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Autore: _Akimi    06/06/2018    3 recensioni
[post-canon, pre-slash(?) - KagaMido] - Partecipa al contest "L'immaginazione vi porterà ovunque" di Wurags sul forum di EFP
"Perché Kagami era l'impulsivo, il sentimentalista – in alcuni casi -, ma anche il più ingenuo, in altri; Midorima, in antitesi, era più diffidente nei confronti del mondo esterno e, anche se spinto da una forte indole razionale, credeva in una sorta di predestinazione che pochi altri condividevano.
Era la stessa predestinazione che Kagami escludeva a priori dalla propria vita, che rinnegava con forza poiché, per lui, non vi era nulla di più inconcepibile che accettare un destino dettato da chissà quale forza superiore."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Shintarou Midorima, Taiga Kagami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fortuna Huiusce Diei

{Vitam regit fortuna, non sapientia.1}
Marco Tullio Cicerone
 
 
Kagami e Midorima non erano mai andati d'accordo, pur avendo una passione in comune – la quale, paradossalmente, li aveva allontanati di più, invece che unirli.
I due faticavano a essere amici per una lunga lista di motivi che tutti nel gruppo capivano e, per la verità, davano per scontato.
Perché Kagami era l'impulsivo, il sentimentalista – in alcuni casi -, ma anche il più ingenuo, in altri; Midorima, in antitesi, era più diffidente nei confronti del mondo esterno e, anche se spinto da una forte indole razionale, credeva in una sorta di predestinazione che pochi altri condividevano.
Era la stessa predestinazione che Kagami escludeva a priori dalla propria vita, che rinnegava con forza poiché, per lui, non vi era nulla di più inconcepibile che accettare un destino dettato da chissà quale forza superiore.
Non metteva in dubbio l'intelligenza dell'altro – no, anzi, era persino disposto a riconoscere un gap invalicabile tra loro in alcuni contesti -, ma questa grande contraddizione lo infastidiva a tal punto da domandarsi che cosa ci trovasse di interessante, Midorima, in tutti quei superstiziosi riti pre-partita.
La situazione era persino diventata più eclatante dal giorno in cui incominciò a notare quanto tale abitudine non fosse limitata al semplice mondo sportivo.
No, Midorima Shintarou – ragazzo di scienza – credeva convintamente nelle disposizioni del fato e davanti ad esso il suo orgoglio si chinava umile, gesto che poteva lasciare esterrefatto chiunque non lo conoscesse bene.


E, in fondo, Kagami lo conosceva solo nei limiti del necessario; poco sapeva sul suo conto, sulla sua famiglia o sulle sue banali preferenze, ma trovava intensamente sgradevole la sua devozione all'incomprensibile Vuoto.
E sì, in fondo sarebbe stato più semplice ignorare i suoi folli e altrettanto intricati metodi, evitare di guardarlo seguire l'oroscopo in ogni suo movimento, tralasciare il porta-fortuna appoggiato sul tavolo e l'imbarazzante giallo canarino del suo maglione.
Eppure, no, non ci riusciva.
Il resto del gruppo nell'intera nottata non si era concesso neppure un piccolo commento a riguardo, una battuta per sdrammatizzare o per prendersi gioco di lui; erano tutti concentrati nel loro oziare, godendosi l'occasione di trovarsi tutti nello stesso luogo - per la prima volta in termini amichevoli.
Ma Kagami pensava solo al megane, al modo in cui si era presentato entrando nel pub, il tono di voce a profetizzare una serata ottima - non in quanto Midorima Shintarou - ma solo poiché una sciocca applicazione augurava buone cose ai figli di luglio.
Era illogico, stupido e dannatamente inopportuno – Kagami non sapeva perché, ma la schiettezza continuava a chiamarlo in ricerca della verità, a costo di dissolvere la fragile pace che aleggiava tra loro.
Era la sua vocina interiore, sì, il bastardo segnale che risvegliava la sua coscienza, mossa dal suo sempre illogico istinto.
Si ripeteva che poco gli importava dell'altro, ma in cuor suo rifiutava tale menzogna perché, evidentemente, il suo interesse per lui aveva già raggiunto un livello che mai avrebbe immaginato anni prima.
I tempi delle rivalità adolescenziali erano finiti, ma anche ora, nonostante più maturi, non avevano smesso di giudicarsi a vicenda.
Midorima sosteneva che fosse Kagami, tra i due, ad essere privo di razionale senso critico, ma l'opinione non era facilmente accettata dall'interessato che, invece, non smetteva di trovare il senso di superiorità del megane piuttosto illusorio.


E la premessa iniziale era buona, ovvio che lo era, ma i pensieri di Kagami si fermarono nell'esatto momento in cui i loro sguardi conversero accidentalmente nel medesimo punto, distraendosi dal chiacchierìo pigro attorno a loro.
Le voci delle persone divennero, così, un ovattato insieme di suoni a cui Taiga non prestava più attenzioni, sebbene trovasse la situazione piuttosto imbarazzante.
Era stato visto, notato, scoperto durante la sua lunga digressione interna che, alla fine, lo aveva portato ad un vicolo cieco.
Era stato avvistato, non ancora braccato – così pareva -, ma l'espressione dipinta sul viso quasi quieto di Midorima non preannunciava nulla di rassicurante; perché sì, pur sostenendo di conoscerlo superficialmente, vi erano dei piccoli, insulsi dettagli del suo comportamento che Kagami aveva imparato ad analizzare con attenzione.
Un'abitudine derivata dall'averci giocato contro più di una volta e, forse, anche da una personale e inutile curiosità che lo aveva spinto ad interessarsi a lui senza un vero motivo di guadagno.
Non si incontravano come avversari in un campo da basket ormai da qualche anno, ma l'aver superato il passato non significava dimenticarsi stoltamente di tutto ciò che aveva imparato di lui nel corso del tempo.
E ora che se ne rendeva conto, Midorima non era la copia esatta del ragazzo conosciuto in quegli anni acerbi del liceo; rimaneva pur sempre il solitario e presuntuoso ex-cestista della Shūtoku, dal sarcasmo dubbio e dalla morale altrettanto incomprensibile, ma era diverso, in un modo che Kagami ancora non comprendeva.
Aveva sempre avuto un'aria più matura degli altri – soprattutto se paragonato ad un pigro Murasakibara o Ahomine -, e ora che erano diventati davvero adulti, la sua eccessiva serietà iniziava ad avere più senso.
Motivo che lo riportava di nuovo alla questione iniziale: la sua sciocca scaramanzia.


«Allora? Hai qualcosa da dire?»
Kagami ritornò alla realtà proprio con le parole di Midorima, un mormorio anonimo e quasi impercettibile, se paragonato all'allegrezza dei ragazzi intorno a loro.
Lo stoicismo nel suo tono di voce era banalmente paragonabile ad una porta chiusa in faccia ad un ospite, un vacillare tra spontanea maleducazione e elegante indifferenza.
Era abituato al suo atteggiamento, ma una parte di lui – forse ingenuamente – insisteva nel vedere oltre, cercando un qualcosa che giustificasse quel suo forzato disinteresse.
Pareva misurato, quasi a lasciare intendere un'antipatia nei confronti di Kagami, il quale, l'avrebbe persino accettata, ma non senza riserve.
«Mi domandavo...davvero credi a quella roba?»
Un borbottio che solo il diretto interessato era tenuto ad afferrare nel cicaleccio generale, semplice cosa, considerando come gli altri fossero sin troppo distratti per rendersi conto che i due si stavano parlando, involontariamente stretti l'uno di fianco a l'altro.
E il pub sembrò farsi più piccolo, uno spazio soffocante che chiudeva Kagami in una trappola in cui, per suo stesso errore, non poteva più fuggire.
Kuroko era lontano, trascinato davanti all'eccentrico schermo da karaoke da una vivace chioma bionda e, nella solitudine del momento, vi era solo lo sguardo di Midorima a fare da compagno a Kagami.
Un paio di iridi smeraldine ben celate dietro alla montatura, occhi rigidi e non concessivi, ma con una screziatura che lasciava spazio a quel suo infinito e caratteristico sapere, capace di demoralizzare gli avversari più ottusi.


Il silenzio che giunse poco dopo portò con sé solo altra confusione e disagio; non sapevano cosa dirsi, era raro trovarsi da soli, eppure Taiga attendeva una risposta – anche se il megane non sembrava in cerca di conversazione.
Non rimaneva, quindi, molto altro da fare; potevano optare per guardarsi un'intera notte fino al comparire dell'alba, ma nonostante Kagami la considerasse una scelta molto romantica, non era certo che fosse la cosa giusta da fare, non con Midorima.
Lo stesso Midorima Shintarou che ora andava sospirando arrendevole, stringendo tra le dita lo sciocco bubble tea ai fagioli rossi che aveva ordinato – stupido, poiché nessuna persona interessata alle basilari convenzioni sociali avrebbe ordinato qualcosa di non alcolico, ma lui non se ne curava minimamente.
Dall'altra parte, era Kagami a sentirsi banale – insieme al suo ordinario broccale di birra, non sufficiente, però, a dimenticare in fretta l'imbarazzo che aleggiava nell'aria in attesa di una qualsiasi risposta.
«Buffe, le tue domande.»
Un accenno di timida discussione, un proemio ad un dibattito che pareva già prendere una piega inaspettata - sin troppo seria, per Kagami; non poteva dire che fosse un qualcosa che lo infastidiva particolarmente, ma era ancora stranito dall'idea di essere seduti allo stesso tavolo – parlando senza litigare.
«E credo che sia inutile rispondere, dato che sai già cosa aspettarti.»
Taiga aggrottò la fronte, turbato nel comprendere di essere così prevedibile ai suoi occhi; lo faceva sentire esposto, vulnerabile, ma non del tutto indifeso.
Era palese – ragionare con Midorima significava immaginare un mondo diametralmente opposto al proprio, una realtà di divertente incoerenza e paradossale significato.
Non era corretto nei suoi confronti giungere ad una semplificazione tale, ma Kagami doveva pur partire da qualcosa, un misero qualcosa, nel vano tentativo di trovare una via di fuga dall'intricato labirinto chiamato Midorima Shintarou.
E la verità era che, sebbene ci provasse, forse non lo avrebbe mai capito appieno; erano troppo diversi, una diversità che creava, tuttavia, un certa attrattiva per anni sottovalutata da entrambi.
«Lo so, ma è il motivo che mi sfugge. Insomma, hai l'aria di uno di quei cervelloni tutto calcolo, ma poi sbuca l'anomalia.»
Abbandonò il suo bicchiere di birra, giocherellando con il misterioso sacchettino che il megane si portava appresso, un fiocco giallo citrino ad ornarlo e, nel tenerlo tra le mani, Kagami immaginò che all'interno ci fossero dei semi – seguendone la forma con la punta delle dita.
«Non anomalie, ma consuetudini.»
Gli occhi di Midorima percorsero il suo viso, fermandosi inaspettatamente all'anello che Kagami portava al collo; un breve attimo di distrazione e le mani ritornarono vuote, oggetto rivendicato con velocità dal legittimo proprietario.
«Si chiamano così adesso, interessante.»
Taiga avrebbe optato per ossessioni, ma il sarcasmo, probabilmente, non sarebbe stato gradito.
Eppure, la questione rimaneva irrisolta; era certo che vi fosse una spiegazione più profonda nascosta dietro alle sue abitudini, la fede – forse -, e, per la verità, Kagami non voleva mettersi nella posizione di volerlo criticare.
Si reputava una persona di mentalità abbastanza aperta per accettare tutto, in particolare se si trattava di persone a lui vicine, ma il caso Midorima superava il semplice concetto di tolleranza.
Era pura e spontanea curiosità – un modo non solo per occupare i silenzi, ma anche – azzardatamente – conoscersi meglio; un desiderio che non aveva mai provato prima, ma le circostanze erano favorevoli per fraternizzare, almeno così credeva.


«Fortuna.»
«Come dici?»
Kagami osservò l'altro distrarsi, anzi - no -, evitare il suo sguardo; gli occhi dietro alle lenti vagavano nel bar, analizzando dettagli altrimenti trascurati.
Pareva fuggire da una reazione poco gradita, come se si aspettasse una risata, una qualsiasi battuta da parte di Kagami, ma quest'ultimo, ancora confuso, rimase in silenzio in attesa delle sue spiegazioni.
«È la Fortuna a influenzare gli eventi delle nostre vite.»
Confessò il concetto con tono pacato, una banalità che, tuttavia, suonava alle orecchie di Taiga come una sciocchezza da approfondire; non voleva offenderlo – non senza un motivo valido -, ma trovava la sua opinione una stronzata bella e buona.
Una considerazione sin troppo irrazionale anche per uno come lui, sebbene non fosse una novità; era normale, dopotutto, cercare risposte ad aspetti misteriosi della propria vita, ma Kagami non era mai giunto alla stessa conclusione.
Esisteva l'attitudine, l'istinto e il sacrificio – una trinità di ideali a cui Taiga credeva, non ciecamente, ma con dedizione; era cresciuto così, affidandosi alle proprie abilità e a chi lo aveva educato a dovere.
Non aveva mai preso nulla per scontato né per già scritto: il Destino era un'illusione astratta da film hollywoodiani e la Fortuna faceva lui compagnia.
Eppure, Midorima non era un insensato, e ai suoi occhi appariva convinto di ciò che diceva; non era uno di quei ragazzini indottrinati ad una cieca obbedienza né un fanatico che persuadeva altri a seguirne la strada.
Rimaneva un credente solitario – un aspetto che, nonostante tutto, Kagami apprezzava di lui, pur non condividendo le sue scelte.
«E cosa dice di me, la tua cara Fortuna?»
Lo domandò accennando un breve sorriso sarcastico e al contempo soddisfatto; la leggeva lì, nei suoi occhi, la sorpresa dopo la sua richiesta.
Midorima non se lo aspettava, era ovvio dall'impercettibile dilatarsi delle sue pupille, un attacco nascosto da cui non sapeva difendersi, ma che – da come appariva – non sembrava dispiacerlo.
Anzi, Kagami ascoltava il suo discorso seriamente, era una novità a cui nessuno dei due era abituato, sebbene si trovassero in due posizioni contrastanti.
«Hai fatto bene ad indossare qualcosa di nero.»
Gli occhi di Taiga scivolarono sulla camicia che stava indossando; era stata una casualità, più che una scelta consapevole.
Capitava raramente di uscire insieme agli altri – per lavoro, studio o motivi vari -, e di certo non si era mai interessato all'apparire, avendo sempre preferito la spontaneità, piuttosto che una falsa ricerca di perfezione.
Ciononostante, non erano le parole di Midorima a stupirlo di per sé, ma ciò che aveva lasciato intendere - forse neppure intenzionalmente.
«Non credo di averti mai detto la mia data di nascita.»
Un ingenuo rossore giunse all'improvviso ad imporporare il viso di Midorima, ormai non più neutro; era un dettaglio che poteva facilmente sfuggire agli occhi di molti, tra la luce soffusa che illuminava i tavoli e l'alcool che fluiva nelle vene.
Era una così tenue minuzia da obbligare Kagami a chiedersi se, in quell'attimo, non fosse stata propria la Fortuna ad avvisarlo di tale spettacolo: un senso di disagio tanto prezioso da essere persino epidemico, malgrado Taiga non avesse alcun motivo per arrossire assieme a lui.
«No, non lo hai fatto.»
La risposta giunse come un refolo a sfiorare il suo volto, parole indecise che, pochi attimi dopo, finirono con lo svanire in mezzo allo schiamazzare di un gruppo non molto lontano da loro.
Un'attesa pregna di imbarazzo fu ciò che rimase al tavolo, uno sguardo fugace e un silenzio verso quella che – secondo Kagami – pareva un'eternità.
«Me lo ha detto Kuroko.»
Una confessione esclamata con disprezzo – il suo modo per ritornare ad essere il solito Midorima; e, in effetti, il piccolo spiraglio di vergogna svanì in un breve momento, riportando l'apparenza disinteressata a cui tutti erano abituati.
E Kagami avrebbe voluto chiedere, di nuovo – solo per curiosità – il perché di tanta segretezza; non vi trovava nulla di sacrilego nelle sue parole.
Certamente, era stupito nel sapere che Midorima e Kuroko avessero parlato di lui, ma non lo infastidiva.
Anzi, negava il fatto che tra di loro ci fosse solo semplice diffidenza; potevano sopportarsi – se volevano – e Kagami, perché per indole non riusciva ad odiare qualcuno senza motivo, avrebbe facilmente favorito altre conversazioni come questa.
«Comunque non farti strane idee; continui a rimanermi antipatico.»
Avrebbe voluto credergli, Kagami, ma il tono della sua voce – forse meno piatta del solito – lo tradì, facendo sembrare le sue parole niente altro che un gioco, un sarcasmo sottile a cui lo stesso Taiga non seppe resistere.
«Certo, come diresti tu: voi del cancro siete permalosi, no?»
«Non ti ho mai detto la mia data di nascita.»
«Ho tirato ad indovinare, è solo fortuna.»
Kagami concluse bevendo il suo ultimo sorso di birra e, non poco soddisfatto, notò un piccolo e delizioso ghigno sulle labbra dell'altro.
No, non sarebbero mai andati d'accordo.
 

Titolo – Significa "Fortuna di questo giorno/Fortuna del presente" – può essere considerata come divinità (di origine romana) per cui ringraziare gli eventi di ogni giorno della vita.
[1] – La vita è retta dal fato, non dalla saggezza.
  
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