Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama
Segui la storia  |       
Autore: Allison_McLean    04/06/2018    0 recensioni
Allison McLean è una ragazza tormentata da mille demoni di cui non riesce a liberarsi, ma quando arriva al penitenziario minorile di Alkalie Lake, la sua vita cambia completamente. Qui troverà la sua strada accompagnata dai suoi stessi demoni e da una luce che scoprirà solo dopo molto tempo.
---
«Intravide le sue spalle nude spuntare dalle coperte, le braccia cacciate sotto il cuscino e i corti capelli sparsi sulla federa, che le diedero l'idea di un bambino troppo cresciuto. Purtroppo, l'unico disponibile era quel Grande Lupo Cattivo con cui era costretta a condividere lo spazio vitale, un fantasma con cui non parlava mai, con cui faceva fatica a scambiare qualche casuale occhiata. Era sempre e comunque meglio di nulla : le ricordava una specie di Tate Langdon, solo più distante ed enigmatico. Nei suoi silenzi e nella sua distanza, però, trovava conforto, anche se non ne conosceva il perchè. Rimase così, a pensare a lui, non accorgendosi di quanto intensamente di stessero guardando.» dal capitolo 1
AVVERTENZA : la storia è originale, solo alcuni dei personaggi sono tratti da A Tutto Reality, gli altri sono di mia completa invenzione
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chris McLean, Duncan, Nuovo Personaggio, Scott, Trent
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
BROKEN PIECES - Part 12
 
Aprile
Il cimitero di Aprilville, venti chilometri a nord-ovest di Castle Rock, si estendeva in un bellissimo campo verde all'ombra di circa una decina di querce e faggi. Le lapidi erano tutte bianche e lucenti nella luce di quel sole che ironicamente aveva cominciato a splendere il giorno dopo la morte di Trent e tutto profumava di erba bagnata e pioggia. Era un posto silenzioso e pacifico, dove la morte sembrava essere una benedizione e non il contrario. Le piaceva quel posto. 
Per lungo tempo si perse a guardare il cielo azzurro e le nuvole bianche che lo macchiavano, le grandi distese di campi e le case della cittadina; si perdeva nell'aria fresca di quel tardo pomeriggio a pensare a tutti i momenti vissuti e mancati con suo fratello senza smettere per un attimo di piangere. Era arrivato ad un passo dalla libertà, ma Dio o l'Universo o chiunque fosse sopra di loro gliel'aveva tolta. Forse era più giusto così. Trent era una persona troppo buona per vivere in un posto come quello e Dio aveva avuto ragione a chiamarlo a sè.
Harrison aveva avuto il buon cuore di chiamare Chris McLean per fargli portare qualche abito adeguato e le aveva accordato immediatamente il permesso di essere presente al funerale, non ammanettata bensì dotata di bracciale elettronico. Ed ora era lì, di fianco a Gwen e alla famiglia, a sentire ma non ascoltare le parole del sacerdote che benediva la bara chiusa e sospesa sopra la fossa. La fissava chiedendosi mille cose a cui non si dava risposta, pentendosi infinitamente per tutto il tempo perduto e continuando a versare lacrime silenziose. 
Non l'avrebbe più rivisto. Non avrebbe più guardato quegli occhi verdi e luccicanti come l'erba estiva sfiorata dalla rugiada, non avrebbe più ammirato quel bellissimo e dolce sorriso che lo caratterizzava. Non avrebbe più sentito la sua voce calda e rassicurante e non avrebbe più potuto abbracciarlo e sentire il suo cuore d'oro che gli batteva nel petto. Avrebbe soltanto parlato ad una lastra bianca in attesa di una risposta che non sarebbe arrivata mai.
Il funerale terminò, tutti fecero le condoglianze alla famiglia, pochi a Gwen e nessuno ad Allison, poi se ne andarono, lasciando le due ragazze lì da sole. Aspettarono entrambe che gli addetti delle pompe funebri calassero la bara e la seppellissero, poi si accomodarono sull'erba, una di fianco all'altra, di fronte alla tomba che non avrebbero voluto vedere, non in quel momento, non nei prossimi sessant'anni. Era ormai sera, ma nessuna delle due voleva andare. Volevano restare lì, a far compagnia al loro tesoro e a dirgli tutto quello che non avevano potuto quando ancora poteva rispondere. 
Allison si rigirò tra le mani la sua bandana, asciugandosi le guance di tanto in tanto.
-" Pensi di ridargliela? "
chiese Gwen, senza staccare gli occhi dalla lapide, e lei rispose allo stesso modo, senza alcuna emozione al di fuori della desolazione più vuota.
-" No. Non è ancora il momento. " 
 
Era buio quando arrivò nella sua cella. Duncan la accolse immediatamente, saltando giù dalla branda e stringendola tra le braccia, coccolandola e consolandola. Lei rimase ferma e silenziosa, limitandosi a rifugiarsi in quell'abbraccio che mille e più volte l'aveva salvata. 
Le incorniciò il viso con le grandi e fresche mani, baciandole la fronte e guardandola negli occhi. Vi lesse tristezza, un'infinita tristezza, ma non la disperazione che avrebbe potuto vedere un tempo. 
-" Come stai? "
Allison annuì, sforzando un sorriso e carezzandogli le mani. Era ancora tutto dolorante dalle percosse di pochi giorni prima e ancora si preoccupava per lei. Era una benedizione. 
-" Tu piuttosto? Ti fa ancora male? "
-" Ho la schiena a pezzi, quegli stronzi me le hanno suonate di brutto. "
Trovarono la forza per ridacchiare un poco, poi Allison andò a prepararsi per la notte mentre il suo ragazzo le scaldava il letto. La osservò per tutto il tempo, ammirandone il nuovo comportamento e il modo in cui stava affrontando il lutto. Stava chiaramente pensando al volere di Trent : lui desiderava solo il meglio per lei e di sicuro non avrebbe voluto che si deprimesse o peggio per la sua scomparsa. Sapeva che lui voleva che andasse avanti. Stava realizzando il suo ultimo desiderio per lei. Era davvero coraggiosa, ne sarebbe stato fiero come lo era lui.
Allison si accoccolò di fronte a Duncan; si abbracciarono e si fissarono a vicenda per lunghi minuti, entrambi persi nei loro tanti, tantissimi pensieri. Si carezzavano il viso, scavavano nei loro occhi e intanto riflettevano su quanto necessitassero della presenza dell'altro.
-" Non mi hai mai guardato in quel modo. "
sussurrò Duncan, sfiorandole dolcemente la guancia con il dorso delle dita.
-" In che modo? "
-" Come se fossi l'ultima cosa che ti sia rimasta. "
Allison sorrise con tristezza, passò la mano sul volto del ragazzo e lo fece avvicinare a sè, gli baciò dolcemente la fronte, come lui faceva con lei, e tornò a fissare quei bellissimi occhi acqua marina che luccicavano nella penombra. 
-" Forse perchè sei davvero l'ultima cosa che ho. "
Duncan la baciò delicatamente, l'abbracciò e la lasciò piangere finchè non si addormentò.
~~~
L'aria nel cortile era fresca e profumava di erba umida e terra secca; il cielo era turchese e sporcato appena da qualche nuvoletta bianca, con il sole che splendeva alto e tiepido. Le montagne erano ancora leggermente spolverate di neve sulle cime, dove sarebbe rimasta per tutto l'anno, e i campi erano ormai tinti di verde. La primavera sembrava finalmente essere giunta dopo quel lungo e terribile inverno durato fino a pochi giorni prima.
Come ogni anno quando i detenuti di Alkalie Lake uscivano all'aria aperta dopo lunghi mesi di clausura nella struttura penitenziaria, i ragazzi erano tutti molto allegri. Correvano, baciavano la terra, giocavano tra loro e facevano impazzire le guardie oltre la recinzione, le quali pensavano che da un momento all'altro sarebbero evasi. Quell'ora d'aria era una delle cose più preziose che avessero.
L'ultima a mettere piede fuori dal riformatorio fu Allison; si schermó gli occhi con una mano, i raggi del sole erano ancora troppo forti, e osservò il cielo. Un piccolo stormo di passerotti sorvoló il cortile, cinguettando allegramente e scomparendo oltre la recinzione, sopra i prati verdi e in fiore. L'aria era fresca e profumata e le urla dei suoi compagni riempivano di gioia quel luogo solitario e grigio. Ma lei non si unì a loro. Guardò alla sua destra alla ricerca della presenza di Trent, che un anno prima l'aveva affiancata in quello stesso momento, ma non lo trovò. Ormai non l'avrebbe mai più trovato, nè al suo fianco, nè a Denver, soltanto ad Aprilville, la sua cittadina, in un curato ed assolato cimitero. Respirò profondamente quella brezza frizzantina e chiuse gli occhi, avvertendo un brivido lungo la schiena; le sembrò di percepire il suo respiro e la sua risata, la mano che s'intrecciava alla sua e la dolce sensazione che lui fosse ancora lì. Forse c'era davvero, anche se lei non lo vedeva.
-" Hey principessa... "
Duncan era a pochi passi da lei, la tuta arancione sporca di terriccio sabbioso e una macchia simile sulla sua guancia era a forma di mano. Allison ridacchiò vedendolo in quello stato, gli si avvicinò e cominciò a spazzargli la camicia con le dita fine. Era un bambinone! 
-" Cos'hai combinato?! "
Il ragazzo rise imbarazzato, grattandosi la nuca e spostando lo sguardo sui suoi anfibi impolverati.
-" Dovresti uscire da questo angolino, stiamo aspettando tutti te per festeggiare. "
le disse con tono basso e rassicurante, carezzandole le gote pallide e sorridendole con dolcezza, ma il suo sorrisetto s'incrinò e con esso quel momento di rara ilarità. Non se la sentiva di festeggiare con gli altri, voleva soltanto stare lì, nel suo angolino, e fissare il cielo turchese sopra le cime dei monti a sud-est. 
Duncan la obbligò ad incrociare il suo sguardo acqua marina, le spostó una ciocca di capelli dietro l'orecchio e le sorrise con amore, strappandole a sua volta un piccolo sorriso.
-" So che ti manca, ma so anche che non avrebbe voluto questo per te. Devi sopravvivergli piccola, prima o poi dovrai sopravvivere a tutti noi. Avrebbe voluto che ti godessi la vita, ora che l'hai ritrovata, non che sprecassi ore a pensare a lui e torturarti in questo modo. "
Le lacrime salirono agli occhi di Allison, come sempre ogni volta che Trent s'insinuava nelle loro conversazioni. Anche lei lo sapeva, ma aveva bisogno di tempo, molto tempo. Le era ancora difficile accettarlo. Aveva soltato diciotto anni, ne avrebbe compiuti diciannove a luglio, ma un cancro fulminante se l'era portato via. Era successo troppo presto. Decisamente troppo presto. 
La ragazza annuì appena, denotando grande stanchezza che traspariva da ogni poro del suo corpo. Aveva perso il sonno e l'appetito, spesso rinunciava agli allenamenti e quando combatteva reagiva a malapena; faceva terminare l'incontro in pochissimi minuti e poi spariva in spogliatoio, facendo imbestialire Duncan, il quale si sfogava soltanto con Paulie. Se avesse potuto prendere a pugni McCord, l'avrebbe fatto. Pace all'anima sua, ma la sua morte stava uccidendo anche Allison. Non era colpa di nessuno, erano cose che accadevano, ma non accettava che la sua principessa si stesse disintegrando un pezzo alla volta, di nuovo, forse mai così gravemente come ora. Non voleva farle pesare la sua frustrazione, ma stava diventando sempre più difficile. 
Le incorniciò in viso con le mani, avvicinandosi al suo viso e puntando lo sguardo penetrante nel suo. 
-" Ascoltami tesoro. Riprenditi. Torturarti così non lo riporterà indietro, peggiorerà soltanto le cose. Lascialo andare piccola, ora sta bene. "
Allison soffocò a fatica un singhiozzo e Duncan la trasse immediatamente a sè, stringendola tra le braccia; la piccoletta s'impedì di piangere e riprese il controllo. Aveva ragione, aveva ragione su tutto, ma non era così facile. Ce l'avrebbe fatta, era quello che anche Trent voleva, ma per il momento aveva soltanto bisogno di un po' di riposo e forse anche di solitudine. 
Si separarono dopo lunghi secondi, si presero per mano ed attraversarono il cortile in cui i ragazzi erano ancora impegnati a festeggiare il ritorno della primavera e dell'ora d'aria. Raggiunsero il posticino in cui Allison soleva sedere e vi si accomodarono uno a fianco all'altra, lasciando che lo sguardo vagasse sul panorama lontano delle montagne argentee, dei campi sconfinati e dei boschi scuri. E poi eccola lì, la strada. Non era cambiata, era sempre la stessa. Malgrado l'avesse vista soltanto pochi giorni prima, osservarla di nuovo da dietro la recinzione le ricordava di essere un uccellino in gabbia e, in un certo senso, di non avere altro posto in cui andare. Era triste, ma alla fine era così. Non voleva ritornare alla villa McLean a Castle Rock, si sarebbe sparata in bocca piuttosto, e non voleva nemmeno essere sempre in viaggio con zio Chris. L'unico posto che sentiva di avere era Rockford Lake, dove sarebbe stato anche Duncan. E Duncan, come aveva capito, era tutto quello che le restava. 
Respirò profondamente l'aria fresca, abbandonandosi per qualche attimo al sussurro del vento dolce, e in esso percepì il sussurro di suo fratello. Alzò gli occhi al cielo e gli parve di rivederlo sorridente in una delle rade nuvole che macchiavano la distesa turchese sopra le loro teste. La brezza sciolse la nuvola e con essa il suo dolore. Era pronta a ricominciare. Non l'avrebbe dimenticato, nè avrebbe smesso di soffrire per la sua perdita o di piangere per la nostalgia di quando in quando, ma sapeva che doveva andare avanti. Trent le aveva insegnato che la vita è troppo breve, che ogni attimo va vissuto come l'ultimo, perchè ogni cosa ha una fine che arriva prima di quanto ci si possa aspettare. 
Duncan l'abbracciò e accostò la guancia alla sua tempia, perdendosi insieme a lei tra i boschi e vedendola riemergere una volta per tutte dall'oceano nero che per anni l'aveva affogata.
~~~
La biblioteca era vuota e silenziosa. Quella mattina Carven sembrava molto stanco e probabilmente non aveva molta voglia di accedere la sua radiolina, ringraziando il cielo. 
Si accomodò alla sua grande scrivania, la riordinò in pochi minuti e poi cercò un libro in cui immergersi. Da molto tempo non si concedeva il piacere della lettura ed ora sentiva assolutamente il bisogno di rimediare. Fece un rapido giro di tutta la stanza trovando su di un alto scaffale quello che stava cercando : Insieme Con I Lupi, di Nicholas Evans. Per molto tempo era stato uno dei suoi romanzi preferiti; era ambientato nella natura selvaggia del Montana, in mezzo ad orsi e lupi, il sogno della sua vita. L'aveva letto almeno una decina di volte, ma non si stancava mai. Come mille piccole cose, anche quel romanzo era diventato parte di lei.
In lontananza sentiva Paulie insultare il vecchio carrello delle pulizie, mentre in palestra altri due ragazzi stavano litigando per l'uso del mocio più nuovo. Per il resto, tutto era tremendamente silenzioso. Non le dispiaceva, riteneva che il silenzio fosse fondamentale per poter leggere per bene un libro, ma era molto insolita tutta quella pace. Si ricordò poi che la maggior parte dei suoi compgni era tornata a lavorare fuori, nei boschi o sulla strada o in qualche cantiere lì vicino, per questo tutto era così tranquillo. Ancora doveva abituarsi alla primavera appena arrivata.
Le ore passarono nella quietezza e nelle pagine del suo libro, in uno sguardo serenamente sognante e in qualche raro pensiero su Trent, finchè Finch non irruppe nella stanza senza fiato, facendo sobbalzare sia lei che Carven. Sembrava che avesse fatto la corsa più impegnativa della sua vita ed Allison si rifiutò di ricordare che Berry ed Harrison erano entrati in quel modo pochi giorni addietro.
-" M-McLean... Una telefonata per te... "
Il secondino si resse allo stipite della porta e Carven lo prese in giro, dicendogli che ormai non era più un baldo giovinetto; il collega gli fece un gestaccio, poi accompagnò Allison al corridoio dei telefoni. Senza pensarci troppo, prese la cornetta e se la portó all'orecchio, temendo di sentire l'ennesima brutta notizia. 
-" Pronto? "
-" Allison?! Finalmente! "
Riconobbe la voce di Viktor. Sembrava eccitato e terrorizzato allo stesso tempo, anche lui con il fiato corto. Sembrava quasi in iperventilazione. Il battito del suo cuore accelerò al massimo e la mano sinistra cominciò a tremare visibilmente; strinse con forza l'orlo della sua camicia e riuscì a calmare almeno minimamente quel tic. 
-" Che succede? "
-" È Valery, le si sono rotte le acque! "
Sentì chiaramente esplodere tutto il suo apparato cardiaco. Stava per nascere. Il suo nipotino stava per venire alla luce. Doveva assolutamente partire.
Riattaccò la cornetta senza dare il tempo al cognato di dire altro, afferrò Finch per una manica e cominciò a correre verso l'ufficio di Harrison a rotta di collo. Piombò nel grande ufficio luminoso come un fulmine a ciel sereno, facendo fare un salto al Grande Capo, il quale la incenerì con lo sguardo. Era per caso impazzita?! si chiese, ma quegli occhi color ghiaccio erano fin troppo determinati per essere pazzi.
-" Che diavolo ti salta in mente, eh ragazzina?! "
-" Ho bisogno di un permesso di libertà vigilata per due giorni. Subito. "
L'uomo spalancò gli occhi, chiedendosi che diamine avesse nella zucca quella piccoletta per l'ennesima volta. Sapeva cosa gli stava chiedendo? Avrebbe dovuto compilare i documenti in dieci nanosecondi, chiamare la volante di trasporto, farle mettere il bracciale e trovare qualcuno dei suoi secondini che la potesse accompagnare chissà dove. Era davvero fuori di sè. 
-" Mi stai prendendo in giro?! "
Allison si avvicinò con grandi falcate alla scrivania, battendovi i pugni per imporre la sua presenza. Non se ne sarebbe andata da quell'ufficio senza il permesso.
-" Sta per nascere mio nipote. Devo esserci. "
Ci fu un lunghissimo scambio di sguardi tra Harrison e Allison, in cui il Grande Capo comprese che la signorina non avrebbe ceduto. Doveva andare e sarebbe andata, in un modo o nell'altro. In fondo, la comprendeva. Anche lui aveva fatto una scenata simile al suo superiore il giorno prima che Will nascesse. Trasse un lungo sospiro prima di parlare.
-" Permesso accordato. Finch, portala all'ufficio e dalle il bracciale elettronico, io compilo i documenti e chiamo la macchina... Tutti pronti a partire tra un quarto d'ora. "
Non finì nemmeno la frase; Allison aveva già cominciato a correre al vecchio ufficio-magazzino per chiedere i suoi vecchi vestiti civili all'anziano secondino, con il quale litigò almeno cinque minuti prima che arrivasse Harrison con i documenti. Tutto fu preparato molto alla carlona, ma non le importava assolutamente nulla. Saltò sulla volante di trasporto detenuti appena fu pronta e maledisse cento volte Finch e il suo collega perchè non si davano una mossa; nel frattempo, Alkalie Lake si allontanava alle sue spalle e nel suo studio Harrison si stava strappando i capelli dalla testa. Per tutta l'infinita durata del viaggio, si agitò sui sedili, si morsicò le unghie e imprecò contro il traffico e l'autista della volante. Fu il secondo tragitto più lungo della sua vita. 
Non si rese nemmeno conto del cartello che scriveva BENVENUTI A CASTLE ROCK, e neppure di essere di nuovo a casa dopo più di un anno di assenza. Non le importava assolutamente nulla. Vide soltanto l'Angel Of Mercy Hospital e pensò soltanto a Valery e il suo bambino.
Finch dovette ammanettarsela al polso e non appena chiuse i braccialetti lei iniziò a correre. Alla reception spaventò l'infermiera, che le diede la stanza e il piano di sua sorella, poi riprese la sua corsa sfrenata per i corridoi con il secondino attaccato al suo braccio che inciampava ogni due per tre. Non sentiva nulla, l'adrenalina scorreva nelle sue vene come l'acqua di una cascata. Quando piombò nella stanza, fu accolta da un sorpreso e traumatizzato silenzio. Erano tutti lì. Viktor teneva la mano a sua moglie, Emily e Peter se ne stavano in un angolino a fissare i due sposi e presto genitori, mentre Aliss stava seduta in disparte a chattare sul cellulare. Nonna Florence era seduta accanto alla sua nipote maggiore e Valery osservava Allison con la più immensa gioia negli occhi. Non poteva credere che fosse lì; certo, era in condizioni pietose, ma almeno c'era. Era arrivata lì per lei e per suo figlio.
La ragazza si precipitò al suo fianco non curandosi minimamente del resto della famiglia, stringendole la mano libera e baciandole la fronte con un sorriso commosso e le lacrime agli occhi. Aveva sognato ed immaginato migliaia di volte quel momento da quando aveva ritrovato la via, ma nessuna di quelle visioni poteva essere paragonata alla realtà che stava vivendo.
-" Ciao tesoro... Hai visto? Sono qui... " 
Valery sorrise raggiante, fissandola da sopra il gigantesco pancione e facendo una smorfia per le contrazioni sempre più frequenti. Chissà quante ore erano passate dall'inizio del parto e lei evidentemente era arrivata al momento cruciale.
-" Sono così felice che... "
Un grido interruppe la frase e una squadra di infermiere irruppe nella stanza, annunciando che era entrata in travaglio. Tutti furono fatti uscire eccetto Viktor, ma Allison protestò immediatamente.
-" Io devo restare con lei! "
Un'infermiera l'afferrò saldamente per le spalle mentre Finch cercava di usare le manette come guinzaglio per tirarla indietro.
-" Non lo può fare. "
Finalmente il secondino riuscì a strattonarla via e l'infermiera chiuse la porta. Allison fulminò la guardia con lo sguardo e per poco non gli rifilò un pugno. Rimase in piedi davanti alla porta a torturarsi mentre in quella dannata stanza Valery gridava, sovrastando le istruzioni degli ostetrici. Sentiva che da un momento all'altro sarebbe impazzita. Che diamine stavano facendo a sua sorella?! Probabilmente nulla di male, la stavano soltanto aiutando a dare alla luce il suo bellissimo figlioletto. 
 
Le ore passarono lente e strazianti tra le grida e gli infermieri che entravano e uscivano. La maggior parte della famiglia aveva un mal di testa allucinante, ma Allison era vigile e perfettamente in forma, pronta a strangolare chiunque le avesse detto qualcosa di sbagliato. Sembrava che fosse sotto l'effetto di qualche droga sintetica, eroina o crack, con gli occhi spiritati e ogni singolo muscolo in tensione. Faceva spavento.
Non aveva parlato con nessuno dei familiari di sua sorella, ma aveva notato il modo in cui la guardavano. Quelli che una volta erano stati i suoi secondi genitori ora la fissavano come se fosse stata un cane randagio e idrofobo, per non parlare di Aliss che si rifiutava di rivolgerle anche soltando un misero cenno di considerazione. Non un saluto od un sorriso da parte di quelle persone che vedeva ormai come sconosciute, tutti a parte Florence. L'aveva riaccolta con gioia, abbracciata e calmata ed ora bevevano del caffè caldo sedute fianco a fianco proprio davanti alla porta, in attesa che la aprissero definitivamente. Era ormai notte e ognuno di loro era stremato, ma non lei. Lei era lì, e vi sarebbe rimasta fino alla fine.
Peter era scomparso e con lui Aliss, chissà dov'erano finiti, e restavano solamente Emily e loro due e, per sua sfortuna, Finch, che si era addormentato su una delle sedie di plastica blu. Il corridoio era diventato gradualmente sempre più silenzioso, senza nessuno che vi camminasse attraverso o che parlasse dalle stanze vicine. C'era soltanto il rumore ronzante dei neon sopra alle loro teste, le grida delle persone nella stanza di fronte a loro e il leggero ronfare del secondino.
Finalmente, dopo ore di urla terribili, un magnifico pianto di neonato e i sospiri di sollievo. Si sentì leggera di mille chili e finalmente si rilassò sulla scomodissima e consunta sedia di plastica. Un sorriso strafatto le si dipinse sul volto e lo rivolse a Finch, svegliato dal meraviglioso pargolo appena nato. Le rispose con affetto, lasciandole un'affettuosa pacca sulla spalla. 
Dopo mezz'ora o forse più, la porta si aprì e ne uscì il medico con un gran sorriso in volto; non disse nulla, si spostò dall'uscio e fece cenno di entrare. Tutti corsero dentro, ma non Allison. Voleva aspettare che tutti la lasciassero sola con sua sorella, non voleva che la fissassero come un mostro che tentava di mangiare il loro nipote o la loro figlia. Li avrebbe uccisi se l'avessero guardata ancora in quel modo. Attese con pazienza, fissandosi i piedi ed ascoltando le risa e le moine. Ancora una volta, il pensiero di non far più parte di quel mondo la pugnalò al cuore.
-" Perchè non sei entrata? "
Allison di voltò stanca, quasi abbattuta, ma sorrise al suo amico.
-" Non hai visto come mi guardavano? Pensano che tutto quello che è successo a Valery sia colpa mia. Ce l'hanno scritto in faccia. "
Finch colse tutta l'amarezza della sua voce e si limitò ad annuire. Sì, aveva visto perfettamente e avrebbe voluto prenderli a manganellate. Non era giusto che la pensassero così di lei. 
Attese lunghi, lunghissimi minuti, forse anche ore prima che la famiglia abbandonasse la stanza, e nel frattempo pensò a quegli sguardi carichi di disprezzo. Si rese conto che ogni cosa era cambiata nella sua vita, che tutto quello che c'era stato prima di Alkalie Lake ora era sparito. L'affetto dei Johnson, la sua bella villa, la vita a scuola... Nulla c'era più. Tutto scomparso in un colpo di martelletto. Com'era facile far crollare un castello di carte. 
Viktor uscì con il più grande sorriso mai visto; lo salutò con amicizia, abbracciandolo e congratulandosi per la sua nuova situazione familiare.
-" Valery ha chiesto di te. "
Allison annuì sorridendo a fatica; Finch la liberò dalle manette e il cognato l'accompagnò fino al letto di sua moglie, chiudendo la porta dopo che tutti se ne furono andati. La sua sorellina era lì, a letto, con un meraviglioso fagottino di morbide coperte di cotone tra le braccia. Si avvicinò con cautela, le lacrime che le riempivano gli occhi. Era un bellissimo bambino sbadigliante avvolto in una soffice copertina azzurra. Tutta la stanchezza sparì, sparì l'amarezza e la disillusione, ci fu soltanto gioia. Immensa e purissima gioia. Il cuore le esplodeva nel petto, faceva perfino fatica a respirare. Si appoggiò al letto e sotto lo sguardo dei due neogenitori fissò incredula il loro bimbo.
-" È un maschietto. Andrew. "
Allison fu colta da un tuffo al cuore che la fece quasi piangere. L'aveva chiamato davvero Andrew. Aveva mantenuto la sua promessa.
-" Su, prendilo. "
Tremava dalla felicità. Non sapeva cosa fare, o cosa dire. Lo prese dolcemente tra le braccia, seguendo le istruzioni di Valery con molta, molta cura, si accomodò su una poltrona ed iniziò a cullarlo, asciugandosi le lacrime di tanto in tanto. Era il bimbo più bello che avesse mai visto, la copia di sua madre, con la pelle vellutata e le dita come spilli. Sbadigliò in modo buffissimo, facendola ridere e piangere ad un tempo, ed aprì i suoi splendidi occhi chiari. La guardò curioso e felice come solo i neonati potevano fare, poi cominciò ad agitare pian piano le piccole braccia cicciose. Non aveva mai tenuto in braccio un neonato. Era un'esperienza semplicemente sconvolgente.
-" Ciao piccolino... Io sono la zia Ally. Ciao, ciao... "
sussurrò, e il piccolo Andrew le afferrò un dito e le sorrise. In quel sorriso vide l'immediato affetto che nutriva per lei e per la prima volta si sentì a casa dopo tanto tempo. Peccato che quella non fosse casa sua, bensì di Viktor e Valery. Doveva essere meraviglioso avere un figlio, lo leggeva nei loro sguardi. Per un attimo s'immaginò anche lei e Duncan a coccolare un bambino, a crescerlo e a vederlo diventare un bellissimo giovinetto pieno di ragazze oppure una splendida signorina dai lunghi capelli corvini. Rise e pianse a quell'immagine, ricordandosi che non sarebbe mai potuto accadere.
~~~
Erano partiti appena tutti erano rincasati oppure si erano addormentati in ospedale. Nessun saluto, nessun commiato, a parte ad Andrew. Era scomparsa nella notte come un fantasma e forse non sarebbe più tornata. Ricordò perchè aveva voluto allontanarsi da sua sorella e perchè non volesse più rivedere Castle Rock, per questo si fece riaccompagnare alla sua nuova casa. 
Il viaggio durò molto, immerso nell'oscurità della notte, ed arrivarono ad Alkalie Lake soltanto alle primissime luci del mattino. Indossò in tutta fretta la sua tuta arancione, gettando gli abiti civili nel suo scatolone come spazzatura; li osservò con amaro disprezzo, poi corse alla cella 42B. Casa. 
Duncan saltò sulla branda e non appena la vide le balzò al collo, l'abbracciò e baciò con inaudita passione carica di sollievo. Era stato in pena tutto il giorno : era sparita da un momento all'altro e come spiegazione aveva soltanto ricevuto un'informazione sul nipotino in arrivo; la notte non aveva chiuso occhio, l'aveva aspettata tutto il pomeriggio nel cortile, a fissare la strada in attesa che la volante ritornasse, e a cena non aveva mangiato nulla. Aveva sofferto terribilmente la mancanza della sua principessa. Quando la guardò meglio, le vide in volto la stanchezza più assoluta e la tristezza più desolante.
-" Gesù, che cos'è successo?! "
Allison sorrise e gli carezzò il volto; aveva le lacrime agli occhi ed il sorriso più disarmante che le avesse mai visto indosso. 
-" È un bambino bellissimo, tutto sua madre. Avresti dovuto vederlo... Era così piccolo, così fragile. L'ho stretto tra le braccia e... e... "
Le si ruppe la voce e crollò in ginocchio, le mani a coprirle il viso deturpato da tanta stanchezza. Non aveva mai pensato a cose del genere, ma con Duncan era cambiato tutto, per non parlare di quella notte passata a cullare il piccolo Andrew. Era una tortura terribile per una donna, forse la peggiore dopo lo stupro o la perdita di un figlio. La tortura peggiore che avesse mai subito. 
-" Non sarò mai capace di darti un bambino... Non avremo mai un figlio... Mi dispiace Duncan, mi dispiace di averti tolto la cosa più bella del mondo, ti prego perdonami... "
La strinse a sè il più forte possibile e la blandì con tutto l'amore che potesse dimostrarle. Non l'aveva mai vista così, ed era spaventoso. Non sapeva che dire, o che altro fare se non tenerla tra le sue braccia e sussurrarle che avrebbero trovato un modo, che lui non l'avrebbe mai lasciata, che non c'era nulla di cui scusarsi perchè non era colpa sua. Quando fu sicuro che non potesse vedere, coperta dalla sua imponente spalla, lasciò che le lacrime scorressero. Non gli importava di sè, ma di lei. Era disperato nella coscienza che lui non avrebbe potuto fare nulla per rimediare a ciò che il destino le aveva riservato. 
Passati lunghi ed interminabili minuti, la costrinse a mettersi a letto; mancava ancora molto alla sveglia, perciò decise di provare a prendere sonno. Ne avevano estremo bisogno entrambi.
Uno accanto all'altro, pensarono alla loro relazione. Ne avevano parlato, non era necessario sposarsi; non potevano avere bambini. Non sarebbero mai stati la coppia dei sogni generali, ma dei loro sì. Non avevano nulla e nulla potevano avere oltre a sè stessi. E l'uno per l'altro, ci sarebbero stati per l'eternità.
~~~
Maggio
Un altro mese se n'era andato come uno sbuffo di fumo nell'alito implacabile del vento. Le giornate si susseguivano come un noioso e penoso scorrere delle ore, un ruotare delle lancette senza fine sinchè calava la notte; solo allora la loro vita riprendeva per lunghi e dolci minuti. 
Le giornate si facevano sempre più lunghe e calde, mentre quella data cominciava ad avvicinarsi inesorabilmente. La conta dei giorni era partita, finalmente. Quindici giorni e sarebbe tornato libero. Non stava nella pelle, ma c'era sempre lo stesso pensiero a smorzare il suo entusiasmo : Allison. Sapeva che non sarebbe stato facile per lei ritrovarsi completamente sola nel riformatorio, ma sapeva anche che era abbastanza forte per farcela. Aveva superato migliaia di ostacoli durante tutta la sua permanenza ad Alkalie Lake, la sua assenza per due mesi l'avrebbe scalfita ben poco. In ogni caso, anche lui avrebbe sentito incredibilmente la sua mancanza. Si godeva ogni momento passato insieme, ogni bacio, ogni carezza, ogni sguardo ed ogni sorriso. Stava serbando più ricordi possibili di lei per quando si sarebbe ritrovato in un letto vuoto e freddo a fissare il cielo notturno fuori dalla finestra o il soffitto sopra la sua testa. Nemmeno per lui sarebbe stata una passeggiata.
Sbuffò via una nuvoletta di fumo azzurrino, distrattamente, fissando inconsciamente quella lunga e snodata strada che a breve l'avrebbe condotto alla libertà. Soltanto quindici dannati giorni. 
-" Manca poco... "
La voce dolce della sua principessa lo riportò a terra; le sorrise con amore, guardandola dall'alto, spense la sigaretta e le circondó le spalle con il braccio forte. Allison si rimpicciolì nel suo abbraccio, guardando insieme a lui quello sconfinato panorama baciato dai primi raggi di maggio. Era davvero bello. 
-" Mi mancherai. "
gli sussurrò, persa nei suoi pensieri e con gli occhi vaganti su quel serpente di piatto asfalto grigio e lucente; le baciò la testa, nascondendo il viso tra i suoi soffici capelli raccolti e godendosi appieno il loro profumo inevitabilmente di muschio bianco. 
-" Shh, non ci pensare... "
le disse, e lei si rifugiò ancora di più contro il suo corpo; socchiuse le palpebre ed inspirò a fondo l'odore che tanto amava, quello che ormai era diventato parte del suo corpo e del suo spirito. Sperò che le lenzuola fossero impregnate di quell'odore, in modo che la nostalgia non fosse così terribile. Era un'idiota, ma alla fine quello sarebbe stato tutto ciò che rimaneva di lui per due mesi, Pinky a parte. Egoisticamente, non voleva che se ne andasse. 
S'immaginò il momento della sua partenza, l'ultimo istante in cui l'avrebbe visto, un passo dietro alle porte ad apertura automatica che davano sulla libertà; un brivido l'attraversò e lo lasciò fare, in modo da poter ingoiare le lacrime che minacciavano di uscire allo scoperto. Sarebbe stato difficile guardarlo scomparire dietro a quella maledetta porta. Sarebbe stato incredibilmente e terribilmente difficile, ma quella era l'ennesima prova a cui l'Universo la stava sottoponendo. Doveva resistere a quei due mesi e ce l'avrebbe fatta, tutto per ritornare da lui.
Si voltò abbastanza da scorgere l'imponente e non più opprimente struttura in cemento di Alkalie Lake; il sole brillava contro le sbarre e i vetri delle finestre e luccicava sulle recinzioni, mentre il verde dei campi circostanti la faceva sembrare più chiara, più viva. Ricordò la prima volta in cui vide quel mostro mangiatore di anime e sorrise, rendendosi conto di nuovo che quel posto era stato la strada per ritrovare sè stessa. Alkalie Lake era stata la sua salvezza, non la sua condanna.
~~~
Ogni singolo giorno era volato via come uno stormo di uccelli migratori nel cielo violetto del tramonto, fino ad arrivare a quella sera. Nella mensa c'era un grande brio : la mattina seguente, Duncan Nelson, conosciuto come il Marcio, campione per due anni di lotta libera nel riformatorio, avrebbe dato la sua dipartita. Lui e la sua spledida fidanzata quella sera sedevano al grande tavolo dei loro amici, scherzando e ridendo allegri per l'ultima volta in compagnia di quel ragazzo così tanto cambiato grazie alla sua regina, che, nonostante i sorrisi, lasciava trasparire senza troppe riserve la sua infinita tristezza. In mezzo alle risa gioiose e spensierate, lei era l'unico dolce e leggiadro fantasma che, seduta al fianco del suo re, sorrideva in modo chiaramente sforzato e distoglieva lo sguardo, riportandolo sul suo piatto. 
Duncan invece cercò di godersi ogni momento con coloro che erano da sempre stati i suoi più fidati compagni, Paulie in particolare. Avrebbe sentito grande mancanza di quel gigante gentile. Era stato il primo con cui aveva stretto amicizia e ricordava ancora il viaggio sul bus di trasporto detenuti in cui si erano conosciuti. Sperava di poterlo rivedere, un giorno. 
La campanella di fine cena trillò e tutti porsero i loro saluti al Marcio con fiere strette di mano e grandi abbracci. Allison si fece in disparte, osservando quello spettacolo con un nostalgico e malinconico sorriso. Stava finalmente dicendo addio ad Alkalie Lake.
Quando il tempo dei saluti terminò, si avventò su di lei; la sollevò tra le braccia e corse alla loro cella, strappandole una piccola ma gioiosa risata in mezzo alle acclamazioni dei loro compagni. Si fiondarono immediatamente sotto le coperte, i vestiti che scivolavano via dalla loro pelle mentre assaporavano le loro labbra con amore e passione. 
-" Stanotte, nessuno dorme. "
le sussurrò con un malizioso sorriso, guardandola dall'alto e tenendola dolcemente protetta sotto il suo corpo scultoreo. Allison ridacchiò altrettanto maliziosamente, carezzandogli delicatamente i capelli corvini e intrecciando le gambe attorno alle sue.
-" Stai scherzando? "
-" Neanche per sogno! Non ti vedrò per due mesi, di sicuro non mi accontento di un giro soltanto! "
Risero entrambi e continuarono a baciarsi ed amarsi, proiettando tutto il loro amore l'uno attorno all'altro in un gioco di mille colori ed emozioni, sensazioni e vibrazioni. Fu tutto così intenso che sembrò la prima volta, la prima volta che si sfiorarono, che assaporarono le loro labbra. Per molto tempo si sentirono fuori dal mondo, come se i loro corpi fossero solo spinti da riflessi mentre le loro anime sorvolavano le foreste, s'inseguivano tra gli alberi, si fondevano l'una nell'altra. Mai avevano provato emozioni tanto mistiche e per quella notte entrambi vollero che il tempo si potesse fermare, che quelle ore non scorressero, che il domani non arrivasse.
Nel silenzio dell'oscurità, si prepararono per andare a dormire, nonostante sapessero che non avrebbero chiuso occhio; Allison poggiò la testa sulla spalla di Duncan, circondandogli la vita con il braccio fino, mentre lui la strinse a sè con dolcezza, carezzandole la schiena. I loro corpi erano ancora caldi e i loro cuori stavano pian piano riprendendo un ritmo regolare, uno scalpitante contro l'altro.
-" Domattina non sarò capace di camminare... "
Entrambi scoppiarono in una dolce e cristallina risata, abbracciandosi più forte e godendosi quegli ultimi momenti di ilarità in compagnia l'uno dell'altra. 
-" Bene, così resterai qui con me... "
Duncan sospirò. Nonostante non vedesse l'ora di lasciare Alkalie Lake, il pensiero di Allison lo tormentava. Lasciarla era l'ultima cosa che voleva, ma cosa poteva fare? Soltanto uscire ed aspettare la sua principessa.
Fissò gli occhi nei suoi, carezzandole dolcemente la guancia e guardandola con un'intensità raggelante; Allison si paralizzò, persa in quelle bellissime iridi e in quello sguardo a cui non si sarebbe abituata mai. Rabbrividì, si strinse a lui e attese. 
-" Ti amo Allison. "
Lo stomaco le si contorse violentemente e un brivido più potente la scosse da capo a piedi. Era micidiale l'effetto di quelle due parole, soprattutto dette da Duncan e riferite a lei. Era sempre un'emozione inspiegabile quella di sentirgli esprimere in quel modo i suoi sentimenti; Duncan era un ragazzo così chiuso, molto spesso freddo, quasi apatico, e, nonostante ormai lo conoscesse come le proprie tasche, vederlo esternare certe cose esplicitamente la lasciava sempre interdetta. Era una delle mille cose che amava di lui. 
Gli sorrise con dolcezza, carezzandolo a sua volta.
-" Ti amo anch'io. "
 
Se ne stava seduta sul pavimento, accanto al portone automatizzato. Fissava i blocchi di linoleum verde senza davvero guardarli e di tanto in tanto si asciugava frettolosamente le silenziose lacrime che le scorrevano sulle gote pallide. Scattò in piedi non appena sentì la tenda scostarsi e rimase di stucco nel vederlo con abiti civili. Indossava una camicia nera, le maniche arrotolate ai gomiti, e un paio di jeans strappati sulle ginocchia, accompagnati ovviamente da un paio di Coverse All Star nere. Quella mattina si era sbarbato e sistemato i capelli ed ora era semplicemente troppo attraente. Sembrava così adulto e persino più grosso di quanto già non fosse. Già cominciava a sentire un fiotto di gelosia nel pensarlo a vagare per le strade piene di ragazze che si voltavano a fissarlo. 
Duncan si bloccò non appena vide lo sguardo di Allison e si guardò il corpo scolpito, chiedendosi se qualcosa fosse fuori posto e perchè lo stesse fissando in quel modo. Si era ormai dimenticato che cosa significasse essere il ragazzo più desiderato della scuola... 
-" Che c'è? "
La sua principessa gli si avvicinò quasi tremante, con un dolcissimo sorriso e le guance arrossate; gli sistemò con premura il colletto e stirò qualche piega con le mani fine e candide. Adorava il modo in cui lo stava toccando. 
-" Nulla. Sei... bellissimo. "
Ridacchiarono entrambi, poi il portone si aprì davanti a loro, stroncando la loro momentanea allegria. Videro in lontananza, oltre il cortile, le recinzioni separate e dall'altra parte un lussuoso fuoristrada, quello di Chef. Videro la libertà a pochi passi, ma solo uno di loro l'avrebbe raggiunta.
-" Allora è il momento... "
La voce di Allison era così debole che non fece alcun eco nello stanzone. Duncan le circondò la vita e l'abbracciò forte, stringendosela al petto; tremava come una foglia nella bufera e in pochi secondi la sentì singhiozzare. Per una volta, si lasciò andare e permise alle sue lacrime di scendere e bagnargli la pelle. Nel petto di entrambi si stava aprendo una voragine, chiusa a forza dal fatto che dopo poco si sarebbero rivisti. Le baciò la testa, la scostò appena da sè e le incorniciò il viso con le mani, asciugandole le lacrime con i pollici; sorrise con dolcezza nonostante le guance umide e la guardò per l'ultima volta prima di quei due lunghi mesi. Allison non si sarebbe mai scordata quel colore acqua marina o quello sguardo, o il suo profumo o il contatto dolce e rude ad un tempo delle sue mani grandi e ruvide. Tutto per un attimo si fermò.
-" Ti aspetto, principessa. "
La baciò con violenta passione, poi la lasciò fulmineamente; prese il borsone e corse via, verso una libertà tanto desiderata eppure ora senza un senso. Era già molto lontano quando il meccanismo del portone scattò, ma in quel momento scattò anche qualcos'altro nel cuore di Allison. Si fiondò fuori prima che si chiudesse e vide Duncan passare oltre la recinzione ed infilarsi nell'auto senza guardarsi indietro. Come Euridice ed Orfeo, temeva che se l'avesse guardata di nuovo sarebbero morti entrambi; il cancello si stava gia richiudendo e tutte le sentinelle erano pronte con i fucili spianati non appena la videro spuntare dal portone. Ogni porta tra di loro si era già chiusa, non c'era più nulla da fare. 
Vide la macchina partire sgommando, non sapendo che al suo interno Duncan stava ormai piangendo; un fulmine squarciò il cielo e la pioggia cominciò a cadere battente. La guardò allontanarsi e scomparire dietro quegli alberi che tanto amava guardare e che ora odiava, come odiava quella strada e tutto ciò che la circondava. Sentì le gambe come gelatina e crollò sulla terra umida, colpendo duramente le ginocchia ma non provando alcun dolore. Il calore delle sue labbra sembrava già un ricordo lontano, un dolce sogno di cui si ricordano pochi spezzoni e che si dimenticano presto. C'era solo la pioggia attorno ad Allison, il fango che cominciava a lambirle la tuta arancione, la recinzione e una trentina di fucili puntati su di lei. Ma non sentì nulla di tutto ciò, soltanto l'acqua scrosciante.
Qualcuno le sfiorò la spalla e subito sobbalzò, perdendo l'equilibrio. Era una sentinella, con il fucile a tracolla pronto all'uso e penetranti occhi scuri sotto la tesa del cappello; non disse una parola, le porse semplicemente la mano, invitandola ad alzarsi. Si guardò intorno e vide tutte quelle bocche degli M16 puntate su di lei, pronte a far fuoco, e l'uomo che rassicurava tutti con un semplice gesto della mano libera. Afferrò l'altra, grande e ruvida, forse con diffidenza, e fu tirata in piedi senza alcuna difficoltà, come una bambola. L'uomo le coprì le spalle con il suo impermeabile e la riaccompagnò al coperto, dove fu presa in custodia da un preoccupatissimo, se non terrorizzato Berry. Quando fece per resituire l'impermeabile, la fermò e le picchettò dolcemente il dito sul naso come se fosse stata una bambina dispettosa.
-" Tienilo, bambolina. Ti servirà per la prossima volta. " 
E se ne andò, lasciandole un triste sorriso sulle labbra. 
 
Il tavolino era vuoto. 
Tutto era normale; c'erano le chiacchiere e le risate, l'odore del cibo surgelato e il rumore di stoviglie. Tutto c'era, tranne qualcuno seduto di fronte a lei. Continuava a fissare quel posto senza pensare a nulla, senza vedere nulla. Lo fissava e basta. Si sentiva di nuovo un fantasma in quell'accumulo di persone e le sembrava di essere piombata in un pianeta alieno. Non era più la stessa cosa senza di lui, e nemmeno senza Trent, o Freddy. Erano andati tutti. 
Spostò il suo sguardo vuoto sui compagni e vide che la loro vita, malgrado tutto, continuava. La sua invece pareva ferma. Si chiedeva com'era possibile che si sentisse sola in quel momento. Era circondata da moltissime persone, eppure si sentiva sola, quasi abbandonata. Un fantasma. 
Una lacrima le scivolò silente sul viso, ma non l'asciugò. 
-" Hey principessa. "
Al suono di quella voce sobbalzò, come se si fosse risvegliata da un sogno. Ma alle sue spalle c'era Paulie, non Duncan. L'espressione del ragazzo da allegra si tramutò in preoccupata non appena vide le sue lacrime; si piegò davanti a lei, i grandi occhi nocciola che la guardavano come un cucciolo curioso. Paulie era così, una specie di San Bernardo : grande e grosso ma adorabile.
-" Stai bene? "
Allison sorrise, ma scosse la testa.
-" Ti manca già il tuo principino, eh? "
le sussurrò il gigante buono, dandole una delicata gomitata e sorridendole maliziosamente. Era incredibile, ma con quel piccolo gesto amichevole le tirò su il morale. Era sempre sorprendente l'effetto che poteva avere un amico.
-" Senti, invece che startene qui tutta sola, perchè non vieni con noi? "
Perplessa, lanciò un'occhiata al tavolo di Paulie, pieno di altri ragazzi che aveva conosciuto per la maggior parte in biblioteca. Tutti li stavano fissando impazienti, ma il suo sguardo cadde sull'unico posto vuoto, il posto di Duncan. Lo riconobbe subito e ricordò tutte le volte in cui si erano guardati, anche da così distante; un sorriso le si dipinse sul volto segnato dalla tristezza.
-" Una volta mi ha detto che sarebbe stato orgoglioso di vederti seduta lì. Quello è il posto riservato al boss e lui era il nostro. Ha scelto te come erede del trono, principessa. "
Quelle parole la colpirono nel profondo. Rivide il sorriso del suo amore e si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo. Aveva scelto lei. Tra tutti i lupi del suo branco, aveva scelto la sua compagna. Sarebbe stato orgoglioso di vederti seduta lì. Sì, Duncan sarebbe stato orgoglioso di moltissime cose. 
Si asciugò le lacrime e si riordinò un pochino, poi si alzò, prese il suo vassoio e s'incamminò verso quel tavolo con il passo di una tigre, di un capobranco; alle sue spalle, Paulie la guardava incantato, così come il branco di Duncan, un gruppo di circa venti ragazzi. Poggiò il vassoio e li fissò commossa, sorridendo ad ognuno di loro e ricevendo molte speranzose risposte. Nessuno aveva preso quel posto, sapevano a chi spettava, e questa cosa le toccò il cuore. Questa era un'altra prova della vita che si faceva in un riformatorio, basata sul rispetto. E loro avevano molto rispettato Duncan. 
-" Ragazzi, per chi non la conoscesse ufficialmente, questa è Allison McLean, detta Tigre. Sapete tutti perchè è qui e per conto di chi. È lei il boss, adesso. "
Tutti i ragazzi batterono entrambi i pugni sul tavolo, attirando l'attenzione dell'intera sala e proprio come un branco urlarono all'unisono :
-" Tigre! Tigre! Tigre! "
Grida di acclamazione e gioia invasero la sala mensa, facendo sorridere tutti i presenti. Nel suo petto, il cuore le stava esplodendo dalla velocità a cui batteva. Sembrava un mustang imbizzarrito o un branco di lupi in corsa verso una preda. Non aveva mai provato un'emozione simile. Paulie le mise una delle grandi mani sulla spalla e le sorrise con tenerezza dall'alto del suo possente corpo.
-" Benvenuta nel Branco, principessa. "
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > A tutto reality/Total Drama / Vai alla pagina dell'autore: Allison_McLean