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Autore: icered jellyfish    15/05/2018    0 recensioni
→ | Fanfiction partecipante al contest " L'IMMAGINAZIONE VI PORTERÀ DAPPERTUTTO "
Edward a quel punto rivolse in sua direzione gli occhi – con le sue iridi di quel color grano accarezzato dalla ricchezza, di quella tonalità che non accecava ma alla quale non serviva certamente una pigmentazione eccessiva per rendere incredibilmente magnetico lo smerigliato di quell’alternarsi d'onde di oro sciolto.
«Sei impazzito, Alphonse?» riuscì solamente a chiedergli.
Alphonse si sentì sempre più confuso davanti a quella situazione paradossale. Su quel divano, fino a pochi secondi prima, era da solo. Ne era certo.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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L'anno scorso, ho visto un calendario senza date sopra
Fanfiction partecipante al contest " L'IMMAGINAZIONE VI PORTERÀ DAPPERTUTTO "
http://www.freeforumzone.com/d/11482169/L-immaginazione-vi-porterà-dappertutto-contest-multifandom-/discussione.aspx






L’anno scorso, ho visto un calendario senza date sopra
                                                                                                                                                      Capitolo unico


Seduto sul divano rosso del salotto, continuava a pigiare svogliatamente i tasti del telecomando nella speranza di incrociare finalmente un canale di suo gusto, ma questa circostanza si sarebbe potuta non verificare mai essendo che la sua attenzione non era realmente rivolta verso quella televisione antiquata – lo schermo ancora in vetro bombato un po’ stonava con il resto dell’arredamento più tendente al moderno.
In realtà, in quella casa non si poteva certamente dire che regnasse uno stilo univoco di arredo, ma per lo più i mobili rispecchiavano una linea di coerenza che rientrava in quel che si poteva definire moderno. Quel televisore, però, proprio non voleva saperne di adattarsi al contesto.
Marrone e grigio, se ne stava lì adiacente a un muro sui toni del giallo, e ad ogni cambiamento di canale, l’immagine di Alphonse si rifletteva per una frazione di secondo sul suo schermo in tutta la sua scompostezza.
Il suo viso in quell’ultimo periodo appariva più sciupato del solito, probabilmente per via delle notti passate in bianco a studiare chino alla sua fidata scrivania, dove trascorreva la maggior parte del tempo, e fu quest’ultimo pensiero a deprimerlo particolarmente, poiché di svaghi ormai se ne concedeva ben pochi, e ora che finalmente si era permesso di oziare per una sera davanti alla TV, nulla sembrava poterlo intrattenere davvero.
Starò diventando troppo serio? si domandò. L’università lo stava assorbendo completamente ormai, e non metteva in dubbio che tutto quel carico di lavoro, tutta quella mole di impegni che lo schiacciava da mesi, lo avesse potuto cambiare fino a renderlo probabilmente un vecchio troppo giovane per trovare un equilibrio con se stesso.
Scocciato, spense a quel punto l’apparecchio, pigiando sul tasto rosso e posando delicatamente il telecomando sui cuscini vicini ai suoi piedi – Alphonse non perdeva mai la calma, raramente si poteva assistere ad un evento del genere.
Appoggiò poi la testa allo schienale, socchiudendo successivamente gli occhi.
Lo sentiva di essere tremendamente stanco, ma nonostante si stesse sforzando di lasciarsi andare a un qualunque tipo di sonno, era certo che non sarebbe stato in grado di addormentarsi.
In quel momento avrebbe solamente voluto qualcosa da fare, e un po’ si era pentito di aver rifiutato l’invito di Winry e degli altri compagni di corso a passare la serata nel pub in piazza – e nemmeno si ricordava, poi, perché lo avesse fatto, perché ora si ritrovava a casa da solo, e se c’era una cosa del tempo libero che odiava prima ancora della noia, era il non avere nessuna compagnia.
«Il documentario sui buchi neri non era malaccio.»
Una voce fin troppo familiare accanto a lui gli aveva appena rivolto la parola.
Stupito, aprì gli occhi, spostando appena lo sguardo verso la sua destra per notare Edward, suo fratello, seduto dall’altro lato del divano – acriticamente accovacciato e con un libro dalla copertina nera tra le mani.
Non sembrava guardarlo, poiché la sua concentrazione pareva essere fissa sul tomo che stava attentamente leggendo, ma ritrovarselo lì accanto lo stranì particolarmente – specie perché sembrava lì da sempre.
«Che cosa ci fai qui tu?» gli domandò.
Edward a quel punto rivolse in sua direzione gli occhi – con le sue iridi di quel color grano accarezzato dalla ricchezza, di quella tonalità che non accecava ma alla quale non serviva certamente una pigmentazione eccessiva per rendere incredibilmente magnetico lo smerigliato di quell’alternarsi d'onde di oro sciolto.
«Sei impazzito, Alphonse?» riuscì solamente a chiedergli.
Alphonse si sentì sempre più confuso davanti a quella situazione paradossale. Su quel divano, fino a pochi secondi prima, era da solo. Ne era certo.
«Ma tu non sei da papà, questo weekend?» insistette, convinto delle sue parole, ma lo sguardo di Edward a quel punto, da confuso passò a preoccupato. L’aspetto del fratello ultimamente non era dei migliori, ma ne conosceva la ragione e in un qualche modo ci si era anche abituato, ma che iniziasse a delirare, non se lo aspettava.
«Alphonse stai bene? Forse è meglio che vai a dormire.»
La sua espressione si era cristallizzata sul fratello minore, sinceramente allarmato dal comportamento di questo.
Il weekend passato assieme a loro padre, era stato lo scorso, com’era possibile che avesse confuso così tanti giorni tutti assieme? Ma soprattutto, com’era possibile che non si ricordasse di aver rifiutato di unirsi a Winry e i suoi compagni, per stare a casa con lui?
A rincaro, Alphonse perseverò però con quella linea di condotta.
«Sono sicuro che tu sia da papà, per questo fine settimana.»
Edward non sapeva più che dire, sembrava stessero parlando su due piani temporali differenti.
«Alphonse, è sabato sera, due ore fa Winry ci ha chiesto di uscire con lei e gli altri, e tu le hai detto di no perché siccome non avevo voglia io, hai preferito restare a casa per non lasciarmi da solo.»
Quelle parole arrivarono alle orecchie del ragazzo al contrario di un sogno che si sgretola quando ti risvegli.
Pian piano iniziò a ricostruire il suo puzzle mentale, ricordandosi perfettamente di quella chiamata ricevuta effettivamente non molto tempo prima, dove di fatto aveva per l’appunto risposto come suo fratello gli aveva appena ricordato avesse fatto.
Quella sera Edward non aveva molta voglia di uscire, e lui si era sentito in colpa al pensiero di lasciarlo a casa da solo, sebbene fosse un desiderio suo. Per questo aveva detto di no a Winry. Adesso lo ricordava.
«S-sì, scusami» balbettò scuotendo appena il capo, come a volersi riprendere. «Hai ragione, sono solo molto stanco.»
Si continuarono a guardare in faccia per qualche secondo, Edward non pareva ancora del tutto convinto che il fratello stesse davvero bene. Prima ancora che potesse dire qualcosa però, Alphonse si alzò con convinzione dal divano, stiracchiandosi sul posto.
«Vado a prendere un bicchiere di latte. Lo zapping col telecomando mi ha fatto probabilmente ripetere gli schemi di pensiero, meglio che cammini un attimo.»
Detto questo il ragazzo si incamminò verso la cucina a vista, poco distante.
I ripiani erano bianchi e lucidi, così come il tavolo da pranzo appena più in là.
Le tre sedie che lo circondavano erano composte da intrecci in ferro nero, e per quanto correnti, attuali, forse sarebbero state più adatte su un balcone che in una cucina, ma questo sembrava non essergli mai importato molto.
Aprì il frigorifero, non troppo vecchio e non troppo nuovo in estetica, per prelevare poi da lì dentro una bottiglia in vetro di latte, dalla quale ne prese un po’ versandolo in un bicchiere recuperato dallo scolapiatti.
Bevendo qualche sorso, si appoggiò alla parete appena sotto l’orologio – segnava le ore 22.36.
Distrattamente si mise a guardare il muro di fianco, osservando il calendario dell’anno appeso. Che strano, pensò, non vi era segnata però alcuna data sopra.
Il foglio del mese corrente, non aveva giorni. Era bianco, vuoto.
Nonostante l’ambiguità della cosa, sentì di non aver voglia di soffermarsi a rifletterci sopra.
Giugno era iniziato da poco, magari non ci aveva nemmeno fatto caso quando lo aveva aggiornato, e doveva ammettere che non era nemmeno quel tipo di persona che si annotava gli appuntamenti sopra o che si soffermava a controllare quante domeniche avesse un mese o in che data precisa cadesse il giovedì di qualche incontro o colloquio.
Si ricordava inoltre di averlo comprato a un prezzo ridottissimo più per convinzione di necessità, che per bisogno effettivo di averlo in casa. Molto probabilmente era così sfacciatamente scontato proprio per via di questo errore di stampa.
Bevendo altri sorsi di latte, gli venne in mente che Edward l’odiava come bevanda.
Rivolse l’attenzione così al suo divano rosso, ancora lì dove lo aveva lasciato, ancora lì come lo aveva lasciato. Vuoto.
Era da un po’ che non pensava a suo fratello, era come se lo avesse dimenticato per un periodo e di questo se ne dispiaceva.
Quell’appartamento lo avevano preso assieme per poter studiare a Central City nel pieno delle comodità che una metropoli offriva e nella migliore università del paese, ma Edward si era laureato ormai da un anno ed ora Alphonse si era ritrovato da solo in una casa grande più di quel che gli serviva – ma ci era troppo affezionato per pensare di cambiarla con una più adatta a una sola persona, e poi, ogni cosa lì dentro gli ricordava quel meraviglioso periodo di convivenza con il suo solo fratello. Non voleva andarsene.
Ritornò nell’area della sala, oltrepassando così il divano e il tavolino che vi stava davanti – disordinato come poche cose al mondo, sopra vi era di tutto, persino un grosso libro scuro con un segnalibro più o meno a metà. Suo non era, chissà chi glielo aveva lasciato.
Camminò in maniera un po’ vaga seguendo la circonferenza rotonda del tappeto che antecedeva la porta in vetro che conduceva al balcone, finché Edward non lo chiamò costringendolo a voltarsi.
«Mi senti?» gli domandò, come se avesse chiesto qualcosa più volte.
Alphonse gli diresse uno sguardo piuttosto confuso, sconnesso.
«Non credo, mi hai detto qualcosa?» rispose, cercando di rimediare e di non apparire troppo fuori dal mondo.
«Sei strano stasera, Al» continuò l’altro, «comunque ti avevo chiesto se potevi portarmi una redbull. Credo di starmi per addormentare ma volevo assolutamente finire di leggere questo capitolo.»
Alphonse annuì, dirigendosi nuovamente in cucina nel mentre che Edward continuava a parlargli.
«È strano, sai? Dopo ne vorrei parlare con te, c’è qualcosa in queste teorie di Einstein che non mi convince.»
Alphonse sorrise; quel pover’uomo non era mai andato a genio a Edward e, purtroppo per la sua povera anima, suo fratello amava leggere di cose che poteva contestare attraverso le sue di teorie e conoscenze. D’altronde, anche lui un po’ un genio lo era.
Gli prese dunque una redbull classica dal frigo, richiudendo lo sportello e portandogliela al divano.
Edward girò appena le spalle e allungò il braccio per prenderla, ringraziandolo.
«Dovresti proprio leggerlo comunque, sono sicuro saresti d’accordo con me» aggiunse, riferendosi al libro.
Alphonse si mise a sedergli nuovamente accanto, sorridendo davanti a quel consiglio che, sebbene avesse deciso di non rispondere, probabilmente avrebbe seguito.
Non poteva negare l’evidenza dei fatti; per quanto fossero due persone diverse e con personalità differenti, Edward rimaneva comunque il suo più grande modello d’esempio nonché ciò a cui avrebbe voluto somigliare, magari, un giorno.
Era fenomenale, la sua intelligenza rasentava il geniale e il suo carisma il brillante. Gli bastava veramente poco per apprendere tutto e ancor meno per formulare solide teorie su qualunque cosa nella quale si imbattesse.
Aveva un’opinione su tutto, e difficilmente andava in errore nel dire la sua, sebbene di tanto in tanto capitava che sbagliasse. In fondo era umano anche lui.
Era felice di essere suo fratello, era felice di essere cresciuto assieme e accanto a lui per tutto quel tempo. Non riusciva davvero a immaginarsela la sua vita, senza Edward.
Sarebbe stata troppo vuota.
Prese poi la lattina di una redbull classica, vuota, gettata in mezzo al disordine del tavolino – tra i giornali, i documenti e i fogli con i più svariati appunti, Alphonse avrebbe potuto tirar su un commercio concorrenziale alle biblioteche di città – iniziando a giocherellare con la linguetta argentata.
Pensò di aver raggiunto il limite del tedioso con quel gesto, perché se era arrivato a ricercare del divertimento in una vecchia lattina abbandonata in casa sua, probabilmente aveva finito ogni scorta di intrattenimento effettivo.
Si sedette a quel punto nuovamente sul divano, nell’esatto punto di prima, rivolgendo lo sguardo successivamente verso suo fratello, profondamente immerso in quella lettura che sembrava non lo stesse convincendo affatto – ma dalla quale non pareva volersi comunque staccare.
«Fratellone, ultimamente non ci sei mai» dichiarò, con una nota fin troppo percepibile di tristezza nella voce.
Edward lo guardò come prima, alzando semplicemente lo sguardo dal libro a lui. Perché gli aveva detto una cosa del genere? Nella settimana appena passata avevano preparato assieme un esame in comune, e nella maggior parte del tempo libero, facevano sempre qualcosa l’uno con l’altro – che fosse guardare qualche serie TV comodamente seduti sul loro amato divano rosso o uscire a bere qualcosa la sera.
Sapeva che Alphonse contava spesso su di lui, e sapeva anche di esser sempre stato, da piccoli – e forse ancora adesso –, il suo esempio da seguire, il suo pilastro d’ispirazione. Per un attimo si chiese se non si sentisse solo, se non si sentisse lasciato indietro dalla sua ombra che lo inglobava, piuttosto che indurlo a seguirla.
Non avrebbe mai considerato Alphonse tanto mediocre da rimanergli alle spalle o da non essere al suo pari; loro due erano uguali, e mai nella sua vita lo aveva sfiorato l’idea che non avessero camminato l’uno al fianco dell’altro, attraverso i loro tortuosi percorsi, ma, possibile che avesse fatto qualcosa a indurlo che potesse essere invece così?
«Al,» incalzò «se vuoi posso smettere di leggere e usciamo per raggiungere gli altri.»
A quella proposta il viso di Alphonse mostrò stupore; sobbalzò appena sul posto, infatti, sgranando gli occhi di qualche millimetro e dischiudendo le labbra.
Non analizzò in maniera approfondita ciò che gli aveva appena proposto, ma anche senza uno studio minuzioso di quell’offerta, era chiaro che Edward lo avesse notato quanto difficile fosse per lui trovare qualcosa da fare in quella serata piena di niente, ed era chiaro anche volesse, preferisse sacrificare la sua voglia di restare a casa, pur di venirgli incontro in qualcosa che gli avrebbe reso migliore quel tempo che non sapeva come passare e che aveva deciso di trascorrere con lui, sebbene di compagnia non gliene stesse facendo.
Certo, non gli aveva né chiesto né imposto di rimanere lì a casa con lui, Alphonse aveva deciso tutto da sé, ma Edward sapeva benissimo lo avesse fatto in ogni caso per non lasciarlo da solo. Era fin da quando erano bambini, che non lo lasciava mai solo.
«Non so, non mi sembra tua abbia molta voglia di usc-»
«Ma figurati, questo libro ormai mi stava annoiando! Io e Einstein non ci intenderemo mai.»
Edward protestò mostrando il suo sorriso migliore, scattando in piedi e sgranchendosi dopo essere stato a lungo accovacciato in una posizione che, ora, si rendeva conto non esser stata poi così comoda.
Lamentandosi un po’ con mugolii vari per la schiena lasciò ricadere le mani lungo i fianchi.
«Mannaggia a ‘sto divano. Se non ci fossi così affezionato, lo cambierei subito!» scherzò, continuando a sorridere e massaggiandosi un po’ sbadatamente il fondoschiena. Poi si incamminò verso la porta che conduceva al corridoio.
«Vado a cambiarmi. Guarda che mi metto giusto un’altra maglietta e son pronto! Inizia a prepararti anche tu.»
Ormai sembrava deciso, e per quanto Alphonse fosse convinto che tutto quello lo stesse facendo per lui, non poteva negare di esserne contento – forse e soprattutto per quello proprio.
Incurvò le sue labbra sottili appena un po’ più in alto nell’angolo a sinistra, sorridendo così anche lui tra sé e sé, ma continuando a rimanere comunque seduto sul divano.
Un po’ incurvato e con i piedi giù, restò fermo con i gomiti svogliatamente appoggiati sulle cosce, vicino alle ginocchia.
Il sorriso si spense e la sua testa si svuotò completamente, fino a che tutt’attorno a lui non si fece incredibilmente silenzioso, con l’unica eccezione del continuo ticchettare dell’orologio.
Rimase così per quasi un minuto intero, a non pensare a nulla, a non fare nulla.
Nessun altro suono proveniva dal resto di quella casa deserta, e la solitudine di quel posto iniziò a penetrare in lui facendogli rendere conto di non sapere per quale motivo fosse fermo lì ad aspettare.
Il campanello di casa, poi, improvvisamente suonò, destandolo dal suo stato di indistinta farragine mentale.
Si voltò a guardare la porta, alzandosi successivamente per andare a controllare attraverso lo spioncino. Era Winry.
«Alphonse!» si annunciò questa, raggiante, non appena le aprì la porta.
Alphonse le si presentò piuttosto confuso, ma nonostante tutto cercò di mascherare lo stupore.
«Winry, vieni entra. Che ci fai qui?» le domandò, facendola accomodare.
La ragazza iniziò a guardarsi attorno allegra, senza cercare veramente qualcosa o qualcuno. Probabilmente si stava solo rendendo conto di non essere passata di lì per troppo tempo, e forse stava solamente notando qualche lieve cambiamento. O stava semplicemente beandosi di un posto che nostalgicamente la faceva sentire a suo agio.
«Beh, vedi,» iniziò «giù al pub non è lo stesso senza di te. Così sono venuta a prenderti di forza! E te lo dico, non hai scuse e non puoi dir di no!»
Alphonse continuò a guardarla con lo stesso sguardo scollegato di poco prima. Davvero non si aspettava quella visita, e un po’ si rendeva conto che era da tanto che non vedeva e parlava di persona con l'amica. Quanto tempo era passato?
A lezione si incrociavano difficilmente negli ultimi tempi, senza contare che era un po’ che Alphonse non usciva di casa, se non solo per quelle.
«Quindi, quindi immagino che dovrei…» cercò di seguire il discorso e di far uscire le parole, anche se un po’ a fatica, ma per sua fortuna Winry sembrava molto più vispa e vivace di lui, e lo aiutò quindi a concludere.
«Quindi dovresti vestirti, sì! Corri, forza!»
Alphonse si lasciò scappare un sorriso a labbra socchiuse. Non riusciva a nascondere quanto gli facesse piacere. Aveva sempre temuto che gli altri lo lasciassero indietro, ma la presenza di Winry, ora, a casa sua, significava che, forse, per lei e per gli altri contava almeno un po' come loro per lui.
Era bello, sentirsi parte di qualcosa.
«Allora… immagino che dovrei andare a cambiarmi.»
«Sii veloce però!»
«Sta tranquilla, mi metto giusto un’altra maglietta e sono pronto.»
Detto questo Alphonse si diresse verso il corridoio per poi sparire dietro a questo. Winry iniziò allora a guardarsi nuovamente attorno, le era mancata quella casa.
Ricordava bene quando, da bambini, giocavano sempre assieme a Resembool, senza saltare mai un giorno. La loro unica responsabilità e il loro solo compito era scorrazzare nella loro felice campagna – il loro infinito cortile di casa.
Da diversi anni però, le cose si erano fatte diverse, e passavano sempre meno tempo assieme, e quell’appartamento che adesso rappresentava la loro nuova Resembool, la loro nuova felice campagna dove stare assieme, le ricordava ancora quando si erano appena trasferiti a Central City per studiare, e quanto tempo avessero inizialmente passato lì dentro  – che fosse per qualche festa tra amici di sera, il semplice guardare la TV assieme o anche solo il darsi una mano per gli esami.
Iniziò a girare per la stanza, passando accanto al divano rosso e osservandolo con senso nostalgico.
Chissà se è ancora scomodo come ricordo, si domandò mentalmente. Non era mai stato tanto piacevole e tanto spiacevole guardare qualcosa assieme come quando lo aveva fatto seduta su quel dannatissimo sofà che anche per lei significava molto.
Il televisore era ancora lo stesso modello antidiluviano che ricordava, ma si riscoprì felice nel constatare che nessuno lo aveva cambiato, perché in fondo era bello così, anticonformista com’era.
Passò poi vicino alla porta a vetri del balcone, osservando di sfuggita il cielo scuro e buio al di fuori sopra di loro, con le sue poche stelle a brillare su di esso.
Quando si ritrovò poi ormai davanti al bancone della cucina, fu lì che si fermò, notando una vecchia foto attaccata ad un fil di ferro di quella che forse un tempo era stata una graffetta, ma che, a quanto pareva, era stata successivamente abilmente modellata.
Conosceva quella fotografia e, improvvisamente, sentì della malinconia impregnarla fin dentro le ossa.
La guardò per diversi secondi, finché Alphonse non ricomparve con indosso una maglietta nera con sopra stampata una strana croce bianca con delle ali.
«Eccomi» le disse avvicinandosi. «Cosa guardi?» domandò, sporgendosi oltre le sue spalle.
«Oh, nulla di ché,» rispose lei «guardavo solo questa vecchia fotografia. Me la ricordo bene.»
A quel punto si girò passandogliela e osservando la sua reazione – sebbene fosse sempre lì in mostra, scommetteva che Alphonse non la guardasse con così tanta costanza.
«È da ormai un anno che Edward se n’è andato da qui no? Come ti trovi senza di lui?» gli chiese in concomitanza, ma nell’esatto momento in cui finì di porre quelle domande, si sentì come se non sapesse di cosa stesse parlando – come se avesse fatto quesiti inerenti a una storia fittizia scambiandola per reale.
Alphonse prese in mano la fotografia, osservandola; piegata alle sue palle, sua madre lo stava abbracciando con un sorriso – lo stesso suo, forse solo un po’ meno gioioso.
Non sapeva bene bene che cosa Winry intendesse e perché gli avesse domandato una cosa del genere proprio guardando quello scatto.
Lui aveva sempre vissuto da solo in quell’appartamento, e di questo ne era certo.
«Edward chi?»




» N O T E    A U T R I C E ;

Ecco la mia fanfiction per il contest sopracitato! Come appunti finali, volevo solamente aggiungere che quel che volevo trasmettere era un senso angoscioso di qualcuno che ti è caro e di cui perdi completamente la memoria, in questo caso attraverso una sparizione letterale della persona in sé, poiché i momenti che Alphonse, all’interno di questa storia, passa con il fratello, sono reali e concreti, semplicemente quest’ultimo gradualmente inizia a sparire in senso fisico e morale, tanto che Alphonse né lo vede né lo ricorda – così come Winry, poiché l’idea è che sia una cosa collettiva. Come se sparisse dal mondo.
Al di là poi del gusto personale, spero che in questo racconto possano essere stati piacevoli i vari riferimenti che ho voluto dare all’opera originale – la maglietta di Alphonse con lo stemma degli alchimisti di stato, Edward che trova poco convincente Einstein (come nell’ultimo episodio della prima serie), Edward che odia il latte, l’aspetto di Alphonse che, sebbene non così degenere, è più sciupato proprio come il suo corpo all’interno del Portale, e la più che nota fotografia finale, quella che abbiamo riscontrato all’inizio di ogni episodio della prima stagione, con la sola differenza che qui, Edward non c’è.
Il titolo, è inoltre la traduzione di una frase della OP Rewrite in versione inglese.

Avevo già scritto una storia simile in passato, su Dragon Trainer, dove è Hiccup a sparire lì, ma le due storie hanno una trama completamente diversa se non solo per questo tratto in comune.
Detto ciò, nella speranza che la storia sia comunque e in ogni caso piaciuta, porgo i miei saluti. Alla prossima~


Grazie per avermi permesso di partecipare,



   
 
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