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Autore: hope ridden    11/05/2018    0 recensioni
Giorgia Arcade è bella e ha talento da vendere: la sua passione per il calcio la rende davvero unica. Il calcio è il suo futuro. Decide di presentarsi ai provini per la formazione della squadra di calcio della scuola che parteciperà a una competizione nazionale giovanile. Si scontra con il mondo del calcio maschile: la ragazza verrà ostacolata in tutti i modi. Ma sul campo da calcio, Giorgia ha un talento fuori dal comune. E questo da molto fastidio al suo nemico giurato e migliore amico di suo cugino Flavio, Andrea Carelli, che sarà obbligato a includerla nella nuova squadra. Tra momenti comici, tensioni e amore, riuscirà Giorgia a dimostrare al mondo che se una "femmina" ha la volontà, può segnare in porta con una rovesciata?
Genere: Comico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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PROLOGO
 
Mi ricordo con estrema chiarezza la prima volta che ho toccato un pallone da calcio. Lo presi in mano e percorsi con le dita tutte le sue cuciture; la sensazione del polpastrello che entrava in contatto con la liscia superficie dei pentagoni bianchi e neri era un’emozione nuova. Avevo avvicinato il pallone al naso e lo avevo odorato. Un profondo inspiro e il forte odore di cuoio mi aveva invaso le mie piccole e delicate narici. Non è mai esistito un odore più buono e inebriante. Nella mia ingenuità mista a un grande spirito di intraprendenza lo posizionai per terra a qualche centimetro da me. Avevo inspirato ed espirato e poi con un calcio, sbagliai la mira e piantai la punta del mio piede a terra, facendomi un gran male. Si, non è un inizio così incoraggiante e nemmeno glorioso come voi tutti potrete pensare. E non voglio nemmeno giustificarmi nel dirvi che quando ho compiuto tale prodezza avevo tre anni. In ogni caso, non mi ero messa a piangere per il dolore auto inflitto e da gran testarda che sono ci avevo riprovato assestando un bel colpo mandando il pallone in porta vuota. Papà mi aveva visto dalla finestra osservandomi in silenzio e mi aveva raggiunto in cortile mettendosi davanti alla porta. Altrimenti non vale mi aveva detto. Non è così facile come sembra aggiunse parando il pallone da me lanciato. Passammo tutto il pomeriggio a giocare a calcio solo io e lui. Sapevo a malapena camminare e correvo storta come tutti i bambini di quell’età. Ero caduta sbucciandomi il ginocchio ma mi ero rialzata e avevo continuato. Sotto lo sguardo attento e fiero del babbo avevo imparato nel giro di poche ore a giocare, alla buona, a calcio. Alla fine della giornata avevo realizzato una cosa, un piccolo pensiero, da cui è derivato un sogno, un grande sogno: io e il calcio.


-Sveglia, Giorgia, non mi stai ascoltando!- la voce di Maristela mi riscuote dal mio stato catatonico in cui mi ritrovo puntualmente tutte le mattine. Mi schiocca le dita laccate di rosso davanti alla faccia, mettendosi di fronte a me, per richiamare totalmente la mia attenzione. Maristela Oliveira è la mia super sexy, futura modella, rompiscatole e migliore amica da più o meno quando siamo nate. Ha i capelli neri lunghi fino al sedere, lisci e lucenti, una carnagione scura che mette in risalto gli occhioni verdi. Finemente truccata e fasciata in un vestitino rosa che dovrebbe essere proibito a scuola incrocia le braccia fulminandomi con gli occhi e sottolinea la sua impazienza battendo il piede a terra. Io sbuffo stringendo le bretelle dello zaino che mi sta sulle spalle. 
-Scusa, Mar, ma lo sai che la mattina non ho testa.- giustificandomi mi stringo nelle spalle. 
-Va bene, ti perdono. Solo perchè oggi è il nostro primo e ultimo giorno di scuola.- sbuffa per rimettersi al mio fianco e fermarsi di fronte alle strisce pedonali. Attendiamo che il semaforo diventi verde per passare. Mi martella la testa con i suoi racconti su feste e ragazzi carini per gli altri 15 minuti che ci separano da quell’arido edificio monocolore, ovvero, la scuola. Sembra più una prigione psichiatrica.
-Incoraggiante.- mormoro indugiando davanti alla cancellata stringendo sempre di più le mani attorno alle spalline dello zaino.
-Dai, Giò, entriamo e spacchiamo il culo a tutti.- mi incita Maristela scuotendo i capelli. La scena deve essere più o meno questa: io e Mar che entriamo dal portone l’aria che ci sposta i capelli e in perfetta sincronia ci dirigiamo verso il centralino per guardare la piantina delle classi. Lei ha fatto un’entrata da modella, io la sua brutta copia. Indosso una maglietta maniche corte dei Fall Out Boys infilata dentro a un paio di jeans scoloriti e ai piedi delle scarpe da ginnastica. I capelli castani sono sciolti e mossi, mi solleticano la schiena. Il mio trucco preferito: mascara, se mi ricordo, altrimenti acqua e sapone per i miei occhi neri. Maristela appartiene alla categoria “Sono super bella, lo so, ringraziate che io esista.”; io sono della fazione opposta il cui slogan è “Sono bella ma non mi interessa e soprattutto dov’è il pallone?”. Sembrerò vanitosa ma mi ritengo una bella ragazza a cui è andata male: mi sono innamorata del pallone, che ci volete fare. 
Mentre la folla di liceali si apre come le acque di fronte a Mosè, in questo caso Maristela ne fa le veci, per farla passare e farle vedere meglio la cartina, mi si affianca Flavio, mio cugino con i suoi amici. Mi blocca la testa e mi scompiglia i capelli.
-Ehi, cazzo, Fla!- mi ribello ridendo. 
-Che finezza!- esclama Federico Doria sghignazzando insieme a Valerio Trapani e Eric Lentini. Anche Andrea Carelli, il più bello tra i belli, dischiude la bocca in un ghigno incrociando le braccia e roteando gli occhi. Tutti questi individui, diciottenni appartenenti alla classe 5 E scientifico (scienze applicate con la precisione), fanno parte della famosa cricca soprannominata “Belli e Dannati”. Tutte le ragazzine li chiamano così. E anche le professoresse. Ciò aumenta il livello di indecenza di questa rivelazione.
-Cuggi, sei già di buon umore?- domanda il mio consanguineo.
-Starei meglio se in questo momento giocassi a calcio. Come più o meno a tutte le ore del giorno.- sbuffo in risposta gettando un’occhiata a Mar che scuote la testa in disaccordo.
-Le due ore centrali abbiamo ginnastica al campo. Se riesci a evadere…- Matteo mi fa l’occhiolino. Mi illumino abbracciandolo. Gli amici di mio cugino sono anche i miei: passiamo interi pomeriggi a giocare a calcio e ai videogiochi. Si, sono anche una nerd.  
-Troverò il modo di raggiungervi!- dico entusiasta. Eric e Federico mi danno una pacca sulla spalla.
-Giò, non iniziare! Ti stanno fuorviando! Devi andare bene a scuola quest’anno e se incominci a saltare le lezioni sarà un’impresa prendere la maturità!- Maristela incrocia le braccia sotto al seno e fulminando mio cugino e tutto il resto del gruppo, me compresa, con lo guardo.
-Lo staremo a vedere! Giò può resistere e non può stare lontana dal calcio!- mio cugino le prende il viso tra le mani e le scocca un bacio sulle labbra. 
WOOOOOOOW, lo so cosa state pensando. 
No, non stanno insieme, ma c’è una sorta di attrazione e repulsione tra loro che non capirò mai. Si prendono, si mollano. In continuazione, ed è estenuante, ve lo posso garantire. In special modo per me che fungo da confessionale sia per Flavio che per Maristela. I Belli e Dannati vanno via di corsa per evitarsi una sfuriata da parte della migliore amica della sottoscritta. Non posso fare a meno di notare un piccolo sorrisetto di Mar quando vediamo mio cugino scomparire dietro l’angolo.
-Meno male che non ti piace.- le dico, salendo le scale.
-Infatti, a me non piace proprio nessuno.- afferma lei, guardando davanti a sè.
-Se lo dici tu.-
Eccola, la 5H, la nostra classe. È situata in una parte isolata della scuola chiamata “Ghetto” insieme alle 5A e 5L. Entriamo in classe e salutiamo le nostre compagne: sono nella sezione del liceo linguistico e tra ben 17 ragazze Enrico e Armando sono i poveretti che ci devono sopportare. Mi abbracciano entusiasti. Caterina, Katia, Debora, Leandra e Lucia circondando Maristela per farsi dare dei consigli di moda e un aiuto per rifarsi il trucco prima dell’intervallo e della conferenza con le altre quinte che abbiamo alle ultime due ore della mattinata. Ogni occasione è buona per rimorchiare. 
La prof di inglese si chiude la porta alle sue spalle sbattendola e richiama la nostra attenzione. Prendiamo posto velocemente tra i banchi e nessuno osa fiatare. Con la Guerra non si scherza.
-Non perderò tempo a farvi discorsi sull’importanza di quest’ultimo anno. Se siete sufficienti e bravi, arrivate alla maturità. Se bimblanate come avete sempre fatto, non scomodatevi a comprare i libri di testo. 
Iniziamo con Oscar Wilde.- messa nella sua posa da dittatrice, inizia a spiegare. A malincuore prendo il quaderno e inizio a prendere appunti.
Bentornata anche a lei, prof.


La campanella dell’intervallo ci salva da tedesco. La prof Cerri è partita con una lunga introduzione sul romanticismo, che durerà settimane intere, per poi ridurci l’ultima lezione prima della verifica a trattare cinque autori tutti insieme e non capire niente. Che poi il tedesco è pesante senza che venga incasinato ulteriormente. Mentre Maristela, Armando e Enrico mi martellano di informazioni e lamentele, alla fine dell’intervallo li pianto in asso alle macchinette, dirigendomi al campo da calcio della scuola. Il prato è contornato dalla pista di atletica leggera. Passando per le scale sul retro della scuola ottimizzo il tempo e cinque minuti dopo mi ritrovo ad attraversare la pista rossa andando incontro a mio cugino che si trova al centro del campo.
-Bene, bene… un’Arcade selvatica!- esclama il mio consanguineo.
-Perchè il vostro prof vi lascia sempre giocare e a noi no?- rispondo incrociando le braccia.
-Perchè voi siete donne.- Eric mi compare alle spalle.
-Scusa, ma non ha senso la tua constatazione.- alzo un sopracciglio. Il ragazzo ha il pallone in mano. 
-Oddio, non iniziate con i vostri discorsi maschilisti e femministi.- si intromette Valerio. Le ragazze della classe dei miei amici iniziano a correre sulla pista d’atletica e i ragazzi si avvicinano capitanati da Andrea. Dio, quanto lo odio. 
-Squadre fatte, noi contro loro.- dice alzando il mento con la sua aria di superiorità che mi fa impazzire. Dalla rabbia, non pensate male. 
Incominciamo la partita e alla fine delle due ore li abbiamo stracciati. I poveri compagni di classe dei Belli e Dannati vanno nello spogliatoio con la testa china. Mi fermo in mezzo al campo. Rifaccio la coda e sotto al mio piede tengo bloccato il pallone. Sento la campanella annunciare il secondo intervallo. Fisso la porta libera davanti a me e mi dirigo verso la porta correndo. L’ultimo tiro. Chiudo gli occhi, carico e colpisco il pallone.
-Giò, facciamo ritardo per la conferenza!- mi chiama Valerio dalla parte opposta del campetto. Corro nella direzione dei miei compagni di squadra e mi volto a guardare la rete che ancora ondeggia a causa del mio tiro. All’epoca non sapevo che dal giorno dopo sarebbe tutto cambiato. 
 

 

  
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