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Autore: Maqry    15/05/2018    15 recensioni
Harry è morto, la Battaglia di Hogwarts è stata persa e Voldemort ha vinto.
Ma, nonostante sembri tutto perduto, qualcuno non vuole arrendersi.
L'Ordine c'è ancora, decimato ma determinato a combattere perché il mondo torni libero.
"Sapeva benissimo che forse qualsiasi sua azione non avrebbe fatto alcuna differenza: Voldemort aveva vinto e loro erano solo una manciata di ragazzini. Eppure, sapeva anche quanto fosse importante che facesse quanto in suo potere per ribellarsi, lottare, rialzarsi ogni volta. Nel mito antico spesso gli eroi sapevano che scendere in guerra, compiere determinate scelte, imboccare un sentiero sarebbe stata la loro rovina. Così era stato per Achille, e Antigone, e molti altri. Ma lo avevano comunque fatto. Chi per gloria, chi per amore, chi per giustizia."
{La storia fa parte della serie "Cosa tiene accese le stelle"}
[Seconda classificata al contest "Pillole di rivoluzione" indetto da katniss_jackson sul forum di EFP.]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
- Questa storia fa parte della serie 'Cosa tiene accese le stelle'
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Il teatrino







 
2 maggio 1998


E poi il cielo di carta sopra le loro teste si era strappato.
Uno strappo secco e preciso, così: zac! Fino a un attimo prima la carta azzurrina se ne stava lì, sospesa a mezz’aria, poi il vuoto.
"Harry Potter è morto. Lunga vita a Voldemort!" 
Era successo tutto all’improvviso nel mezzo del finimondo, tra un’armatura arrugginita e le panche della Sala Grande. Senza rumore – Bellatrix era rinomata per il suo talento con gli incantesimi non verbali – mentre cercava di proteggere Ginny. Inutilmente. Era stata una questione di millesimi di secondo, una bazzecola, davvero. Qualche istante in più e sarebbe stata Bellatrix ad accasciarsi a terra morta, finalmente, non Harry e Ginny. Una questione di attimi, sul serio: la signora Weasley forse sarebbe potuta intervenire, forse avrebbe potuto salvarli, forse il cielo di carta sarebbe rimasto un altro po’, per proteggerli. E invece: zac!
"No, Harry!"
Avevano dovuto, allora, alzare tutti gli occhi e scendere a patti con la realtà: dietro quello squarcio, a farsi beffe di loro, se ne stava in tutta comodità il Nulla. Non erano altro che marionette, marionette di carne e sangue che danzavano frenetiche in quella pupazzata che era la vita. Niente di meno, niente di più. Che ci si abituassero in fretta: così girava il mondo. O forse no, a girare era il Sole, o la Via Lattea, o forse erano tutti parte di un eterno e insensato girotondo. A quel punto chi poteva dire quale fosse la verità? E se ci fosse, poi, una verità.
Casca il mondo, casca la terra: tutti giù per terra.
C’erano finiti tutti, a terra, insieme ai sogni, alle preghiere, ai ricordi, ai caduti. Insieme alle speranze con cui erano scesi in campo – studenti, professori, madri, figli, fratelli, tutti – agli ideali per cui erano disposti a sacrificarsi, per cui molti erano morti. 
Con un pensiero, due sole parole e un lampo verde si era sbriciolato tutto. Uno spiraglio di vento contro un castello di carte: la guerra più antica del mondo.
La prima ad accorgersene era stata, come sempre, Hermione Granger. Aveva una predisposizione, per certe cose, che c’era da restarci secchi tanto le riuscivano semplici: essere la prima a capire, a conoscere la realtà, era tra queste.
"No, Harry!"
Invece sì, Harry: così aveva deciso la Vita. O il Caso. A pensarci bene, molto più probabile si trattasse del Caso. Harry si era afflosciato a terra come una marionetta a cui sono stati recisi i fili, e Ginny, subito dopo, era scivolata su di lui. Fissavano il soffitto, gli occhi puntati nel vuoto che si era aperto sopra di loro e li aveva inghiottiti.
Dopo il grido di Hermione Granger, dopo… beh, era iniziato l’inferno. Voldemort lanciava maledizioni come fossero state coriandoli a una festa, e Bellatrix, e Rosier, e i Carrow, e Yaxley. Sembrava che fossero per davvero a una festa, a giudicare dai loro sorrisi di pura, folle estasi.
I membri dell’Ordine correvano, cercando di coprire le spalle ai più giovani – troppo giovani – e di portarli in salvo in qualche rifugio protetto: la Tana, Shell Cottage. Ma nessun posto poteva dirsi sicuro, dopo la notte della Battaglia di Hogwarts.
"Harry Potter è morto. Lunga vita a Voldemort!"
Non era uno sciocco il Signore Oscuro, tutt’altro: sapeva benissimo che braccarli uno a uno, chiuderli in trappola a morire soffocati, era più efficace che farla finita lì, così, in uno scoppio verde o poco più. Voleva divertirsi a vederli sbattere la testa come mosche contro i vetri, per cercare di liberarsi, e poi ciack, schiacciarli, esattamente come mosche. Così aveva dato qualche ora di tregua: che seppellissero per bene i loro morti se lo desideravano tanto, presto li avrebbero seguiti. Era quello l’ingranaggio che permetteva al mondo di continuare, imperturbabile, il suo moto: il perpetuo ciclo di vita e morte. Ieri Silente, oggi Potter, domani la Granger. Era semplicemente una questione di calcoli matematici, giorni, ore, minuti e poco più: sangue, fango e tenebre richiamavano tutti, cambiavano solo tempi e modi. Per uccidere, e morire ovviamente, ce ne erano infiniti. Se eri fortunato sceglievi il tuo, altrimenti restava solo da adattarsi a quel che capitava. E così tutto girava, e girava, e girava da sempre.
Casca il mondo, casca la terra: tutti giù per terra.
 



***


 
Le gambe formavano un angolo innaturale, pareva che le ossa fossero state rotte, ripetutamente. Rotula, femore, tibia, perone. Il braccio destro era un’indistinta poltiglia di sangue appiccicaticcio, carne sfilacciata e muscoli. Puzzava come gli incubi. Un burattino rotto, ecco cos’era.
Neville si voltò, cercando di reprimere un conato di vomito: il sapore acidulo gli si incollò alle tonsille. Hermione, invece, fissava la ragazzina china su quell’ammasso irriconoscibile di ipotetiche membra umane. E cose che c’era un valido motivo se si trovavano all’interno di un corpo e non fuori, alla luce del sole. La ragazzina aveva lunghi capelli, crespi e umidicci, e perdeva molto sangue da una profonda ferita tra sterno e spalla.
"Ehi," esordì Hermione, posandole delicatamente una mano sulla spalla sana, "dovresti venire con noi in infermeria."
La strega sussultò a quel contatto, stringendo a sé i miseri resti. Di un’amica, forse. Era difficile da capire, non avendo la pelle del viso, solo muscoli senza più strati di epidermide. Godric, impossibile dire che le avessero fatto.
"Senti, stai perdendo troppo sangue," tentò a sua volta Neville, pacato, rimandando i succhi gastrici che lo tormentavano da dove erano venuti.
"Non lascio Shirley. L’ultima volta che l’ho fatto Grayback l’ha… l’ha…"
La ragazza si voltò verso di loro, sollevando due occhi blu arrossati per la stanchezza e il pianto.
L’immagine di una bimba dalle lunghe trecce rosse e un marcato accento irlandese, membro dell’ES, andò a sovrapporsi al cadavere: Shirley. Non stava mai zitta alle riunioni, Hermione lo ricordava bene. Aveva un’ottima memoria, tra le altre cose, soprattutto per i dettagli, e capiva come si sentiva quella ragazzina smarrita, al secolo Laura Madley, Tassorosso e Nata Babbana, classe 1983.
 
L’ultima volta che lei aveva lasciato Harry era stato nella Sala Grande. Stavano combattendo e lo aveva perso di vista. È forte, Harry, si era detta, forte e coraggioso. E invece…
Sarebbe dovuta morire lei per proteggere Ginny, non lui. Ginny e i suoi stivaletti sempre slacciati, Ginny e il suo profumo di fiori, semplicemente Ginny. Ma no: è forte, Ginny, si era detta, è dannatamente brava con le fatture. Pensava che le avrebbero tenuto testa, lei Ginny e Luna, a Bellatrix. Un secondo di distrazione e non aveva notato l’Anatema scagliato contro l’amica. Ma Harry sì, e non era così che sarebbe dovuta andare. In ogni caso non ci sarebbe stata una seconda replica, era come nel mondo antico: le tragedie andavano in scena una volta sola.
Ora riposavano, vicini quasi a sfiorarsi, nel garage del signor Weasley insieme agli altri morti. Non era ancora riuscita ad andare a salutarli: sapeva benissimo che sarebbe crollata e non poteva certo permettersi di arrendersi, non in quel momento. Era razionale, Hermione, dicevano fosse una delle sue migliori qualità. Ma non serviva essere chissà quanto razionali per rendersi conto che doveva restare lucida e non mollare. Per Harry, Ginny, Luna, Colin, la McGonagall, Shirley e tutti gli altri. Sarebbe stata un’ingrata a lasciare che si fossero immolati invano, che le loro morti non significassero nulla. Certo, sapeva benissimo che forse qualsiasi sua azione non avrebbe fatto alcuna differenza: Voldemort aveva vinto e loro erano solo una manciata di ragazzini.  Eppure, sapeva quanto fosse importante che facesse ogni cosa in suo potere per ribellarsi, lottare, rialzarsi ogni volta1. Nel mito antico spesso gli eroi sapevano che scendere in guerra, compiere determinate scelte, imboccare un sentiero sarebbe stata la loro rovina: così era stato per Achille, e Antigone, e molti altri. Ma lo avevano comunque fatto, chi per gloria, chi per amore, chi per giustizia.
 
Fece un gesto a Neville perché le lasciasse sole, poi si mise in ginocchio a fianco di Laura. Alzò la bacchetta e salmodiò l’incantesimo, anche se era la prima volta che ci provava e sicuramente la signora Weasley o la vedova Doherty – che in quanto Medimaga stava a capo dell’infermeria improvvisata nel salotto della Tana – sarebbero state più competenti in materia di primo soccorso.
Laura protestò all’inizio, stringendo sempre più Shirley, ma pian piano non aveva nemmeno la forza per farlo. Ricominciò a piangere, silenziosamente, nascondendo il viso fra i brandelli della divisa dell’amica. Una volta finito con la spalla Hermione restò lì, tra i cadaveri e il fetore di morte, a carezzarle i capelli.
Era poco, ma allo stesso tempo era tutto.

 


*** 



1 settembre 1998
 
Doveva esserci bel tempo.
L’intricata cortina di fuliggine, vapore e incantesimi non le permetteva di intravedere il cielo londinese, oltre le vetrate della stazione, ma indossava la maglietta a righe color arcobaleno, perciò si, doveva fare decisamente caldo. Era la sua maglia preferita da piccola e, sebbene non le andasse più dal suo primo anno a Hogwarts, ricordava come amasse indossarla durante le vacanze estive trascorse dai nonni a Liverpool. Rachel sghignazzava ogni volta che la vedeva: sosteneva la facesse assomigliare a un unicorno. Non che questo la scalfisse minimamente, sia ben chiaro (se era finita a Tassorosso un motivo c’era): l’idea di assomigliare a un unicorno la esaltava, un tempo. Tuttavia, fu con una certa soddisfazione che, a ritorno dal suo primo anno, informò la sorella maggiore che no, gli unicorni non erano affatto variopinti bensì bianchissimi, tutt'al più oro da cuccioli. Li aveva visti, lei, a scuola.
Il sogno, dunque, iniziava sempre così: Laura al binario 9 e ¾, la maglietta arcobaleno e il carrello con il suo baule accanto. Attorno a lei il solito cicaleccio concitato che accompagnava la partenza degli studenti, il sole e l’euforia del primo settembre. Difficile scordare il giorno più bello della sua vita.
Ogni notte, non appena appoggiava distrutta la testa sul cuscino, si ripeteva sempre lo stesso spettacolo.
Marietta le aveva consigliato di rivolgersi a Rionach O’Neal, a suo tempo Grifondoro e ora etichettabile come gruppo dell’Irlanda, che aveva il dono della Vista Interiore. O così almeno si vociferava in giro. In ogni caso Laura aveva sempre posticipato la chiacchierata con la suddetta Rionach. Non le serviva nessun dono particolare per capire che, come tutti loro, sognava un futuro dove non si dovesse combattere. Dove ai ragazzini si insegnava a far levitare piume e trasformare bottoni in scarafaggi (per quanto gli scarafaggi le avessero sempre fatto schifo, prima di vedere di peggio), invece che a lanciare Maledizioni Senza Perdono. Era il futuro che Laura si augurava, o meglio: lo augurava ai bambini nascosti alla Tana. Avrebbe voluto poter dire ai suoi figli, ma aveva pur sempre quindici anni e ogni mattina si alzava non sapendo se avrebbe visto la notte, figurarsi i propri, ipotetici e molto lontani, figli. E in ogni caso se la possibilità era farli nascere nel regime del terrore dei Mangiamorte anche no, grazie tante.
Sapeva bene Laura – lo leggeva negli occhi della Granger, di Longbottom, dei Weasley – che un mondo onesto, senza guerra, non sarebbe mai esistito2. C’erano cascati una volta e avevano imparato la lezione, sissignore. Tuttavia non sarebbe bastato questo a impedirle di continuare a sognare, ogni sera, il primo settembre.
Forse se ciascuno di loro provava a cambiare prima se stesso, poi chi gli stava attorno, infine il mondo, forse qualcuno ce l’avrebbe fatta verso la fine della storia.
Lei non ci sarebbe stata, sapeva di essere solo una breve comparsa, ma nel mentre poteva rendere la strada più facile. E vendicare Shirley, Potter, la McGonagall… l’elenco era divenuto ormai infinito.
 
Così, invece che prepararsi per l'inizio del suo quinto anno, spolverava la bacchetta seduta con la Vector attorno al tavolo storto del rifugio dell’Ordine in Galles, pronta per la missione successiva.
Presto o tardi il sipario sarebbe calato segnando la fine del teatrino, ma prima di allora doveva recitare la propria parte. Il Caso era un burattinaio esigente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 

 
NdA

Sì, a quanto pare alla fine sono riuscita a scrivere l'inizio della serie (ehi, l'ispirazione è quel che è, di questi tempi!), cogliendo al volo l'occasione offertami dal contest indetto da katniss_jackson sul forum di EFP "Pillole di rivoluzione". Tema del contest era, appunto, scrivere una storia che girasse attorno all'idea di rivoluzione, in qualsiasi accezione. Spero si sia capito che nel mio caso la rivoluzione è quella portata avanti da quel che resta dell'Ordine/ES, che non si arrende alla vittoria di Voldemort la notte del 2 maggio e continua a portare avanti la resistenza. 
Mini precisazione: sappiamo che, quando Bellatrix sta combattendo contro Ginny, Hermione e Luna, Harry è nei paraggi e cerca di intervenire quando la Mangiamorte lancia un Anatema alla ragazza, ma interviene Molly e la uccide. Beh, e se invece fosse intervenuto lui, avendo visto che aveva cercato di colpire Ginny? Qui si gioca la storia (nonché l'intera serie): Bellatrix non aveva certo la bacchetta di Sambuco e Harry non poteva essere salvato come accade invece nel vero scontro con Voldemort. Morto Potter, avendo vinto il Signore Oscuro, i membri dell’Ordine sopravvissuti sono dovuti scappare e sono finiti nuovamente in clandestinità. Hanno organizzato un tentativo di resistenza, dividendosi in vari gruppi.
L’immagine dello strappo nel cielo di carta è tratta dal capitolo 12 de “Il fu Mattia Pascal”, di Luigi Pirandello. Anche i riferimenti alle persone viste come marionette e alla vita come una “pupazzata”, sono sempre tratti dalla sua ideologia poetica.
 Laura Madley è un personaggio realmente esistente nella saga di Harry Potter: si tratta di una delle ragazzine del primo anno smistate a Tassorosso ne “Il Calice di Fuoco”. Di mio ho aggiunto solo la descrizione fisica e l’origine Babbana. Sempre della Rowling è il personaggio di Marietta Edgecombe. Rionach O’Neal è presente nella saga cinematografica. Shirley, invece, è un personaggio di mia invenzione (non troppo velatamente creata in onore di Shirley Poppy della saga di Fairy Oak) così come la vedova Doherty.
Ultimissima cosa, per i nomi faccio riferimento alla nuova traduzione (Tassofrasso a parte), dato che quando è uscita l'edizione con le copertine che formavano il castello di Hogwarts io e mio fratello non siamo riusciti a resistere e le abbiamo comprate, e a forza di rileggere questa versione ora non riesco più a usare i nomi della primissima traduzione.

Grazie per aver letto e per chiunque sia arrivato fin qui!
Maqry


[1] Riadattamento di: “Qualsiasi cosa tu faccia potrebbe non fare alcuna differenza, ma è molto importante che tu la faccia.” (Ghandi)
 
[2] Riadattamento di: “Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.” (Rita Atria)

   
 
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