Jude.
La
luce nella
stanza era fioca e debole filtrata com’era dalle spesse tende
bianche, tutt’intorno
era silenzio rotto soltanto dal regolare ticchettio elettronico della
sveglia
digitale sul comodino. Gli occhi mi bruciavano mentre cercavo di
mettere a
fuoco l’orario che lampeggiava sullo sfondo grigio del
display. Le 11:26. Cavolo
ma che giorno è? Pensai cercando di
mettere ordine nella mia mente
ancora annebbiata dai fumi dell’alcol della sera prima.
Ricordavo poco e niente
ma dalla sensazione di soddisfazione che mi pervadeva fui ben lieta di
constatare che chiunque mi avesse fatto compagnia quella notte doveva
saperci
fare davvero. Lentamente mi girai su di un fianco cercando di fare meno
rumore
possibile trovandomi di fronte una massa di rasta castano scuro che
accarezzavano una schiena perfetta sulla quale notai dei segni rossi
che
ricollegai immediatamente alle mie unghie. Poi un flash. Rividi la
scena: io e
Fay in quel bar, le risate e i fiumi di Mojito e poi quei due ragazzi,
cavolo
sembravano davvero Tom e Georg dei Tokio Hotel e a giudicare dai rasta
io mi
ero dilettata con quello che somigliava
a Tom.
BZZZBZZZZBZZZZ
Mi
rigirai dal lato
del comodino e afferrai in cellulare prima che, continuando a vibrare,
potesse
svegliare il ragazzo che ancora dormiva.
Oddio non ricordo neanche come si chiama!
Ci
misi un minuto
buono a mettere a fuoco il nome che lampeggiava sull’icona
del messaggio del
display, dopodiché, pigiai su ok.
“Cazzo
Jude!
CazzoCazzoCazzoCazzo” ma era la mia testa o c’era
davvero un’infinita
successione della parola “cazzo” in quel messaggio!
Saltai la sfilza di
ripetizioni
“Jude!
Sei andata a
letto con Tom Kaulitz! Merda erano loro per davvero! E
l’altro era Georg, l’ho
costretto a farmi vedere il documento, com’era conciato ieri
si sarebbe anche
venduto le mutande se gliel’avessi chiesto! Oddio mi devi
raccontare tutto! Sto
andando in iperventilazione per te sorella! Chiamami appena puoi
baci”
Rilessi
il
messaggio due volte, lentamente e soffermandomi su ogni parola una
manciata di
secondi per essere sicura di aver carpito tutto correttamente. Ed ora
l’unica
parola che mi veniva in mente era “Cazzo”.
Allora facendo il punto
della situazione:
primo non ricordavo un beneamato cazzo di cosa avessi fatto tra quelle
lenzuola, il che mi lasciava alquanto delusa e se quello era davvero
Tom
Kaulitz, a giudicare dalla mia soddisfazione faceva bene a vantarsi
delle sue
doti d’amatore; non avevo la più pallida idea di
dove mi trovassi il che era
sconfortante dato che, per quel che ne sapevo, potevo trovarmi in
qualunque
albergo di Amburgo senza sapere un cavolo di quella città.
Oh pazienza avrei
chiamato un taxi! E terzo, dovevo avere la prova tangibile che quello
era il
chitarrista dei Tokio Hotel.
Nel modo più
silenzioso possibile sgusciai via
dalle lenzuola, senza neanche curarmi di cercare gli slip, persi in
chissà
quale meandro della stanza immensa.
Però,
si tratta bene il ragazzino!
Stetti in piedi accanto al
letto fino a che,
squadrando la camera centimetro per centimetro non individuai quello
che stavo
cercando. Mi diressi, sempre cercando di non fare rumore, verso la
poltrona
rivestita di pelle bianca, afferrai i suoi jeans extra-large e affondai
le mani
nelle tasche alla ricerca di un qualunque documento.
Bingo!
Esultai tra me e me quando
ebbi finalmente
trovato la patente. Non so per quanto tempo restai l’ a
fissare quel nome che
sembrava lampeggiare come per dire “Hey bella, si
è lui, ti sei scopata Tom
Kaulitz, ora per favore puoi mettermi giù?”. Un
grugnito proveniente dal letto
mi fece pietrificare. Ci fu un millesimo di secondo nel quale presi
seriamente
in considerazione l’idea di scappare via, ma il fatto di
essere completamente
nuda bastò a farmi desistere, così, senza sapere
bene neanche il perché mi
scapicollai verso il letto assumendo la stessa, identica posizione di
quando
avevo aperto gli occhi.
Nel
momento esatto
i cui chiusi le palpebre sentii che Tom, mi faceva ancora strano
pensare che
fosse lui, si stava
girando verso di me;
forse sarebbe preso un colpo anche a lui.
Ma
che dico! Per lui è schifosamente normale una
situazione del genere!
Schiusi
gli occhi
impercettibilmente, quel tanto che bastava per riuscire a guardare il
suo viso:
strizzo gli occhi una decina di volte, segno che anche lui risentiva
dei
postumi della sbronza. I rasta sparsi sulle sue spalle gli davano
un’aria
dionisiacamente selvaggia, il lenzuolo che copriva solo il necessario
lasciava
scoperti i suoi pettorali perfetti, scolpiti; era una visione talmente
bella
che dovetti reprimete un brivido, per evitare che si accorgesse che ero
sveglia. Come se mi avesse letto nel pensiero si sfilò il
largo elastico nero
dal polso e si legò i rasta in una coda morbida, lasciando
libere le spalle. Lentamente,
cercando di non svegliarmi, afferrò il lenzuolo che mi
copriva quasi
interamente e lo scostò gentilmente, facendolo scivolare
sulla mia pelle. Lo vedevo
sorridere mentre mi percorreva con lo sguardo facendolo scivolare dalle
spalle,
sulla curva della schiena, soffermarsi quell’attimo in
più sul sedere mentre il
suo sorriso si allargava e io lottavo contro me stessa per non
urlare;per poi
riprendere a scendere
lungo le gambe e
poi tornare su a fissare il mio volto. Se avessi avuto gli occhi aperti
non
avrei retto neanche trenta secondi. Distolse lo sguardo, senza
però abbandonare
quel sorrisetto che gli si era disegnato su quelle labbra perfette, poi
infilò
i boxer neri e saltò fuori dal letto.
Ti
prego fa che mi dia il tempo di andare via
senza parlargli, ti prego!
Ripetevo mentalmente per poi
stupirmi di me
stessa. Dovevo essere pazza. Ero appena reduce da una notte di sesso
sfrenato
con uno dei ragazzi più famosi e più quotati del
momento; ero sopravvissuta senza
fare idiozie ad una radiografia integrale da parte sua e a giudicare
dalla sua
espressione doveva essere fiero di chi si era spupazzato e dulcis in fundo ora era in piedi, accanto
al letto con nient’altro
addosso se non quel misero straccetto. Una qualsiasi ragazza normale
gli
sarebbe saltata di nuovo addosso senza fare tanti complimenti ed io a
cosa
pensavo? A scappare senza dare nell’occhio per una ragione
che nemmeno io
riuscivo a trovare.
Intanto
lui aveva
alzato la cornetta del telefono dell’albergo e stava
digitando un numero con
una tale sicurezza che mi chiesi quante altre volte lo avesse composto,
in una
situazione analoga a quella in cui si trovavo ora.
“Si
salve, sono il
signor Kaulitz, vorrei ordinare
la colazione in camera” Maledetto tedesco! Non capivo una
parola di quello che
andava blaterando a telefono.
“Una,
Signor Kaulitz?”
rispose la voce dall’altro capo. Ero talmente frustrata che
sarei scoppiata a
piangere.
“Nein.
Facciamo due”
rispose guardandomi di nuovo, e senza aspettare la risposta proveniente
dall’altro
lato, chiuse la conversazione. Gli occhi cominciarono a bruciarmi,
tanto che
dovetti chiuderli completamente, lottando contro il bruciore e
reprimendo una
smorfia. Lo sentii armeggiare con qualcosa sul suo comodino. Rumore di
tasti. E
poi…
“Georg!”
esclamò
senza curarsi che il tono di voce potesse svegliarmi “si,
ciao bello! Senti mi
serve un favore” oddio gli avrei staccato la faccia a morsi!
Cosa avrei dato perché
avesse parlato inglese! “mi serve il nome della ragazza di
ieri… si quella del
Mojito bravo!” qualche secondo di silenzio “Cazzo
Georg fa uno sforzo!”.
“Senti
Georg, ‘sta
qui è diversa, cavolo la faccio restare a colazione, ho
già ordinato per due,
se non vuoi farmi fare la figura del coglione, e so che non vuoi, cerca
di
ricordarti quel cazzo di nome!” abbaiò.
“Lascia stare non so il perché e non
sono fatti tuoi, però cazzo sembra una modella!”
Restò in attesa per un minuto
buono “ Jude,ecco! Sei grande amico, ci vediamo
dopo!” chiuse la telefonata e
poggiò il cellulare sul comodino con un rumore sordo mentre
il mio cuore
saltava un battito.
O
merda.
In quel momento non
desideravo altro se non
capire il tedesco. L’unica cosa che avevo captato era stato
quello
schifosissimo “danke”, preceduto da quello che, ne
ero sicura, era stato il mio
nome. Il cuore mi batteva a mille, le mani cominciavano a sudare sotto
il
cuscino e avevo l’istinto irrefrenabile di urlare.
Perché diavolo aveva
pronunciato il mio nome; come era solo possibile che si fosse ricordato
il mio
stupido nome! Cosa aveva detto a Georg? Stavo impazzendo, dovevo andare
via di
lì prima di perdere il controllo.
Silenzio.
Silenzio,
silenzio
ed ancora silenzio, troppo, fino a che non sentii i suoi passi che si
allontanavano dal letto, e poi una porta sbattere. Restai immobile
senza
muovere un muscolo, chissà se aveva bevuto quel mio sonno
finto, tanto immobile
da essere davvero poco credibile. Aprii gli occhi circospetta e con una lentezza disarmante
mi tirai a sedere
al centro del grande letto, rimanendo così, incapace di muovermi o
pensare, pronta a
rituffarmi nelle coperte se lui fosse riapparso.
Ma
nel momento in
cui captai il rumore del getto d’acqua della doccia capii che
quello era il
momento buono.
Forza
Jude, puoi filartela. Ora o mai più.
Mi
fiondai fuori
dal letto e diedi inizio alla ricerca disperata dei miei vestiti! Cazzo
dov’erano
finiti! Infilai le scarpe per prime poi il reggiseno, scovato
miracolosamente
sotto il letto e per ultimo inforcai il vestito che giaceva a terra
proprio davanti
alla porta, per gli slip, non ci fu niente da fare.
Wow
ci siamo dati da fare eh?
In
un nanosecondo
presi borsa e cellulare mi aggiustai i capelli alla meno peggio e con
un’ultima
occhiata a quel letto sfatto abbassai la maniglia della porta proprio
mentre il
getto d’acqua cessava. Sorrisi, non potevo che fare questo
mentre chiudevo la
porta e mi avviavo verso l’ascensore lasciandomi Tom Kaulitz
alle spalle.
Le
porte si
chiusero, precludendo alla mia vista la porta della stanza 239, mi
appoggiai
alla fredda parete dell’ascensore senza smettere di sorridere.
Forse
in un’altra vita sarebbe potuto nascere
qualcosa tra noi due Tom Kaulitz, ma non in questa. Questa notte non
è
significata niente, ne per me, ne tantomeno per te. Forse in una vita
dove non
sarai l’animale da palcoscenico che fa strage di cuori che
tutti conoscono, ma
sarai solo e semplicemente il ragazzo stupendo che in fondo sei, beh..
allora
forse… forse io non sarei stata una delle tante e magari
questa notte avrebbe
avuto un significato diverso anche per me.
Le
porte si
aprirono ed io camminai sicura e svelta verso l’uscita
dell’albergo, ignorando
il ragazzo dietro il bancone della reception che mi guardava come se
fossi
impazzita.
L’aria
fresca dell’estate
tedesca mi accarezzò il viso, ero felice, felice di quella
notte che non
sarebbe più tornata, che non si sarebbe mai ripetuta.
Nessuna traccia di
malinconia o tristezza, solo soddisfazione. E con gli occhi che
ridevano e i
capelli scompigliati dal vento gridai:
“Taxi!”