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Autore: milly92    05/07/2009    4 recensioni
Ventisei anni, una laurea in inglese, un fidanzato storico e un anello di fidanzamento : ecco tutto ciò che Isabel ha quando arriva al collegio “G. Pascoli” . Ha lottato duramente per costruirsi una vita, e crede di essere giunta ad un buon punto quando invece non sa che dal momento in cui metterà piede in quella scuola come insegnante le carte in gioco si mescoleranno e la sua vita non sarà più la stessa, anzi, piuttosto i sentimenti…. E tutto a causa (o grazie?) di un certo collega…
Genere: Romantico, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anche I Prof Hanno Un Cuore

Capitolo 1

Benvenuta Al Collegio

L’unica cosa che Isabel aveva sempre amato con tutta se stessa era stato il paese nativo di sua madre, Susan McKing, l’Inghilterra. Sin da quando Isabel era bambina, la donna, che non conosceva poi così bene l’italiano, dal momento che abitava in Italia da pochissimo dopo aver sposato il suo amore di sempre Giacomo Natale, non aveva potuto fare a meno di parlare la sua lingua madre con la sua primogenita, e fu così che già verso i sette anni Isabel aveva una padronanza dell’inglese simile ad un ragazzino che si appresta a studiare una lingua straniera ad un livello intermedio.

Ragion per cui, l’unica cosa che l’aveva distinta durante la sua carriera scolastica era stata la padronanza della lingua inglese, e ciò l’aveva portata ad iscriversi alla facoltà di Lingue all’Università. La sua aspirazione? Diventare insegnante, una semplice professoressa liceale, ben lungi dalle aspirazioni delle sue compagne di università, future hostess o cose simili. Lei voleva solo insegnare quella lingua e quella cultura che riteneva favolose ai ragazzini che vivevano quell’età un po’ difficile che era l’adolescenza, aiutarli, e non essere la solita professoressa avara di voti, isterica e pazza. Già i suoi insegnanti erano stati così con lei, per carità, e di certo non voleva maturare una sorta di vendetta con i suoi futuri alunni che di colpe non ne avevano nessuna.

Fu così che verso la soglia dei ventisei anni, dopo la specialistica e la prima supplenza in un liceo linguistico di tre mesi, un freddo giorno di fine ottobre venne convocata per una supplenza in un collegio vicino Latina, che si sarebbe protratta fino alla fine dell’anno.

“Secondo me dovresti accettare, insomma, fa parte della gavetta, altrimenti come fai a passare di ruolo?” le aveva detto sua sorella Alice, che non era una comune Alice, no, era un’ “Elis”, come precisava a chiunque leggesse il suo nome sulla carta d’identità, il passaporto o da qualunque altra parte nel modo italiano. No, lei aveva radici inglesi, e ci teneva a precisarlo per distinguersi. Ne andava fiera.

“Si, ma come diavolo faccio? Lo sai che le nozze sono state fissate per il 21 giugno, è un collegio e dovrò stare lì 24 ore su 24 tutti i santi giorni escluso il fine settimana” si era lamentata Isabel, togliendo una ciocca castana dalle spalle sottili e squadrando sua sorella con aria nervosa, in modo che i suoi occhi chiari risultassero più dilatati del solito.

“Giusto, le nozze, poverina! Ma che te ne frega, il tuo adorabile Giulio è così iper organizzato che sistemerà tutto in pochissimi giorni, e poi sei libera nei week-end, no?” si era intromessa Lara, una delle loro cugine.

Fu così che Isabel si decise ad accettare, comunicò la sua scelta ai suoi genitori ed infine, cosa alquanto difficile, al suo fidanzato Giulio che pochi mesi prima le aveva chiesto di sposarlo. Dopotutto erano fidanzati da quando la ragazza aveva poco più di sedici anni, e che senso aveva aspettare ancora visto che erano arrivati alla soglia del decimo anniversario? Nessuna, ed era per questo che Isabel aveva accettato.

Giulio era fantastico a suo giudizio, simpatico, colto, solo un po’ fissato ed iper organizzato quando si trattava di fare qualcosa, ma lei gli voleva bene lo stesso ed era pronta a diventare sua moglie, e passare da Isabel Natale alla Signora Isabel Soli.

Convincerlo era stata dura, aveva dovuto esaurire la sua scorta di: “Mi mancherai un casino, ci sentiremo sempre”.

E dopo i vari saluti generali, eccola lì, nel treno che l’avrebbe portata nella zona del collegio, con due trolley blu come unici amici in quell’avventura che avrebbe arricchito la sua carriera.

Dopo circa tre ore di treno, prese due pullman e poi, con l’aiuto di una cartina e alcune indicazioni fornitale dai passanti, si ritrovò davanti ad un’istituzione scolastica alquanto rigorosa, quel nuvoloso sabato 30 ottobre, il collegio “G. Pascoli”.

Il portone d’entrata era color verde smeraldo, ampio, e sopra vi gravitava una scritta latina in pietra. Ancora più su vi era una serie di finestre, distribuite sue tre piani, e da un paio di quelle sporgevano due bandiere, una italiana e una europea. L’edificio, esternamente era color grigio perla, sembrava enorme e Isabel avvertì una sorta di smarrimento, si sentiva minuscola, avvolta nel suo cappotto nero e nella sciarpa abbinata che sua madre le aveva regalato l’anno prima.

Se ne stava ferma, impalata, dubbiosa sul da farsi, quando davanti a lei comparve una sorta di poliziotto, un uomo con una camicia azzurra, pantaloni scuri e cappello identico a quelli degli uomini dell’arma. Ma una seconda occhiata le fece capire che probabilmente era solo il portiere.

“Lei è la professoressa Natale?” le domandò garbatamente l’uomo, alto e con alcune rughe sul viso formatasi a causa del breve sorriso che le aveva rivolto.

“Si, sono appena arrivata e non so dove andare…” rispose Isabel, sentendosi un po’ stupida. Dove poteva mai andare? Doveva entrare e basta, no?”

“Certo, capisco. Io sono l’addetto a… Il portiere, in breve. Mi scusi, ma non ricordo mai il nome preciso che mi ha dato la preside” si scusò, e Isabel fece una piccola risata nervosa. “Mi segua, la porto ai suoi alloggi”.

“La ringrazio” rispose lei, e restò piacevolmente stupita quando il portiere prese i suoi bagagli con fare elegante. “Grazie”.

“Ehi, mi ha già ringraziato due volte, professoressa. Comunque, per qualsiasi cosa sono qui, mi chiamo Giovanni” disse ironicamente lui.

“Mi scusi. Io sono Isabel” rispose lei, mentre passavano sotto un porticato, ai lati di un antico chiostro al cui centro vi era una sorta di pozzo.

Giovanni la condusse verso sinistra, dove, attraverso un ulteriore portone, questa volta in noce, giunsero su uno scalone al cui termine si accedeva in un maestoso salone lungo almeno 45 metri. Sui lati adiacenti vi erano numerose porte, e sopra ognuna di essa vi era il dipinto di qualche uomo illustre.

“Questo è il salone principale, e qui ci sono le aule delle medie. Il liceo è dall’altra parte, mi segua” spiegò Giovanni, conducendola verso l’estremità del luogo, dove vi era un arco che portava ad un'altra zona, buia per la mancanza di luce. Dopo pochi metri, l’uomo aprì una porta e la portò in un altro salone simile al primo.

“Qui c’è la sala insegnati del liceo, la segreteria, l’ufficio della preside e qualche classe. Di là invece si sale verso il resto delle aule e al terzo piano vi sono i dormitori”. Giovanni indicò una porta, prima di farle segno di seguirlo.

Il corridoio era più normale questa volta, come quello di un normale liceo, poi, al terzo piano, vi era una serie infinita di dormitori diramati in una sorta di corridoio ad X, dove da un corridoio ne fuoriusciva un altro, e così a seguire in un modo che quasi sembrava infinito.

“Ecco, questa è la sua stanza, la dividerà con qualche professoressa” disse infine Giovanni, posando i trolley.

Isabel sorrise. “Grazie, già mi sento più a mio agio dopo il giro turistico” disse con sincerità.

“Dovere, ma nel suo caso è stato anche un piacere. La saluto” si congedò l’uomo, allontandosi, e la ragazza esitò prima di bussare alla porta.

Dopo qualche istante, la aprì una donna con corti capelli biondo chiaro e con indosso un pigiama candido. “Ciao, tu devi essere Isabel Natale” disse lei.

“Si, sono appena arrivata” rispose, sentendosi in imbarazzo. Probabilmente l’aveva svegliata dato i suoi indumenti, ma erano anche le sei del pomeriggio, si disse.

“Entra, io sono Carolina Santi, insegnante di francese. Tu insegni inglese, vero?” domandò.

Isabel annuì, posando i trolley in un angolo vuoto. La stanza era ampia, con due letti distribuiti sui due lati, due armadi, e in fondo vi era una porta che conduceva a quello che di sicuro era il bagno. “Si, in realtà questa è la mia seconda supplenza, sostituisco la professoressa Bara” dichiarò.

“Hai saputo che le è successo?”.

“Una frattura al femore, credo”.

“Si, e non sai i ragazzi come sono contenti, era una vera palla, scusa il termine, invece credo saranno felici di avere una supplente come te, giovane e bella”. Carolina fece l’occhiolino, e Isabel scrollò le spalle, imbarazzata. “E anche io sono contenta, a parte il fatto che quella era una vecchia noiosa, sembrava anche che non mi sopportasse! Sai, proprio come l’odio secolare che c’è tra inglesi e francesi” ridacchiò.

Si guardarono, accennando piccoli sorrisi. Carolina sembrava la solita trentenne piena di voglia di vivere e divertirsi, estroversa, ma soprattutto sicura di sé. E poteva permetterselo, sospirò Isabel, notando che la sua nuova collega aveva un fisico che di sicuro aveva lottato molto in palestra per essere modellato così bene.

“Allora questo mi fa sentire meglio, sono sicura che… Diventeremo buone amiche” disse Isabel, togliendosi il cappotto e appoggiandolo sul letto perfettamente a posto e ordinato che di sicuro doveva essere il suo. Fece lo stesso con la sciarpa, e restò con i suoi comodi jeans e un maglioncino bianco.

“Lo penso anch’io. Un po’ di caffè?” domandò Carolina, mostrando una macchina per il caffè espresso che funzionava con le cialde.

“Si, grazie, ci vuole proprio dopo il viaggio”.

“Da dove vieni? Inghilterra?” ironizzò la donna, mentre si dava da fare con l’apparecchio.

“No, ma comunque potrebbe essere così, mia madre è di Oxford, sai” rispose Isabel. “Vengo da Castel Di Sangro, in Abruzzo”.

“Io sono della provincia di Ancona, ho sempre vissuto in un paesino di piccolo e sperduto, e venire qui è stato un toccasana, è divertente, sai? Ci sono alcuni professori che sono peggio dei ragazzi” la informò Carolina, per poi prendere il caffè e porgerglielo.

In quell’istante bussarono alla porta, e Carolina aprì, prima di sorridere all’uomo che stava entrando, per niente imbarazzata per il modo in cui era vestita. Alto, con i capelli castani un po’ scompigliati e profondi occhi verdi, la salutò con un bacio sulla guancia prima di guardare un po’ spaesato in direzione di Isabel.

“Lei è la nuova collega di inglese, Isabel Natale” la presentò subito Carolina con un sorriso.

Isabel si alzò, cercando di sorridere e gli strinse la mano.

“Alessandro Di Giovanni, insegno scienze” si presentò lui, sorridente. “Piacere, sono certo che ti divertirai un mondo qui. Già le hai detto qualcosa riguardo domani?” domandò rivolto a Carolina.

Lei scosse il capo, ridendo. “Lui porta la bandiera di quei professori di cui ti parlavo poco prima” spiegò e Isabel si lasciò trasportare in una risata.

Alessandro si voltò verso Carolina. “Quali, quelli sexy e preparatissimi?” domandò, ironico.

“No, quelli che sono peggio dei ragazzi” lo rimbeccò Carolina.

Isabel li guardò scherzare, e si domandò se ci fosse qualcosa tra loro, visto il modo in cui si erano salutati. Se così fosse, beh, forse Carolina sarebbe stata una buona compagna ma le avrebbe anche lasciato i suoi spazi, presa dal suo fidanzato.

“E quindi cosa succederà domani?” domandò infine, curiosa per il tono in cui Alessandro ne aveva parlato.

“Una piccola festa per Halloween tra professori, cioè, solo quelli che diciamo noi, diciamo che siamo una sorta di confraternita” spiegò Alessandro con un finto tono in stile Superquark.

“Quelli che dite voi?”.

“Si, gli under 38” ironizzò Carolina.

“I ragazzi, come potrai notare per il silenzio, sono fuori come ogni finesettimana, ed è in loro assenza che spesso facciamo una sorta di riunione extra curriculare” continuò Alessandro.

“Capisco. Quindi faccio parte di questa confraternita?” chiese divertita Isabel, dicendosi che una scuola simile non l’aveva mai vista, anche perché non è che aveva girato chissà quanto.

Alessandro la squadrò. “Ma certo, anzi, direi che sei il membro onorario, quanti anni hai?”.

“Ventisei”.

“Cavoli, sei la più giovane. Non che avessi dei dubbi” si affrettò a dire Alessandro, e Carolina lo spinse lievemente.

Cavoli, le sembrava di essere tornata al liceo. Ecco davanti a lei la bambolina di turno e il fighetto sicuro di sé. Come sarebbe stato il suo soggiorno in quella scuola?

Alessandro non sembrava affatto un professore di scienze, abituata ai tipi scontrosi e pazzi che dedicavano la vita a quella disciplina, al massimo gli avrebbe potuto attribuire la cattedra di educazione di fisica se non l’avesse saputo, grazie al fisico abbastanza palestrato che si poteva notare sotto la maglia blu. E il resto dei professori? Come sarebbe stato? Se quello di scienze era così, non osò pensare a quello di matematica. 

Ma i suoi pensieri si interruppero a causa del suo cellulare che iniziò a squillare insistentemente. Era Giulio.

“Scusate un secondo” disse, facendo per uscire.

“Sono i tuoi genitori?” domandò Alessandro.

“No, il mio fidanzato” rispose cortesemente lei, e uscì per rispondere. Di certo le cose che aveva da dire erano numerose, anche se, stordita com’era, non era sicura di riuscire a formulare molti periodi sensati.  

 

Ciao!

Eccomi con una nuova fic… Anche se ho scritto solo due capitoli per ora ci sono molto affezionata, e vorrei sapere cosa ve ne sembra, se vi piace, altrimenti è inutile continuare.

Ho già molte idee in realtà, e mi piacerebbe continuare per sognare un po’ con voi.

Visto che oggi è il mio compleanno, me la lasciate una recensione per regalo? xD Grazieeeeee!

Milly92.

  
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