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Autore: jk_krissica    18/06/2018    0 recensioni
"Hyung, anche oggi mi dipingi tra i tuoi ricordi?"
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Qual è il desiderio più bello che tu possa mai aver desiderato?


Gli angoli dei suoi fogli ormai opacizzati dallo irrefrenabile e parzialmente instabile scorrere del tempo, dipingevano a mani bagnate le piume d'oro di un maestoso personaggio mellifluo. I suoi frammenti suonavano come dolce sinfonia celeste, il giallo canarino di un'aureola circolare e spessa scendeva sui capelli ribelli, insaziabili dagli schizzi del sole di mezzogiorno, rendendo il colore della sua pelle una carezza bianca che di gusto sul palato sapeva di fiori sbocciati. Le sue ossa tremavano, scuotevano gli organi dentro la corazza di ferro che si era creato, rendendo l'armatura in metallo una prigione senza via di fuga. C'era vento sul terrazzo, un caffè bollente che soffiava il suo calore, accantonato nell'angolo del minuscolo tavolino in lattice, affiancato dal corpo longitudine del ragazzo. La sua fantasia era immersa in un mondo di decadenza dove le ali d'oro del suo eterno angelo erano solo pietre senza alcun tipo di valore. La sua esistenza era ignota alla terra incolore, astratta da tanti piccoli paesaggi, spillati sulle cicatrici dei suoi ricordi rimossi. Gli alieni, protagonisti di grandi scoperte dunque razze anomale in cerca dei carnivori mangia testa, erano la bugia della superstizione, la sua mente dettava brutti giochi che gli facevano vivere la realtà sfumata da troppi colori. A detta del suo angelo, chi erano gli alieni, se non noi con le nostre differenze di colore, luogo e nascita. Chi erano gli alieni, gli infimi, i cannibali, se non noi, con il nostro egoismo incollato sulla bocca. L'umano è il diavolo che veste la tunica della divinazione celestiale. L'umano è solo l'angelo in cerca d'amore. L'umano è quel che è, terribile, ipocrita, bugiardo. L'umano è il suo protettore che si maschera da assassino. E il suo angelo gli parla attraverso gli occhi, perché lui può vedere, mentre il principe di questa storia no.

Le sue iridi erano scomparse all'interno dell'occhio, nascoste in un oblio di insicurezza che al mattino preferivano saziarsi di acqua salata, bruciata con il fuoco della sua utopica camera a gas, in un denso e perspicace sogno che silenziava la sua esistenza durante i film delle quattro del mattino. Perché gli incubi non cessano mai di esistere. I racconti narranti erano ormai un mistero perfino ai muri del suo piccolo appartamento, la sua lingua aveva smesso da tempo di muoversi all'interno della sua cavità orale -il sapore era sempre lo stesso: un palato graffiato dagli infusi bollenti segregati sotto il cuscino delle sue dicerie ingannatrici, amari, e il retrogusto rimaneva lo stesso. Rimaneva lì, se le nuvole arrivavano per un saluto piangente, l'acqua gli scorreva spesso sul viso. Il principe cadeva assieme ai colori che dipingevano il suo viso, il suo corpo, i vestiti che lo ricoprivano dalle malattie silenziose, gli oggetti inanimati e le ali d'angelo pendenti sulla sua schiena.

Ma chi era costui, se non un fantasma caduto dal cielo.

Sofferente disgrazia era la sua, era stato punito per aver commesso il peccato del diavolo: un ricordo, al posto di un altro. 
Secche, erano diventate le sue labbra scarlatte. Rosa, erano diventate le sue guance paffute. E intenso, era diventato il suo desiderio di poter volare. Impara, e impara a non essere affamato dalla cupidigia. Essa ti porterà solo nelle tenebre. Ma chi siamo noi, se non dei mostri bramosi fino alla dipartita della nostra anima. Le sue dita scorrevano sui pennelli indefiniti, dormienti in un eterno mondo dove le cose non avevano un cuore per riuscire ad esprimersi, scegliendo chi sarebbe stato il più adatto per definire il suo sentimento ormai a pezzi. Se decideva, sapeva che quello sarebbe stato il giusto inganno da concedere ancora sul foglio, se rimaneva, allora crollava distrutto sulla sedia, osservando il cielo dentro una sfera di cristallo e si perdeva dentro i fili dell'immaginazione. Fantasia mai spenta fin dalla nascita. Una creatura che nasceva e cresceva, fino ad oggi, ma il suo percorso era stato inchiostrato dal sangue. Occhi che volavano, e la cecità dell'infinito.

Chi era costui, se non un principe dalla saggezza spezzata attraverso le mani del suo angelo che lui descriveva come unico salvatore nel quanto... era stato lui, a spezzare le sue ali.

“Hyung, anche oggi mi dipingi tra i tuoi ricordi?” Domandava quella piccola creatura dallo sguardo limpido, un batuffolo di lana, una dolcezza che gli baciava le guance quando prendeva sonno e riposava sulla sedia non più a dondolo, con un cuscino a sorreggergli la schiena. Taehyung lo osservava distratto, senza percepire quanto bastava la serenità che scorreva tra le vene del suo amico dalle pupille buie. La sua luce vagava su tutto il corpo dell'altro, perdendosi ogni minimo dettaglio e lasciando impresso solo le cicatrici del passato. Il principe sorrise gongolante, cercando con la mano libera i capelli probabilmente mossi del piccolo ragazzo, la sua chioma era morbida al tatto. Puzzava di anguria ed estate, un miscuglio paradossalmente bizzarro; come Taehyung riuscisse a lasciar il suo odore ovunque, Namjoon non riusciva a comprenderlo. Dopotutto non vivevano nella stessa stanza, ma la sua camera intingeva gli oggetti della presenza di Taehyung, facendogli capire che lui, anche quando si nascondeva sotto il suo letto, era passato di lì. “Hyung! Dammi una risposta dai, prima che quei vecchiacci mi trovino quassù!” La sua voce strillava petulante, stringendo le corde vocali tanto da sentire dolore anche su per la gola. Poggiava sul suo pantalone di tessuto lavato, la mano che si perdeva tra i suoi finti guanti, solo acquarelli gravati sulla sua pelle, un'opera in movimento che Namjoon apprezzava, nonostante non riuscisse a guardare quel dipinto esuberante. Non muoveva la testa, lasciava il suo profilo rivolto verso l'incognito, il cielo che si sfumava nel tramonto. L'angelo scarabocchiato a penna, percepiva ogni singolo movimento provenire dal suo creatore quasi spento. Desiderava poter scappare via da quel pezzo di carta ingiallito, accendersi con il sole e dormire tra le nuvole della notte. Solo la sua essenza poteva scappare da quella interminabile galera quale era destinato a vivere. Sapeva che di lì a poco, Namjoon avrebbe fatto la sua prossima mossa, aggiungendo altri tocchi d'inchiostro sulla sua costruzione di carta. Le righe del foglio che gli dividevano il corpo a pezzi e un'ala ancora non disegnata.

“Tae-ssi, quando imparerai ad ascoltare gli infermieri? Sai perfettamente che ti fa male stare sotto il cielo.” Taehyung leggeva le parole scritte dal suo amico, annuendo svogliato con un intenso luccichio negli occhi. Sapeva perfettamente quali conseguenze gli sarebbero 'spettate se non fosse scappato all'interno dell'edificio, quali catastrofiche complicazioni avrebbe riscontrato il suo corpo, ma sembrava non dargli un certo peso comunque. Il suo dolce viso lasciava un inganno risolino stamparsi sugli spiragli del vento, un morso intenso sulla mano del giovane ragazzo e la voglia di resistere sotto una costellazione che solo Taehyung riusciva a distinguere in quella giornata dove il sole non lasciava spazio ad un disgustoso pezzo di pane ammuffito. Nelle sue dicerie, il tè doveva essere la camomilla per farlo dormire, mentre le foglie d'albero il passato di un mostro nascosto nell'armadio. Taehyung era un ragazzino di tante frottole, il suo palato si sbizzarriva sotto la sua voce petulante nonostante all'udito desse costantemente fastidio il suono del suo accento. Forse sarebbe dovuto toccare a lui, e non a quel giovane ragazzo dalle ali completamente frantumate.

“Oggi è un giorno particolarmente strano. C'è un intenso via vai di gente che non ti fa dormire come vorresti. Senti i loro passi calpestare il pavimento dove c'è il tuo letto e sono lì, continuamente, che farfugliano e biascicano sillabe che neanche io comprendo. Mi domando perché, hyung, perché sia dovuto andare proprio tu. Non poteva essere qualcun altro?” Respirava con costanza, facendo ballare il lento alla sua cassa toracica, che di ossa sembrava non averne alcuna traccia. Poggiato con le mani per terra, osservava le crepe di un tulle svolazzare senza meta, raccolto dalle mani del gentil vento, colorato di bianco acceso. Eppure, non vi era bufera da far fuggire un tessuto così delicato. “Stanno venendo a prenderti, hyung?” Rivolse il suo sguardo su Namjoon, in silenzio, e non aggiunse altro. 
 

Le ali d'angelo che aveva disegnato sembravano quasi dipinte da mani sconosciute, un intoccabile sensazione di disagio crebbe nel suo stomaco tanto da lasciarsi andare per un solo attimo e buttare via la maschera che forzatamente stava indossando. La paura riprese possesso delle sue complete sensazioni, baciando sulle labbra l'ansia che pungeva tremendamente sulla bocca dello stomaco. Un ingoio intenso, la saliva che scendeva frettolosamente così da bloccarsi per farlo lacrimare dagli occhi, il naso sembrava esausto di gocciolare, i taglietti nascosti non ce la facevano più. “La disperazione ti ha portato a tanto. Guardati, non sei più nessuno ormai. Non conoscono il tuo nome...” Parole senza sosta. Namjoon non aveva più alcuna voglia di scrivere. “Parlami.”

“Tae-ssi, non dovresti stare qui.” La calligrafia era sporca di mattoni, i residui che gli si erano spaccate sulle nocche avevano lasciato la loro impronta, tracciando il loro ricordo attraverso lo stile impacciato che aveva utilizzato per scrivere. Il dolore ai muscoli non vi era più, al suo posto pelle secca che pendeva per la poca carne rimasta. Namjoon non sapeva camminare, così come non sapeva suonare. L'apprendimento era stato solo un gioco sotto le coperte da fare con il suo precedente amante. Il passato gli rideva contro, la sua esistenza svanita.

“Dovresti finirlo il disegno, sai? Non sta venendo male, serve solo fargli l'altra ala ed è perfetto!” Tornò Taehyung, scuotendo le braccia, danzando un po' intorno a Namjoon, che non si preoccupava di vederlo, lo sentiva. “Hyung, ascolta!! Sto sorridendo! Fai il sorriso anche a lui!” Cantava come un folle urlando a squarciagola cantilene dei bambini del primo piano, spingendosi oltre il cornicione per buttare fuori la testa e rischiare l'impossibile. Taehyung giocava come un bimbo piccolo, esponendo la sua fragranza attraverso sguardi impenetrabili e oscuri. Non capiva cosa occupasse la testa di quel ragazzino, ma gli piaceva la sua compagnia. Il timore di cadere giù scompariva in sua presenza, ma aveva comunque la sensazione che non dirgli la verità fosse terribilmente sbagliato.

 

Passò circa un quarto d'ora, tempo ricoperto da note sconosciute apprezzate solo dai raggi del sole, e terminò la sua opera senza nome. “Hai intenzione di mettergli una data? Così, per ricordare il giorno memorato.” Gli si era avvicinato di soppiatto, un ninja perfetto ricoperto dal capo nero, e lo tolse, lanciandolo per aria. “Che giorno è oggi?”
Namjoon sospirò, lasciando gocciolare l'inchiostro fino alla comparsa di alcuni numeri.”Oh hyung, stai trascurando la tua memoria a quanto pare. Non è il 2 Ottobre. Siamo ad Agosto!” Rideva scappando, saltellando come un matto in ogni dove. Poi, si arrestò e si girò, mostrando lo sguardo di poco interesse che era solito portare. “Tornerai presto hyung, ti aspetterò nella tua stanza. Stavolta ci vorrà tempo per trovarmi.” Il tramonto era buio nel suo riflesso. Beveva dalla tazza quanto gli bastava per inumidire la lingua e respirare. Namjoon riusciva ancora a respirare. Il presente lo passava in afose giornate, aria umida, e la compagnia di un angelo estremamente bugiardo. Non sarebbe tornato, probabilmente non più. Il suo corpo bruciato assieme a dei piccoli bambini, le ceneri scomparse.

Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare di esaudire il suo desiderio? Esigeva assoluta compagnia, la sua più totale compagnia, ma vista l'assenza di vita all'interno di quel corpo, sarebbe diventato lui stesso il suo angelo custode. Taehyung di certo non lo sapeva, morte indolore e imbroglione della sua stessa esistenza. La sua vita volgeva al contrario, era lui a credere di avere un amico protettore. Prima o poi, però, l'avrebbe capito. Namjoon era solo un ragazzo pensieroso, percorreva le sue giornate sotto la pioggia di dolore e aspettava, ormai aspettava continuamente quel ritorno, quel saluto, che non sarebbe mai più tornato.

 


Note: dopo una lunga pausa di studio, sono tornata con questa combinazione ambigua e celestiale. Spero apprezzerete!!
 
  
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