Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Rivaille_02    02/05/2018    0 recensioni
«Sono Levi Ackerman, il vostro professore di educazione fisica. Vi anticipo che, alla fine di tutte le lezioni, dovrete pulire la palestra. Anche se non ci sarò le ultime ore, dovete pulirla. Ci siamo capiti, mocciosi?» spiegò severo. Il professor Levi era un maniaco della pulizia. Non c’è stata classe che non abbia pulito la palestra quando c’era lui.
«Sì prof!» risposero i ragazzi intimoriti dall’insegnante. Solo Eren sembrava non averne paura. Al contrario, quando i loro sguardi si incrociarono, arrossì.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Armin Arlart, Eren Jaeger, Levi Ackerman, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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Quelle due settimane passarono velocemente ed Eren, come sempre, era appena uscito da scuola e si stava dirigendo al condominio dove abitava Levi. Era solito mettersi davanti alla sua porta e scrivergli una lettera nella quale raccontava la sua giornata scolastica, per renderlo fiero del suo fidanzato. Perché Eren ci credeva. Credeva che un giorno sarebbe tornato. Credeva che avrebbe letto tutte quelle lettere. Credeva in lui, nell’uomo che amava più di se stesso.
Appena finito di scrivere la lettera, era indeciso se farla passare sotto la porta o entrare direttamente. L’ultima gli sembrava un po’ rischiosa e impossibile, siccome non aveva le chiavi. Aveva, però, una voglia tremenda di rimettere piede in quella che doveva diventare la sua casa qualche settimana prima. Guardò quindi dentro il suo zaino se aveva qualcosa per aprire la porta. In mezzo a quel miscuglio di libri e quaderni, riuscì a trovare una graffetta sottile. Inserita nella serratura, iniziò a girarla pregando che si aprisse. Dopo un paio di tentativi ci riuscì. Vide tutte le lettere che aveva scritto nelle ultime settimane davanti a sé e non poté che prenderle e metterle sul tavolo. Torno sull’uscio per prendere lo zaino per poi chiudere la porta. Si sentiva come a casa. Si girò: era tutto come l’avevano lasciata quel giorno.
“Quindi Levi non è tornato da allora...” pensò il ragazzo guardandosi intorno. Posò lo zaino sulla sedia, prese la scopa e si mise a spazzare. C’era molta polvere e di sicuro non sarebbe piaciuto a Levi! Arrivato in camera sua, si fermò davanti al comodino: c’erano delle foto che raffiguravano l’uomo insieme ai suoi due amici. Non erano come quelle che gli fece vedere il padre quel giorno, queste erano completamente differenti e Levi, in una di esse, stava addirittura sorridendo.
“Lo sapevo... lo sapevo che non era un cattivo ragazzo. Magari avrà fatto qualche crimine, ma ora è cambiato. Perché non lo vogliono capire...?” pensò Eren prendendo una foto in mano. Si mise a sedere sul letto senza smettere di guardare la foto, in particolare Levi. Gli occhi gli divennero lucidi, poi qualche lacrima iniziò a scendere.
“Levi...” lo chiamò in mezzo ai singhiozzi. “Quando torni...? Non credo di poter resistere ancora a lungo senza di te...”. Si sdraiò stringendo la foto al petto. Il ragazzo iniziò a sentire la sua mancanza. Si addormentò per la troppa stanchezza.
Passò qualche ora e Levi era arrivato a Maria insieme a Isabel e Furlan. Dopo la notizia uscita sul giornale, fecero molta attenzione ai poliziotti che c’erano nei dintorni e si vestirono in modo da non farsi riconoscere. Dopo aver aspettato qualche minuto, salirono finalmente sull’autobus che doveva portarli a casa di Levi.
«Ricordi cosa devi fare, vero fratellone?» gli chiese Isabel mettendosi a sedere.
«Devo solo entrare a prendere le chiavi della macchina, andare a casa del moccioso e convincere i suoi. Mi sembra abbastanza semplice, anche se non ho capito perché dovevo aspettare proprio oggi» rispose Levi esponendo i suoi dubbi. Proprio non capiva. Era una cosa che poteva fare anche il giorno seguente, perché farlo la notte della battaglia fra bande? Furlan gli diede una pacca sulla spalla.
«Ancora non l’hai capito? Se lo fai stanotte, i suoi genitori penseranno che non sei coinvolto in tutta questa confusione, no? Fagli vedere come stanno davvero le cose, Levi» gli spiegò incitando l’amico. L’uomo allora capì e promise che ce l’avrebbe messa tutta.
Arrivò la sera e Levi si diresse verso il suo appartamento. Avanzò lentamente tormentato da pensieri. E se il piano fosse fallito? E se i genitori di Eren non lo avessero accettato comunque? Dopotutto era un adulto con un passato da criminale... chi mai avrebbe gradito la presenza di qualcuno che, pur di vivere una vita migliore, aveva abbandonato la madre e i suoi amici? E se, quando gli avrebbe raccontato tutto, Eren non lo avesse accettato? Se lo avesse abbandonato?
“Non posso pensare a queste cose... dannatamente stupide!” pensò Levi mentre camminava verso la porta della sua abitazione. Appena fu davanti, prese le chiavi e aprì la porta. Eren, che era ancora nella camera dell’uomo a dormire, appena sentì il rumore della serratura si allarmò. Scattò giù dal letto, ripose la foto e si precipitò fuori dalla stanza. Pregò con tutto il cuore che fosse Levi. Quando fu in cucina, quasi pianse dall’emozione: era davvero lui.
«Levi...?» lo chiamò guardandolo incredulo. «Sei davvero tu, Levi...?» continuò avvicinandosi all’uomo, anche lui sorpreso nel vederlo nel suo appartamento.
«Eren...?» rispose mentre il ragazzo lo abbracciò piangendo di gioia. «Eren, che ci fai qui? È sera... non dovresti essere a casa?» gli chiese preoccupato mentre gli accarezzava i capelli. L’altro non riuscì a rispondere dalle troppe lacrime. Levi, allora, aspettò che si riprese per parlargli. Era felice ma allo stesso tempo confuso: come aveva fatto ad entrare Eren se non aveva nemmeno le chiavi? Possibile che non abbia ricevuto nessuna chiamata dai suoi genitori o da Mikasa? Immerso nei suoi pensieri, l’uomo fece sedere il ragazzo sul divano e provò ad avere una conversazione con lui. «Eren» lo chiamò guardandolo negli occhi.
«Levi...» rispose l’altro asciugandosi le lacrime.
«Perché sei qui? Non devi essere a casa?» gli chiese prendendogli la mano per farlo tranquillizzare.
«Volevo solo vedere se in questi giorni eri tornato e...» gli disse guardando verso il tavolo. «... e ti scritto delle lettere ogni giorno. Vuoi leggerle o...?» Eren non riuscì a finire per l’espressione che aveva Levi in quel momento: rosso in viso, sembrava addirittura che volesse piangere. Il ragazzo gli accarezzò il viso facendolo avvicinare al suo e lo baciò. Non era un bacio come tutti gli altri, quello era molto più dolce e passionale. L’uomo trattenne le lacrime. Questa volta non c’era nessuno ad interromperli, né un telefono, né Armin e neanche Mikasa. Niente e nessuno. Solo un pensiero che preoccupava Levi: l’ora dell’inizio della battaglia fra bande. Guardò l’orologio: le undici e un quarto. Sarebbe iniziata a mezzanotte. Doveva sbrigarsi ad andare a casa di Eren per farsi accettare. Si staccò quindi dal ragazzo scusandosi per poi spiegargli tutto. Il castano capì la situazione, quindi l’uomo prese le chiavi della macchina e si affrettarono ad andare in macchina.
«Sicuro che funzionerà?» domandò Eren ansioso. Dopo la reazione dell’ultima volta aveva paura di cosa potesse succedere se si fosse ripresentato.
«Certo. E se non funziona, lo faremo funzionare in qualche modo» rispose Levi concentrato a guidare. Al ragazzo scappò una risatina. L’uomo gli buttò un occhio. «Perché ridi, Eren?».
«È solo che...» iniziò abbassando la testa sorridendo. «Se penso a come siamo arrivati fin qui...» si fermò ripensando a tutto quello che avevano passato fino a quel momento. Levi si limitò a ricambiare il sorriso.
Arrivarono dieci minuti prima di mezzanotte. L’uomo prese il telefono per avvertire Isabel e Furlan che era giunto a destinazione con Eren. Aspettarono la mezzanotte in punto prima di scendere. Quando furono davanti alla porta d’ingresso, il ragazzo sussultò e Levi gli tenne la mano per rassicurarlo.
«Andrà tutto bene, vedrai» gli disse guardandolo. Eren annuì, quindi l’altro poté bussare. Furono entrambi i genitori ad aprire. La madre era come scioccata mentre il padre serio come sempre. Squadrò Levi.
«Che vuoi ancora, Ackerman? Non ti avevo per caso avvertito?». Il tono era severo, più severo dell’ultima volta. Eren iniziò ad avere paura.
«E allora? I suoi avvertimenti non mi fanno paura se c’è Eren di mezzo, signor Jaeger» rispose l’altro con aria di sfida, sicuro di sé.
«So cos’hai fatto e non voglio che io figlio si metta con una persona del genere, soprattutto se ha ancora a che fare con “quelle cose”» continuò il padre.
«Mi spiace deluderla, ma “quelle cose” non mi riguardano più. Ed Eren lo sa benissimo» disse Levi che, sentendo tremare il ragazzo, gli accarezzò la mano.
«Non mentirmi, Acker...» le sue parole furono interrotte da spari e urla provenienti da un posto vicino. «Non vai da loro?».
«Da quando sono a Maria non mi riguarda. Ora come ora voglio solo stare con Eren, l’unico ragazzo che non mi ha trattato come un criminale pur sapendo tutto». Era vero. Levi gli aveva raccontato tutto in macchina e il ragazzo lo accettò lo stesso. Il padre guardò allora il figlio, che prese fiato per poi rispondere.
«È vero, papà. So chi è, cosa fa, dove abita ma nonostante questo lo amo e sono felice quando sono con lui» gli spiegò. Fu un colpo al cuore per entrambi i genitori l’udire quelle parole. Avevano una buona reputazione a Shiganshina e non volevano rovinarla. «Ve lo chiedo per favore! Mamma, papà! Mi avete sempre detto che volevate la mia felicità, e ora che l’ho trovata non lo accettate?!» implorò Eren con le lacrime agli occhi. Ci fu qualche momento di silenzio. A spezzarlo furono dei passi che si dirigevano verso di loro.
«Sei davvero felice con lui, Eren?» gli chiese Mikasa, che era rimasta ad ascoltare la conversazione in cucina fino a quel momento. Il fratello annuì. «Tu, razza di nanetto, sei sicuro di poterlo rendere felice?» domandò poi a Levi un po’ irritata. L’uomo rispose di sì. A quel punto, la ragazza guardò i genitori. «Io li vedo sicuri e decisi. Per me è sì, per voi?» chiese conferma. Cosa potevano fare loro se non arrendersi al desiderio del loro figlio? Quando anche i genitori accettarono, Eren si sentì in dovere di ringraziare la sorella e, istintivamente, di abbracciare Levi. Finalmente ce l’avevano fatta. Finalmente erano riusciti a convincerli. Finalmente avevano vinto. Dopo circa due mesi, avevano ottenuto la libertà di amarsi apertamente. Dopo circa due mesi, potevano dirsi finalmente felici.
Ma ora torniamo alla nostra scuola e al suo vero scopo: battere la Liberio, la scuola media-superiore che fino a quel momento non era mai stata sconfitta, se non a basket.
Le gare si tennero a Marzo, l’ultima settimana di scuola. I ragazzi della classe di Levi si dimostrarono molto più bravi rispetto a quelli dell’altro istituto. Vinsero di brutto contro di loro, tanto che ricevettero tutti la medaglia d’oro. Ma ad Eren importava poco assai. Aveva vinto una battaglia ancor più difficile di quella, ancor più dolorosa, dove in gioco c’era la sua libertà, la sua felicità. E questo era l’importante.
   
 
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