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Autore: lady lina 77    05/05/2018    1 recensioni
"Hai ragione, non puoi più essere la mia serva" - disse Ross, decidendo quasi senza pensarci di sposarla.
E poi, cosa succede fra quella scena e il matrimonio fra Ross e Demelza nella Chiesetta di Sawle? Con un pò di fantasia ho cercato di riempire quel buco di trama che racconta i giorni che hanno portato, da una notte d'amore inaspettata, a un matrimonio riparatore che col tempo si rivelerà la miglior scelta della loro vita, dando inizio a un grande e travagliato amore.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Ross Poldark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando giunsero a Nampara, il sole stava tramontando e, coi suoi raggi, tingeva di rosa il mare. Era un maggio meraviglioso e sereno e la bella stagione pareva aver fretta di arrivare. Persino il vento che di solito scuoteva le scogliere della Cornovaglia, pareva essersi preso una pausa ed essere emigrato lontano.

Ross scese da cavallo per primo, quando furono davanti alla stalla. Durante il tragitto Demelza aveva canticchiato una canzoncina sotto voce ma a parte questo non si erano più parlati, ognuno perso nei propri pensieri.

La ragazza fece per saltare giù dalla sella, come sempre, ma a Ross quel gesto parve stonato e la bloccò, prendendola per la vita. "Aspetta".

"Sir?".

La sollevò e, gentilmente, la mise a terra in un gesto molto inusuale per lui. "Credo sia mio dovere essere un gentiluomo con la mia futura sposa, no?".

Lei sorrise quasi con timidezza, osservandolo stupita. "Non è necessario, sono pesante" – sussurrò, abbassando lo sguardo ed osservando le sue mani che, ancora, indugiavano sui suoi fianchi.

Ross se ne accorse e deglutì. Effettivamente non aveva assolutamente voglia di togliere le mani da lì e vederla così timida e così poco avvezza a gentilezze ed attenzioni non faceva che aumentare il suo affetto per lei che gli era ciondolata per due anni in casa e che era diventata una specie di amica, ma che lui non aveva mai cercato di conoscere davvero. Però ora, guardandola, gli venne in mente il suo passato, la vita che doveva aver condotto nella miseria più nera con un padre violento e con una nidiata di fratellini da crescere senza l'aiuto di una mamma e si rese conto che sarebbe stato lui, per la prima volta nella sua vita, la sua famiglia. E questa era una grande responsabilità a cui non aveva ancora pensato del tutto. "Non sei pesante, sei magrissima e anche se così non fosse, sarebbe mio dovere prendermi cura di te. Funziona così, sai?".

Lei ci pensò su. "Mio padre non faceva così, con mia madre. Non l'ha mai aiutata in nulla. Non ricordo tanto, lei è morta che io avevo otto anni ma quel poco che ho ancora in mente... Non sono ricordi gentili... Lui non era mai gentile e anche se ricordo poco del volto di mia madre, ricordo bene quando chiudeva la porta della sua stanza e io, dietro l'uscio, la sentivo piangere".

Ross sospirò, provando pena per quella donna che non avrebbe mai conosciuto. "Non tutti i mariti sono come tuo padre. Io non lo sarò, quanto meno. Non ti tratterò mai male e non ti costringerò mai a fare qualcosa che tu non ti senta di fare".

"Voi siete un gentiluomo, Sir, non siete come mio padre. E credo che dovreste pensarci bene prima di sposarmi".

Ross si accigliò. "Ci stai ripensando?".

"Oh no, per me è un onore pensare di diventare vostra moglie. Ma voi meritate di meglio...".

Lasciò la sua vita, parandosi davanti a lei. "Io sono dove voglio essere e sto facendo quello che voglio e devo fare. Non cambio idea e non mi importa da dove provieni, se è questo a preoccuparti. Ne abbiamo già parlato prima, no?".

Demelza abbassò lo sguardo, arrossendo. "Si ma non dovete farlo a causa di quello che è successo stanotte. Io vi ho provocato ma non voglio niente in cambio. Un gentiluomo non lo fa... Un gentiluomo si porta a letto la sua sguattera ma mica la sposa".

Quelle parole riuscirono a colpirlo ancora perché dimostravano una maturità molto superiore ai suoi diciassette anni e uno sguardo sul mondo e sulla vita molto terreno e realistico. "Un gentiluomo non si approfitterebbe di una ragazzina portandosela a letto".

"E voi l'avete fatto? Vi siete approfittato di me?".

Rimase spiazzato davanti a quella domanda perché no, non si sentiva di aver approfittato di lei. Certo, se Demelza non l'avesse provocato non sarebbe successo nulla la sera prima, ma la verità era che già da un pò la guardava con occhi diversi. Aveva notato la sua bellezza selvaggia che stava pian piano sbocciando, spesso si era fermato ad osservare il colore dorato che i riflessi del sole donavano ai suoi capelli quando lavoravano nei campi o il colore verde-azzurro dei suoi occhi tanto limpidi e puliti che davanti al mare o quando osservavano il cielo, diventavano trasparenti. E quelle chiacchiere che le pettegole di buona famiglia avevano messo in giro su di loro, se una volta l'avevano irritato, ultimamente lo avevano fatto riflettere ed era arrivato a considerare non tanto incredibile l'eventualità di avere una relazione con lei. Non aveva fatto l'amore con lei solo perché stava sragionando al termine di una giornata orribile ma aveva portato a termine qualcosa che in fondo, quasi di nascosto, desiderava da un pò. E non per lussuria ma semplicemente perché gli sarebbe piaciuto e la desiderava... Un desiderio fisico, certo, ma mischiato a un profondo affetto e una profonda stima per lei che lo aveva portato ad oltrepassare quella soglia e quel confine che forse non doveva essere superato per decenza ma che il destino aveva deciso di infrangere. Certo, Demelza lo aveva sedotto forse senza nemmeno esserne pienamente cosciente ma il punto era un altro: lei aveva anticipato qualcosa che, probabilmente, sarebbe comunque avvenuto fra loro, prima o poi. "No, non l'ho fatto. Cioé... Approfittare di qualcuno significa agire con cattive intenzioni. E io non ne ho mai avute nei tuoi confronti".

"Oh...".

Per un attimo calò il silenzio e uno strano imbarazzo. Ma fu interrotto dall'arrivo fortuito di Prudie che, borbottando, stava venendo nelle stalle per dar da mangiare a cavalli e vitelli.

Appena la serva vide Demelza, si mise le mani sui fianchi con espressione di rimprovero. "Ragazza, sei stata in giro tutto il giorno e non hai portato a termine i tuoi compiti! E chi ha dovuto farli? Chi? Chi? La vecchia e onnipresente Prudie, ecco! Dai da mangiare ai vitelli, visto che ti sei degnata di tornare".

"Sì, subito!" - rispose la ragazza.

Ross intervenne. Prudie non sapeva nulla e per un pò avrebbe continuato a non sapere, ma non avrebbe più permesso che sfruttasse Demelza come aveva sempre fatto fin'ora. "Prudie, chi si è occupata dei vitelli, ieri?".

"La ragazza".

"E l'altro ieri?".

"Sempre la ragazza".

"E il giorno prima ancora?".

"La... ragazza" – disse la donna, deglutendo.

Ross le si avvicinò di alcuni passi. "E chi cucina per me, già da mesi?".

"La ragazza. Ma è per via del mio braccio malato...".

"E i campi? Chi mi ha aiutato ad ararli?".

Prudie, vedendo l'incresciosa situazione che le stava sfuggendo di mano, indietreggiò. "Credo... Che darò da mangiare da sola ai vitelli".

"Brava" – esclamò lui, dandole una pacca sulla spalla. "Demelza deve lavorare quanto te. Non di più, non di meno. E oggi ho deciso che i compiti della casa li farai tu con Jud".

Prudie spalancò gli occhi. "Noi? Da soli?".

"Voi, da soli" – concluse in maniera sibillina, prima di rivolgersi a Demelza e parlarle in tono perentorio. "Su, vieni in casa".

La ragazzina annuì, Prudie borbottò e Ross si avviò verso l'ingresso a grandi falcate. Aveva usato con Demelza un tono un pò brusco, ma voleva mettere fine a quella disputa con Prudie che lo avrebbe portato a dare nuove spiegazioni circa la piega che avrebbero preso gli eventi e lui non ci era ancora preparato. "Ovviamente non era un ordine, se vuoi restare fuori puoi pure farlo" – le disse, rallentando il passo.

Demelza ci pensò su, voltandosi verso Prudie e la stalla. "Avrei potuto lavorare, mi prendo cura da sempre dei vitelli".

"Certo che avresti potuto ma non voglio che sia un tuo compito".

"Prudie non ci è abituata a lavorare così".

Ross fece un sorrisetto maligno. "Ci si abituerà!". Chiuse l'uscio dietro di se, la fece entrare e poi si appoggiò alla parete per spiegarle qualcosa che, riteneva, fosse comunque importante. "Se vuoi continuare a fare dei lavori quì, puoi farlo. Non che mi faccia piacere, ma se ti fa sentire tranquilla, fa pure... Però ecco, non voglio che tu lavori più di Prudie! Ricorda che fra pochi giorni sarai la sua padrona".

Demelza si torse le mani con nervosismo. "Non so se ci riesco a ragionare così".

Senza risponderle, le prese la prese per mano, conducendola fino alle scale e poi su, nella sua camera. Quella camera testimone, poche ore prima, di quell'inaspettato atto d'amore fra loro. "Non pensare a Prudie, ci sono cose più urgenti di cui dobbiamo parlare".

"Cosa?" - chiese lei, notando che Ross si dirigeva verso la scrivania prendendo penna, calamaio e un foglio di carta.

"Sai firmare?".

"Cosa vuol dire?".

"Sai scrivere il tuo nome in corsivo?".

Demelza deglutì. "Non so scrivere e leggere molto bene, ancora".

Ross scosse la testa. Negli ultimi mesi, la sera, a volte si era intrattenuto con lei cercando di insegnarle a leggere e scrivere ma lo aveva fatto senza eccessivo impegno e solo nei suoi momenti di tempo libero, frettolosamente. "Beh, devi imparare a scrivere in maniera decente il tuo nome entro stasera".

"Perché?".

"Domani mattina andremo dal prete per firmare le pubblicazioni di matrimonio e serve la tua firma. Su, fammi vedere come scrivi il tuo nome" – disse, porgendole gentilmente il foglio e la penna.

Demelza osservò la scrivania mentre le mani le tremavano. "Sir, un pochino mi ci sono esercitata nella scrittura, la sera, anche senza di voi. Il mio nome credo di saperlo scrivere ma non so se come faccio è una firma".

Ross sorrise. Era acuta, intelligente e amava imparare. E gli faceva piacere scoprire che, anche in sua assenza, aveva cercato di far tesoro delle sue lezioni per migliorarsi. "Su, prova e fammi vedere".

Con la mano tremante, lei prese la penna e scrisse il suo nome. Poi gli porse il foglio. "Così va bene?".

Ross osservò attentamente. Il tratto era un pò incerto e tremante ma in un certo senso trasmetteva una sorta di eleganza, anche se ancora un pò acerba. Non aveva fatto errori e non c'erano sbavature con l'inchiostro e quindi poteva anche dirsi soddisfatto. "Molto meglio di quello che credevo!".

Lei sorrise, come rilasciando la tensione fin'ora accumulata, come aveva fatto la prima volta che aveva cucinato per lui, quando Prudie si era fatta male al braccio. "E' una firma?".

"Sì, è una firma! E se ti eserciterai ancora, saprai farla ancora meglio".

Ross si sedette sul letto, dopo aver appoggiato il foglio sulla scrivania. E improvvisamente si rese conto che erano in camera, insieme. Forse era successo altre centinaia di volte in quegli anni e senza darci peso, ma ora era diverso... Tornò a guardarla e lei arrossì, come se avesse realizzato anch'essa, in quel momento, di dove si trovavano. E improvvisamente, per Ross, la figura di domestica scomparve e lei tornò ad essere la sua amante di poche ore prima, inesperta, dolce e appassionata. Si era donata a lui con un pò di paura ma conferendogli la più totale fiducia, lo aveva inebriato e santo cielo, avevano vissuto insieme qualcosa di travolgente. Si rese conto che la voleva ancora e che avrebbe volentieri sbarrato la porta della camera per evitare di essere disturbato da Jud e Prudie, per fare di nuovo l'amore con lei. E poi si chiese cosa fosse quel desiderio e da dove nascesse. Non era solo ricerca di piacere fisico ma aveva come l'impressione che con lei, in lei, avesse trovato qualcosa che cercava e che ancora non aveva trovato da nessun'altra parte. Ne era attratto... Per qualche strano e inesplicabile motivo era attratto da quella ragazzina ancora così ignorante, vestita con abiti modesti e che a malapena sapeva leggere e scrivere. Non avevano nulla in comune e si chiese a cosa avrebbe portato quel matrimonio: gli avrebbe donato un'inaspettata felicità o avrebbe causato la sua rovina?

Ross sapeva bene che Demelza non era che una inaspettata benda arrivata a coprire una ferita tanto grande da non poter essere curata mai più e sapeva anche che mai avrebbe potuto competere, ai suoi occhi, con la perfezione rappresentata da Elizabeth. Questo lo sapeva anche Demelza, in fondo... Eppure la voleva, tanto che quel desiderio e Demelza, in quegli istanti, riuscivano ad offuscare la presenza di Elizabeth nella sua mente... E anche se era folle, più passavano i minuti e più era convinto della sua scelta di sposarla.

Demelza osservò il letto, in quegli interminabili istanti di silenzio carichi di una strana e per nulla spiacevole tensione. "Dove dovrò dormire?" - chiese infine, in una domanda che a molti sarebbe apparsa sfacciata e volgare.

Ma Ross sapeva che non era una domanda posta in quei termini e sorrise. "Vorrei che dormissi quì ma credo sia meglio e sia giusto che tu dorma, fino al matrimonio, nella tua stanza". Gli costava dirle quelle parole e sapeva che sarebbero stati giorni di tortura sia per lui che per lei, ma era meglio così. Avrebbero finito per far l'amore ogni notte e se Demelza fosse rimasta incinta e avesse partorito prima del nono mese di matrimonio, sarebbe stata vittima di maldicenze e cattiverie. A lui non importava cosa la gente dicesse ma voleva proteggere lei. Perché se fosse successo, tutti avrebbero additato Demelza come una poco di buono e non lui. Agli occhi di tutti sarebbe stato il gentiluomo raggirato da una volgare popolana, sapeva come andavano certe cose... Certo, questo suo timore poteva avere fondamento già in quel momento e la piccola Demelza avrebbe anche potuto essere già incinta, ma fece affidamento sulla fortuna e sul fatto che non fosse successo, giurando a se stesso che per qualche giorno ancora non le avrebbe fatto correre quel rischio. Comunque, con lei, era meglio non affrontare quell'argomento. In fondo era solo una ragazzina di diciassette anni e un'eventualità simile non avrebbe fatto altro che spaventarla. Quando fosse successo, lo avrebbero affrontato insieme. Non prima!

E poi - pensò - aspettare non avrebbe donato loro un'emozione diversa, durante la prima notte di nozze?

Demelza però parve ferita da quell'imposizione. "Perché?".

Ross si alzò in piedi, sfiorandole il mento e costringendola a guardarlo negli occhi. Non voleva che pensasse che fosse per causa sua, per qualcosa che aveva detto o fatto o perché non gli facesse piacere averla vicina perché non era affatto così. "Perché solitamente si aspetta il matrimonio, prima di dormire assieme".

"Ma noi però..." - obiettò lei.

Ross sorrise. "Sì, ci siamo portati un pò avanti. Ma credo sia saggio aspettare, da adesso in poi".

Demelza abbassò lo sguardo. Era pensierosa e di certo non capiva appieno tutte le sue remore. "Sì, Sir".

Gli spiaceva averla ferita, non era sua intenzione. Le sfiorò la vita e la attirò a se, costringendola a guardarlo. E vederla così vicina, guardare le sue labbra rosse e appena socchiuse, i suoi capelli ribelli e la sua espressione corrucciata, infransero ogni suo buon proposito. Si chinò e senza riuscire a fermarsi, vinto da una passione che non credeva nemmeno di avere per lei fino alla sera prima, la baciò avidamente.

Lei rispose e le loro bocche si incontrarono in un lungo e passionale bacio. Era così che era iniziata, la sera prima... Santo cielo, come faceva ad essere così ammaliante? Come faceva a fargli perdere la testa in quel modo?

Le mani di Ross percorsero la sua vita, la sua schiena e poi affondarono in quella massa di riccioli rossi che, fra le sue dita, scivolavano ribelli. Santo cielo, quella ragazzina sarebbe stata la sua compagna per il resto della vita, la madre dei suoi figli, la sua famiglia... E baciandola, questo non gli sembrò più tanto assurdo.

Con uno sforzo enorme, quando entrambi avevano raggiunto il bordo del letto, riuscì a sciogliere il bacio. "Torna in camera tua" – disse contro le sue labbra, col fiato corto, ripetendo la stessa frase della sera prima.

Demelza, con le guance arrossate, sembrò smarrita. Le sue mani gli sfiorarono il petto, strinse la sua camicia e si avvicinò di nuovo. "Ross, voglio restare quì".

Rimase stupito davanti a quella supplica. Rimase stupito perché finalmente pareva aver dimenticato ruoli ed etichetta e lo aveva chiamato per nome, senza nemmeno accorgersene probabilmente. "Allora sai come mi chiamo!" - esclamò, cercando di alleggerire la tensione.

Lei sussultò, rendendosi conto solo in quell'istante della confidenza che si era permessa. "Sir, mi dispiace".

Le prese le mani, la attirò a se e la abbracciò. "Non devi chiedermi scusa, voglio che mi chiami così! E' il mio nome e sarò tuo marito e sai una cosa?".

"Cosa?".

"Sposarti forse non è un'idea così folle come pensavo e come pensavi!" - sussurrò, prima di baciarla nuovamente. Con dolcezza, stavolta. Poi le accarezzò la guancia gentilmente, sorridendogli. "Va in camera tua, per favore. Perché ti voglio e se non te ne vai subito, finiremo di nuovo a letto insieme e io preferirei che succedesse appena ci sposeremo".

Lei arrossì, capendo finalmente quanto gli costasse mandarla via. "Credo che diventerò nervosa in questi giorni, quando ci penserò".

Ross annuì. "Beh, non è detto che questo sia un male".

Demelza sorrise. Poi si allontanò da lui, avvicinandosi alla scrivania per prendere carta e penna. "Posso portarli in camera mia per esercitarmi con la scrittura del mio nome?".

"Certo".

"Grazie Sir!" - rispose lei, sparendo di corsa dietro la porta, con le guance arrossate.

E quando se ne fu andata, si rese conto che mandarla via era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto.

E pregò che quei giorni che li separavano dal matrimonio passassero in fretta.


  
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