Riflettendo,
appoggiata al petto contro
la ringhiera dalla vernice scrostata, guardai verso il basso in
direzione di un
pascolo immaginario coperto da un manto di neve fresca, immaginando una
scena
che non era mai esistita. Replicai quelle due, o forse quattro pagine,
per l’ennesima
volta nella mia mente: alcune carcasse di unicorni giacevano mentre le
altre
bestie si alzavano e procedevano per la loro strada, compiendo le
azioni di
ogni giorno, forse ignare che prima o poi avrebbero raggiunto i loro
simili.
Ero
rimasta a speculare sul fatto che
probabilmente era questo a fare la differenza: una persona si sarebbe
preoccupata all’idea di fare la stessa fine, avrebbe cercato
di scappare da
quella possibilità, impazzendo per beffare la
morte… lasciandosi così sfuggire
la vita.
Gli
unicorni invece si svegliavano e non
lanciavano neanche uno sguardo distratto a chi di loro non faceva
altrettanto e
senza indugio raggiungevano il Guardiano.
Con
un sospiro alzai gli occhi al cielo
e vidi le nuvole grigie sopra la mia testa, sorpresa. Sotto di me
c’era ancora
lo stesso spiazzo di sempre: in cemento, sterile.
Niente
pascoli, niente mitiche bestie
provviste di un solo corno.
Era
soltanto un libro, solo qualche
pagina.
Rientrai
nella mia stanza paradossalmente
più fredda dell’esterno e vidi il vetro della
finestra appannato.
Lanciai
un’occhiata fugace alla
mia camera e rabbrividii: libri sparsi ovunque, alcuni coperti da un
leggero
strato di polvere, vestiti sulle due sedie vicino alla scrivania
ingombra di
quaderni e vecchi libri scolastici.
Di
tanto in tanto, quando ero
nervosa, sentivo il forte impulso di riordinare e sistemare quel caos
infernale, ma poi mi accorgevo di quanto fosse eccessivo ed
irrimediabile conducendomi
alla conclusione che non avrei potuto restare un minuto di
più, infine uscivo.
Sentivo
come se la mia vita fosse
così: caotica e talmente disordinata da essere diventata
irrecuperabile.
Eppure
allo stesso tempo mi era
stato spiegato dalla mia stessa terapista che quel disordine
rappresentava il
mio ordine, e quel desiderio di sistemare era pari a voler imporre il
mio
controllo su qualsiasi cosa.
Persino
sulle persone che mi
circondavano.
Era
uno dei miei problemi, ma
stavo cercando di porvi rimedio.
Mi
sentivo positiva perché da
mesi non impazzivo più improvvisamente, non crollavo in un
pianto isterico che
aveva come unico fine affossare me stessa.
L’ultima
volta che mi era
successo ciò, avevo appena ricevuto la notizia del suicidio
di uno dei miei
cantanti preferiti.
Ciò
dimostrava quanto fossi
comunque lontana dal mio scopo finale, ma lo stessi lentamente
raggiungendo.
Ad
ogni modo, di recente avevo
cominciato ad avere un nuovo pensiero fisso: la normalità,
la banalità, la
routine – e come queste tre parole hanno un ampio spettro di
accezioni che
vanno dalla più negativa a quella positiva.
In
un certo senso è questo a
paralizzarmi sull’argomento, la capacità di queste
condizioni di avere una loro
personale atmosfera di positività.
Mi
spiego meglio:
sono
sempre stata dell’opinione
che quei tre termini non fossero altro che la fine
dell’individuo, il segnale
del decadimento nella noia senza la possibilità di
accorgersene, come camminare
bendati verso un baratro e non averne la più pallida idea.
Eppure
c’è una sorta di calma,
una pacifica rassicurazione in ciò che è regolare
come un metronomo.
Perché
gli avvenimenti così non
sconvolgono, si ha come una sorta di controllo e capacità di
predirre ciò che
accadrà “domani”.
Ma
non è precisamente quello a
rendere la normalità bella,
no, è un
filo sottile che divide il bianco dal nero, ma non è grigio,
non lo è affatto.
È
l’intero spettro dei colori,
abbagliante, accecante, euforico ed impaziente.
Quella
è la gioia da ricercare
nella routine, è quella l’emozione che sveglia dal
torpore, una scarica
elettrica che fa espandere nuovamente un cuore nero come se stesse
persino
respirando.
È
trovare il libro giusto e
prendersi il tempo di leggerlo, ma anche stare abbracciati con la
persona
giusta e dormire, semplicemente quello. Guardare un film che si
apprezza, fare
una partita a scacchi, qualsiasi cosa va bene, purché sia
l’azione giusta.
Sembra
una cosa davvero banale da
dire, ma così essenziale che fa quasi ridere vedere come
nessuno assecondi
questi desideri, dicendo che: “sì, lo
farò poi” o “prima faccio
questo”
continuando a cadere dritti nella bocca di un girone infernale
interminabile
che è una vita priva di soddisfazioni e sogni.
Un
tempo ed un luogo dove non ci
sono gli unicorni, dove brucare l’erba buona ed andare avanti
non è abbastanza,
perché si guarda alla morte sdraiata al proprio fianco come
se fosse quella lo
scopo della vita.
L’essere
umano non è un animale e
la differenza principale risiede nell’agonia di poter
scegliere a cosa tendere:
se alla noia o al nonsenso dell’eccesso che risiede nella
paura del domani, ad
una vita sregolata, ma è qui il trucco e la
disdetta… basta essere umani per
perdersi nel trambusto dei privilegi e degli svaghi dettati dal libero
aribitrio, dalla confusione che crea.
Allora
non si sa più dove
guardare, se a destra o a sinistra o forse in alto e quindi cosa faccio?
La
risposta è: lo stesso.
Lo
paragonerei al gustare
lentamente un piatto o un dolce, fino a saggiare anche la nota
più lieve per
avere un’esperienza completa. Tutt’altro che
ingozzarsi e strozzarsi pur di
finire il piatto, no?
Forse
è per questo che amo tanto la mia ripetitività e
non cambio mai, non mi
modifico e mi piace quel che è così
com’è: l’uomo con cui vado a letto, il
cibo
che mangio, la musica che ascolto, i libri che leggo. È
tutto troppo bello, è
così normale che non mi spaventa.
It’s
like a home that cannot be
teared down by any tornado or tsunami,
no
volcano or earthquake can
destroy it.
It’s
warm and comfortable there.
And
everything it’s always the same.
Tutto,
felicemente, lo stesso.
~
Bloody’s corner ~
Ne è passato di tempo dall’ultima
volta che ho pubblicato
qualcosa! C’è da dire che alcune
cose citate qui vengono da due libri, uno è il
riferimento agli unicorni:
Murakami, “La fine del
mondo ed il paese delle meraviglie”; il secondo è
molto più velato, “tutto lo
stesso”, Stephen King
“La storia di
Lisey” – ve li consiglio entrambi, estremamente
belli e per me molto
significativi.
Tranne
la scena illustrata
e la frase è tutto di mia invenzione.
Purtroppo
è da
parecchio tempo che letteralmente non scrivo più, quindi per
favore siate
clementi!
Grazie
a chiunque
abbia ritagliato un momento per leggere,
Miss
BloodyFangs