato proprio durante uno degli infiniti processi agli accoliti – o presunti tali – di Voldemort, al quale aveva dovuto presenziare perché “tra famiglie Purosangue si ci sostiene”, consapevole di quanto fosse anacronistico il pensiero di sua madre.  
Era stato un momento, quasi un battito di ciglia: Draco, rigido tra i suoi due genitori, in attesa di essere chiamato a deporre, si era girato a guardarlo e lì Blaise aveva perso un battito.
Ricordò di essersi chiesto: “E forse questo lo sguardo della morte?”
 
     Gli occhi dei suoi compagni di Casa erano accumunati da un solo, puntuale, elemento: la freddezza. Blaise non ricordava di esservi mai focalizzato troppo, ma se ci rifletteva doveva ammettere che un po’ tutti i Serpeverde si riconoscevano da quella luce negli occhi. Col senno di poi, doveva ammettere di vederci qualcosa delle fiammelle languide dell’Ardemonio.
In quel momento, quando quel pensiero gli si formò nel cervello, il dubbio che spesso veniva sussurrato tra i corridoi di Hogwarts e nella Sala Grande all’ora dello Smistamento diventò realtà e Blaise seppe che i Serpeverde, tutti, erano davvero malvagi come si vociferava.
«Ma è laggiù! Potter è laggiù! Qualcuno lo prenda![1] » Urlò Pansy e subito una serie di fischi e di applausi la subissarono. Ovviamente una guerra ha sempre due schieramenti e la sua compagna aveva scelto con facilità da che parte stare.
Blaise, un po’ in disparte, osservò quella muraglia di cravatte verde-argento e di occhi freddi come il ghiaccio e decise all’istante di non essere pronto.
E perché avrebbe dovuto? A parte qualche rissa sul campo da Quidditch o nei corridoi per le aule, quando davvero erano stati chiamati ad ammettere le loro vocazioni o le loro ideologie in pubblico? Quella era roba da Harry Potter che, sfortuna di un destino segnato, era stato chiamato a dichiarare le sue intenzioni prima ancora di mettere piede nel Mondo Magico.
O era roba da Draco Malfoy, segnato da due dinastie dal sangue purissimo. Tutti gli altri, bloccati in mezzo a due estremi, erano solo grigio informe e lui amava farne parte.
Blaise ascoltò recriminazioni, protesse le sue orecchie dagli insulti, cacciò in basso – giù, nel profondo, il più possibile – la sua vera identità, la sua personalità e si silenziò. Sapeva che, con un po’ di furbizia, non sarebbe stato chiamato a scegliere e quando qualcuno propose a Lumacorno di portarli via, lontano dalla guerra, sospirò di sollievo e si mescolò agli altri Serpeverde. Poco importava se fossero pro-Voldemort, ignavi o semplicemente spaventati.
Poi ricordò che si trovava sulla soglia della Stanza delle Necessità, in fila per andare via, e lo vide: Draco Malfoy, coi suoi occhi vacui e ferrigni. Nonostante la condizione in cui si trovava, e di cui nessuno provò a chiedere nulla, aveva fatto il gesto di allungargli una mano.
«Zabini, che ne dici? Vuoi prendere a calci qualche Sangue Sporco con me?» Gli chiese.
Blaise lo capì dal suo sguardo tutto quello che voleva dirgli; sapeva che non era un seguace di Voldemort e delle sue teorie di purezza, sapeva che non sopportava Tiger e Goyle, sapeva che non avrebbe accettato… ma sapeva anche qual era la sua più grande debolezza, sapeva che non avrebbe permesso a sua madre di dargli del vigliacco, sapeva che non avrebbe permesso a qualcuno con occhi del genere – Draco Malfoy era già morto da tempo – di andare in giro per un campo di battaglia senza cercare di salvarlo, senza almeno tentare.
Anche negli schieramenti nemici ci sono quelli col complesso dell’eroe, Potter non era l’unico.
Così Blaise annuì impercettibilmente e Draco Malfoy rispose, ma senza l’ombra del sorriso affilato che lo aveva caratterizzato, senza l’arroganza della servitù che quei due di solito gli riservavano. Blaise capì che, in tutto quel marasma di boati e paura e colori e sangue e incantesimi, Draco Malfoy aveva bisogno di un amico. E capitolò.
Quegli occhi furono la sua rovina.
Perché, se era vero che anche gli schieramenti nemici avevano quelli col complesso dell’eroe, era ancora più veritiero che gli schieramenti nemici non potevano avere eroi.
 
3 Agosto 2000   
      Victoria Weasley aveva un bellissimo sorriso, che si sposava con un altrettanto magnifico nome. Era nata il giorno del secondo anniversario della Liberazione, allo scoccare di mezzogiorno; Billy e Fleur non avevano avuto bisogno di parlarne né di guardarsi per decidere: Victoire, la vittoria, tutti la portavano nel cuore come il tesoro più prezioso.
Come avesse voluto rendere degno il nome che portava, la bimba di soli tre mesi aveva un portamento solenne e battagliero, che si esplicava nella sua tenacia di tirare i capelli della perfetta – in quel momento scarmigliata – mamma.
«Ma petite fleur, laisse-moi[2]…» stava dicendo Fleur, con voce delicata ma ferma.
Hermione arrivò con i piatti e fece una risatina «È una bimba tenace, non si è mai stancata di tirare i capelli a tutte da almeno due ore».  
«Oui, è come suo padre» replicò Fleur, riuscendo a districarsi. Pur volendo, non sarebbe mai riuscita ad arrabbiarsi perché, da almeno un anno, il suo cuore era colmo di una gioia insaziabile; sembrava che la morte di Voldemort avesse sradicato tutto il dolore dal mondo.  
Hermione rise ancora ed entrambe si girarono a guardare la sala: un bellissimo gazebo bianco era stato allestito nel giardino – ricostruito e tirato a lucido assieme alla Tana dopo la guerra – per ospitare i numerosi ospiti; i tavoli rotondi, ugualmente bianchi, circondavano il buffet elegantissimo e molto ricco. Gli ospiti invitati al battesimo non erano solo familiari, ma membri dell’ES, dell’Ordine, professori di Hogwarts, colleghi che avevano combattuto la guerra… tutti coloro che avevano partecipato alla Battaglia, tutti coloro che erano stati toccati da Voldemort erano uniti con un filo rosso invisibile e indistruttibile: erano sopravvissuti.
Hermione pensava che fosse chiaro da come si guardavano e da come si parlavano: erano tutti più leggeri, come se persino l’aria fosse più delicata con loro. Poi c’erano dei punti in cui il vento era un po’ più forte – tipo dove c’erano Remus e Tonks e Fred e Dobby e Colin Canon – e lì il vento ogni tanto tagliava e faceva male. Quella era un’altra cosa che li accumunava tutti, nessuno escluso: il vuoto. Nel loro sguardo, per un motivo o per l’altro, c’era uno spazio sempre bianco che faceva capolino e reclamava un po’ di ricordi o di felicità.
«Oh!» Esalò, quando qualcosa si fiondò con forza sulle sue gambe. Hermione guardò in basso e due occhioni grigi si piantarono su di lei.
«Piccolo Teddy… viens ici![3]» Fleur fece un enorme sorriso e prese in braccio Teddy Lupin.
Aveva degli splendenti quanto sconvolgenti capelli azzurri e gli occhi grigi dei Black, cosa che aveva sconvolto sia la nonna Andromeda che lo stesso Harry quando l’avevano visto. Entrambi ricordarono la luce scanzonata di Sirius e si resero conto che il ragazzino non avrebbe tardato a fare danni come il suo prozio, o quel che era.
Teddy era il simbolo più fulgido e straziante delle conseguenze di Voldemort, nato in guerra e orfano prima ancora di capire in quale grande epoca era nato. Fleur l’aveva preso talmente a cuore che era diventato un secondo figlio per lei, anche in onore dell’uomo che aveva salvato suo marito in molti più modi di quel che la gente comune potesse credere.
Bill era al centro del gazebo che improvvisava un ballo con la sorella, ridendo come matti nonostante le numerose cicatrici che gli solcavano un volto; Fleur sola sapeva cosa aveva subito per ottenere un solo semplice sorriso da suo marito dopo Fenrir Greyback e lo avevano saputo anche Remus e Tonks, nessun’altro.
Fleur sospirò, poi passò Teddy sull’altro braccio «Stai diventando pesante, piccolo» fece, senza che il suo pesante accento francese avesse risentito di tanti anni trascorsi in Inghilterra. Guardò Hermione e le fece un gesto con la testa «Scusami, vado da Bill…»
L’altra annuì e continuò a osservare la sala con una strana sensazione; era un misto di nostalgia, tristezza e sollievo quello che la prendeva quando erano tutti insieme. Anche se non era capitato molte volte, in realtà, da quando era finita la guerra.
      Harry l’aveva cercata e poi seguita con lo sguardo per un quarto d’ora, prima di trovarla al buffet con Fleur. Si avvicinò alla donna, strapazzò i capelli assurdi del suo figlioccio e si avvicinò verso sua sorella honoris causa; subito dopo la fine di tutto, avevano passato circa un anno in uno stato di totale mesmerizzazione, come se nessun di loro fosse in grado di capire cosa fare dei propri corpi vivi. Lui aveva passato ore e giorni interi a fissare le pareti di casa Granger, senza che Hermione facesse mai un fiato sulla sua condizione mentale, e lì Harry aveva capito perché era andato da lei e non alla tana dei Weasley.
«Tu sei sempre stata come una sorella per me, lo sai?» Le aveva sussurrato una volta.
Hermione si era seduta accanto a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla «E tu un fratello».
Harry si costrinse a sorridere quando arrivò al tavolo del buffet e disse «Sei bellissima!»
Hermione sorrise, radiosa: l’abbronzatura le donava sempre, perché faceva risaltare ancora di più gli occhi castano-nocciola e il vestito bianco che indossava. Harry, invece, aveva riciclato quello verde bottiglia del Ballo del Ceppo.
«Che galante, grazie. Anche tu stai bene».
Harry le si avvicinò fino a sfiorarle un braccio e abbassò la voce: «Non guardare, ma c’è qualcuno che ci osserva» ironizzò e Hermione sbuffò; anche senza vederlo, sapeva che Ron li stava guardando, così come sapeva che Harry era arrivato a fare da paciere.
«Harry…» cominciò lei, ma l’amico la prese a braccetto per portarla verso il giardino.
«No, aspetta, ascoltami: lo sai che non mi metto mai in mezzo alle vostre cose, ma devi ammettere che la tua scelta è talmente azzardata da essere irrazionale…»
Hermione ascoltò, ma non si fece prendere dalla rabbia come nei giorni precedenti.
«Avete sempre saputo che, dopo l’assestamento, sarei tornata a Hogwarts per finire la mia istruzione. Sapete quando ci tengo, sapete che in qualche modo lo devo a me stessa» spiegò.
Harry si fermò e si girò a guardarla: «Ma io su questo sono d’accordo, non capisco però perché hai dovuto lasciare Ron! Cosa c’entra lui con Hogwarts?»
Hermione si sistemò un attimo i capelli scarmigliati dal vento e guardò in alto, dove i fiori di campo della Signora Weasley svolazzavano nel cielo tanto azzurro da fare male. Colori e profumi ovunque, eppure quello spazio bianco  nei suoi occhi – negli occhi di chiunque – non si toglieva. Persino in quel momento poteva notarlo nello sguardo di Harry, nonostante il sole accecante e la splendida giornata.
«Tu non hai ancora freddo?» Gli chiese, invece di stare a spiegare qualcosa che era evidentemente incapace di fargli capire.
Harry si zittì e Hermione continuò, senza guardarlo «Anche quando il sole è talmente caldo da bruciarmi la pelle e la giornata e talmente bella da farmi ringraziare in lacrime di essere viva, io ho freddo» rivelò con voce sorda.
«Non è la stessa sensazione del freddo invernale, sono… brividi. Brividi temporanei, ma costanti che sento sempre lungo la spina dorsale. È come se si fosse aperta una finestra da qualche parte nel mio corpo, facendo entrare lo stesso freddo che sentivo tra le macerie di Hogwarts dopo che hai ucciso Voldemort» .
Non disse “dopo che hai sconfitto Voldemort”. Da tempo aveva cominciato ad essere più veritiera e cruda possibile sulla guerra, perché nulla poteva indorare ciò che fu davvero.
Hermione sapeva che Harry stava processando quanto detto, così continuò «Mi chiedi cosa c’entra Ron? La guerra non ha cambiato solo il corso della vita, la guerra ha cambiato tutto».
Harry le si avvicinò in silenzio e le strinse la mano. Rimasero insieme a guardare il cielo.
 
1 Settembre 2000
     Hermione si risvegliò dalla trance solo dopo aver attraversato il passaggio del binario 9 ¾ e aver udito il fischio del treno scarlatto. D’un tratto sentì addosso tutta l’assurdità e l’anacronismo di quella nuova avventura, un po’ come se fosse tornata l’undicenne dai capelli arruffati che snocciolava ordini a tutti.
«Ah, Hermione, cosa stai facendo…» mormorò a se stessa, ma s’immerse coraggiosamente nella folla di ragazzini urlanti, eccitati all’idea di andare a Hogwarts. Dopo la Seconda Battaglia, il castello era diventato ancora più celebre di prima e i nuovi studenti non la smettevano di raccontare storie epiche di duelli e creature spaventose.
Sicuramente lei sarebbe stata, cosi suoi vent’anni, la studentessa più vecchia di Hogwarts; che ironia, per lei che avrebbe voluto essere il più giovane Ministro della Magia della storia.
Non fece in tempo a salire sul treno che una serie di ragazzini del primo anno si bloccò a fissarla, dandosi gomitate d’intesa. Ovviamente avrebbe dovuto sapere che sarebbe stata trattata da reliquia vivente, come già accadeva spesso per strada nel mondo magico; cominciava a capire come si sentiva Harry hai tempi della scuola.
Senza parlare con nessuno, si avviò a testa bassa verso i vagoni e ne infilò uno a caso, dove un altro ragazzo stava a testa china su un grosso tomo che, in un altro periodo, avrebbe fatto la sua felicità. Hermione non fece davvero caso a lui, se non dopo essersi seduta e aver atteso che il suo cuore smettesse di battere come un forsennato; forse aveva sottovalutato l’emozione che tutto quello le avrebbe provocato.
«È normale, poi passa» fece il ragazzo e solo allora Hermione alzò il capo, sussultando.
«Zabini! Tu sei Blaise Zabini di Serpeverde» mormorò, schiarendosi la gola un po’ di volte prima di riuscirci.
Il ragazzo non sorrise né diede segno di saluto, ma era inconfondibile: aveva gli stessi occhi obliqui e scuri come la pece, la pelle nera che risaltava sul bianco della camicia, i capelli lanuginosi più lunghi di due anni prima. Hermione sapeva che anche lei era sempre uguale, a  parte i capelli molto più corti; aveva deciso di darci un taglio, simbolicamente.
«Cosa passa?» Chiese poi, visto che lui si limitava a fissarla senza dire nulla.
«L’emozione, il batticuore. Tutto» replicò lui, girandosi verso il finestrino e osservando il solito conosciuto paesaggio scozzese scivolargli velocemente davanti.
Il silenzio si allargò tra loro come un’invisibile cappa e Hermione ebbe tutto il temo per notare che – pur avendo indossato la vecchia divisa – Zabini non indossava la cravatta Serpeverde.
In realtà neanche lei aveva indossato la sua rosso-oro e, per qualche assurda pazzia della mente, non era neanche sicura che ci fossero ancora, le Case.
«Non hai la tua cravatta» notò Blaise, come se avesse usato la Legilmanzia su di lei. Per un attimo Hermione ne fu quasi preoccupata, poi ricordò che Zabini era sempre stato uno studente brillante sì, ma corretto. Almeno con loro Grifondoro.
«Neanche tu» rimbeccò lei, quasi nello stesso tono di un tempo, e Blaise tornò a guardarla.
Hermione si rese conto che Zabini aveva lo stesso sguardo, lo stesso spazio bianco di tutti gli altri; forse era il segno con cui riconoscere tutti gli altri sopravvissuti.
«Non è stata forse questa, la miccia della guerra?»
«Cosa?»
«Le divisioni».
 
     Fare un giro nel treno di Hogwarts non era stato neanche lontanamente paragonabile alla visione della Sala Grande: i quattro tavoli non esistevano più, sostituiti da una lunga serie di tavolini da dieci posti; i quattro stendardi delle Case erano ancora a nero di lutto e la presidenza aveva fatto sapere via posta che le vecchie cravatte non sarebbero state accettate, sostituite da comuni e standard cravatte nere – buffo come sia lei che Zabini avessero anticipato quel punto, nonostante non avessero letto la lettera proveniente dalla scuola.
Tuttavia, le candele a mezz’aria erano ancora lì, come il lungo tavolo dei professori e il luccicante scranno del preside, in mezzo alla sala. Su di esso, serafica e maestosa come sempre, Minerva McGranitt attendeva che gli studenti prendessero posto. Hermione le rivolse un sorriso istintivo, al quale la donna rispose con un cenno del capo.
Stava per sedersi su una sedia a caso, lievemente a disagio, poi vide una cosa che le scaldò il cuore: Neville e Ginny la stavano salutando da un tavolo in fondo all’estrema destra.
Naturalmente Ginny aveva da finire i suoi due ultimi anni, mentre Neville era stato uno dei pochi del suo anno a decidere di tornare.
«Ciao, ragazzi» Fece loro, sedendosi.
Neville, che non la vedeva da circa un anno, l’abbracciò calorosamente: «Non sapevo avresti ripreso l’ultimo anno anche tu! Anche se dovevo aspettarmelo… niente Harry o Ron, eh?»
«Ho provato a convincerli fino all’ultimo, ma…»
Neville ghignò «Harry è troppo impegnato a fare il capo! Ho sentito che il Dipartimento degli Auror lo vuole… se è per questo, ho anche letto che lo faranno santo» ironizzò e Ginny sbuffo, roteando gli occhi al cielo.
«Come dicevamo prima: Luna e suo padre dovrebbero andarci piano con i loro articoli. Sono ridicoli…. E altro che santo, quello lì!»
Hermione e Neville risero.
«Guai in paradiso?» Chiese Hermione, che aveva saputo come la loro coppia fosse tutto tranne che tranquilla. Ma non si aspettava niente di meno da entrambi, che comunque continuavano a completarsi come nessun altro al mondo.
«La smettesse di pavoneggiarsi sempre con quella sua maledetta super-scopa nuova! A sentirlo, sembra che abbia vinto lui il provino per le Holyhead Harpies…» mugugnò, ma poi si bloccò alla vista di Blaise, seduto poco distante da loro. «Ma quello è Zabini! Cosa ci fa qui?»
Neville scrollò le spalle «Completa l’anno come noi. Credo sia l’unico Serpeverde ad averlo scelto, la nonna mi ha detto che i Malfoy non ne vogliono neanche sentir parlare e si sono rinchiusi nella loro casa estiva in Francia o roba simile…»
Ginny sbottò in una risata feroce «Sia mai che un Malfoy si prenda le sue responsabilità!»
Hermione le lanciò un’occhiata negativa «Andiamo, hanno affrontato un processo, sono stati scagionati e Harry stesso ha deposto per loro…»
«Infatti io non ero per niente d’accordo! Il fatto che siano stati scagionati perché la signora ha mentito a Voldemort non vuol dire nulla: lo faceva solo per salvare il sedere a suo figlio, mica per la causa o la battaglia o tutti noi altri lì dentro!»
Neville e Hermione si scambiarono un’occhiata, poi Neville sospirò «Sono d’accordo a metà… Dopotutto ognuno di noi cresce in un determinato ambiente che ci condiziona e i Malfoy…»
«Non ci provare nemmeno! Sirius era un Black e non era così, neanche il padre di Harry e neanche tu e neanche noi, che diamine! Tutti Purosangue e nessuno che fosse così stronzo… e sai che ti dico? Neanche il fratello di Sirius, che era un Serpeverde, e lo stesso Zabini!»
Hermione, che li stava ascoltando a metà, si riprese «Che c’entra Zabini?»
Ginny si girò a guardare il ragazzo: pur seduto al tavolo con altra gente al centro della Sala Grande, sembrava totalmente da un’altra parte.
«Non lo sai? È stato l’unico Serpeverde, a parte i tre deficienti, a restare a Hogwarts. A combattere».
 
     Blaise guardò di sotto e aspettò che la vertigine sparisse. Gli piaceva quella sensazione: il terreno che si allontanava da lui, l’aria che diventava d’improvviso più fredda, il cuore che pompava sangue più velocemente, il cervello che mandava impulsi di pericolo e quasi si appesantiva, annaspando nella paura. Era una sensazione che lo faceva sentire vivo, ironico che accadesse anche alle persone che – da lì a un attimo – si sarebbero buttate di sotto.
Doveva essere assurdo sentirsi immensamente vivi un attimo prima di lanciarsi nel vuoto, ponendo fine a tutto.
Eppure lui non era mai stato tipo per quelle stronzate filosofiche, pensò risedendosi sul cornicione della Torre di Astronomia.
Dopo la guerra le regole a Hogwarts erano cambiate e l’aveva scoperto quando – sgattaiolando fuori dal suo dormitorio per un giro notturno – non era stato fermato da nessun gatto pestilenziale appostato agli angoli né dal vecchio Gazza. Forse la nuova Preside aveva finalmente deciso di mandare in pensione quel vecchio ipocrita: l’aveva visto, lui, infastidire gli studenti maggiorenni che combattevano i Mangiamorte.
In ogni caso loro erano degli intoccabili di qualche strana specie, un po’ come se fossero diventati anche loro fantasmi del castello: dopo il discorso, la McGranitt aveva avvicinato i pochi di loro che erano ritornati a Hogwarts, gli aveva consegnato medaglie da Caposcuola e aveva precisato che contava sulla loro maturità per mantenere l’ordine.
In pratica potevano fare quel che volevano.
     «È francese?» Chiese una voce dietro di lui.
Blaise terminò di canticchiare e fece un breve sorrisino, prima di rispondere «È italiano[4]».
Hermione adocchiò la sua posizione «Potrebbe essere pericoloso» provò a dire.
Zabini se ne stava sdraiato sul cornicione della torre più alta del castello, a farsi cullare dal forte vento della notte. Sembrava così disinteressato, che Hermione azzardò l’ipotesi che volesse farla finita.
Quando lui non mosse muscolo, provò a dirlo ad alta voce «Vuoi ucciderti?»
Blaise smise di canticchiare e si girò a guardarla, come se avesse finalmente fatto qualcosa di interessante «Può darsi. A te cosa importa?»
«Per il filo rosso» rispose solo Hermione, avvicinandosi con molta calma e espirando di sollievo quando arrivò a toccare qualcosa di solido come il cornicione.
Blaise si rimise a sedere a cavalcioni, una gamba ciondolante nel vuoto.
«Granger, stai iperventilando?»
«Le altezze non sono il mio forte. Tu devi per forza startene così?» Sbottò lei.
Blaise la osservò per un lungo istante: il profilo concentrato dalla paura, i corti capelli cespugliosi che si muovevano nel vento.
«Sei venuta tu qui» le fece notare e Hermione annuì «Infatti sono una stupida».
Ci mise quasi mezz’ora per imporre razionalità alla propria volontà di scappare via, ma alla fine Hermione riuscì persino a sedersi sul cornicione – dando le spalle al nulla – e a godersi l’aria fresca e il silenzio senza che Zabini dicesse nulla.
Dopo quasi mezz’ora di silenzi, Blaise le chiese della storia del “filo rosso” e Hermione espose la propria teoria dei sopravvissuti e dello spazio bianco. Non appena Hermione arrivò a parlare dello sguardo, Blaise capì che era quella la sensazione che stava cercando da tempo: la vedeva sulla superficie dell’iride, quando si guardava allo specchio, e la sentiva da qualche parte dentro di sé in ogni momento. Freddo costante.
«E il freddo» disse, interrompendola.
«Sì, c’è vento qui…»
Blaise scosse la testa «No, è il freddo che sento. Sempre, fin dentro le ossa» mormorò, poi si alzò – ondeggiando paurosamente sul precipizio per un istante – e saltò giù, dal lato giusto.
«Buona notte, Granger».
Hermione seguì con lo sguardo la ritirata di quel ragazzo alto e sicuro di sé, che un tempo era stato prima un indifferente sconosciuto, poi quasi un nemico, e capì che da quel momento in poi erano in qualche modo legati.
 
     Hermione osservava gli altri studenti giocare a Quidditch dagli spalti più alti del campo; da quell’altezza, sembravano delle macchie indistinte nel cielo azzurrissimo di fine estate. Le urla e le risate la raggiungevano da lontano, senza colpirla più in profondità di un volo di mosca.
Si interrogava spesso sull’idea di svago: si divertiva davvero ancora come un tempo?
La risposta più onesta e sincera alla domanda che aveva trovato era “ci provo”, per poi aggiungere subito dopo: “dovrei farlo, non c’è più nulla di cui preoccuparsi”.
La morte del cattivo, la sconfitta del male, aveva creato quel nuovo paradossale mondo in cui nessuno era più troppo spaventato o impaurito, però nessuno di loro era davvero andato oltre.
L’aveva chiesto a Harry, a Ron, a Ginny, a Neville, alla Signora Weasley, persino a Fleur… tutti avevano incubi, tutti chiudevano gli occhi e avevano la loro personalissima visione della guerra. La sua era lo sguardo vacuo e senza conoscenza dei suoi genitori. Lo spazio bianco.
Alcune voci un po’ più forti la distrassero dai suoi pensieri e Hermione abbassò la testa: sugli spalti più bassi, Blaise Zabini stava leggendo una rivista e un gruppo di ragazzi gli erano andati incontro con qualche tipo di rimostranza, alla quale lui a malapena rispondeva.
«La tua Casa ha fatto schifo, durante la guerra. Mio fratello mi ha detto che siete andati via tutti. Hai avuto un bel fegato a tornare, Zabini» stava dicendo uno.
«Non esistono più le Case» rispose lui, serafico come sempre.
In realtà poteva sentirlo, il cuore, che batteva all’impazzata nel petto; Blaise ebbe quasi la certezza che lo sentissero pure loro. Il suo problema non erano le – a suo parere giuste e convincenti – critiche a lui o al suo comportamento. Era la verità, che lo opprimeva come acqua e annegava lentamente.
«Certo, facile adesso levarti quegli schifosi abiti da Serpeverde!» Esclamò un altro, sputando nell’erba. «Vieni con noi, magari te lo spieghiamo meglio… ma voi siete dei vigliacchi, no?»
Blaise non se lo fece ripetere due volte e scattò in piedi, cogliendoli di sorpresa «Andiamo?»
      Si trovavano dietro alla balconata dello speaker, invisibile dal campo. I tre ragazzi fissavano Blaise, senza sapere bene dove andare a parare; probabilmente non avevano creduto li seguisse senza fare storie e ora dovevano capire che strada prendere.
Blaise li osservava senza fretta, le mani in tasca e la postura rilassata di chi non aveva nulla da perdere. Lui aveva solo quegli occhi – gli occhi di Draco Malfoy – e quella guerra, in testa.
«Si può sapere che hai da guardare così? Cazzo Zabini, metti i brividi!» Fece uno, innervosito dalla sua stessa immobilità.
«Aspetto che vi decidiate, quanto tempo avete? Avrei un appuntamento…» Ironizzò lui, riesumando il tono spocchioso che aveva tenuto per tutta la sua carriera a Hogwarts.
Lo sapeva cosa causava quel tono, assieme all’eredità d’infame Serpeverde, e infatti il ragazzo scattò e lo colpì con un pugno. Come risvegliati dal segnale, anche gli altri ragazzi gli andarono addosso e Blaise cadde a terra, muovendosi solo per ripararsi la faccia.
Non sentiva bene quello che gli stavano dicendo, tra un colpo e l’altro, ma qualche parola filtrò comunque: “Eravate dalla parte opposta della barricata”, “Infami traditori”, “Meno che essere umani”, “Fate schifo, spero che i vostri genitori marciscano in prigione”…
E: diavoli, assassini, venduti al male, poi sputi, minacce, botte, stalker, violenze.
Blaise si beveva tutto come se potesse dissetare la sua sete di espiazione, tacere gli incubi che ogni notte arrivavano a strapparlo dal sonno.
Una settimana dopo la fine della guerra, dei maghi avevano fermato lui e sua madre per strada: avevano tirato lei per i capelli e sputato a lui in faccia.
Tre settimane dopo, qualcuno aveva tirato dei sassi, rompendo tutte le finestre della magione.
Poi, a circa un mese dalla morte di Voldemort, il cartello con su scritto: “Dovevate fare la sua stessa fine” era apparso sulla porta d’ingresso. Blaise l’aveva lasciato lì, a imperitura memoria.
Quello che loro non sapevano, era che lui moriva ogni notte per quella guerra.
Quello che loro non sapevano, era che lui pensava di morire ogni giorno per quella scelta.
      «Ehi, voi! Lasciatelo stare!» La voce della ragione sembrò congelare il tempo e i ragazzi si fermarono di colpo, imbarazzati.
Blaise sapeva che era la voce della Granger, paladina di ogni diseredato. Se non avesse avuto la bocca piena di sangue, avrebbe riso per l’ironia della sua sorte.
«Lui è uno di loro» grugnì arrabbiato uno dei suoi aguzzini.
«E la tua casa non insegna certo a vendicarti, Simmons, e non di certo te l’hanno insegnato i tuoi genitori» replicò Hermione. L’aveva riconosciuto: era un ex Grifondoro come lei.
«Perché lo difendi? Tu più di altri dovresti avercela con-»
«Né io né Harry abbiamo lottato perché il ciclo ricominciasse» interruppe ancora. «Ma non vi rendete conto? Voldemort ha fatto leva proprio su questo odio millenario per dividerci, non dovremmo continuare a fare il suo gioco».
«Ma devono pagare!» Esclamò, cocciuto, il terzo ragazzo.
Hermione annuì «Pagheranno nelle sedi opportune, nei tribunali, non qui. Questa non è giustizia, è vendetta».
E non c’era proprio nient’altro da dire. Hermione li capiva, capiva tutti: ognuno esprimeva l’inconsolabilità[5] del proprio animo come poteva. Tutti preda di una febbre senza nome.
I ragazzi lanciarono un ultimo sguardo di palese disgusto a Blaise, poi andarono via. Lui si limitò a girarsi su un fianco, sputando sangue.
Hermione lo guardò in silenzio, senza offrirsi di aiutarlo né di pulirlo. Qualcosa le diceva che non avrebbe apprezzato.
«Non hai perso la vena polemica, Granger» espresse lui, mentre riusciva ad alzarsi.
«E tu la tua ironia, Zabini.Perché non ti sei difeso?»
Lui la guardò in silenzio per un po’, poi sospirò «Li hai ascoltati?»
Hermione annuì: li aveva seguiti subito, ma ci aveva messo qualche secondo prima di decidersi a intervenire. Un tempo quel secondo non sarebbe esistito.
«Allora lo sai perché» replicò lui, girandosi per andare via.
Hermione esitò, poi scrollò la testa e penso: “al diavolo” e gli corse incontro «Aspetta…» fece e
gli porse un pacchetto di fazzolettini con una bottiglia d’acqua. «Vieni con me».
Stavano sulle gradinate all’angolo in basso, quelle meno visibili da qualsiasi angolo del campo; meglio evitare altri incontri sgraditi. Blaise guardava diritto di fronte a sé e non emetteva un solo suono, anche se Hermione era sicura che le sue cure Babbane gli facessero male.
«Dovresti andare in infermeria».
«Dovresti usare la magia».
Hermione sorrise, mentre gli faceva girare la testa e gli curava uno zigomo ammaccato «Non ho molta voglia di usarla in quest’ultimo periodo… forse  per tutto quello che ha causato».
«Non era il momento adatto per tornare a Hogwarts, allora» fece notare lui.
«Sei sempre stato così sarcastico?» Chiese lei, sorridendo ancora.
Blaise provò a scrollare le spalle, ma gli facevano male pure quelle «Da ché ne ho memoria, non tutti apprezzano però. I mie ex compagni no di sicuro».
«Magari non ti capivano» ironizzò Hermione e Blaise sorrise brevemente «Touché».
Hermione finì di tamponarle con l’acqua ossigenata «È l’unica cosa che posso fare, per il resto ci vuole la magia e Madama Pomfrey».
Blaise scrollò di nuovo le spalle «Non fa niente, sopravvivrò. Sopravvivo a peggio».
Hermione cominciò a sospettare di quelle risposte monocorde, senza espressività né interesse, di quelle azioni al limite della spregiudicatezza e della pericolosità.
«Sai, se vuoi ucciderti ci sono altri modi» fece, quasi con freddezza.
Voleva stimolare una reazione, ma Blaise non era nel momento di vita migliore per accettare la sfida. Si alzò di scatto e la guardò intenzionalmente a lungo, prima di dire «Quelli coraggiosi siete sempre stati voi. Ciao, Granger».
 
31 Ottobre 2000      
     La cena di Halloween era stata buonissima come sempre, ma Hermione si chiedeva ancora perché si fosse lasciata convincere a fare quella cosa.
Si sfiorò le orecchie da gatto e sbuffò sulle pagine del libro che stava leggendo. La guerra doveva aver ammorbidito la McGranitt, che aveva lasciato la possibilità agli studenti di festeggiare Halloween, a patto di restare tutti in Sala Grande e di sgomberare le tende per mezzanotte. Ovviamente, poiché per quei primi anni avevano deciso di non smistare gli studenti nelle quattro Case, dormivano tutti nella Stanze delle Necessità. Questa si era dimostrata una magia portentosa, capace di trasformarsi di due ampissimi dormitori, divisi per maschi e femmine, con tanto di parola d’ordine all’ingresso.
Hermione non concordava molto con quella soluzione, ma percepiva la tensione dei professori e la paura che ulteriori divisioni gettassero il seme del dubbio. Sebbene nessuno dei vecchi Serpeverde avesse deciso di ritornare, a parte Zabini, i novizi sentivano il carico dell’odio sulle loro spalle e tutti si sforzavano di essere i più imparziali possibile[6].
«Hermione! Ti diverti?» Ginny arrivò con il suo trucco da tigre e la coda posticcia.
«Come no, non vedevo l’ora di tornare gatta!» Sbottò, ripensando al glorioso momento in cui si era trasformata per sbaglio nel gatto di Millicent Bulstrode[7]. «Tu dov’eri?»
Ginny rise e si buttò accanto a lei «Scrivevo a Harry. Vuole le evidenze fotografiche che io non stia ballando con nessuno e che nessuno si sia avvicinato per offrirmi cibo o bevande o balli o nient’altro in pratica. Che scemo».
Hermione sorrise teneramente «È solo geloso. Sei una bella ragazza e sei a Hogwarts, mentre lui vede anziani membri del Ministero per tutto il giorno. Devi capirlo».
Ginny scrollò la lunga chioma «Gli muoio dietro da quando avevo nove anni, direi che è in una botte di ferro… e tu, con ehm-» non usava pronunciare la parola “Ron” da quando Harry le aveva detto che si erano lasciati.
Hermione sospirò «Ginny, non cominciare ti prego… io e Ron… è complicato».
«Ma posso almeno capire perché?»
Hermione alzò lo sguardo su di lei e, per un solo attimo, Ginny rabbrividì per quello che ci vide. In un certo senso, era lo sguardo che vedeva sempre in Harry e che sapeva di non poter cancellare, neanche con tutte le notti d’amore del mondo.
Prima ancora che Hermione parlasse, in un certo senso Ginny sapeva già cosa avrebbe detto.
«Per la guerra».
Poi, prima che la conversazione potesse riavviarsi, Hermione notò qualcuno scivolare dietro di loro e uscire dal portone della Sala Grande.
«Scusami, ci vediamo dopo…» fece a Ginny e seguì quell’ombra.
Blaise doveva aver recuperato qualche vecchio abito da cerimonia d’élite, perché era vestito in un modo che neanche i principi da favola potevano. Hermione ebbe il tempo di notare il fazzolettino di seta nero nel taschino della giacca dello stesso colore; le scarpe, la cintura e i pantaloni abbinati. Stupidamente e pericolosamente pensò alla morte.
«Zabini, non dovremmo uscire. Sei un Caposcuola, dovresti seguire le regole» gli fece, senza riuscire a trattenersi. Si erano parlati altre volte in quel mese, quasi sempre con quelle loro conversazioni da patetici reduci di guerra, rievocando memorie in maniera formale.
Blaise girò su se stesso e la osservò con un’aria diversa, quasi allegra; notò il vestitino nero, i guanti lunghi di finto pizzo, il cerchietto con orecchie nere e pelose, persino i baffi disegnati.
«Cosa dovresti essere, una pantera?»
Hermione sorrise e gli si avvicinò «Un gatto».
Blaise mimò un “oh” senza pronunciarlo.
«E tu invece? Sei piuttosto elegante per essere Halloween» provò a dire lei ma, quando lui la fissò di nuovo, si preoccupò per quello che vide. Forse era la luna che si rifletteva su di lui attraverso i porticati, forse era per le iridi così scure da sembrare nere, ma Hermione credé di vedere un lampo pauroso e lesto a sparire.
«Vado a fare una passeggiata» rispose Blaise, girandosi a guardare la luna. «È una bella serata».
Hermione tentò un sorrisino «E se non ti trovano? Passare un mese in punizione potrebbe essere noioso e mi metteresti nella scomoda posizione di dover decidere se fare rapporto».
Blaise sorrise «Granger sei pedante, te l’hanno mai detto?»
«Tutti i giorni, più o meno».
«Comunque non credo ce ne sarà bisogno».
«Cosa vuoi dire?»
«Forse ho ritrovato il mio coraggio».
   
     Hermione guardava i suoi piedi affondare nell’erba a ogni passo; l’aria era così carica di umidità, che aveva la sensazione di nuotare. La notte di Hogwarts criptava dal frinire dei grilli e dei versi dei gufi, fiocamente illuminata da una luna dai contorni sfumati, disegnata col gesso. Accanto a sé, il profilo di un ragazzo in smoking, spettrale alla luce lunare.
Un sogno.
Hermione aveva deciso di seguirlo senza una ragione, perché una vocina dentro di sé glielo aveva ordinato. La stessa vocina che un mese prima, sulla Torre di Astronomia, aveva deciso che fossero legati dal filo rosso dei veterani di guerra.
«Lo so che mi hai accompagnato per un motivo… cosa speri di fare?» Le chiese Blaise, dopo un po’ che camminavano. Potevano quasi scorgere la superficie argentea del lago.
«Vuoi la verità o una bugia?» Ironizzò lei, ma quella volta Blaise si fermò e si girò a fissarla, le tolse le orecchie da gatta e le sistemò i capelli.
«Non è più tempo per le bugie questo» spiegò, sapendo di mentire.
Quante altre bugie dicevano ogni giorni per salvare la propria mente? Sua madre che ancora si rinchiudeva nello spettro di un’antica bellezza e di uno status che ormai era più un’ignominia; gli studenti che ancora si limitavano nelle definizioni delle loro Case, come se quello li definisse come persone; Draco che ancora due mesi prima lo tacciava di tradimento, perché non aveva voluto deporre in suo favore… quante bugie ancora non erano state smascherate?
«Allora sarò diretta: credo che tu voglia davvero farti del male e io voglio impedirtelo».
Blaise batté le palpebre a tanta crudezza «Perché dovrebbe essere un tuo problema?»
«Perché io sono Hermione Granger: sono pedante, sono polemica e sono giusta».
Blaise scosse la testa «Questo forse prima della guerra… ma ora?»
Hermione si accigliò «In che senso? Io sono sempre io».
L’altro s’immerse un attimo nei suoi pensieri, poi sospirò e cominciò «Da due anni a questa parte faccio sempre lo stesso sogno: le fiamme dell’Ardemonio e gli occhi di Draco Malfoy».
Hermione non disse nulla perché era sicura volesse continuare e restò in attesa.
Blaise si prese il suo tempo, arrivarono al lago, poi continuò «Sogno il fuoco che divampa sottoforma di mille bestie malefiche, che sbriciolano le mura di pietra come fossero cartapesta, che divorano persone e oggetti. E c’eri anche tu… mi ricordo di te e di Potter e di Weasley».
Hermione lo guardò e annuì «Certo. Noi eravamo lì quando è divampato l’incendio: è stato Tiger a dare il via nella Stanza delle Necessità, cercavamo il diadema di Corvonero».
Lo spiegò come se fosse ovvio, era sicura che lui avesse letto tutto in proposito.
Infatti, Blaise annuì «Nel mio sogno io scappavo, non vedevo l’ora di liberarmi della puzza di fumo, del caos che avevo nel cervello, delle ferite negli occhi e nelle orecchie… poi ho visto lui, Malfoy, con il corpo di Goyle svenuto addosso che vomitava la sua anima lungo una parete».
Hermione sussultò: doveva essere il momento in cui si erano separati, dopo aver salvato quei due idioti dall’Ardemonio e dopo la morte di Tiger.
Blaise sorrise sferzante «Che ironia, io che non ho mai seguito le teorie di purezza di cui vaneggiava Malfoy, mi sono ritrovato nella guerra al suo fianco. Solo perché non riesco a resistere a una richiesta di aiuto, solo perché i Serpeverde sono leali con i colleghi… come vedi, non siamo così diversi, nonostante tutto».
Hermione rifletté, mentre si sedevano sulle sponde del lago, poi cominciò «Credevo che tu-»
«Cosa, che fossi un Purosangue razzista? Ho aperto gli occhi da un bel po’, più o meno da quando ho scoperto che il Signor Zabini e un assurdo quanto geniale Babbano».
Hermione sussultò «Scusa?»
L’ombra di un sorriso velò l’espressione di Blaise «Mia madre ha fama di essere una vedova nera, Granger, dovresti saperlo… eppure si sempre innamorata follemente dei suoi uomini, senza fare alcuna distinzione di status o sangue. Mio padre è il marito numero uno, il primo e solo, L’unico di cui mia madre abbia voluto prendere il cognome».
«Il Signor Zabini?»
«Un conte italiano, Babbano dalla punta dei piedi alla cima dei capelli. Un buon padre».
Si girarono entrambi a guardare il lago per un bel po’, immersi in un silenzio da fiaba.
Hermione si strinse le braccia intirizzite dal freddo, intuì dovesse essere molto tardi. Blaise si sfilò agilmente la giacca e gliela poggiò sulle spalle, restando in camicia.
«Allora, perché hai combattuto questa guerra?» Sussurrò lei, quando fu più vicino.
Blaise scrollò le spalle come se parlasse del tempo «Per lo sguardo di Draco Malfoy. Erano gli occhi di un morto, volevo capire se potevo cambiarlo».
Hermione annuì: per quanto sembrasse criptico e assurdo, capiva di cosa stesse parlando. Lo sguardo che lei aveva visto prima di tutto in Sirius, poi in Harry e che ora, con diverse sfumature, vedeva in tutti quelli che avevano combattuto direttamente la battaglie e visto la morte in faccia… quello sguardo non si toglieva di dosso, ti strappava via dai sogni felici e dalla gioia. Era felice che Fleur non ce l’avesse, anche se Bill non ne era immune; era assurdamente, forse crudelmente, felice che Teddy non l’avesse visto in suo padre.
«È lo spazio bianco…» mormorò lei e Blaise si calò su di lei.
«Cosa?»
«Io lo chiamo così, te ne avevo parlato ricordi? È come una… una finestra interna, che si è aperta con la guerra e lascia entrare il freddo gelido della morte. I brividi che senti in ogni istante, ogni giorno, con ogni stagione… è la solitudine interiore, quella più profonda e intima, quella che ti rende solo anche se sei in mezzo a tanti altri…» Hermione continuò a parlare e parlare, guardando il lago senza vederlo, sicura che Blaise seguisse e comprendesse ogni suo flusso di coscienza.
Qualcuno, un tempo, aveva detto che “chi ha visto la verità rimarrà per sempre inconsolabile”[8] e lei lo era per davvero, inconsolabile. Per quello non poteva stare con Ron, non aveva ancora avuto il coraggio di ridisegnare la sua vita seguendo i suoi progetti o di staccarsi da quel luogo.
Hogwarts. Dove tutto era iniziato e finito.
«Inconsolabile» mormorò Blaise, come se dovesse ripeterselo. «Credo di esserlo anch’io. E credo che sia questo il motivo per cui, sai…»
Hermione cercò la sua mano nell’erba e la trovò, la strinse forte e continuò a guardare il lago. Sentiva le lacrime che pungevano la base delle ciglia, sentiva il freddo – quello di dentro – arrivare a travolgerli e avvertiva il cuore di Blaise che batteva.
«Mi spiace fossero gli occhi di Malfoy, sai. Fossero stati i tuoi, forse non sarei stato dall’altra parte della barricata» mormorò, ma Hermione scosse la testa.
Quello spazio bianco era una finestra aperta nel cuore di tutti, buoni e cattivi.
Perché una guerra, alla fine, non ha parti solo freddo.
 
      Hermione non seppe neanche per quanto tempo rimasero lì – stretti come neanche con Ron fu mai – con i cuori che battevano a riscaldare occhi lontani.
Anche mentre si spogliavano, i loro occhi non furono mai nello stesso momento sullo stesso piano. Forse Blaise sognava del suo Ardemonio e immaginava gli occhi argentati di Draco Malfoy; forse Hermione ricordava quelli dolci e speranzosi di Ron e sognava un progetto diverso, non distrutto dalla solitudine interiore. Si baciarono a lungo e parlarono molto poco, troppo presi a seguire il freddo dentro di sé e le piaghe dei proprio sensi di colpa.
Hermione ricordò che, a un certo punto, Blaise disse «Si può essere meno soli nel dolore?»
Lei non poté rispondere alla domanda, ma sperò con tutta l’anima di dargli abbastanza tempo per capire come salvarsi.
Quando fu sopra di lui, la giacca coprì entrambi e Hermione rabbrividì al suo tocco sulle cosce; continuarono a guardarsi anche mentre lei gli sfilava la cintura, gli apriva i pantaloni; anche mentre Blaise le alzava il vestito, le spostava l’intimo.
S’incontrarono senza un sussulto, come fosse naturale, e si amarono in un silenzio disperato e senza illusioni. Hermione si abbassò a baciarlo e, quando raggiunsero l’apice, divorarono qualsiasi gemito come se se ne sfamassero.
Fu l’unica volta in cui accadde, ma sembrò durare un’eternità.
 
      I mesi successivi volarono in un battito d’ali di gufo e Hermione si sentì sempre meglio. La notte del lago ondeggiò per molto tempo tra il ricordo frammentato di un sogno e l’illusione della realtà e, quando incontrava lo sguardo assente di Blaise nei corridoi, continuò quasi a credere che non fosse lui, l’uomo in smoking che aveva amato.
Non volle mai dire a Ginny o a Harry cosa fosse accaduto, ma serbò come guida le ultime parole che l’uomo in smoking le disse quella notte: «La disperazione non è per tutti, Hermione. Soprattutto, non è per gli eroi. Prenditi le responsabilità delle tue scelte».
Hermione capì col tempo – dalle frasi che le rivolgevano dopo le lezioni, dagli autografi che richiedevano, dagli sguardi di ammirazione delle ragazzine – che Blaise Zabini aveva ragione.
Che lo volessero o meno, avevano vinto quella guerra.
Che lo volessero o meno, dovevano prendersene la responsabilità.
Come in automatico, ricominciò a fiorire e pensò sempre meno al freddo che la attanagliava – anche se a volte era così straziante, da costringerla ad aggomitolarsi come un groviglio di lana e starsene così, abbracciata a Harry per  lungo tempo.
Quanto a Ron, decise che aveva ancora tempo per pensarci.
Il giorno prima di ritornare a Hogwarts per il secondo semestre dopo le vacanze invernali, un gufo meraviglioso e sconosciuto bussò alla sua porta e la lettera che portava recava un indirizzo sconvolgente.
Quando mise piede a Hogwarts, il mattino seguente, seppe che Blaise Zabini non era tornato. Le voci che si susseguirono erano strazianti o velenose, sentimentali o distruttive, fasulle o crude come la verità… dicevano che era scappato, dicevano che era stato arrestato, dicevano che aveva cambiato identità, dicevano tante parole. Hermione credeva solo a due cose: che un pomeriggio natalizio come tanti, il suo freddo interiore era sparito e che casa Zabini si vuotò, presentando un solo cambiamento: un mazzo di rose nere all’ingresso.
Hermione ogni tanto tirava fuori la lettera e se la rigirava tra le mani. In una bellissima grafia corsiva, l’indirizzo diceva:
Blaise Zabini  
Corso Vittoria Reale 1, Italia.
Chi ha visto la verità rimarrà per sempre inconsolabile
 
Hermione non ricordava nemmeno di averla detta ad alta voce, quella frase, ma non si sarebbe stupita di sapere che Zabini gliel’aveva strappata via dall’anima.
La lettera rimase chiusa, cambiando di posto così come cambiava la sua vita.
Rifiutò di aprirla sia dopo aver completato i suoi studi a Hogwarts sia quando sposò Ron, circa sei anni dopo. Hermione la portò con sé nella nuova casa, trovando un nuovo cassetto in cui farla riposare, tirandola fuori di tanto in tanto per rievocare il fantasma dell’uomo in smoking, che camminava assorto sulla riva di un lago argentato.         
 
    
 

[1] La frase testuale che Pansy pronuncia in Sala Grande nel settimo libro, prima che tutti i Serpeverde lasciassero il Castello. La scena è quella del libro, raccontata dal punto di vista di Blaise, che non prende posizione.
[2]Mio piccolo fiore, lasciami”. Suppongo che Fleur parli in francese ai suoi figli. Fiore è un sostantivo femminile, in francese, ecc il motivo della traduzione diversa.
[3]Vieni qui!”
[4] Secondo quasi tutte le fonti che ho cercato per Blaise, il suo cognome è italiano. Questo vuol dire che suo padre dovrebbe esserlo.
[5] Neologismo personale che non esiste, in italiano corrente.
[6] Un what if? Totalmente inventato, ma mi serviva un modo per sottolineare che Hogwarts è molto contro le divisioni, al momento. Tuttavia, poiché credo che lo Smistamento abbia anche molto a che far con la crescita personale, ho immaginato che avvenisse comunque ma senza avere conseguenze organizzative successive.
[7] Mi pare fosse al secondo anno, quando utilizzavano la Pozione Polisucco per trovare la Camera dei Segreti.
[8] Baricco, “Oceano mare”.
   
 
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