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Autore: scarletRose88    12/06/2018    1 recensioni
In un’Europa devastata dalla guerra e dalle conseguenze del cambiamento climatico, la popolazione conta poche centinaia di migliaia di individui. Molte regioni sono scomparse perché sommerse dagli oceani o perché sepolte dalla sabbia del deserto. Da circa centocinquant’anni si è costituito l’Impero di Urbia - ispirato all’antico impero romano - che ha ereditato quel che resta della civiltà. Proprio al di là dei suoi confini, un giovane si risveglia dopo un lungo coma senza nome e identità, assumendo per questo il nome “Nemo”. Ad accompagnarlo nella solitudine della sua condizione c’è soltanto una canzone, che risuona confusamente nella sua testa al grido di “vendetta e libertà”. Quelle parole rappresentano per lui l’unica traccia di sé e da cui intende partire per iniziare un viaggio alla scoperta del suo passato.
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ianumque ab eundo dictum, quod mundus semper eat,
dum in orbem volvitur et ex se initium faciens in se refertur”[1].
 
PROLOGO
Era una vecchia canzone popolare, di quelle che si ascoltavano nelle feste in piazza o dalla bocca di un pastore solitario, una di quelle canzoni che il tempo non poteva cancellare e che diventava così parte della tradizione popolare. La melodia fluiva lenta e malinconica dal flauto traverso, evocando note di selvaggia delicatezza che ricordavano ora i rami oscillanti di un bosco temperato, ora le strade deserte di una città dimenticata. A un certo punto, la voce di una donna interveniva per fondersi in un unico suono a quella base dolente e per raccontare una storia di lotta e libertà. Si trattava di una vicenda indecorosa, che condusse alla messa al bando della sua canzone in molte terre. Il suo messaggio raggiungeva i cuori e le orecchie della gente, sollevando ogni volta un infausto tumulto: era come una dolce ma travolgente ninnananna che assopiva la più radicata paura dell’anima. Nella danza vorticosa delle note, fu un’unica parola a riscuoterlo al punto da farlo sussultare:
«Vendetta».
Aprì un occhio, poi l’altro mentre riacquistava delicatamente consapevolezza dell’ambiente in cui si trovava. Un debole raggio di luna filtrava da una crepa sul tetto granitico di quella che sembrava una grotta. Tese le orecchie verso l’unico suono che riusciva a carpire, lo sciabordio di un corso d’acqua. Così lo colpì violentemente un bisogno incontenibile, un istinto selvaggio. La sete. L’irrefrenabile desiderio di rinfrescare la gola arida e strozzata lo spinse a sollevarsi. Nei suoi cauti e goffi movimenti, avvertiva le membra intorpidite, i vestiti erano luridi e consunti. Si sostenne alla parete rocciosa su cui rifletteva la superficie danzante di una fonte. Allora la vide, l’acqua. Come una dea tentatrice lo invitò ad avvicinarsi cosicché si tuffò nel suo abbraccio refrigerante. Si liberò degli abiti logori e rimase a galleggiare pensoso in quella vasca naturale. I suoi pensieri corsero alla strana canzone che lo aveva svegliato e alla parola che lo aveva scosso. Vendetta. Era stata la sua immaginazione? Eppure sembrava una melodia così familiare. Indossò solo i pantaloni, il resto del suo vestiario era troppo malandato tanto che sembrava vecchio di un secolo. Uscì all’esterno e si ritrovò al cospetto di una pianura sconfinata, avvolta dal solo mantello della notte. Così come lo aveva trafitto l’istinto della sete, adesso c’era un altro impulso a scalpitare incontenibile: la solitudine. Mentre esaminava la distesa silenziosa intorno a sé, diveniva sempre più chiaro il fatto che non solo era totalmente isolato ma che era persino immemore di se stesso. Non riusciva a ricordare chi era, né che cosa ci faceva in quel luogo sperduto. In una situazione come quella neppure l’istinto poteva guidarlo, né un indizio che invece lo conducesse su una pista da seguire. Si gettò sulle ginocchia portandosi le mani alle tempie per massaggiarle e indurre il cervello a collaborare. Doveva esserci un ricordo, un’immagine sfocata del suo passato, un volto, un nome…
«Vendetta».
Eccola di nuovo quella parola, sussurrata sulla base di quella misteriosa e familiare canzone. Allontanò le dita dalle tempie serrando le labbra in un’espressione severa. Era la musica il suo unico indizio e la sua ricerca doveva partire da quella.
 
[1]Il mondo va sempre, muovendosi in cerchio e partendo da se stesso a se stesso ritorna”, Macrobio, Saturnalia, I, 9, 11.
  
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