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Autore: lillabulleryu    30/05/2018    4 recensioni
- Ho sentito – la roca voce di Shota fece un’impennata improvvisa, come se fosse rimasto vigile e attento in attesa di quel preciso momento per intervenire, - che quando hai passato la mano sulla testa, hai diviso per zero. Non è possibile.
Questa one-shot si inserisce all'interno dell'iniziativa ERASERMIC WEEK per il prompt del giorno #6: "hurting".
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Present Mic, Shōta Aizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ERASERMIC WEEK
30/05/2018 – day #6
prompt: hurting
 
- Te lo giuro, Nemuri, ti avrei chiamata prima, se avessi potuto. Ma aveva bisogno di un medico!
- Certo che era strano che mangiasse le caramelle di Thirteen, te l’avevo detto! Il suo fisico gli ha detto “Fuck this shit, I’m out”. Il dottore gli ha prescritto l’antibiotico, poi arriverà Recovery Girl. Se peggiora lo mandiamo in ospedale e tanti saluti.
- Non in quel senso! Oh, come on, Nemuri!!
- Sì, rimango qui. Ho già preso la giornata. Se peggiora ti giuro che sarai la prima a saperlo. Dopo l’ambulanza, ovviamente.
- Hai cominciato tu con il disfattismo, signorina! Stai tranquilla. Me ne occupo io. By-bye.
Hizashi chiuse la comunicazione e si guardò attorno, alla ricerca di una superficie dove appoggiare il telefono; dovette riporlo in tasca, per non lasciarlo direttamente a terra.
La stanza era più piccola, vuota e polverosa di quanto ricordasse: soltanto qualche crepa decorava le pareti granulose grigio sporche. Non una sedia, un tavolo o una mensola: un tetro parallelepipedo nero, unico elemento d’arredo, se ne stava schiacciato in un angolo fingendosi un feudo di muro. Impossibile capire se si trattasse di una libreria, un armadio o una credenza… o tutte queste cose insieme.
Si sedette sul pavimento accanto al vecchio futon rattoppato chiesto in prestito a un’anziana che abitava a quello stesso piano, due monolocali più in là.
Tutto ciò che sbucava dalle coperte era un ammasso aggrovigliato di capelli nerissimi, talmente intricato e folto che era impossibile distinguere se si trattasse della nuca o del viso.
Controllò che respirasse; gli ci volle qualche secondo prima di individuare un impercettibile movimento.
Però sarebbe meglio che avesse il naso libero, e gli passò una mano tra i capelli ricercando a tentoni  il suo profilo. Poco per volta, naso, bocca e occhi chiusi riemersero sul volto (molto più pallido del solito) di Aizawa Shota.
Il calore che emanava lo si poteva sentire a distanza di qualche centimetro dalla pelle; tenne premuta la mano sulla fronte cercando di indovinare se la febbre si fosse abbassata.
L’uomo ebbe un sussulto.
- Ho sentito – la roca voce di Shota fece un’impennata improvvisa, come se fosse rimasto vigile e attento in attesa di quel preciso momento per intervenire, - che quando hai passato la mano sulla testa, hai diviso per zero.
- … cosa?!
- Hai diviso per zero. – ribadì Shota, con la stessa spietata fermezza con cui rimproverava i propri studenti colti in fallo, - Non è possibile.
Hizashi non era preparato.
- Ti prometto che farò attenzione nelle operazioni. - fu la risposta migliore a cui riuscì a pensare.
- … è impossibile dividere per zero.
Questa volta, la voce di Shota suonò meno perentoria e più assonnata, come avrebbe dovuto essere quella di una persona appena sveglia, per di più ammalata. Si schiarì la voce con una smorfia di dolore e aprì gli occhi.
Sbatté le palpebre più volte: la luce doveva dargli fastidio. Hizashi si precipitò ad abbassare le tapparelle, ma erano talmente malmesse che ci riuscì solo per metà.
A Shota fu di aiuto, ma ci mise il suo tempo per mettere a fuoco e riconoscere l’amico.
- Cosa fai qui?
Hizashi sospirò.
- Vengo a verificare che tu sia ancora vivo. Non ti sei presentato al lavoro, non rispondevi da nessuna parte e hai fatto prendere un colpo a tutti.
- Non mi sono presentato al lavoro. – Shota sentì la necessità di ripetere quella frase, come se il suo significato potesse entrare meglio in circolo nel suo corpo febbricitante. - Che ore sono?
- Quasi le due del pomeriggio.
Con uno scatto, Shota fece per balzare in piedi; Hizashi fu altrettanto pronto a trattenerlo – e, con sua sorpresa, non dovette nemmeno faticare per riportarlo sdraiato.
- Malattia, malattia. Giorno di malattia!
- Non sono malato.
- Ho detto a Nemuri che avevi quaranta di febbre quando ti ho trovato, ma il termometro ne segnava quasi quarantadue.  Il dottore ti ha guardato in gola, hai un’infiammazione talmente tosta che si è stupito che riuscissi a usare la voce.
Dal futon si levò un grugnito di disapprovazione.
– Evidentemente non è così grave.
- Come no. – sbuffò Hizashi, sentendo le proprie sopracciglia arcuarsi per l’irritazione, - Ed è per questo che ti ho trovato a faccia in giù per terra, ti ho trasportato di peso dal pavimento al futon, è entrato in casa il dottore che ha fatto in tempo a tastarti in giro e fissarti le tonsille e non ti sei accorto di niente.
- … pensavo fosse un sogno.
- Sei consapevole che non ti meriti nemmeno un commento sarcastico, vero?
Il silenzio che ottenne in risposta si offriva a molteplici interpretazioni; avrebbe potuto intenderlo come un punto a proprio favore, ciò nonostante se ne sentì risentito.
Dopo anni, sperava di essere in grado di riconoscere quando era il momento di intervenire per dargli una mano; fortunatamente, la vita era sempre prodiga a offrirgli occasioni per smentirlo. E fare affidamento su un risveglio di Shota era fuori discussione: da che lo conosceva, non era mai stato capace di chiedere aiuto. Forse per orgoglio, forse per cocciutaggine. Forse perché per lui parlare di sé è faticoso e inutile come trascrivere un manoscritto arabo su un soffitto coi piedi.
- Ti costa così tanto ammettere che ti fa male la gola?
Lo pungolò con solo la punta di un iceberg di preoccupazione, rabbia e frustrazione che si portava dentro ormai da anni.
Niente scenate – non è da Pro-hero. Ma fare come se nulla fosse fino alla prossima volta che lo ritroverà moribondo da qualche parte, era fuori discussione. Era per la propria credibilità, dopo tutto.
- E che avrei risolto?
- Tanto per cominciare, lamentarsi per il dolore aiuta te a sopportarlo e magari darebbe qualche dritta a quegli stronzi che si preoccupano per la tua salute.
- Avevi detto niente sarcasmo. – Shota si rigirò nel futon voltandogli le spalle. - Della febbre non mi ero accorto.
- Sei un cretino. Sai che bello, trovarti lì come uno straccio? Se il dottore non mi avesse fatto una testa così col riposo, ti farei una ramanzina dritta ai timpani, you know what I mean.
- Ho la testa che mi scoppia. Lasciami dormire.
- Ah, quindi ammetti che hai mal di testa! – esclamò Hizashi, trionfante, puntandogli alla schiena un indice accusatore destinato a passare inosservato.
- Se ci tieni tanto.
- Possibile che tu sia così ottuso da non capire che se non sai gestire i tuoi bisogni fisiologici è un problema che non riguarda solamente te?! Se mi fai ancora una volta un numero del genere, ti giuro che non rispondo delle mie azioni! 
Shota tentò di proteggersi dalla strapazzata seppellendosi sotto la coperta, ma dovette cedere, forse troppo dolorante per opporre resistenza.
- Va bene, va bene  – borbottò, - Ho mal di gola, mi sento come se mi avesse investito un tir guidato dall’Uomo di Amianto e tu mi stai facendo uscire il cervello dalle orecchie. Possiamo finirla qui?
Yamada Hizashi poteva ritenersi soddisfatto di quanto ottenuto: qualora il messaggio non fosse arrivato a destinazione, in ogni caso si era sfogato. E poi, non era il tipo da infierire sui malati. Anni e anni di accademia eroica non possono buttarsi via in modo così inglorioso.
Tacque, quindi, rimettendosi seduto contro la parete e riprendendo in mano il cellulare. Più tardi avrebbe fatto un salto fuori a comprare il minimo indispensabile per dargli da mangiare qualcosa di commestibile; e stava già compilando mentalmente una lista della spesa, quando la voce di Shota lo interruppe.
- Hizashi.
- Sì?
- Grazie.
Suo malgrado, il cuore fece un tuffo.
Ogni traccia di malumore si dileguò e lasciò solamente una distesa di affetto, profondo e insostituibile. Pervaso da ineffabile tenerezza, per una volta si sentì del tutto incapace di esprimersi – neanche una banalità ma figurati, ma ti pare, gli amici a cosa servono sennò. Nemmeno una canzone improvvisata avrebbe potuto dare voce a quell'emozione.
Gli accarezzò la testa, dolcemente, attraverso il lenzuolo che lo ricopriva.
- Pensa solo a guarire, ok? – già le sue labbra si erano socchiuse in un sorriso - E per farti perdonare, verrai con me e Nemuri al karaoke!
Per Shota valeva la pena di arrabbiarsi, qualche volta.
   
 
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