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Autore: CHAOSevangeline    18/05/2018    3 recensioni
« A cosa stai pensando? »
« A niente. »
Quella risposta era una vecchia amica di Oliver. Una di quelle che anche se non incontri molto spesso ti sta bene perché una volta che la rivedi ti sale solo la nostalgia. Una di quelle che avrebbe preferito non risentire mai, perché sapeva tanto di « Ehi, sei già qui per sei settimane, vedi di lasciarmi in pace. »
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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/va·ga·bon·dàg·gio/ sostantivo maschile
1) Il frequente spostarsi da un luogo a un altro senza itinerari o programmi prestabiliti: fig., irrequietezza intellettuale o evasione fantastica.

 

 
Come polvere sugli spartiti
 
 

 
« A cosa stai pensando? »
« A niente. »
Quella risposta era una vecchia amica di Oliver. Una di quelle che anche se non incontri molto spesso ti sta bene perché una volta che la rivedi ti sale solo la nostalgia. Una di quelle che avrebbe preferito non risentire mai, perché sapeva tanto di « Ehi, sei già qui per sei settimane, vedi di lasciarmi in pace. »
Un muro tra di loro, più alto di quello che Oliver aveva scavalcato il giorno prima mentre andavano al lago. L’aveva fatto per impressionare qualcuno, nemmeno ricordava chi e a quale altezza della strada fosse successo.
C’era Elio con lui, però, questo lo ricordava.
Tra urla e schiamazzi Oliver era stato acclamato.
Chissà se su di lui, se su quella nuvola di ricci sempre persa nel proprio mondo, aveva fatto colpo.
Forse se gli avesse chiesto cosa pensava quel giorno, mentre il ragazzo se ne stava con i piedi a mollo nella piscina, gli avrebbe risposto.
« Ehi. »
Gli occhiali da sole di Elio calati sul naso si frapposero fra lui e i suoi occhi come un divisorio. Secco, duro, netto. Gli occhi sono lo specchio dell’anima e proprio a te non permetto di leggermi, Oliver. Questo sembrava dire.
Oliver si appuntò di quantificare il proprio masochismo, tra la redazione della propria tesi e la lettura di un saggio che il professor Perlman gli porgeva sempre rigorosamente con ambo le mani, guardandolo negli occhi quasi gli stesse donando un tesoro inestimabile. Nei pensieri di Elio non c’era, non c’era la più piccola traccia di lui e Oliver era il solo a illudersi che ci fosse abbastanza spazio immaginando quelle crude e graffianti risposte che gli sapevano di lui sì, di Elio, ma che nella propria immaginazione avrebbe potuto quantomeno tentare di addolcire.
« Ciao. »
Oliver non era cieco, o sordo né tantomeno sciocco. Sentiva cosa diceva Elio di lui, come sospirava – o forse sbuffava – nel veder entrare dal cancelletto, con la bici di Anchise, la movie star. La sua testa, tutti i suoi sensi si riempivano di Oliver e se prima era sereno, con la matita in mano e la musica da trascrivere nelle orecchie, improvvisamente si faceva torvo. Rasentava addirittura il disgusto.
Oliver era sicuro che qualsiasi pensiero stesse tormentando Elio portando sul suo viso il broncio che sfoggiava poco prima che lui lo avvicinasse non fosse capace di scocciarlo nemmeno la metà di quelli che dovevano averlo attraversato sentendo la sua voce.
Pareva sempre che stesse male, Elio, come se la sua stessa mente lo sfiancasse. Ed era strano perché Oliver aveva la sensazione, l’intuizione che la sua fosse una bella mente. Che fosse bellissima, ma non poteva esagerare.
Una galleria d’arte, ecco come la immaginava. Una musica al pianoforte di sfondo, magari composta da Elio stesso: dopo tutti quegli studi poteva permettersi di comporre qualcosa che non fosse una rivisitazione di qualcun altro. Anche se era giovane, perché era lui e aveva qualcosa da dire.
Quella musica, leggera, quasi a illudere le orecchie di essere prodotta da loro stesse, una carezza per la mente; l’avrebbe cullata e le note armoniose sospinto il corpo verso le opere d’arte.
Ogni pensiero di Elio in pennellate.
Le tele più piccole, le cose di minor valore per lui. I pensieri fugaci creati con spruzzi di tempera, grumosa sulla tela, eseguiti con la stessa fretta con cui erano nati, cresciuti e spariti. Registrati in un quadro per non buttare nulla, nemmeno un dettaglio. Oliver sarebbe andato in bancarotta per scoprire tutto ciò che passava per la testa di Elio, avrebbe acquistato ogni opera, perché di quei dettagli lui era il più avido.
Era certo ci fossero dei quadri più curati in quella mostra. Cresciuti dal loro stesso creatore con affetto, ma non per questo più belli degli altri; ogni parte di Elio era bella, era un’opera d’arte. Pregi e difetti di cui poteva essere conoscio o meno. Era bello lui ed era bella la sua mente, Oliver ci credeva più che nella religione di cui portava il simbolo al collo.
Avrebbe voluto esplorare a fondo quella splendida galleria, osservare le pennellate colorate ma anche quelle più grigie e cupe; i quadri caotici e spenti erano ciò che può voleva scrutare, analizzare, comprendere. Voleva sapere cosa mancava ad Elio, di cosa aveva bisogno. Se era di lui che aveva bisogno. Voleva aiutarlo a colorare quelle tele, a renderle sature di ciò che mancava.
Avrebbe voluto seguire le indicazioni della mostra e della sua guida – nella speranza fosse Elio stesso – fino a quando non l’avrebbero condotto al cuore di Elio, dove Oliver sperava di trovare un proprio ritratto.
A olio, definito e chiaro. In chiave Elio, rapido e un po’ indeciso come la sua adolescenza. Ma con qualsiasi tecnica, secondo qualsiasi movimento, sarebbe pur sempre stato il suo viso. Perché a Oliver era sufficiente lo vedesse e basta; il modo, poi, lo avrebbe aggiustato.
La sua unica condizione era che la tela fosse enorme, perché era un egocentrico.
Magari quella sala sarebbe dovuta essere riservata a lui. No, no: era bene che entrassero tutti e vedessero che quel posto era già occupato.
« Che stai pensando? »
« Che ipocrita sei, Oliver », si disse tra sé, « Dopo aver vissuto questa visita clandestina alle spese della povera mente di Elio. »
La violeresti se potessi.
Lo faresti crollare con ogni mezzo in tuo possesso, se potessi. Per farti guardare davvero e non con quegli occhiali da sole, per farti confessare cosa sta pensando, ma non per fargli del male; vuoi solo il meglio per lui in fin dei conti, anche se un po’ pretendi di essere tu il suo meglio.
Ma non puoi o l’avresti già fatto. Lui è più forte di te, in questo, nell’essere incomprensibile. O forse lo sembra solo perché tu conosci te stesso e i tuoi pensieri, e mentre lui pare guardarti da dietro quegli specchi scuri si sta perdendo nel tuo stesso labirinto?
Impossibile.
Oliver non pensava mai troppo se non riflettendo sui pensieri di Elio. Era buffo.
Un briciolo di speranza all’esitazione di Elio nel rispondere.
« A niente. »
La mostra sta chiudendo, i gentili signore e signori sono pregati di dirigersi verso l’uscita.
Lui nemmeno aveva il biglietto. Era un clandestino in tutto e per tutto, in quel viaggio.
E gli sembrava impossibile che con tutte le persone a cui piaceva, non piacesse proprio all’unico ragazzo a cui voleva avvicinarsi; gli sembrava impossibile non infondergli nemmeno un po’ di fiducia. Era una beffa. E ancor di più lo diventava se pensava alle proprie abilità nel decifrare: aveva passato ore seduto con classici in mano, a fissare un pensiero di Platone, nella mente l’unica domanda che era sensato porsi: « a che stavi pensando? » Mentre scrivevi, mentre univi questi complicati pensieri in greco antico.
A cosa pensi, Elio, mentre soffi via dai tuoi fogli un insetto, una briciola, una foglia, forse i tuoi stessi pensieri, come se fossero solo polvere sugli spartiti?
Oliver poteva decifrare un grande pensatore, ma non un ragazzino appassionato di musica con un caratterino fin troppo fiero.
« Allora che stai facendo? » gli chiese ancora, insistette per infondere vita in quel dialogo. « A questo puoi rispondere? »
Elio non ci pensò troppo.
« Contemplo. »
« Che cosa? »
« Questi non sono affari tuoi. »
Oliver resistette alla tentazione di spingerlo nella piscina e andarsene abbastanza a lungo per riuscire a scorgere un sorriso beffardo sulle labbra di Elio.
Lo sfidava, quel bel sorriso.
Sembrava dirgli « Avanti, Oliver, fammi vedere come sai conquistare tutti. Non è detto che non cederò. Sono solo il più difficile da convincere. »

 

 
Quando calava la notte e l’aria rimaneva calda e umida, Elio aveva sempre la sensazione che qualcosa non fosse al suo posto. Quella melodia di visione e sensazioni, pelle leggermente sudata e stelle in cielo, strideva. Un accordo nel posto sbagliato, un lamento suonato come uno scherzo.
Era esigente. Lo era con se stesso, con la natura, con tutto e lo sapeva, ma cosa poteva farci?
Oliver era l’unico capace di allietare quella serata.
Gli dava fastidio tutto con quel caldo: la canotta, i pantaloncini, le ciabatte. Tutto. Tranne Oliver. Gli sarebbe stato appiccicato e umido o meno, sudore o meno, non si sarebbe voluto allontanare.
Seduti sulle sedie di metallo intrecciato, non più intoccabili come lo erano state quel pomeriggio quando Elio le aveva scordate al sole ed erano divenute incandescenti, stavano guardando l’acqua calma della piscina.
Uno accanto all’altro, i braccioli delle sedie di troppo fra i loro fianchi.
Anche quelli gli davano fastidio.
Elio non aveva scordato quel giorno, quello in cui Oliver l’aveva avvicinato e gli aveva chiesto « a cosa pensi? ». Non aveva dimenticato una sola delle volte in cui l’aveva approcciato, in cui il povero Oliver si era schiantato contro un rifiuto, corazzato dagli occhiali da sole calcati sul naso di Elio.
Dopo tutto quel tempo se ne rendeva conto, che forse lui le cose non le aveva rese affatto facili. Troppo comodo rimproverare solo Oliver.
Gli diceva no, stanne fuori, la mia testa è roba mia e tu ci giochi già abbastanza. Anche se non lo sai.
Adesso Elio c’era sceso a patti con l’interesse di Oliver. Non lo voleva avvicinare per fargli male; voleva solo sapere, proprio come lui voleva sapere cosa passasse per la sua di testa, quale verità si celasse dietro ai sorrisi e alle dita che si sfioravano passandosi la caraffa di succo alla mattina, durante la colazione. Se preferiva Chiara o preferiva lui. Se gli interessava davvero, o se era solo un capriccio estivo.
« Elio? »
Non gli piaceva che richiamasse la sua attenzione così quando erano soli.
« Oliver », lo chiamò di nuovo.
A quel punto Elio staccò gli occhi dalla calma placida della piscina e si voltò.
« Mh? »
Oliver gli prese la mano, appoggiata sulla curva di ferro battuto della sedia. La strinse tra le dita, che intrecciò con le sue, la rovesciò e ne solleticò il palmo prima di stringerla nella propria.
« A che pensi? »
Oliver si accorgeva che stava pensando anche quando Elio per primo non lo notava. Si accorgeva che la sua mente divagava, che se ne andava distante; Elio invece lo realizzava solo con il cervello surriscaldato e il cuore appesantito da carcasse negative. Il tempo scorreva e intorno a lui poteva succedere di tutto, perché nella sua testa c’era già un mondo a cui pensare.
Stava pensando guardando la piscina e lo stava facendo anche in quel momento, guardando Oliver negli occhi. Vagava per chissà quali mondi, i pensieri arruffati come i suoi capelli ricci per tutte le volte che li aveva portati indietro con le dita, tirandoli quasi rabbioso, quasi incolpandoli della calura estiva.
Oliver aveva il diritto di chiederglielo, adesso, « a che pensi? »
Aveva il diritto di ricevere una risposta.
Elio era un sognatore, era introverso. Gli piacevano la musica, i libri. Gli piaceva pensare, perché credeva di essere l’unico a capirsi. Più o meno. Perché quando pensava troppo – e smetteva di piacergli – non sapeva comunque come fare ritorno. Non riusciva a lasciare una scia di briciole, a vedere i cancelli del proprio giardino da varcare per essere al sicuro in territorio amico.
Si perdeva e restava lì, confuso, fino a quando qualcuno non si accorgeva che Elio Perlman si era perso e non lo andava a cercare e riprendere.
Questo aveva imparato a fare Oliver.
La mente di Elio in quel periodo era più spesso a New York, alla Columbia University, che non lì, a Crema, accanto a Oliver. Stava lontano da Oliver pur rimanendo accanto a lui, nella propria testa. Ed era una sensazione strana, lo consumava. Lo faceva sentire come se il suo cervello fosse sul punto di esplodere, sovraccaricato. Come se si stesse perdendo il bello della vita.
E lo mostrava, perché non era capace di nascondere i bronci, le sopracciglia corrucciate, le labbra serrate per i troppi pensieri.
Solo, non era abituato ad essere un libro aperto per qualcuno che non fosse sua madre.
Oliver andava lì con un dito e sfiorava le labbra, di nascosto gli baciava la fronte.
« Rilassati », diceva.
Ed Elio non poteva più nulla.
In quel momento però poteva parlare, perché odiava farlo per timore di essere giudicato, per paura di dare più concretezza a quei pensieri. Ma con Oliver non c’era motivo di temerlo.
« Pensavo che questa è stata la più bella estate della mia vita. »
Da « stai qui addirittura per sei settimane » a « stai qui solo per sei settimane ».
Da « vattene » a « resta con me, non mi lasciare ».
« Allora perché ci pensi con quell’espressione triste? »
Oliver sapeva perché, Elio sapeva perché.
Avevano quella sintonia, loro due, che andava oltre il tempo e i ricordi sbiaditi.
« Lo sai. »
Oliver restò in silenzio.
« Sì, è vero. Lo so », rispose. « Ma non è ancora finita. »
Di colpo Oliver pensò ai saggi che il professor Perlman aveva smesso di suggerirgli da un paio di settimane, perché anche se li divorava doveva concentrarsi solo sul proprio lavoro e sugli ultimi giorni di divertimento. E forse perché lui e sua moglie sapevano e stavano dando loro tregua.
Una volta gliene aveva suggerito uno mentre parlavano di Elio. Oliver non sapeva se gli fosse venuto in mente per qualche motivo legato a lui e anche se aveva provato a leggerlo pensando al ragazzo non ne aveva ricavato nulla.
Una parola tira l’altra, il saggio tra le dita dopo averlo ricevuto da entrambe le mani del professor Perlman ed ecco che mentre pronunciava il nome di Elio l’uomo lo fissava dritto negli occhi, attento.
Più che quel libro sembrava gli stesse consegnando il suo unico, amato, prezioso figlio.
E il professor Perlman non era severo, non troppo almeno, ma solo su una cosa non transigeva: i libri. Andavano trattati con rispetto, curati, quasi venerati.
Lui ed Elio si erano già avvicinati quand’era accaduto e tenendo ben a mente quel momento, che forse voleva dire davvero qualcosa o che forse aveva avuto un significato solo nella sua testa, Oliver aveva scelto come comportarsi.
Lo aveva sempre tenuto segreto.
C’era una cosa che poteva fare, una sola. Così si alzò, si sporse e avvolse il busto di Elio con le braccia, stringendogliele intorno come fossero spire.
Si buttò all’indietro, seduto sull’erba, perché la gravità impedisse a Elio di divincolarsi da quella stretta; tanto se la sua testa era così pesante per quei pensieri, se il suo cuore lo era, non sarebbe stato difficile trascinarlo con sé. Ma non gli avrebbe permesso di annegare.
« Oliver…! »
La sorpresa l’aveva costretto ad abbandonare quel gioco che tanto gli piaceva, quello per cui i loro nomi appartenevano all’altro.
Le dita di Oliver furono sotto la sua maglia e solleticarono i fianchi, il costato. Elio scoppiò a ridere.
L’unica cosa che Oliver poteva fare era farlo ridere. A crepapelle, nella notte, anche se li avrebbero potuti sentire. Come la volta che Oliver gli aveva fatto visita nella sua stanza, spingendo la porta e facendola sbattere senza volerlo.
« Aspetta… aspetta! » tentò di protestare Elio.
Non riusciva a respirare, ma aveva preso fiato. Da quei pensieri, da quelle sensazioni. La mente svuotata, non più un ricordo di tutti quei nuvoloni neri di timori incombenti.
« Solo se è tutto passato. »
Forse Oliver non avrebbe smesso comunque, perché la risata di Elio contro le orecchie, mentre il ragazzo tentava di divincolarsi dalla sua presa, era cristallina. Sentiva il suo fiato contro la pelle e non voleva che smettesse.
« È tutto passato, è tutto passato. Lo giuro! »
Rideva, Elio, in mezzo all’erba. Rideva con le lacrime agli occhi, lungo gli zigomi e le tempie. Anche Oliver sorrideva, sopra di lui, davanti alla piscina.
Una margherita che cresceva in mezzo al prato si era insinuata fra le ciocche di Elio come un punto di luce nella sua chioma scura.
Era così bello, baciato dai raggi della luna, la pelle madida di sudore per quell’afosa notte estiva. Così bello che Oliver si chiese cosa avesse fatto per meritarlo e al contempo quale peccato avesse commesso per essere costretto ad espiarlo dividendosi da lui.
C’era tutto il mondo in quel momento, perché esistevano solo loro due. Lui, Elio, la sua risata e i loro sguardi. Lacrime, sì, ma di gioia, nel suo giardino a Crema.
Se avesse stilato una lista di cosa gli era sufficiente ma necessario per vivere, ci sarebbero stati pochi di quegli elementi. Lui ed Elio. E basta così, perché qualsiasi cosa l’avrebbero costruita poi, insieme. Sarebbe venuta da sé, se erano insieme. L’unica condizione necessaria.
« Mh… mi fido. »
Le dita di Oliver si ritirarono, gli diedero tregua. Rimasero sotto la stoffa solo per poter accarezzare la sua pelle e risalirono sul petto, all’altezza del cuore, perché forse non se ne intendeva di musica, ma quella di Elio gli piaceva. Il suo ritmo era inebriante.
« Dovresti trascrivere questa, di musica. »
« Smettila… »
« Guarda che io sono serio! »
E con l’orecchio sul suo petto Oliver inventò una melodia che canticchiò piano, le ciglia calate sugli occhi, prima che Elio ridesse e gli accarezzasse i capelli per farsi guardare.
Ma Oliver aveva già scelto di sollevarsi, perché voleva vederlo, bearsi di lui.
Occhi negli occhi, la mano di Oliver che gli scostava alcune ciocche dal viso. Sembravano le due persone più innamorate del mondo e forse lo erano davvero, in quell’estate del 1983. Le più innamorate di tutto il mondo. Lo erano state da quei caldi mesi italiani e lo sarebbero stati per sempre.
Oliver si guardò intorno. Un’occhiata fugace, rapida verso il portone di casa per controllare che Mafalda o Anchise o chiunque altro non fosse corso in giardino dopo i rumori, una con una scopa e l’altro con qualsiasi attrezzo avesse trovato lungo la strada. Se avessero saputo come toccava Elio, forse non si sarebbero fermati nemmeno davanti a Oliver. Eppure lo toccava così solo perché era il suo bene più prezioso.
Ma non c’era nessuno.
Si chinò, incombendo su Elio come uno dei suoi pensieri, uno di quelli che aveva smesso di far paura e rubò un bacio a quelle labbra calde che sapevano di sale, dei dolci che avevano mangiato dopo cena, di tutto ciò di cui poteva aver bisogno e anche di più.
Elio aveva sbagliato a guardare al futuro. Era ancora lì, in quel momento, non era passato nulla. Non era finito nulla.
Glielo aveva ricordato quel bacio d’infinito.
Estate 1983.
« La più bella estate della mia vita. Sei tu, Oliver. »



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Questa storia è stata molto... intensa, da scrivere. Come tutte quelle (due, attualmente) che ho scritto per Chiamami col tuo nome. Ma è così, con quest'opera: ho talmente tante cose da dire, mi perdo così tanto nella mente dei personaggi che mi pare di aver scritto un trattato. E beh, non si tratta proprio di 500 parole, in effetti.
Vorrei dedicare un ringraziamento speciale a Rika, perché sai che sono quella delle dediche <3 Hai dato un sapore speciale a Call me by your name e tu sai perché. Tornare a scriverci dopo questo è stato particolarmente piacevole <3
Che dire? Ringrazio chiunque abbia letto fino a questo punto: mi auguro che la storia vi sia piaciuta e che pur essendo un volo pindarico introspettivo vi vada di dirmi che cosa ve ne è parso.
Spero di tornare presto nel fandom! Alla prossima ~
   
 
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