CAPITOLO
I
ERICE
Una
misteriosa figura incappucciata correva con grazia, mentre lo scuro
mantello si
sollevava svolazzante attorno alle sue gambe, per via del vento
innaturale
causato dalla corsa.
Di
colpo, dinnanzi alla sua vista acuta si parò un maestoso
spettacolo e quella
smise di respirare: come fossero abbracciate dai monti, delle
affascinanti torri
bianche si stagliavano nel cielo di velluto blu, simili a stelle, in
quella
notte.
Attorno
alle torri sembravano esserci i resti diroccati di una cinta muraria
forse
risalente al medioevo e, poco distante, qualche colonna probabilmente
appartenente
ad un antichissimo tempio, stava ancora dignitosamente in piedi, come
fosse un
anziano che avesse visto molti secoli passare dinnanzi ai suoi occhi.
Quel
luogo era così bello da sembrare appena uscito da una fiaba,
la figura tremò
rispettosamente, doveva aver perso la concezione di ogni luogo e tempo,
alla
vista di quel posto antico quanto lei. Restò ferma, senza
respirare; quasi le dispiaceva
esser giunta fin lì alla ricerca di qualcosa da mangiare, se
avesse placato la
sua fame, quel paese si sarebbe per sempre ricordato di lei con
terrore…
Cosa
doveva fare dunque?
Voltarsi,
e tornare indietro?
Oppure
perseverare nella sua ricerca?
D’un
tratto una folata di vento l’investì in pieno
viso, portando con sé il profumo
di sangue umano, pulsante di vita,proveniente dalla
città…
Quel
profumo era così invitante che in un attimo, simile ad uno
squalo in frenesia
alimentare, la figura mandò all’aria tutti i suoi
buoni propositi e riprese a
correre con rinnovata energia: in breve rese nulla la considerevole
distanza
che la divideva da quel piccolo borgo; attorno a lei le sagome degli
alberi,delle rocciose montagne sfrecciavano veloci,diventando solo una
massa
indistinta di colore. Ma la sconosciuta non ci badava perché
ormai il veleno le
inondava la bocca, la sete le bruciava ardente in gola, ed i suoi occhi
cremisi
scintillavano minacciosi nel buio, esaminando veloci e precisi ogni
cosa la
circondasse.
Favorita
dalle tenebre,avanzava indisturbata e silenziosa come un fantasma
danzante tra
le strade ciottolose del centro abitato, alle sue orecchie attente
giungevano i
battiti cardiaci degli umani,che dormivano al sicuro nelle loro case.
La
figura abbassò il cappuccio ridendo beffarda:era sicura che
avrebbe potuto
uccidere tutti in pochissimo tempo, e nessuno se ne sarebbe accorto,
avrebbe
lasciato dietro di sé una città fantasma che al
sorgere del sole non si sarebbe
più svegliata…
Un’altra
folata di vento la colpì, ed i capelli,che aveva
accuratamente raccolto in una
crocchia si sciolsero, riversandosi in una fluida cascata
d’argento sulle sue
spalle e rivelando la sua femminilità.
Quel
sospiro d’aria aveva portato alle narici della donna
l’ancora più intenso
profumo di sangue, distinse il pulsare di due cuori, uno batteva
più frenetico
rispetto all’altro…
Era
vicina. La sete stava diventando insostenibile, ma quella donna era
un’esperta
cacciatrice e sapeva essere paziente.
Finalmente,dopo
aver oltrepassato l’ennesimo vicolo giunse ad una graziosa
piazza e li vide:ad
un metro da lei un uomo con i capelli color nocciola le dava le
spalle,fissando
una donna, il cui cuore batteva frenetico e spaventato, la cui schiena
era
schiacciata contro un muro e sembrava sul punto di piangere.
-
dammi la
bambina…-sussurrò
lui, ma alle orecchie della donna ammantata quelle parole velate di
minaccia,giunsero come se fossero state urlate.
La
donna costretta al muro, scosse piano la testa ed una massa di riccioli
bruni
ondeggiò con lei;strinse con decisione al petto un involto
di coperte
canute,con fare protettivo.
La
donna incappucciata, protetta dalle tenebre, seguiva la scena in
silenzio
simile ad uno spettro notando ogni minimo particolare: l’uomo
ripeté una
seconda volta ciò che aveva detto,e dinnanzi ad un nuovo
rifiuto estrasse fulmineo
un oggetto di metallo nero,ed uno sparo ruppe il silenzio,straziante
come un
urlo.
La
donna bruna si accasciò
a terra senza un
suono,il respiro affannoso e gli occhi scintillanti d’odio
mentre fissava l’uomo
avvolgendo con le braccia la neonata, che iniziò a piangere.
La
figura ammantata chiuse gli occhi,riconoscendo la musica prodotta dal
lento
flusso di sangue che fuoriusciva dal corpo della donna per poi toccare
terra;si
leccò le labbra desiderosa di assaporarlo ma fu distolta dai
propri pensieri
avvertendo il respiro calmo dell’uomo che disse ancora:
-
dammi la bambina…-
lo si udì sollevare il braccio e la cacciatrice si mosse con
un unico scatto,
per impedirgli di sparare.
La
pistola infatti si disintegrò subito nella sua mano
affusolata e bianca,dura
come roccia:
-e
se non volesse?-gli domandò,con un ringhio minaccioso mentre
vedeva la paura
animare i suoi occhi.
Per
un attimo lei incontrò lo sguardo smeraldino della donna
riversa a terra,poi
tutto avvenne in pochissimo tempo:la sconosciuta cacciatrice
gettò lontano la
pistola, ormai ridotta ad una piccola sfera di metallo nero,
afferrò l’uomo per
il colletto del giubbotto di pelle,sollevandolo da terra,e mentre
questo si
dibatteva terrorizzato,alla vista dei suoi occhi rossi,lei gli
spezzò il collo,ponendo
fine alla sua vita.
Calato
il silenzio,la donna resistette a stento all’animalesco
impulso di avventarsi
su di lui e bere il sangue che sgorgava dalla morbida carotide,ma se lo
impose poiché
poteva ancora sentire il respiro agitato di quella
donna,l’unica testimone di
quanto era appena successo,l’unica testimone della natura vampiresca di quella cacciatrice che
l’aveva appena salvata.
La
donna ringhiò ancora,poi cercò di darsi un
contegno e si avvicinò con passo
eccessivamente lento alla vittima,ferita.
-come…come
vi chiamate?-chiese la donna,parlando per la prima volta, con voce roca
ed
affaticata,rivolta alla sua salvatrice ammantata.
-
Didyme…-bisbigliò lei quando si fu inginocchiata
a terra;era sicura che nessuno
oltre quella donna morente l’avrebbe sentita,ed inoltre non
aveva nulla da
temere poiché quella vittima non sarebbe sopravvissuta a
lungo.
-dove
ci troviamo?-continuò la donna chiamata Didyme,ricordando di
aver perso la
concezione spazio-temporale.
-Erice…-sibilò
la donna,con una smorfia,si strinse la pancia rabbrividendo.
-non
temere…ti farò smettere di soffrire…-
la rassicurò Didyme mentre le sollevava
la testa con forza.
La
donna rabbrividì per la paura,ma suo malgrado
sorrise,perché sentiva che la
morte stava per sopraggiungere.
Lo
sentì anche Didyme,ma prima di spezzarle il collo,fu fermata
dalla mano della
donna che sfiorò timorosa la sua pelle gelida e,
raccogliendo le ultime forze
supplicò,con voce strozzata:
-
Vi prego
Didyme…prendetevi
cura di mia figlia- spinse la neonata piangente verso la sua
salvatrice,ed
osservò sollevata mentre questa prendeva in braccio il
piccolo fagotto con aria
perplessa;quindi stremata dalla ferita al ventre,si lasciò
spezzare il collo
dal bellissimo angelo della morte che le stava davanti.
Alla
fine la fascinosa vampira dalla pelle di gesso, si godé il
silenzio e quando respirò
a pieni polmoni l’odore del sangue, si scagliò sui
due cadaveri, dedicandosi
alla sua cena:prosciugò entrambi i corpi sin
dall’ultima goccia di sangue,
succhiando avidamente il liquido vitale persino da terra per non
lasciare
tracce,sembrava simile ad un gatto che beve il latte, agì
velocissima con
estrema maestria.
Quando
fu finalmente sazia, i suoi occhi si accesero di un intenso color
rubino, e si
sollevò da terra lentamente mentre si inumidiva le labbra
con la lingua…
Sorrise,
nel momento in cui il suo sguardo si posò sulla bambina:se
ne era completamente
dimenticata. L’aveva abbandonata a
terra,ed ora quella stava in silenzio.
Didyme
quindi si avvicinò a quella neonata:sarebbe stata un
perfetto coronamento di
quella cena,simile ad un dolce paffuto. Ma quando la prese tra le
braccia,lei
sorrise e delle dolcissime fossette le comparvero sulle guance.
La
vampira rimase interdetta per un secondo, ma, solerte si
chinò sul suo collo
senza farsi troppi scrupoli, eppure,nel momento in cui comprese che non
era
abbastanza buona da mangiare perché ancora troppo
piccola,disse rivolta alla
bambina:
- vieni
piccola,ti chiamerò Erice…attenderò
che tu cresca per onorarti di essere il mio
cibo…- la neonata rise,udendo quella voce melodiosa come
un’eco di campane, ed
allungò una manina piccola e grassoccia verso la donna dalla
pelle bianca come
neve,poi insieme, quello spirito puro e quell’angelo della
morte scomparvero
nel buio.