Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
Ricorda la storia  |      
Autore: xkillit    12/06/2018    0 recensioni
dove Min Yoongi si innamora follemente di un bambino incontrato alle scuole elementari.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
tutti hanno almeno un ricordo, uno piccolo piccolo, della propria infanzia, giusto? bene, per me non è così. 

Sono sempre stato un ragazzo con una memoria piuttosto lunga, lo ammetto, ma del mio passato non c'è neanche una più che minima traccia, neanche un ricordino minuscolo, se non il ricordo di un anno in particolare passato alle elementari, anzi, di una persona in particolare.

Quando si è piccoli i bambini iniziano a prendersi cottarelle per delle compagne di classe, e le bambine sviluppano una metamorfosi e, dall'essere dolce e carina, iniziano ad assumere un comportamento odioso nei confronti della maggior parte dei ragazzi e delle altre loro coetanee, la maggior parte delle ragazze sono così, o almeno così ho osservato e realizzato nei miei ventiquattro anni di vita.

Ventiquattro anni passati ad esistere, a respirare, ad occupare il mio posto nel mondo senza mai vivere veramente, solo a fare quel che era necessario fare per sopravvivere, per non finire dentro ad una tomba.

Ma torniamo a noi, senza più divagare in discorsi a dir poco inutili.

Il mio nome è Min Yoongi, ho ventiquattro anni, vengo da Daegu e sono un guscio vuoto.

Un guscio vuoto senza memoria, un guscio vuoto che non ha ragione di vivere se non una persona, una persona incontrata durante il periodo delle elementari.

Quando lo incontrai per la prima volta avevo solo 8 anni, lui ne aveva solo 6, ma era bellissimo. Aveva i capelli marroncini, le guance perennemente tinte di una leggera tonalità di  rosso, e... ricordo che portava sempre dei fiori tra i capelli. Tutti i giorni cambiava la specie e il colore, e tutte le volte diventava sempre più bello, era un angelo, aveva un aspetto a dir poco divino; le sue labbra erano forse un po' troppo carnose per il volto di un bambinetto della sua tenera età, ma era... era bellissimo ugualmente, e le sue labbra - quando si piegavano per sfoggiare un sorriso innocente come i bambini possono fare - erano ancora più belle di quando erano rilassate.

ricordo perfettamente ogni singolo dettaglio del suo volto sorridente nonostante siano passati oramai sedici anni, se chiudo gli occhi riesco ancora a vedere la figura del suo viso, la finestrella dell'incisivo superiore caduto poco tempo prima, i suoi occhi stretti ridursi a due piccole fessure, due semilune. Non ho mai incontrato una persona con un sorriso tanto bello come il suo, e questo è poco ma sicuro.  

Ero troppo piccolo ed innocente per realizzarlo, ma lui diventò praticamente l'unico motivo per cui traevo la forza di alzarmi dal mio letto al mattino, per cui andavo a scuola ed affrontavo i bulli che mi perseguitavano dal primo anno delle elementari, perché ogni presa in giro o insulto da parte di quei decerebrati, sebbene mi facessero sentire una feccia vivente, parevano svanire quando il bambinetto mi passava davanti e sorrideva.

Non parlai mai con quel ragazzino, a quei tempi non mi ero neanche reso conto che fosse un maschio e che la mia fosse una vera e propria cotta, mi limitavo ad osservarlo da lontano, a squadrare con molta cura i tratti del suo viso, a guardare i fiori che poggiava cautamente sulla testa, a sorridere ogni volta che lui mi passava davanti, ogni volta che il suo sguardo incrociava il mio, ogni volta che sentivo il suono della sua voce infantile provenire dalle scale a chiocciola della scuola, quelle che portavano dal primo piano dell'edificio al giardinetto pieno di fiorellini chiuso dal cancello arrugginito della scuola. Non importava quale stagione dell'anno fosse, quel piccolo prato appartenente alla nostra scuola era sempre fiorito, ma nonostante i tanti colori presenti, le specie introvabili e magnifiche di animaletti da giardino e tutte le cose nella natura in generale, lui era la cosa più bella esistente al mondo, era come se fosse il sole che rischiarava le mattine primaverili, che portava la felicità dopo delle ore, ore ed ore piene, di temporale. Lui era una luce, la mia luce.

Io lo guardavo, lo guardavo e lo guardavo ancora, ma non sapevo nulla di lui, e lui non sapeva assolutamente niente di me, forse non aveva neanche realizzato che un bambino più grande gli stesse dando tali attenzioni, non sapeva quel che io provavo e pensavo di lui, non sapeva che nonostante la nostra tenera età lo avrei voluto solo e soltanto per me, stringerlo con forza e protezione tra le mie braccia, baciare quelle sue labbra carnose, l'unica cosa che desideravo era vederlo crescere, vedere come sarebbe diventato il suo viso e il suo corpo dopo e durante la pubertà.

E infatti così fu.

Per mia fortuna Jimin, quello era il suo nome, continuò a studiare in quella scuola, che comprendeva elementari, scuole medie e liceo. Ogni mattina prendevo un autobus per raggiungere l'edificio, e puntualmente lui era lì, sempre seduto sullo stesso sedile in fondo al veicolo e accanto al finestrino semiaperto, con gli auricolari nelle orecchie, intento a non sostenere un contatto visivo con nessuno. 

Io avevo sedici anni, lui solo quattordici.

Avevo sentito vari pettegolezzi su di lui, sapevo che veniva bullizzato, sapevo che tutti lo prendevano in giro per via di alcuni suoi modi di essere, per il suo aspetto fisico, per il suo essere "grasso" ed "orripilante", cose ovviamente dette tanto per rovinare la vita di una persona, per rovinare quelli che dovrebbero essere i momenti migliori della vita, quelli che dovresti vivere felice e spensierato, senza aver paura delle conseguenze che potrebbero portare certe azioni sconsiderate e fatte tanto per ridere con qualche amico.

Avrei voluto andare da lui, da quel ragazzino poco più basso di me e con i capelli tinti di un colore rosa pastello, e dirgli tutto quel che pensavo di lui da oramai otto anni, ma non potevo. Non potevo proprio. Non potevo andare da lui a dirgli che lo trovavo perfetto, non potevo dirgli neanche che oramai era diventato seriamente la mia sola ed unica ragione di vita, se lo avessi fatto le prese in giro nei confronti miei e di Jimin sarebbero diventate ancora più pesanti e frequenti.

Io ero proprio come lui, lui era proprio come me, eravamo uguali, solo che non lo avrei mai detto a nessuno, non volevo mettere ancora più a rischio Jimin, perché sapevo con certezza che se avessi confessato i miei sentimenti il bullismo per me e per lui sarebbe diventato una cosa all'ordine del giorno, e sinceramente non volevo che lui soffrisse come un cane.

Ma lo stava già facendo. Aveva smesso di mangiare da oramai una settimana, a mensa si sedeva in un angolino ad osservare le pietanze altrui con disgusto, come se all'improvviso tutto quel che poteva essere ingerito fosse diventato dello stesso sapore di un pezzo di cartone immerso in una pozzanghera di fango, ed era tutta colpa di quegli idioti che prendevano in giro il ragazzino dai capelli del colore dello zucchero filato, che gli donavano un aspetto infantile e adorabile allo stesso tempo. Non potevo davvero più trattenermi, non riuscivo a vederlo in quelle condizioni, avevo seriamente bisogno di avvicinarmi a lui, di instaurare un contatto fisico, di iniziare un rapporto di amicizia - e sì, mi sarei anche accontentato di averlo come amico - tanto per dargli l'affetto di cui aveva bisogno, per dargli l'opportunità di avere qualcuno con cui sfogarsi.

Presi tutto il coraggio e la forza che c'era dentro di me, mi alzai dal tavolino a cui ero seduto e raggiunsi con passo svelto il posto in cui il ragazzino era. Non avevo mai visto il suo viso così da vicino, e finalmente potevo studiarne i dettagli con più cura. Ero tentato di avvicinare una mano al suo viso ed accarezzargli uno zigomo con un dito, di fare mie le sue labbra visibilmente morbide e ben idratate lì di fronte a tutti. Lo presi per il colletto della felpa, lo avvicinai a me e feci quello che avrei voluto fare da tanto di quel tempo che l'attesa era diventata straziante. Gli misi le mani attorno ai fianchi e...

- posso aiutarti?- una voce roca e flebile interruppe il mio film mentale. Il ragazzino aveva alzato lo sguardo ed adesso ci stavamo squadrando a vicenda. I miei occhi nei suoi, i suoi nei miei, mi sentii a dir poco potente in quel momento. Avrei potuto uccidere un leone a mani nude nel giro di pochi secondi, sentivo che potevo fare qualsiasi cosa. Anche solo il fatto che mi aveva rivolto la parola mi aveva rallegrato visibilmente la giornata, la mia luce aveva rischiarato la mia vita. 

- avevo solo intenzione di sedermi qui accanto a te. Questo posto è occupato?- feci io.
Silenzio totale. 

Ci misi un bel po' a riuscire a farlo aprire completamente, a farlo sfogare, e riuscii addirittura a convincerlo a riprendere a mangiare, oramai passavamo la maggior parte del tempo assieme. E ogni minuto, ogni secondo, ogni millisecondo, passato con lui riusciva a farmi innamorare sempre di più di lui, fino a farmi arrivare al punto di essere sul punto di piangere ogni volta che lui saliva sull'autobus ed andava a sedersi al suo posto personale, quello accanto al finestrino, quello vicino a quello che oramai era diventato anche il mio posto. Dovevo confessargli tutto. Dovevo per forza. Mi ero stancato di dire bugie, di fingere che per me fosse solo ed esclusivamente un buon amico, perché oramai anche solo dire che tra noi non c'era assolutamente niente se non un'amicizia intensa e intima, mi faceva male, e su questo sono serio, e così decisi.

Un pomeriggio di primavera decisi di dargli appuntamento, di dirgli di vederci al parchetto vicino alla scuola, e quello sarebbe stato il posto in cui gli avrei detto ogni singola cosa successa da otto anni a questa parte, non potevo più tenerlo per me, avevo bisogno di dirlo a qualcuno, e Jimin era il mio unico amico. Arrivammo sul posto, andammo a sederci sopra ad una panchina posta sotto ad un albero e girai il busto verso di lui, guardandolo. Gli presi con delicatezza una mano e presi a giocherellare con le sue piccole dita, che poi feci incrociare con le mie. Il mondo in cui Jimin arrossì mi fece tenerezza, lo amavo alla follia, e quando poi mi rivolse un sorriso dovetti prendere tutta la forza di volontà presente nel mio corpo per non saltargli addosso. Tirai fuori dal mio zainetto una coroncina di fiori colorati e gliela misi tra i capelli.

- Jimin, vedi... io mi ricordo di te fin da quando ti mettevi sempre queste in testa. Eri bellissimo da piccolo, ma adesso lo sei ancor di più. Sei il motivo per cui vado avanti, per cui continuo a vivere nonostante la mia intera esistenza sia difficile, perché io ti amo più di quanto io abbia mai amato una persona in vita mia. Sei perfetto, ogni singola cosa in te è fantastica, e ora come ora vorrei solo averti per me, solo per me. - non so da dove presi tutto quel coraggio, ma quella volta lo feci davvero, e non era un mio film mentale. Gli presi il viso tra le mani, mi avvicinai a lui e gli diedi un bacio a stampo, uno dolce e romantico che feci durare per qualche secondo, che poi lui ricambiò stringendosi a me.

- io sapevo già tutto, e pensavi sul serio che non avessi notato il modo in cui continuavi a guardarmi? ho sempre provato le stesse identiche cose nei tuoi confronti, e poi mi hai anche aiutato a superare qualche mio problemino con me stesso. Io ti amo, ti amo davvero. - rispose lui, mentre le sue guance diventarono completamente rosse per l'imbarazzo. Era bellissimo, davvero bellissimo, e adesso ogni singola parte di quel ragazzino sarebbe stata solo sua.

Io avevo ventun'anni, lui solo diciannove.

Eravamo stati insieme per tantissimo tempo, e nonostante varie complicazioni che di solito succedono nelle coppiette eravamo ancora insieme, ed ero certo che sarebbe rimasto con me per tutta l'eternità. Sapevo che lui, la mia luce, avrebbe rischiarato la mia vita fino a quando, da vecchi, ci saremmo spenti entrambi, sapendo però di aver vissuto una vita piena di avventure e di bei momenti passati insieme, a ridere, a scherzare, ad amarci e a volerci l'un l'altro.

Il mio problema con il bullismo, dopo la fine della scuola, era svanito, ma non quello di Jimin. Mi raccontava spesso di come si sentiva, di come la sua poca autostima si fosse azzerata completamente. Aveva smesso ancora una volta di mangiare, e anche se avevo cercato di convincerlo a riprendere ad indurre pietanze nel suo corpo quella volta fu tutto inutile, completamente inutile. Passammo un anno intero a fare avanti e indietro per l'ospedale della città di Seoul, speravo vivamente che lui sarebbe riuscito a superare quel brutto momento come aveva fatto con altri periodi bui passati nell'adolescenza, ma non sembrava fare progressi.

Era ancora bellissimo.

Bellissimo nonostante le guance infossate e la corporatura esile, scheletrica, che ti dava l'impressione di potersi rompere anche solo sfiorando la pelle del ragazzino. Le sue labbra carnose erano sempre screpolate ed avevano assunto un colore violaceo, le occhiaie sotto ai suoi bellissimi occhi erano così visibili da far quasi paura, ma era bellissimo.

Lo amavo, lo amavo alla follia, lo avrei amato e supportato anche se avesse continuato a non mangiare, per lui ero anche disposto a passare sei giorni su sette rinchiuso dentro ad un ospedale.  

A lui non piaceva la sua vita, lui non sorrideva più, era sempre triste, lui voleva solo chiudere gli occhi e dormire per tutta l'eternità, lasciandomi quindi a soffrire fino alla fine dei miei giorni, a ricordarmi dei momenti passati con lui come se oramai fossero soltanto una misera pagina in mezzo a un libro di storia lungo un miliardo di pagine.

Il momento arrivò,io non ero psicologiamente pronto ad affrontare una cosa simile. Dopo due settimane senza prendere nessun alimento, semplicemente, morì. Nessuno fu capace di svegliarlo, morì durante la notte, stringendosi tra le mie braccia.

- promettimi che non ti scorderai di me, che continuerai a vivere come hai vissuto gli anni che hai passato in mia compagnia, porta avanti il mio ricordo, ed ogni volta che ti sentirai solo ricordati ce io sarò sempre qui a guardarti, magari sarò una delle tante stelle in cielo, magari la più luminosa, la prima che ti salterà all'occhio quando alzerai lo sguardo durante una delle notti più belle della primavera. Non ti azzardare a dimenticarti di me, è chiaro? - mi disse quella notte, tutto convinto  che stesso già dormendo.

La mattina seguente, lui non c'era più. 

Era ancora bellissimo, anche mentre il suo battito cardiaco era assente e il suo volto era pallido.

E' incredibile come certe cose, dopo che le hai amate con tutto te stesso e trattate come se fossero l'unica cosa importante nella tua vita, ti facciano star male, ti facciano soffrire come un cane bastonato. Piansi per giorni, settimane, mesi, anni, e adesso sono passati ben tre anni da quando la luce si è trasformata in oscurità.

Tutte le sere raggiungo la finestra, guardo fuori ed alzo lo sguardo al cielo, mentre le lacrime mi rigano le guance e le mani mi tremano come foglie.

- ciao Jimin. Non mi sono dimenticato di te, e non lo farò mai. Ti amo. -

Io mi chiamo Min Yoongi, vengo da Daegu e sono un guscio vuoto.

Io ho ventiquattro anni, lui ne aveva solo diciannove, e li avrà per sempre.
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS) / Vai alla pagina dell'autore: xkillit