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Autore: T612    22/05/2018    3 recensioni
*storia ri-pubblicata per problemi tecnici*
SPOILER INFINITY WAR
"Ne è valsa la pena? Non perdere il controllo? Nascondere i sentimenti come fossero segreti? Fingersi più grandi di quello che si è? Giocare d'astuzia come al solito?"
"E' l'unico modo"
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Breve avviso dalla regia:
La storia era già stata pubblicata, per motivi tecnici sono stata costretta a cancellarla e re-pubblicarla. Tutto quello che segue è uno SPOILER enorme degli ultimi cinque minuti di film. I personaggi non sono miei e non mi sono permessa di modificare il capolavoro creato dai (sadici) Fratelli Russo, è semplicemente una mia interpretazione di cosa hanno pensato i diversi personaggi in quei fatidici minuti finali. Buona lettura.
 
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della Marvel Comics/Marvel Studios; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
 
 
 
Thanos rise e schioccò le dita, un gesto estremamente semplice per un’azione estremamente distruttiva. “Avresti dovuto mirare alla testa” 
Ride, ha lo stomaco perforato ma ride perché solo un uomo accecato dalla vendetta preferisce infliggere una morte dolorosa e lenta piuttosto di una pratica morte istantanea. 
 
“Ne è valsa la pena? Uccidere metà dell’universo?”
“Si, ho salvaguardato la vita dell’altra metà.”
 
Quando Thor percepisce il movimento delle dita capisce ciò che Thanos gli aveva riferito con il sorriso sulle labbra. Fino a due secondi prima vedeva rosso e le parole non avevano suono, l’unica cosa importante era vendicare Loki. Dal silenzio della furia avverte un unico rumore: lo schiocco delle dita. 
Di colpo il mondo riacquista la capacità di esprimersi e capisce di aver fatto un errore di valutazione, un enorme errore di valutazione.
Il dio del tuono deve preservare la vita nei nove regni, non distruggere quella di metà universo. A mente fredda Loki non vale la vita di miliardi di persone, ma nella sua mente, in quel momento, era l’unica cosa importante. 
Vendicare quel fratello che ha amato più di sé stesso e che solo in punto di morte l’ha accettato, il fratello che per risparmiarlo ha ceduto il suo giocattolo preferito e la vita... Loki, che solo prima di morire ha ammesso di essere figlio di Odino, non per reclamarne la paternità ma perché Thor è suo fratello.
Un errore immenso ed ora tutti lo guardano con aria smarrita. 
Steve ha ancora tra le dita le ceneri del suo migliore amico, ha lo sguardo di chi non vuole arrendersi e accettare cosa è successo. Thor viene attraversato dal pensiero che forse, per la prima volta, Steve è stanco... stanco della vita, stanco di perdere Bucky, stanco come non lo è mai stato dopo una rissa.
Il super soldato si gira verso di lui e lo sguardo che Thor percepisce è comprensione, come se con quello sguardo Steve gli dicesse “se fosse morto Bucky avrei fatto la stessa cosa”. 
Thor osserva la desolazione che ha di fronte, i sopravvissuti e l’unica cosa che avverte è il vuoto. 
Vuoto e sensi di colpa.
 
“Ne è valsa la pena? Vendicare Loki?”
“No, non a questo prezzo.” 
 
Natasha non capisce. È stata addestrata nell’interpretare anche il più piccolo movimento dell’essere umano per carpire informazioni ma in quel momento non capisce. 
Non capisce dove ha sbagliato perché non è ammissibile un fallimento da parte di una ballerina della Stanza Rossa. 
Si guarda intorno, i capelli biondi vengono scompigliati dal vento. Per una frazione di secondo pensa che tutto si è concluso con la cenere, niente spargimenti di sangue, rosso come lo erano i suoi capelli. 
È più facile prendersela con una tinta di capelli piuttosto che prendersela con il caso, con un lancio di dadi che sancisce chi deve vivere e chi deve morire.
Guarda la cenere di quelle che fino a due minuti prima erano persone e si ritrova a pensare che a far incazzare Proxima Media Nox non ha guadagnato niente, al contrario ha perso tutto. 
Ha perso Wanda, quella formidabile ragazzina che ha imparato ad apprezzare solo attraverso il combattimento, l’ha addestrata, ha imparato ad ammirare la forza che trae dai suoi poteri e la tempra per uccidere l’amore della sua vita. Avrebbe voluto dirglielo ma non ce ne è stato il tempo, non ha avuto la possibilità di congratularsi con la donna che è diventata e non con la ragazzina che conosceva.
Ha perso T’Challa, un alleato prezioso, il re che ha aperto le porte del suo regno senza pensarci due volte. È morto prima che lei potesse ringraziarlo per ciò che ha fatto per tutti loro, per Steve e per Bucky.
Ha perso James, il suo maestro nella grande madre Russia ormai una vita fa, pentendosi di non avergli mai raccontato di loro due, aiutarlo nel recuperare la memoria... era più facile incolparlo delle sue azioni come Soldato d’Inverno ad Odessa piuttosto di ricordare ad entrambi del suo addestramento. 
Non osa immaginare il destino di Tony o quello di Clint. Di non aver mai chiesto scusa al primo per essere scappata lasciandolo solo al complesso nel momento in cui aveva più bisogno, e di non essere mai passata a trovare il secondo da quando è agli arresti domiciliari. 
Si ritrova a pregare con tutta sé stessa un Dio a cui ha smesso di credere, spera che Clint sia salvo, che Laura stia bene e che i bambini siano al sicuro nei loro letti. Le salgono le lacrime agli occhi solo al pensiero che c’è la possibilità concreta che quei letti siano ricoperti di cenere.
Ricaccia indietro le lacrime, scuote la testa e cerca qualcosa da fare... ma non c’è più nulla da fare... se la prende con sé stessa perché non sa come consolare Steve, un uomo più morto che vivo, il ritratto della disperazione fatto persona. 
Non piange solo per orgoglio, le parole che avrebbe voluto dire le muoiono in gola e rimane lì a contemplare la morte ponendosi continuamente ed inesorabilmente una sola domanda: “perché?”
 
“Ne è valsa la pena? Nascondere i tuoi sentimenti come fossero segreti?” 
“Non ci sono più segreti, solo parole non dette.”
 
Bruce si sente in colpa, come sempre del resto. Si è sempre sentito in colpa perché Hulk sfuggiva al suo controllo, non ha mai immaginata che si sarebbe potuto sentire in colpa per il motivo esattamente opposto. 
Sa quali sono i rischi, è consapevole che se Hulk prende il sopravvento un’altra volta rischia di non tornare più sé stesso, e in quel caso non ci sarà Nat con la ninnananna. Se perde il controllo il “sole non calerà più”. Non ci sarà quella meravigliosa donna che sta contemplando ciò che ha di fronte con occhi lucidi... sono passati due anni ed e consapevole che qualunque cosa aveva costruito con lei è stata spazzata via dal bestione verde.
Quel bestione che come un bambino di quattro anni si è rifiutato di combattere perché Thanos gli aveva tirato un pugno più forte del dovuto.
Hulk ha detto “no” e non capisce che se Banner muore anche lui tira le cuoia, che un’armatura contro un Titano non funziona. 
Bruce ha passato tutta la vita a sentirsi in colpa per aver perso il controllo mentre ora si pente di non averlo perso. 
 
“Ne è valsa la pena? Non perdere il controllo?” 
“No, avrei voluto perderlo” 
 
Rocket si sente solo come non si sentiva da anni.
Quill e gli altri idioti sono in un altro pianeta, probabilmente morti.
Non riesce a fare a meno di pensare che l’intera situazione è più grande di loro e che loro, da grandissimi scemi, si sono finti migliori di quello che sono per assecondare gli eventi. 
Credeva fosse divertente fingersi Capitano per assecondare l’errore dell’uomo-dio e al contempo far esasperare Quill. Non aveva messo in conto che un Capitano ha dei doveri, che vanno ben oltre ai convenevoli scambiati con Thor. 
Un Capitano deve garantire e preservare la vita del suo equipaggio.
Ora stringe tra le dita quello che rimane di Groot, quel piccolo rametto che ha cresciuto come un figlio e vorrebbe solo piangere. 
Nulla ha più importanza, non gli interessa più il braccio bionico di quello che chiamano Lupo Bianco, non gli interessa più essere il Capitano, non gli interessa più il pretendere di avere ragione su tutto. 
In quel momento gli andrebbe bene anche Quill, con le sue canzoni anni 80 e la sua stupidità ai massimi livelli. Gli basterebbe il 12% di un qualche piano su cui lavorarci sopra. 
Purtroppo ha solo il 99% di disperazione e l’1% di qualcosa di talmente indefinito da non venire considerato. 
 
“Ne valeva la pena? Fingersi più grande di quello che si è?”
“No, in realtà non ne sono mai stato in grado.”
 
Steve ha sempre seguito dei principi semplici, le basi delle regole universali: preservare la vita e combattere per essa. 
Erano gli stessi principi che l’avevano guidato durante la seconda guerra mondiale e che l’hanno spinto successivamente a combattere per gli Avengers. 
Ha sempre combattuto per un ideale, ha sempre pianto le morti dei compagni e ha sempre cercato di vedere il meglio delle persone. 
Tuttavia non ha mai accettato di sopravvivere a chiunque gli stesse intorno. Quando aveva ritrovato Bucky si era sentito a casa, uomini centenari al di fuori del tempo che si ritrovavano a vivere, perché anche quando non aveva niente aveva Bucky. 
Per un crudele scherzo del destino le loro traiettorie erano destinate a separarsi sempre, erano destinati a rincorrersi e quando finalmente si raggiungevano venivano separati di nuovo, avanti così in un circolo vizioso. 
James aveva deciso di farsi ibernare per la sicurezza di tutti, soprattutto quella di Steve, conscio che se fosse riuscito a completare l’ultima missione affidatagli dall’HYDRA non si sarebbe mai perdonato. 
T’Challa doveva un favore ad entrambi e gli aveva garantito un posto sicuro e le migliori cure. 
Erano riusciti a contattarlo, nonostante la latitanza, quando Shuri era riuscita a stabilizzare le connessioni neurologiche in modo produttivo e non distruttivo. Era partito in solitaria, aveva inventato una scusa ed era partito dubito per il Wakanda. Sapeva che Natasha aveva finto di credergli ma non aveva fatto domande.
Appena il ghiaccio si era sciolto e le funzioni vitali si erano stabilizzate le prime parole di Bucky erano state: “Steve...quanto tempo è passato? Sono guarito?”
Shuri si era intromessa e aveva spiegato loro che era passato solo qualche mese e che una cura certa non c’era, ora era stabile e potevano tentare con una sorta di terapia.
Steve aveva sperato che quei momenti, dividendosi tra la latitanza e il Wakanda, potessero durare per sempre. 
Nelle sue ipotesi migliori immaginava un futuro in cui Ross smettesse con la caccia all’uomo, lui potesse andare in “pensione” e passare il resto dei suoi giorni con Bucky recuperando più di settant’anni di momenti mancati. 
Buck gli aveva raccontato di come fosse strano adattarsi al mondo dal lato della luce, senza il bisogno di nascondersi. Gli aveva spiegato come era rimasto interdetto dalla gentilezza dei medici e il carattere solare di Shuri. Come, a differenza dell’HYDRA, tutti erano preoccupati a farlo stare bene, nel cercare la terapia meno dolorosa, l’approccio meno invasivo alla sua mentre già martoriata. 
In uno dei loro ultimi incontri gli aveva riferito come si trovava finalmente in pace, di aver trovato un equilibrio in quella oasi felice, un piccolo paradiso personale. 
Steve aveva accolto con gioia la notizia che il suo migliore amico aveva recuperato gran parte dei ricordi del fronte, si ricordava di Peggy e l’aveva preso in giro sul fatto che nonostante fosse un totale incapace con le donne era riuscito a fare colpo sull’unica testarda tanto quanto lui. 
Aveva qualche difficoltà con i ricordi del Soldato, gli aveva semplicemente riferito che in mezzo all’orrore aveva amato ed era stato ricambiato, non ricordava chi fosse la ragazza, aveva un vago ricordo di essere stato costretto a spararle ma non di averla uccisa.
Tuttavia non aveva idea di cosa le fosse successo in seguito e gli aveva spiegato come gli sarebbe piaciuto ricordarsi di lei... anche solo per attribuire un nome ad un’ombra che alleggiava nei suoi ricordi fatti di ghiaccio e neve. 
Steve aveva capito che le cose sarebbero irrimediabilmente andate male quando il vecchio telefono a conchiglia era squillato, ne aveva avuto la certezza quando al posto della voce di Tony aveva sentito quella di Bruce.
Dopo lo scontro ad Edimburgo l’unica opzione rimasta era rifugiarsi da T’Challa, l’unico con le risorse per risolvere parzialmente i loro problemi. 
Appena James l’aveva visto aveva proferito le parole che Steve non aveva ancora voluto ammettere. 
Tre parole: fine del mondo.
L’unico pensiero che lo consolava era che se dovevano morire almeno sarebbero morti insieme. 
Si era aggrappato con tutto sé stesso a quella speranza che, puntuale come un orologio svizzero, era stata infranta nel giro di due secondi. 
Con uno schiocco di dita Thanos aveva decretato la fine della vita nell’universo di metà dei suoi abitanti. Quante probabilità c’erano che sopravvivessero? Il 25%? 
Bucky l’aveva chiamato, aveva detto “Steve” e poi si era disintegrato in un cumulo di cenere. Aveva aspettato di dissolversi a sua volta, aveva sperato di diventare cenere anch’esso ma non era successo. Aveva avuto una speranza a portata di mano che gli era scivolata tra le dita.
In quel momento aveva deciso di voler morire. 
Era stanco di sopravvivere, era stanco di perdere James, era stanco di combattere un destino che non era mai a suo favore. 
Lentamente si fece strada il senso di colpa perché, esattamente come settant’anni prima, non aveva potuto fare nulla per evitare la morte del suo migliore amico. 
Aveva detto “Steve” con una nota di panico nella voce, non perché avvertiva la morte imminente ma perché voleva assicurarsi che fossero vivi entrambi. In un certo senso Bucky si sentiva ancora responsabile per Steve, per uno scherzo cosmico aveva avuto la possibilità di mettersi l’anima in pace e vederlo prima di morire. 
Steve non voleva vivere in un mondo dove non c’era James, non riusciva a trovare le forze per mostrarsi invincibile e consolare gli altri. 
Per una volta voleva solo comportarsi come il ragazzino di Brooklyn a cui è morta la mamma, voleva mostrarsi debole ed indifeso, voleva prendersi il lusso di piangere... ma questa volta non c’era Buck a consolarlo, non restava nemmeno il corpo di Buck da seppellire. 
Restava cenere. Cenere di un uomo la cui vita bruciava di gioia intensa più di tutti loro messi insieme. 
Capitan America combatteva per la giustizia ma la cenere che gli scorre tra le dita ne è la prova che di giustizia, in questo mondo, non ne esiste. 
 
“Ne è valsa la pena? Combattere l’ennesima guerra per la tua nazione?”
“No, una volta mi è stato detto che nel futuro non ci sarebbero più state nazioni per cui combattere... il futuro è arrivato, rimane solo morte e distruzione.” 
 
Solo. Abbandonato. Esausto. Sconfitto.
Ecco come si descriveva Tony in quel momento. 
Solo, in un pianeta lontano anni luce da casa sua e senza possibilità di fare ritorno.
Abbandonato, un naufrago in un mare di disperazione, in una città rasa al suolo cosparsa di cenere.
Esausto, dilaniato e mezzo morto, l’armatura che avrebbe dovuto proteggerlo era stata usata per ferirlo, la nanotecnologia lo stava guarendo ma non ne vale la pena per un uomo che dentro si sente morire. 
Sconfitto, perché nonostante il tentativo di costruire un’armatura per proteggere il mondo, una dopo l’altra inesorabilmente avevano tutte fatto cilecca. C’era sempre una falla, un malfunzionamento, un imprevisto ed i suoi peggiori incubi si erano avverati. 
Peter era solo un ragazzino, era un nerd, era educato ed una brava persona. 
Quel suo “Signor Stark non mi sento molto bene” era stato riferito con un tono di scuse, come se fosse sua la colpa della follia del Titano omicida e per questo si dispiaceva di averlo deluso. 
Quando aveva capito cosa stava succedendo “non voglio morire” era diventato un mantra, guardava il suo mentore, la figura paterna che non aveva avuto con uno sguardo terrorizzato. 
Tony non aveva saputo cosa fare, quello che stava accadendo era qualcosa che nemmeno lui riusciva a controllare. L’aveva stretto a se, non aveva avuto il tempo di chiedergli scusa per essere stato così freddo nei suoi confronti che si era ritrovato ad abbracciare la cenere. 
Colui che considerava come un figlio era diventato un mucchietto di cenere che si era dispersa sul terreno. Peter era quel figlio che non aveva ancora avuto e si ritrovò a pensare a Pepper. 
La donna che da lì a qualche settimana diventerà sua moglie, la donna che vuole sia la madre dei suoi figli. Preso dallo sconforto si ritrova a pensare che forse quello che rimane della sua sposa e del suo futuro è un mucchietto di cenere. 
Non capisce e si incazza perché tutto questo poteva essere evitato se Starlord non avesse disubbidito al piano oppure Strange non avesse consegnato la gemma del Tempo. 
Il primo lo capiva, venire a conoscenza che l’amore della sua vita era stato ucciso senza battere ciglio da Thanos era una notizia di per sé devastante, lo capiva se aveva approfittato del fatto che il Titano era costretto a terra inerme per colpirlo. Tony avrebbe fatto esattamente la stessa identica cosa. 
Strange invece era risultato un ipocrita, una persona caratterialmente così simile a lui che vantava un’integrità morale superiore di quella di Tony stesso, aveva contribuito ad annientare l’universo che tanto si prestava a proteggere solo per salvare un uomo già morto. 
In fondo in fondo Tony si considerava un uomo già morto. 
L’unica scusa che aveva fornito prima di dissolversi era stata: 
“È l’unico modo”
È l’unico modo per cosa? Condannarci o salvarci tutti? 
Se almeno Strange avesse condiviso i suoi piani anche con lui Tony saprebbe cosa fare, saprebbe se c’è una speranza di salvezza... peccato che anche in quello erano simili. L’effetto a sorpresa, il cogliere alla sprovvista l’avversario, giocare d’astuzia e fare cose illogiche che si rivelavano di fondamentale importanza era la base dei migliori piani strategici di Tony. 
Se tra i miliardi di futuri possibili c’era una sola possibilità che gli Avengers vincessero quello doveva essere “l’unico modo”. 
 
“Ne è valsa la pena? Giocare d’astuzia come al solito?”
“È l’unico modo.”
   
 
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