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Autore: g21    23/05/2018    2 recensioni
Tony e Steve dopo gli eventi di Infinity War, perché dove non arrivano i Russo arrivo io
Dedicata a Spoocky per il suo compleanno e per tutto il resto
Partecipa al contest "Keep calm e... fatemi amare il vostro personaggio preferito! II edizione" indetto da Elettra.C sul forum di EFP
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wish you were here
 
 
We’re just two lost souls
swimming in a fish bowl
year after year
 
 
Entro nella cucina del complesso e non mi è mai sembrata così grande, così vuota. L’androide mi ha riportato sulla Terra, non ne potevo più di stare lontano senza nessun volto amico. Rientrando ieri sera ho notato subito l’assenza di Pepper, che ho trovato ai piedi del frigorifero, in un mucchio di cenere anonima.

Anche per lei è successo come per Peter e tutti gli altri, dopo la riuscita del piano di Thanos. Se n’è andata senza lasciar detto niente, ma come avrebbe potuto? Nessuno sapeva che sarebbe toccato a lei. Ho messo quello che è rimasto della mia futura sposa, che ora non potrò più sposare, in un vaso che ho posto sul mobile della cucina.

Ho mostrato una camera a Nebula e ho tentato, almeno in parte, di curare la ferita inferta dal titano. Dopo una doccia veloce sono andato a letto.

Sdraiato sul materasso, ora troppo grande per una persona sola, cercavo di non pensare a niente, provando a dormire. La notte è stata un incubo continuo. Non ho contato le volte in cui ho visto morire Peter, troppe. Anche i ricordi del primo attacco a New York sono tornati a farmi visita e mi sono sentito precipitare almeno una decina di volte. Poi, questa mattina, ho rivissuto lo scontro con Steve, un ricordo che ancora fa troppo male, nonostante siano passati anni.

Così mi sono deciso ad alzarmi ed eccomi qui, appoggiato alla penisola, alle 6.40 di mattina, mentre decido di farmi un caffè bello forte.

Il mio sguardo corre verso uno dei ripiani più alti, dove la mia mano non arriverebbe stando in quella posizione. Prendo una sedia e mi ci arrampico sopra, aprendo lo sportello che stavo guardando da qualche minuto. Trovo subito ciò che cercavo e appoggio la tazza sul piano di marmo, richiudendo il mobiletto. Scendo dalla sedia troppo velocemente, così sono costretto a chiudere gli occhi prendendomi la testa tra le mani. Maledetto supersoldato troppo alto, non poteva metterla da un'altra parte la sua amata tazza, vero? Al diavolo, penso. Afferro il recipiente e preparo una doppia, anzi, tripla dose di caffè.

Percorro con gli occhi i dettagli della tazza. Tonda, blu notte e con il manico. Una bandiera americana seguita dalla scritta "America" che richiama i colori del vecchio scudo di Steve. Mi sfugge un sorriso. Il soldato non ha mai permesso a nessuno di usarla. È stato il suo primo acquisto del ventunesimo secolo. Non si accorgerà che l'ho usata io, lui qui non c'è, non può vedermi.

"Come sei arrivato lassù?" chiede qualcuno. Non faccio caso alla voce tremendamente familiare mentre il caffè caldo scende in gola. "Con la sedia" rispondo con uno sbuffo annoiato. Sento l'intruso ridere appena facendo qualche passo verso di me.
"Sai che il proprietario della tazza potrebbe arrabbiarsi?" domanda ancora, con quel tono irritante che non sopporto.

Lascio il recipiente sul tavolo e roteo gli occhi. "Lui non è più qui" rispondo piano, nostalgico. Lo sento sospirare, ma ancora non lo guardo, ho paura di crollare. "Ne sei sicuro?" chiede ancora. Io, stanco di quel gioco, mi volto di scatto, pronto a prendere a pugni quello scocciatore. "Insomma, chi sei? La mia..." sbotto io, sentendo le parole restanti bloccate in gola.

Di fronte a me un ragazzo alto e robusto, con i capelli biondi perfettamente in ordine e due pezzi di cielo al posto degli occhi.

"Solo Steve" risponde quello con un sorriso.

Arretro fino a scontrarmi con lo sgabello della penisola, gli occhi sgranati per la sorpresa e la bocca semiaperta. "Devo segnarmi questo giorno. Il logorroico miliardario Tony Stark resta senza parole. Quando lo racconterò agli altri ci sarà da ridere" ammette tranquillo, il sorriso che non accenna ad andarsene. "Tu, cosa... cosa ci fai qui?" riesco a chiedere, una volta che la voce sembra essere tornata. Il soldato fa qualche passo verso di me.

"Mi sei mancato, Tony" risponde quello, con un tono troppo sincero e pulito per sembrare vero. Riprendo il caffè e ne mando giù un altro sorso. "E tu non mi sei mancato per niente" decido di mentire, usando un tono neutro che tradisce le mie intenzioni. Steve si rattrista, gli occhi che vanno verso il basso ed il volto serio. "Pensavo fossi cambiato almeno un po'" commenta il biondo piano. Io rido, una risata falsa, dettata solamente dalla mia confusione. "Cambiato io? Allora non mi conosci abbastanza bene come vuoi dimostrare, Cap" ammetto.

Prendo un altro sorso di caffè e provo a distogliere l'attenzione dal soldato, inutilmente. "E comunque, come sta andando con il tuo vecchio amico, Bucky?" domando più per impegnare il tempo che per pura curiosità, anche se spero di scoprire qualcosa, qualsiasi dettaglio.

Steve si porta una mano nei capelli, lo fa sempre quando è imbarazzato. Ed io lo conosco troppo bene e ricordo le sue abitudini ed i suoi piccoli tic, nonostante stia cercando di dimenticarlo.

"Va bene. Lo sto aiutando nella ripresa della vita quotidiana e non se la cava male" risponde lui sorridendo, ma subito cala un'ombra sul suo viso. "Senti, mi dispiace per..." inizia lui senza possibilità di continuare. Io ho appoggiato la tazza, ormai vuota, sul piano di marmo con uno scatto e ora guardo il biondo come quando ho scoperto della morte dei miei genitori.

"Non ti dispiace veramente, avresti per lo meno provato a spiegarmi meglio invece di sparire con il tuo amichetto" affermo acido, forse troppo, ma se lo merita, penso. Rogers mi guarda ferito, come se non si aspettasse quelle parole proprio da me. "Ti ho scritto e..." prova ancora il capitano senza riuscire nel suo intento.

"Mi hai lasciato da solo, con l'unica consolazione di quella dannata lettera e quel cellulare del giurassico. L'ho letta, sai? Più di una volta al giorno, durante il primo mese. La tenevo nel comodino, accanto al telefono che mi hai fatto avere. Come vedi, però, non ho mai avuto bisogno del tuo aiuto" sputo tutto con disprezzo, senza riuscire a guardare negli occhi colui che è stato, per anni, il mio compagno di squadra.

In realtà avrei voluto chiamarlo tutti i giorni, avevo bisogno di parlargli, di sentire quella voce, ma lui non lo deve sapere. "

"Tony, mi dispiace. Non potevo lasciare Bucky da solo, non dopo quello che è successo" si scusa lui, di nuovo.

Prendo in mano la tazza e finisco in un sorso tutto il caffè rimasto. "Così hai preferito lasciare da solo me, dopo uno scontro che neanche i peggiori nemici. Sapevi che non avrei trovato nessuno a casa, avevo appena saputo che i miei genitori erano stati uccisi da quella macchina che hai portato via con te, come se non bastasse hai anche spezzato in due il mio reattore" elenco con la voce che si fa sempre più alta.

Il reattore spaccato a metà lo ricordo bene, anche il mio cuore si è spezzato in quel preciso momento.

"Hai avuto il coraggio di abbandonare il tuo scudo, immagino per pietà. Ed ora torni come se non fosse successo niente. Andiamo, Steve, sul serio?" concludo non lasciandogli il tempo di parlare. Sento gli occhi pizzicare, ma non voglio cedere, non davanti a lui, non dopo tutto quello che gli ho detto. "Ora grazie, ma il tuo aiuto non mi serve. Puoi andare, capitano" lo saluto, impregnando l'ultima parola con tutto il disprezzo a mia disposizione.

Il biondo fa una faccia stupita e rattristata.

"Tony..." chiama lui, quasi in un sussurro. Chiudo gli occhi e respiro pesantemente, cercando di darmi un contegno. "Puoi andare, soldato, hai concluso la missione" lo congedo nuovamente. Steve, però, non vuole lasciar perdere e si avvicina a me di un passo. "Tony, io..." prova a farmi cambiare idea, ancora. Allora non ci vedo più dalla rabbia e decido di sfogarmi.

"Vattene, Rogers. Non abbiamo più niente da dirci" gli urlo contro, per poi lanciargli addosso la sua amata tazza. Questa si infrange al suolo, mentre Steve scompare, come ha fatto Peter, una volta che viene attraversato dalla ceramica.

La rabbia svanisce in poco tempo, sostituita presto dalla stanchezza accumulata e dalla tristezza che si insinua liberamente dentro di me, senza trovare alcuna barriera, troppo stanco per crearne una di mia spontanea volontà. Mi ritrovo in ginocchio, le mani che tremano accarezzano i cocci blu, bianchi e rossi. Le lacrime scendono, non ho la forza di fermarle.

"Steve" chiamo, tra un singhiozzo e l'altro. "Ho rotto... ho rotto la tua tazza preferita" spiego al vuoto, so che nessuno mi sente. "Non lasciarmi anche tu, Steve, non lasciarmi da solo" chiedo con la voce che trema e le lacrime che non smettono di scendere. "Steve!" lo chiamo, con tutta la forza e la voce che ho, incurante di chi mi possa sentire. Porto le mani al volto e mi piego su me stesso.

Dopo tempo, secondi, o minuti, sento una mano fredda poggiarsi con delicatezza sulla mia spalla. Alzo la testa con uno sforzo e l’unica cosa che riesco a vedere, tra le lacrime, è una figura blu china su di me. Asciugo il volto con uno scatto e provo ad osservare meglio la persona davanti a me. Riconosco meglio il colore, diverse sfumature di blu, e una specie di sorriso che incurva le labbra della ragazza.

Ragazza? Torno con la mente al giorno prima e mi do mentalmente dello stupido. È Nebula, l’androide che ho conosciuto su Titano. Questa mi offre una mano e l’afferro senza pensarci. Una volta in piedi provo a sorridere. “Scusa, se ti ho svegliato. Di solito non tratto in questo modo gli ospiti, ma, come sai, la situazione non è delle migliori e…” inizio a spiegare senza prendere fiato. Lei, però, mi ferma con la mano e si stringe nelle spalle. “Non ho dormito, non preoccuparti” ammette senza tonalità.

“Cosa hai intenzione di fare?” chiede poi, guardandosi in giro. Apro la bocca per rispondere, ma non escono suoni. Non so cosa fare, è la prima volta in tutta la mia vita che non ho la minima idea di come procedere.
“Signore, se le interessa sono entrata nel navigatore del Quinjet utilizzato dai ricercati ed ho trovato le coordinate per il Wakanda. Secondo me la cosa migliore da fare è raggiungere i restanti Avengers” spiega la voce metallica appartenente alla mia AI. Sorrido a metà. F.R.I.D.A.Y. ha fatto un ottimo lavoro, ma raggiungere l’Africa vorrebbe dire raggiungere la vecchia squadra che, come minimo, ce l’ha ancora con me per quello che è successo due anni fa.

Significherebbe raggiungere Steve, ma non so se vorrà vederti ed io non sono proprio dell’idea di parlarci assieme.

“Va bene, raggiungiamo gli altri. Dammi solo cinque minuti per preparare quello che potrà servirmi” affermo controvoglia. Poi esco dalla cucina e raggiungo il mio laboratorio. Metto in uno zaino il cambio, qualche oggetto del mestiere, prendo una valigetta con dei pezzi aggiuntivi alla mia armatura, recupero gli occhiali, servono sempre, e mi fermo ad osservare un oggetto appoggiato alla scrivania. Tempo qualche secondo e prendo in mano lo scudo di Rogers, magari potrà servirgli.

Torno dall’androide e le sorrido. “Andiamo. Ti faccio conoscere gli eroi più forti della terra” la avverto, per poi raggiungere il secondo jet della base e partire in direzione Africa.

Il viaggio è tranquillo, imposto il pilota automatico così posso lavorare alle nanotecnologie e, almeno in parte, sistemarle. Nebula mi osserva in silenzio, ho capito che è una di poche parole. Ad un tratto si alza per fare due passi e mi tocca una spalla. “Questo Wakanda è bello” commenta guardando fuori. A sentire quella parola mi alzo quasi di scatto e la raggiungo. Sotto di voi scorrono praterie immense e i colori caldi di quel continente.

“Saremo in Wakanda tra cinque secondi” ci avverte F.R.I.D.A.Y. tranquilla. Appoggio una mano al sedile, ma non serve a molto. Lo scenario che ci si presenta è uno dei più tristi e brutti di sempre.

Alberi bruciati, così come i prati. I colori molto diversi da quelli che ti eri immaginato. La città è sprofondata nel silenzio, una quiete surreale.

“Sono la regina Shuri, parlo per il regno del Wakanda. Identificatevi, o sarò costretta ad abbattervi” una voce inespressiva riempie il silenzio che era calato nel jet. Mi riscuoto subito e provo a mantenere la calma. “Sono Tony Stark. Vengo in pace e cerco asilo insieme ad un’amica conosciuta da poco” rispondo, facendomi portavoce anche di Nebula, grazie alle mie doti sociali. Ricevo un verso d’assenso da parte della regina e, poco dopo, atterriamo davanti a quello che penso sia il palazzo reale.

Metto lo zaino sulle spalle e prendo la valigetta in una mano e lo scudo nell’altra. Scendo dal jet e subito il mio cuore salta un battito.

Rodhes, in piedi di fianco alla donna che immagino sia la regina, che mi sorride. Lo raggiungo senza pensarci e lo stringo in un abbraccio che mi da forza, dopo aver appoggiato in terra gli oggetti che ho portato con me. “È un piacere rivederti, amico” lo saluto sorridendo sulla sua spalla. James mi stringe di più a sé e lo sento sorridere. “Tony, ho pensato il peggio” risponde lui, la voce calma che trema appena. Quando ci stacchiamo sorridiamo entrambi, io, ora, leggermente più tranquillo sapendo che Rodhey non è sparito ed è lì con me.

“Lei è Nebula, un’androide. È la figlia di Thanos, ma lo odia perché ha ucciso sua sorella, una tipa verde che è arrivata con altra gente che è sparita. Tienila d’occhio, anche se non penso voglia fare qualcosa, altrimenti mi avrebbe già ucciso” spiego in fretta come mio solito.

“Io devo… devo vedere una persona” lo avverto poi, tutta la sicurezza di prima scomparsa.

Prendo la valigia e lo scudo e guardo Rodhes negli occhi. “Sali le prime scale a destra, prosegui per il corridoio e lo trovi nella seconda stanza sulla sinistra” mi fa sapere lui. Annuisco velocemente e provo a sorridere, prima di dirigermi verso l’entrata del palazzo. Seguo le indicazioni ed arrivo subito alla stanza. La porta è aperta e sento parlare.

Riconosco Natasha e Bruce che discutono su quello che si potrebbe fare. Una volta sulla soglia vedo anche Thor, di spalle come gli altri. Steve è in un angolo in silenzio, le mani lungo i fianchi e lo sguardo che osserva quello che succede fuori grazie alla grande finestra che da sull’esterno.

Vorrei parlare, ma le parole non escono, così attiro l’attenzione appoggiando gli oggetti che ho con me ai piedi di un tavolo lì vicino, insieme al mio zaino.

La spia è la prima che si volta verso il rumore da me provocato e mi guarda stupita. “Tony. Sei solo?” chiede semplicemente. Faccio un mezzo sorriso, non è cambiata poi molto. “Io e un’androide. Lei mi ha aiutato a tornare sulla Terra, altrimenti sarei rimasto su Titano. Curioso, no? Io e lei, figlia di Thanos, gli unici sopravvissuti ad una battaglia sul suo pianeta natale” rispondo, utilizzando un tono ironico solo alla fine, più come autodifesa che per altro.

Bruce mi si avvicina lentamente e mi sfiora appena il braccio. “Sei stato su un altro pianeta? E gli altri?” chiede incredulo. Mi stringo nelle spalle cercando un’indifferenza che non posso più provare. “Sì, sono stato su un altro pianeta, nonostante la mia paura per quelle cose. E gli altri hanno fatto la fine di quelli che sono scomparsi anche qui. Peter, il ragazzo ragno che era sotto la mia protezione, in un certo senso. E altra gente, un tizio del Missouri, Quill, una tizia verde, una certa Gamora, figlia adottiva di Thanos, e altri due. Anche Strange, una specie di mago, molto coraggioso. E Pepper, l’ho trovata in cenere quando sono tornato alla base” rispondo allo scienziato, sentendo il cuore rompersi in più punti ad ogni nome.

L’asgardiano si volta e prova a sorridere. “Avrei combattuto volentieri al fianco di Quill, un tipo simpatico, nonostante tutto. Comunque siamo tutti nella stessa situazione. Vado a dire al coniglio che ha perso tutti i suoi compagni, non ne sarà felice” commenta il dio, per poi uscire dalla stanza, non prima di lasciarmi una pacca sulla spalla.

I miei occhi si posano subito su Steve, che non ha detto una parola da quando sono entrato e mi irrita non poco.

“Bruce, vado a prendere un po’ d’aria. Vieni?” propone la russa al gigante verde, che ultimamente ha problemi di comunicazione con chi lo ospita. L’uomo tentenna qualche secondo, poi accetta ed insieme escono. Lancio un’ultima occhiata a Natasha, per ringraziarla, che mi risponde indicando il soldato, ancora in piedi, con la testa.

La camera ora è immersa nel silenzio, nessuno sa da dove iniziare, così io, dopo qualche minuto, inizio con quello che è successo quella mattina.

“Ho rotto la tua tazza preferita” lo informo, aspettando la sua reazione. Il soldato sospira appena e si volta verso di me di qualche grado. “Hai usato la mia… no, domanda sbagliata. Cosa c’entra con tutto quello che è successo?” chiede lui non capendo. Faccio un piccolo passo in avanti, per avvicinarmi, ma non troppo.

“Ho deciso di ricominciare con te. Questa volta niente bugie” rispondo sincero, provando a sorridere. Steve mi guarda un istante, poi torna a guardare fuori. “E hai deciso di farmi sapere anche le cose più inutili?” domanda ancora, poco convinto.

Mi passo una mano sul volto, cercando le parole giuste. “So che sembra strano, hai ragione, è strano anche per me, ma puoi ascoltarmi? Perché sì, può essere una cosa inutile, quella della tazza, ma si inizia sempre dalle cose meno utili, per poi… per poi nascondere molto di più” spiego, omettendo la faccenda dei miei genitori, non voglio tornare a quel giorno, non ne avrei la forza.

Adesso Rogers è completamente rivolto verso di me, ma ancora non mi guarda. “Quel molto di più è…?” prova il biondo, lasciando cadere la domanda. Annuisco piano, mentre anche io decido che è meglio osservare ciò che succede fuori.

“Sì, ma adesso non c'entra. Lasciami parlare, altrimenti perdo il filo del discorso. Quello che voglio dirti è che… mi manca. Mi manca prima, quando eravamo compagni di squadra, quando eri troppo perfetto e non ti sopportavo, mi mancano le nostre discussioni, riguardo qualsiasi cosa. E, più di tutto, mi manca lavorare insieme, in battaglia e fuori. Ho bisogno di ridere perché sei negato per la tecnologia, di prenderti in giro per il tuo essere vintage. In poche parole, mi manchi tu” elenco, sperando di creare una qualsiasi reazione nell’uomo di fronte a me. Vedi Steve incurvare leggermente le labbra, ma forse è solo immaginazione.

“Forse quello che è successo doveva avvenire comunque, o forse ci siamo lasciati trascinare dagli eventi perché, ormai, siamo vicino alla pensione. Tu sei ampiamente fuori margine di tempo” continuo con una mezza risata a concludere. Lui sbuffa appena e capisco che sto facendo leva sul punto giusto, perché, finalmente, porta i suoi occhi azzurri nei miei.

“Quello che voglio dire è che non mi interessa più di quello che è successo, i miei genitori, Bucky, gli accordi. O meglio, non mi interessa a tal punto da cancellare ciò che siamo stati e che possiamo essere ancora” concludo, tornando a guardare in terra, o, comunque, da qualsiasi altra parte ad eccezione dei suoi occhi.

Sento il mio cuore accelerare, forse ho parlato troppo, o non lo so nemmeno io, solo adesso sento la paura di quello che potrebbe dirmi il biondo. Strofino le mani sui pantaloni, sto sudando e sto aspettando decisamente troppo per una risposta.

Una mano sulla spalla mi riscuote, spaventandomi leggermente. Alzo la testa ed incrocio lo sguardo con quello di Steve.

“Tony…” mi chiama lui in un sussurro.

Poi, in un secondo, il soldato si avvicina ancora di più e si stringe a me con tutta la forza di cui dispone. Resto bloccato per qualche secondo, non ho minimamente pensato a quella possibilità, ma mi riprendi. Porto le mani sulla schiena del biondo e sorrido tra le sue braccia.

Mi è mancato troppo questo ragazzone troppo puro e pulito per i miei standard.

Quando ci stacchiamo lo guardo negli occhi e noto che sono lucidi, come i miei. Poi guardo meglio la barba che si è fatto crescere. “Questa barba magari la tagliamo un po’” consiglio con un sorriso ironico. Lo vedi alzare gli occhi al cielo e sorridere. “Mi sei mancato, Tony” ammette Steve. Sorrido anch’io. “Anche tu mi sei mancato, Steve” rispondo sincero.

Non so come andrà a finire questa storia, ma sono felice. Sono di nuovo al fianco di Steve, l’importante è solo questo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Angolo autrice

Ed eccomi che sbarco anche su questo fandom, ma, detto tra noi, dopo Infinity War non si poteva non scrivere qualcosa. E dove non arrivano i Russo arrivo io, perché sì, ho sognato questo incontro in tutti i modi possibili e… niente, non ci hanno fatto vedere niente, questi due sono stati divisi per tutto il film. Quindi i miei neuroni sopravvissuti al film (non tanti) si sono messi a lavorare ed è nato questo. L’avevo pensato più corto, ma niente da fare. Tra l’altro è il mio lavoro più lungo, troppo strano

Ringrazio più che gentilmente Spoocky che mi ha concesso il titolo e che ha potuto leggere in anticipo il suo regalo di compleanno. Questa storia è stata pensata anche per lei, in quanto anche noi due abbiamo avuto un momento di stallo, come i due di cui ho parlato qua sopra, e ne siamo uscite (quindi ci riusciranno anche questi due idioti). Non è slash (in quanto la ragazza a cui ho dedicato la shot mi ucciderebbe), ma chiunque voglia immaginare qualcosa dopo questo abbraccio è libero di farlo. E poi, adesso c’è Pepper, quindi sto con lei 

Ringrazio chiunque passi anche solo a leggere questa mia cosa e faccio ancora gli auguri a Spoocky, mia personale “Steve Rogers” (perché sai benissimo che Tony Stark sono io…) e mio supporto in tutto (ad eccezione della Stony, so che sei per l’altra parte, ma ti voglio bene uguale) che ringrazio anche per i commenti “in diretta” e per i piccoli aggiustamenti d’obbligo

Giulia

P.S. quello che Tony dice a Steve in Wakanda è, in parte, preso da una canzone che, se non conoscete, vi consiglio. È  “Almeno stavolta” di Nek e appena l’ho ascoltata ho visto questi due uno di fronte all’altro e ho deciso di inserirla in qualche modo
 
  
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