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Autore: Lost In Donbass    06/05/2018    1 recensioni
Bill, Tom, e il loro amore letto sotto il cupo specchio dei sette peccati capitali. Perché l'Inferno non è mai troppo lontano.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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I SETTE PECCATI CAPITALI

Bill e Tom guardavano la folla sotto di loro, tenendosi per mano.
 
Trägheit
 
Stravaccato nella vasca da bagno, Bill giocherellava distrattamente con le bolle di sapone lilla che galleggiavano attorno a lui. Al calduccio in quel bagno, non aveva di certo voglia di alzarsi. Fece scoppiare una bolla con un dito, e rise da solo, gettando indietro la voluminosa capigliatura corvina con le ciocche bianche. Avrebbe dovuto fare così tante cose quel giorno … ma era pigro. Pigro di una pigrizia quasi metafisica. Bill era sempre stato così – aveva sempre preferito mandare avanti Tom. Non per paura, timore di sbagliare o di subire le conseguenze, ma solo per pigrizia. Non aveva voglia di parlare, di affrontare quello che suo fratello avrebbe potuto benissimo fare per entrambi. La loro relazione si era sempre basata su quella delicata bilancia: Tom faceva, Bill osservava e, a volte, correggeva.
Tra loro, Tom si era sempre fatto avanti, aveva lottato, aveva sofferto, aveva subito, mentre Bill, il piccolo, dolce, viziato Bill, aveva semplicemente controllato che la cosa non sfuggisse davvero di mano, e poi si era adagiato sulle conseguenze. Tom aveva fatto del loro amore incestuoso la sua battaglia. Quante volte Bill l’aveva visto cadere a pezzi la notte, in un angolo a piangere, per una pressione mostruosa che era sempre da solo a reggere. Quante volte Tom si era divorato da solo per proteggere il gemello da quello che la gente poteva pensare. Ma in tutto quello, Bill se n’era rimasto seduto sul divano a smaltarsi le unghie o a ritoccarsi il trucco pesante prima di salire sul palco. Amava Tom, su quello non discuteva, ma non aveva la forza mentale di alzarsi e farsi valere almeno quanto il rasta. Non appena decideva di schierarsi al fianco del gemello per non obbligarlo a portare il peso di un segreto così sconcertante da solo, ricadeva seduto sul letto con uno sbuffo. La sua pigrizia lo bloccava dal fare qualunque cosa – la sua mente era stanca, il suo corpo debole, e proprio non glielo diceva il cuore di mettersi così tanto in gioco. Ne vale la candela? Teoricamente sì, praticamente sapeva che a lui non importava davvero. Quando era il momento di combattere, scappava. Quando era il momento di tenere il punto, si nascondeva. Era stanco, Bill, così stanco della vita, dell’amore, della musica, da non voler fare altro che dormire per il resto del tempo. E a quel punto, che fosse con Tom oppure no, non gliene fregava neppure più niente. Gli bastava essere lasciato in pace con il suo dolore e la sua stanchezza dirompente.
 
 Zorn
 
-Non avresti dovuto, Tomi.
La voce dolce di Bill gli giunse all’orecchio solo per vie traverse. Seduto sul pavimento della cucina, Tom si morse il labbro per non grugnire di dolore dopo che Bill gli aveva versato dell’acqua ossigenata sulle ferite. Si era di nuovo cacciato nei guai, da solo, come il perfetto idiota che si considerava. Perché? Per loro. Per Bill. Per sé stesso. Per un amore così perverso che li stava uccidendo dall’interno. Tom aveva dentro di sé una rabbia così distruttiva, così verace, che lo portava a cacciarsi sempre in tafferugli, in litigi tanto inutili quanto essenziali per nutrire la sua furia cieca. Per Tom, valeva davvero ferirsi per proteggere il gemello che amava più di sé stesso, e non gli importava che Bill se ne fregasse, lui avrebbe continuato. Sarebbe morto, per proteggere Bill, se fosse stato necessario.
-Bill, ti amo.- grugnì, guardando quegli occhi così simili ai suoi, così scuri, così espressivi. Nei suoi brillava sempre una decisione, un amore potente, una voglia vera di cambiare il mondo, mentre in quelli del cantante c’era solo eterna stanchezza, una dolcezza oramai marcia, un affetto che non era più amore. Chissà se Bill avrebbe voluto andarsene, pensava ogni tanto il chitarrista, la notte. Se è rimasto solo perché è troppo pigro per cambiare la sua vita estremamente abitudinaria. Perché sì, potevano essere una delle boy band più famose del mondo, ma Bill era riuscito a imporre la sua routine anche in una vita del genere. Invece Tom agonizzava nella sua ira funesta e incontenibile, buttando fuori tutto quello che lo soffocava quando era da solo con il ragazzo che contemporaneamente amava e odiava più di tutti. Bill, il suo gemello tanto adorato e tanto aborrito. Perché Bill non lottava? Perché lo lasciava sempre da solo?
-Ti amo anche io, Tomi.- sussurrò in risposta il cantante, fasciandogli il polso.
Tom non ci credeva più, a quei “ti amo” vuoti quanto soffici.
 
Gefräßigkeit
 
Bill aveva fame. Aveva sempre fame, d’altronde. Sbocconcellò qualche caramella, alternandola a una sigaretta, sdraiato sul divano; non sapeva perché, ma sin da bambino era stato divorato da una voglia di cibo smodata e perversa. Forse perché era così magro, deboluccio, ossuto, non sapeva nemmeno dove andasse a finire tutto ciò che ingurgitava sistematicamente. Tom lo guardava, dall’altro capo del divano, ma Bill si limitò a ridere, svogliatamente, e ingoiò qualche altra caramella. Forse era malato, ma non gli importava, come non gli importava più di nulla, nel resto. Forse voleva morire, ma era troppo pigro anche solo per pensare di alzarsi dal divano e suicidarsi. L’unica che giustificava la sua vita, a quel punto, era continuare a cantare per un pubblico che odiava e per poter continuare a mangiare caramelle sdraiato accanto al suo gemello. Si sentiva stupido, ma anche quello veniva sopito dalla sua fame distruttiva. Mangiava, e rideva, come fosse normale quando non era altro che il suo cervello che cominciava a cedere a un peso che reggere si era fatto impossibile.
-Ti sentirai male sul palco, Bill.
Tom lo guardava storto, la chitarra imbracciata e i dreadlocks legati in una morbida coda alta.
-Sei così bello, Tomi.- cinguettò di rimando, ridendo ancora, con quella sua risata stanca e arrochita dal fumo delle sigarette. – Mon amour, c’est la vie. C’est la tragédie de la gloire
Rise da solo a sentirsi ciangottare in un francese maccheronico e tinto da un accento tedesco pesante e inascoltabile.
-Sei matto.
Tom scosse la testa, e non provò nemmeno più a togliergli dalle lunghe mani l’ennesimo sacchetto di caramelle gommose.
-Forse.- ammise Bill, gettando indietro la testa – Mais je suis la décadance de la musique. Je suis la gloire, je suis la gourmandise.
Rise, e la risata sapeva di zucchero.
 
Überheblichkeit

Era Tom Kaulitz. Era una stella. Era un ragazzo prodigio. Tom non aveva mai avuto problemi a mostrare il suo orgoglio spropositato davanti a tutti, Bill compreso. Voleva fargli capire che lui era l’uomo adatto a proteggerlo dalle critiche che il moro tanto odiava, che l’avrebbe salvato da qualunque fossero i suoi demoni. Ma Tom era anche consapevole che si stava rovinando da solo con la sua sfacciataggine e che per Bill avrebbe dovuto mostrare un’umiltà che gli era sempre stata completamente estranea. Non si era mai reso conto forse che lo stesso Bill si era stufato della loro storia clandestina. Magari non gli andava più bene essere il fidanzato del proprio gemello, magari voleva solo riposare e starsene in pace. Ma quello Tom non era capace di concepirlo. Il suo orgoglio cieco lo rimpinzava di autostima, lo convinceva di essere l’unica cosa desiderabile da Bill, lo assuefava a una droga tutta sua. Era inconcepibile pensare di poter fallire in qualche cosa, soprattutto se quella cosa riguardava il proprio adorato gemello. Si arrabbiava quando vedeva in Bill quel sorrisetto sarcastico che sembrava sempre dirgli “non ti voglio ma ti sopporto, povero stupido”, si arrabbiava perché sapeva che Bill lo voleva, sapeva che erano una coppia perfetta, sapeva che il loro era vero amore. Ma lo sapeva, o lo desiderava soltanto? Era la domanda che più spesso si poneva mentre suonava la chitarra e non doveva pensare ad altro che non fosse la musica. A volte si chiedeva se non fosse oramai obnubilato da questa perversione sulla quale si basava la loro vita clandestina, nascosta in piena vista sotto a riflettori e telecamere. Era troppo orgoglioso per ammettere a sé stesso che si stava sprecando per una persona che non lo voleva, non lo meritava, e sapeva di essere solo uno stupido a continuare a combattere per lui. Certo. Però, quando quella persona si trovava a essere il gemello tanto amato, allora … allora tutto andava in fumo, alimentato dalla benzina che portava il nome di Orgoglio scritta sulla tanica.
 
 Gier
 
Bill stava seduto sulle ginocchia di Tom, accarezzandogli distrattamente i lunghi dreadlocks biondicci, sentendo le mani grandi e callose accarezzargli il fazzoletto di pelle lasciato nudo dalla maglietta. Certo, Bill era pigro, svogliato e goloso, poteva starsi facendo troppo male con le sue stesse mani, ma non avrebbe lasciato andare Tom. Per quanto volesse stare da solo nella sua stanchezza, per quanto avrebbe preferito morire piuttosto che continuare a vivere come una rosa marcescente, non aveva la forza di lasciare suo fratello da solo. Non lo faceva per Tom, ovviamente, ma per sé stesso. Era geloso fino all’ossessione del ragazzo che lo amava e che lo curava come fosse di cristallo. Era la sua routine, e senza Tom sarebbe semplicemente caduto in pezzi senza nemmeno riuscire a muovere un dito. Stava appeso a Tom come un cancro maligno, un fungo deleterio che gli assorbiva tutta l’energia, e ne chiedeva sempre di più, sempre di più. Non si sentiva colpevole. Aveva voluto Tom, un tempo. Lo aveva desiderato così tanto da finire così, e adesso non era pronto a lasciarselo alle spalle. Era il suo ossigeno, la sua droga, la sua sigaretta e lo sarebbe rimasto. Nessuno glielo avrebbe portato via finché non sarebbe stato lui a deciderlo. Poteva sembrare il gemello debole, femmineo, delicato, ma dentro di lui governava un demone di una crudeltà e di un’avidità estrema, lo stesso demone che aveva sempre spinto Tom tra le fiamme per poi farlo passare indenne sul corpo bruciato del fratello. Impunito e avido, Bill se ne stava in braccio a Tom, prendendosi i baci e le coccole come un gatto sornione.
-Non mi lascerai mai, vero, Tomi?- sussurrò, accarezzando il petto del chitarrista con le sue unghie lunghe smaltate di nero e bianco.
-No, Bill, mai.- rispose prontamente Tom, posandogli un delicato bacio sulle labbra semi dischiuse.
Bill sapeva farsi desiderare come nessuno mai, era in grado di ottenere ciò che voleva con una facilità disarmante e diabolica.
 
Neid
 
Tom avrebbe tanto voluto che lui e Bill potessero avere una storia normale. Guardava le coppie che si tenevano la mano per strada, che si imboccavano al ristorante, che si baciavano sotto la pioggia fredda di un inverno berlinese, e soffriva. Voleva esternare i suoi sentimenti dirompenti, mentre invece era costretto dalle circostanze a tenere tutto dentro. Lui, che era un sole potente e luminoso, con Bill, la luna malinconica e gelida delle pianure tedesche. Tutto quello lo stava rodendo e gli faceva solo che male. Perché tutti potevano, e loro due no? Perché tutti potevano sperimentare verie storie d’amore, e loro no, dovevano nascondersi come topi? Quando erano fuori, si cercavano con lo sguardo, si scambiavano sorrisi, si regalavano abbracci e rari baci sulle guance e quello faceva male. Almeno quanto faceva male lo stesso Bill, che pareva allontanarsi sempre di più da lui. Bill era una rosa, lo era sempre stato. Una meravigliosa rosa rossa come il sangue, bianca come la luna, nera come la morte. Ma adesso quella rosa stava marcendo, e puzzava di dannazione e suicidio da far vomitare. Tom si inebriava di quell’olezzo mostruoso e non era capace di smettere di accudire una rosa che oramai era solo che sfiorita. Non poteva allontanarsi dall’unica cosa che lo teneva in vita, non poteva non idolatrare il gemello venerato come un dio. Non poteva però nemmeno invidiare l’abilità di Bill nel dissimulare tutto, nel limitarsi a occhiate derisorie e stanche, in sorrisi zuccherosi che sapevano tanto di pagliaccesca finzione. Bill era un pagliaccio. Tom era un burattinaio. Ma fino a che punto si spingeva la finzione, e quando si entrava nella realtà?
 
Lust
 
I gemelli erano lussuriosi. Volevano. Desideravano. Amavano i loro corpi, sdraiati in letti di alberghi, sul loro divano, nei bagni luridi prima di un concerto. Tom aveva dentro di sé una fiamme trigresca, una passione bruciante ed esagerata, Bill aveva la perversione del serpente dentro di sé, la sottile malattia della promiscuità. Piegato sul corpo magrissimo del gemello, Tom gli teneva le mani bloccate sopra la testa, facendolo suo con una forza violenta, verace, sanguigna. I baci rubati che gli marchiavano il collo e gli rompevano la bocca, si spingeva dentro Bill con una forza nevrastenica, grugnendo il nome del fratello tra i denti. Non gli importava di nulla che non fosse farlo suo ancora una volta, marchiarlo come proprio, innaffiare quella rosa marcia ancora e ancora. Guardava Bill, che gli stringeva le lunghe gambe attorno al bacino, che urlava il suo nome con una perversione quasi fastidiosa. Era blasfemo il loro modo di concepire il sesso, ma ad entrambi andava bene così. Bill si faceva prendere, si faceva desiderare non tanto per piacere personale, ma per continuare quella routine che oramai era diventato il suo unico modo di tirare avanti. Faceva fare a Tom tutto ciò che voleva col suo corpo, si piegava ad ogni posizione possibile, subiva ogni strana idea del gemello con il suo solito sorriso stanco e malinconico, si comportava come voleva che facesse ma oramai anche quel lontano piacere era stato sopito. Quanto Tom desiderava sentire vicino il gemello, quanto Bill si era spento oramai di ogni energia vitale. Tom impazziva per Bill, Bill assecondava pazientemente Tom. Tom amava Bill, Bill sopportava Tom. Tom avrebbe dato la vita per Bill, Bill si sarebbe volentieri ucciso immediatamente.
Ma in tutto quel loro dolore, la loro lussuria sconsiderata persisteva. La loro promiscuità non conosceva limiti, e anche quella notte ne avrebbe sfondato le barriere, andando oltre al comune senso del pudore, oltre alla perversione, oltre a tutto. Oltre persino a una vita che si stava facendo stretta ad entrambi.
 
Bill e Tom guardavano la gente dall’alto. Il giorno del loro funerale pioveva una triste pioggia invernale, e mezzo mondo era in lutto per i gemelli Kaulitz, che erano stati trovati morti in casa loro. Quanta bellezza nel corpo esangue di Bill, avvolto in una vestaglia di seta, i polsi tagliati e il sangue che ancora incrostava le coperte sporche di sperma. Quanta disperazione nel corpo di Tom, che teneva la testa del fratello sulle gambe, stroncato dall’overdose, i dreadlocks sciolti e un mezzo sorriso sul viso pallido. Quanto orrore in quella stanza da letto bagnata dai sette vizi capitali, che avevano abbattuto la loro scure sulle teste dei due fratelli amanti.
-Quanta gente, Tomi.- sussurrò Bill, meraviglioso anche nelle vesti di un fantasma dolente e disperato.
-Quanta me ne aspettavo, Bibi.- rispose Tom, ondeggiando tra la pioggia battente che infradiciava le loro tombe gemelle, coperte di fiori, coperte di rose.
-Sono così felice adesso. Così felice!
Bill rideva, e la sua risata scrosciante si trasformava in pioggia e nebbia che danzava nel cielo di una Berlino invasa da fantasmi, da angeli, da diavoli.
-Sei così egoista, fratellino.
Tom gli accarezzò il viso, e un fulmine squarciò il cielo d’inchiostro, rovesciando un violento temporale su quel cimitero dannato.
-No, Tom. Ero semplicemente stanco, troppo stanco di continuare quella sciarada di menzogne.
Bill fece una smorfia, e Tom lo baciò, gentilmente, sulle labbra che avevano perso la loro consistenza carnosa
-Siamo i peccatori per eccellenza, Bibi.
-E me ne compiaccio così tanto.- Bill ricambiò il bacio, prendendo la mano del gemello e portandosela alle labbra – Nous sommes la décadance, nous sommes la folie. Nous sommes la gloire. Nous sommes les roses noire.
Sulla tomba dei gemelli, una rosa rossa, la più bella del mazzo, marcì, di colpo. Marcì, e un nauseante odore di morte, di vaniglia e di rock’n’roll invase il vecchio cimitero berlinese.

 
  
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