Tutt’intorno
c’era nebbia, un fitto manto di pulviscolo galleggiante che occultava ogni
cosa.
Si
sentiva l’ululare del vento in lontananza, il rumore secco di cose spezzate,
sassi irregolari che rotolavano fermandosi a pochi passi dai suoi piedi.
Faceva
freddo, un freddo assurdo un freddo che raggiungeva le ossa e le faceva
stridere, e nel cuore aleggiava la paura, la sorda rabbia per qualcosa che non
sapeva.
E poi
eccola, una folata più forte e fredda, una raffica che spazza via tutto in un
istante e mostra ciò che sta attorno.
Devastazione,
macerie e palazzi distrutti, un estesa superficie piana spezzata dall’emergere
di cumuli di detriti e polvere e più in la ancora il mare.
“I ragazzi sono in salvo…”
La voce
di un uomo ed i suoi passi che si avvicinano, l’accorgersi solo in
quell’istante d’esser a terra, premere i palmi a terra, darsi lo slancio e
rimettersi in equilibrio per ritrovarsi di fronte un ragazzino dai capelli
lunghi e l’aria preoccupata.
“Dio mio…”
“Tu chi sei?”
Guardarlo
con sospetto , vedere la sua espressione confusa e aspettare una risposta.
“Come sarebbe chi sono io, sono
quello che ti ha portato qui, dobbiamo andare via…”
Prenderlo
per le spalle senza nemmeno lasciarlo finire, guardarlo negli occhi e
chiedergli ancora…
“Dove diavolo mi trovo?”
“Stammi a sentire,sono tuo amico…tuo amico”
“Si!? Come mi chiamo?...Dimmi
come mi chiamo?!!?”
“Ti chiami…Logan….ti
devi fidare di me, dobbiamo andare…”
Spingerlo
via e guardarlo diritto negli occhi, senza mai cedere un’istante…
“…seguimi…andiamo…”
Fidarsi
e cominciare a correre fra i sassi e le buche, finché gli occhi notano qualcosa
e le gambe di colpo si fermano e tu guardi quella figura e non sai chi sia neanche
ora che man mano che ti avvicini si fa sempre più nitida.
Una
donna, ti inginocchi e le posi una mando sul collo per scoprire che è morta
anche se i suoi occhi chiari sono spalancati al cielo.
“La conoscevi?”
La
sua voce ti raggiunge ma tu continui a fissare lei, poi piano scuoti la testa.
“…No…”
Continui
a guardarla poi volti il viso oltre le spalle, delle sirene anticipano l’arrivo
di alcuni camion rossi.
“A quella gente non piacerà come
hai ridotto questo posto dobbiamo andare…”
“…troverò
da solo la mia strada…”
“Buona fortuna!”
Continui
a guardare lei e ascolti la corsa dei passi
di lui allontanarsi alle tue spalle, piano levi la mano e scivoli con le
dita sui chiari suoi occhi di lei chiudendoglieli per sempre, e come questo
accade scende il buio anche su di te che lentamente ti stai alzando….
Aprì
gli occhi, non di scatto non di paura come capitava spesso dopo gli incubi che
inseguivano le sue notti, questa volta, per la prima volta li riaprì
normalmente con un movimento lento nel
buio della stanza voltandosi su un
fianco per rimettere insieme le idee.
Ci
voleva sempre del tempo prima che ricordasse quello che sognava, iniziò a
concentrarsi e pensare cercando immagini e suoni sforzandosi senza però nessun
risultato.
In
quel momento tutto era bianco nella sua mente…e vuoto…
Sbuffando
voltò gli occhi verso la sveglia, che come sempre in queste occasioni segnava
ore notturne, di norma la media del suo risveglio dagli incubi era verso le 4 e
mezza 5, quella notte invece erano appena le 3, tre ore di sonno solamente.
Sapendo
che non sarebbe riuscita a dormire nuovamente scostò le coperte e facendo
attenzione a non far rumore uscì dalla stanza, percorrendo il corridoio
scendendo in cucina, aveva bisogno di qualcosa di forte anche se immaginava di
non poterlo trovare nella dispensa di una scuola.
Con
una smorfia insoddisfatta aprì il cassetto prendendo della cioccolata al rhum
in polvere, poi nel frigo il latte e dalla credenza una pentola, accese il gas
e cominciò la preparazione dell’unica cosa con un po’ d’alcool dentro.
“Hey ragazzina, che fai ancora sveglia?”
Si
voltò di lato sussultando per lo spavento lasciando cadere il frustino e
portandosi la mano al petto.
“Dio
mio Logan! Mi hai spaventa…”
Sbarrò
gli occhi e lo guardò impietrita…
“Dio mio…”
“Tu chi sei?”
Sussultò
e si appoggiò al bordo della cucina mentre le immagini nella sua mente si
susseguivano frenetiche, e le parole con esse…
“Come sarebbe chi sono io, sono
quello che ti ha portato qui, dobbiamo andare via…”
“Dove diavolo mi trovo?”
Immagini
e immagini, un tizio dai capelli scuri e lunghi, due mani sulle sue spalle…
“Stammi a sentire,sono tuo amico…tuo amico”
“Si!? Come mi chiamo?...Dimmi
come mi chiamo!!”
Di
nuovo la paura la scosse, la sensazione di non ricordare niente.
“Ti chiami…Logan….ti
devi fidare di me, dobbiamo andare…”
L’impazienza
nella voce di lui mentre aspetta una tua mossa.
“…seguimi…andiamo…”
Il
volto di una donna ed i suoi occhi chiari
“La conoscevi?”
“…No…”
E poi
sempre più convulse le immagini di quel luogo distrutto e freddo, la polvere e
il vento freddo, le sirene dei pompieri…quegli occhi
di giada, il rimanere pietrificata mentre tutto torna alla luce, eccolo quel
sogno, un altro dei suoi…
“Nhm…”
“Tutto
bene piccola?”
Le si
avvicinò stringendole le spalle preoccupato.
“S-si…solo, un altro…”
“Incubo?”
Alzò
il viso su di lui, sorridendo timidamente scuotendo la testa.
“…sogno direi…”
Lo
vide rilassarsi e lasciare la presa, portarsi le mani dietro la nuca farsi
serio di colpo, annusare l’aria e scostare lo sguardo verso il gas.
E
anche lei, non appena l’odore di bruciato le giunse alle narici si fiondò verso
il gas spegnendo tutto e guardando abbattuta il contenuto nero secco e fumante
del pentolino.
“Uffa,
era l’ultima busta…”
“Mi diapiace…”
“Non
è colpa tua Logan…”
Sospirando
cominciò a rassettare raccogliendo il frustino sporco di cacao da terra e
pulendo la macchia, poi aggiunse dell’acqua nel recipiente e grattò via dai
ferri del fornello le macchie di budino rimanenti.
“Budino
al rhum?”
“Già…”
“Come
mai? Non ti ho mai vista…”
Lo
sguardo timido che gli lanciò bastò a fargli capire tutto.
“Era
un altro dei miei non è vero?”
“Nhm…”
Annuì
distogliendo lo sguardo imbarazzata prendendo la confezione vuota del budino
per buttarla nella differenziata
sentendosi una scema nel sentirlo sbuffare alla sue spalle, era normale
dopotutto che gli desse fastidio; in questo modo, sognando o tramite i suoi
incubi, lei scopriva ogni volta qualcosa di lui, lati oscuri del suo passato,
ombre e fatti che nemmeno lui era riuscito a sapere, sapeva che questo lo irritava, che qualcun
altro vedesse pezzi della sua vita che lui neanche immaginava e che magari nemmeno
voleva ricordare, figurarsi se poi a farlo è una ragazzina come lei.
“Mi
dispiace Logan…non lo faccio appos…”
“Non
è colpa tua Marie…”
“Ma
nemmeno tua…”
“Si invece…”
Sospirando
Logan si lasciò cadere sulla pregiata sedia di legno lucido passandosi una mano
sugli occhi mentre l’altra stringeva il bordo del tavolo e lei rimaneva in
attesa che continuasse.
“Ti
sto rovinando la vita…”
“No!
Non è vero…tu me l’hai salvata la vita!!”
“A
che prezzo? Sono passati tre anni maledizione…e tutte
le notti ti svegli a quest’ora, spaventata, tremante e sola…non
è giusto…”
“Non
sono solo i tuoi sogni Logan…”
“Incubi
Marie…uno come me non può aver sogni, uno com”
“Ieri
per esempio…”
Non
lo lasciò finire, cominciò a parlare tranquillamente sedendosi al lato opposto
del tavolo, stringendo fra le mani lo straccio che aveva usato per pulire prima
guardandolo senza vederlo veramente.
“…ero lontana, ero fra la pioggia e la disperazione…ero
in un luogo senza luce né speranza dove il cielo era di piombo, grida lamenti e
sangue…”
“Marie…”
“Ero
in un posto dove la gente moriva se solamente osava alzare gli occhi da terra,
se lasciava un sasso fuori posto o non posava bene il badile nella rimessa
degli attrezzi.
Ero in
un posto dove i nomi non esistevano ed i numeri bruciavano sull’avambraccio
ogni giorno ed ogni ora di più…”
“Marie,
basta…”
“E la
rabbia saliva a pari passo con l’angoscia, con la mera consapevolezza
dell’abbraccio saldo della morte…”
Alzo
il viso guardandola fare lo stesso, incrociando i suoi occhi non più bruni ma
chiari quasi come quarzo.
“Ero
in Polonia Logan, ad Auschwitz …non ci sono mai stata
ma conosco perfettamente quella lingua, e il tedesco, e il rumore degli spari
dei fucili nazisti, e il canto di preghiera degli ebrei e il viso di due
genitori che non sono i miei ma che assillano i miei ricordi riempiendomi di
dolore e nostalgia…”
“Mi dispiace…mi…”
“Ieri
notte ero Erick Lenscherr
ed avevo 14 anni… ero un deportato ebreo in un campo
di concentramento e quello è un incubo,
quello è orrore ed inferno Logan, non il tuo risveglio su un isola con accanto
un amico ed una donna morta del quale non hai memoria…”
La
guardava sconvolto, come poteva parlare di quelle cose senza mostrare la minima
emozione? Come poteva rimanere solamente li, guardarlo negli occhi e
sorridergli anche, cercare di consolare le sue paure senza pensare alle
proprie, da quando quella ragazzina era…
Ma
che diavolo pensava, sapeva cosa le era successo, toccare lui e poi Magneto aveva comportato dei mutamenti nella sua anima,
nella sua mente e quindi nel suo modo di vivere; aveva smesso da tempo di
essere la bella ragazzina del sud spaventata da sé stessa e dal mondo subito
dopo gli eventi di Liberty Island, poi dopo Alkaly
Lake, dopo la cura e la tragedia di Alcatraz
nonostante non avesse più sfiorato nessuno era cambiata ulteriormente.
Schiuse
gli occhi per notare meglio le sfumature scure occupare nuovamente i suoi occhi
mentre le ciocche chiare di capelli sulla fronte le ricadevano in avanti
sciolte dalla treccia.
“Marie…”
“Un
ultima cosa Logan…”
“Nh?”
“Hai
ragione su due cose…mi sveglio quasi tutte le notti a
quest’ora, ed ho paura …”
Abbassò
gli occhi sul tavolo aspettando che finisse di parlare stringendo le mani sulla
presa del tavolo fino a far sbiancare le nocche, aveva ragione, lei aveva
paura.
“Ma
dura meno di dieci minuti e sai perché?”
La
guardò addolcire l’espressione, arrossire un poco e prendere fiato per parlare
ancora.
“Ogni
volta che entro in cucina subito dopo ci sei anche tu…”
Rimase
stupito da quelle parole ma non ebbe il tempo di replicare che il dolce tocco
delle sue labbra sfiorava le sue guance in una calda carezza fugace.
“E di
questo non ti ringrazierò mai abbastanza.”