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Autore: Karyon    06/07/2009    4 recensioni
«Meglio avere amato e perso che non avere amato mai».
Che cosa stupida.

Prima classificata al contest "SR’s Tribute" indetto dalla Rota&PaP’s Corporation”
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Coppie: Remus/Sirius
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Titolo: Somebody [to love]
Genere: Drammatico, romantico, introspettivo.
Rating: Arancione.
Personaggi e combinazione: Sirius Black, Remus Lupin [Sirius/Remus]
Avvertimenti: One shot, what if…?, shonen ai.
Summary: «Meglio avere amato e perso che non avere amato mai».

Che cosa stupida.
Desclaimers: La canzone1 è Somebody to love ©Queen.
I personaggi sono ©JK Rowling. Non sono usati a scopo di lucro, ma per semplice divertimento.
Note: L’aforisma da me scelto è “Il sesso allenta le tensione, l’amore le causa”. Spero di averlo interpretato bene, anche ha un ruolo un po’ nascosto.
La fiction non è un granché e me ne scuso, ma sono fuori fase mi sa. XD
Spero comunque che vi emozioni almeno un po’. Buona lettura.
Karyon

Somebody [to love]

Meglio avere amato e perso che non avere amato mai.
Che cosa stupida.

Sirius si alzò dalla solita ammuffita poltrona del salone e lanciò un vacuo sorriso all’ennesima persona – conosciuta o sconosciuta – che attraversava la soglia di quella porta nera. Da un paio di settimane Grimmauld Place era la sede ufficiale dell’Ordine della Fenice e, da altrettante settimane, quel luogo era diventato ancor meno suo di quanto non lo fosse stato in passato.
L’anima estranea che impregnava quelle mura sospirava, soffocata dalla coltre di risate argentine e saluti amichevoli. Per quanti sforzi i Weasley, Silente e l’intero Ordine potessero fare, quella casa lasciava l’impalpabile odore acre dell’abbandono e del dolore.
E per quanti sforzi lui facesse nel ripulirsi del sangue che lo pervadeva, quella casa era in lui, era la parte di se stesso che ripudiava anche nei suoi infimi pensieri.
Causalmente gettò un’occhiata all’esterno - dove la cupa piazzetta era totalmente immersa nel silenzio -, e appoggiò il palmo alla parete, osservando quei vetri sporchi e sbiaditi come se fossero importanti.
«Verrà, Sirius. Alla fine ha accettato anche lui, ma non avevo alcun dubbio…»
«Non sa di cosa parla» scattò, senza girarsi a guardare. Se lo avesse fissato in quegli occhi azzurri, si sarebbe scusato quasi inconsciamente; anche perché non era certo colpa sua.
«Oh, ovviamente è molto probabile che io non sappia di cosa parli, mi capita spesso!» Esclamò il Preside di Hogwarts, ridendo.
Sirius si girò a squadrarlo, inarcando un sopracciglio: no, non capitava affatto che si sbagliasse.
Naturalmente aveva finito per guardarlo e – altrettanto naturalmente – si scusò.
«Non scusarti, l’impazienza rende stupidi alle volte» replicò Silente, fissandolo con quello sguardo che sembrava trafiggerlo, potente come ogni volta.
Sirius sospirò «Io lo sono quasi sempre» rivelò, ma anche quello il vecchio Preside già lo immaginava.
«Oh, non è detto che sia sempre un male… ci riporta al passato, non credi?»
Sirius lo guardò, quasi senza vederlo: il passato. Il suo passato era pressoché inscindibile dalla stupidità.
«Già» soffiò alla fine, mentre vagava oltre le sue spalle foderate dalla solita tunica stravagante.
Ed eccolo lì, ce l’aveva fatta.
Era invecchiato ancora di più in quell’anno che non si erano visti, ed era dimagrito; molto, troppo. Notò nuove striature tra i folti capelli castani e nuovi solchi sul viso; lo fissò come se potesse attraversare lo strato di mantello nero, i vestiti sgualciti e toccargli la pelle. Pelle che – lo avrebbe scommesso – era ancora più segnata.
Remus scambiò qualche convenevole con Molly Weasley, attraversò silenziosamente l’atrio con il ritratto della terrificante Signora Black e si girò verso di loro, proiettando un debole sorriso sincero.
Silente annuì «Remus, è bello rivederti».
«Preside…» mormorò lui, percorrendo il salotto con due grandi falcate e stringendogli calorosamente la mano.
«Molly, che ne diresti di una tazza di tè per tutti i nostri ospiti?» Domandò Silente con elegante casualità, prima di allontanarsi con la donna verso la cucina.
In pochi attimi, il restante dei membri si riversò nella cucina, svuotando la Sala come l’acqua di un fiume. Rimasero soli.
«Sei venuto» mugugnò Sirius, fissandolo.
«Temevi non lo facessi?» Domandò innocuamente Remus, mentre si sfilava il mantello.
L'altro esitò, cercando di trattenersi «Sei in ritardo mostruoso» fece poi, scorbutico, e Remus sorrise «Le metropolitane babbane sanno essere molto moleste, sai…»
«Potevi avvisarmi» lo interruppe lui, incrociando le braccia.
«Sì, con un bel gufo facile da intercettare, o magari potevo venire direttamente in Metropolvere e andare a fare un salutino al Ministro della Magia, già che c’ero…»
«Non eri tu che insistevi tanto con le cose babbane? Esistono i postivi, immagino…»
«Postini, Sirius... e comunque avrei fatto prima io a venire tre volte che un postino a consegnarti una lettera!» Ribatté Remus, sorpreso che avesse addirittura invocato l’aiuto di una diavoleria babbana.
Sirius sospirò, girandosi nuovamente a guardare alla finestra: Dedalux sembrò toccare leggermente il cappello in segno di saluto.
Remus aspettò qualche secondo, poi sospirò «Sirius, cos’hai? A parte la casa invasa dall’Ordine…»
«Non me ne frega un Merlino di niente della casa, l’ho messa a disposizione proprio per questo» sbottò, mentre gli occhi cupi si allacciavano ai suoi chiari. «Ero preoccupato».
L’espressione accigliata di Remus si sciolse in un sorriso.
«Non guardarmi in quel modo! L’ultima volta che ti ho visto eravamo in quella maledetta Stamberga con Peter!»
L’altro finse di non aver sentito la prima parte della frase e annuì «Lo so, ma nel frattempo ci siamo scritti… almeno dieci lettere al giorno. E sarebbe stato ancora di più se sapessi usare un telefono».
Sirius sbuffò «Non è la stessa cosa, Remus! Io… temevo di non vederti più».
«Ma ora sono qui! Facciamo entrambi parte dell’Ordine e questa casa è la nostra base, come credi sia solo lontanamente possibile non incontrarci?» Replicò, rassicurante come al solito.
Il bruno si morse il labbro e sospirò «Sono uno stupido».
«Oh, lo so. Ma sono disposto a sopportarti per altri… mmh, facciamo dieci anni» confermò, sorridendo.
«Solo?» Sibilò Sirius, stringendo gli occhi cinerei.
«E dov’è finito tutto il tuo pessimismo di bravo Black diseredato?» Remus lo fissò, mentre lo sguardo gli si riempiva di un fremito; impercettibile per tutti, ma non per lui che poteva contare le pagliuzze dorate in quelle iridi chiare.
Sirius provò a sorridere «A volte anch’io torno a essere l’allegro cagnaccio che ero, che credi?»
Peccato che nulla si estendesse allo sguardo inquieto; se gli occhi erano lo specchio dell’anima, loro due erano in grossi, grossi guai.
«Credevo non ne fossi più capace» replicò, con quella che aveva il sapore di una sentenza.
Dopotutto lui lo sapeva, sapeva che non sarebbe ritornato.
Non quello di una volta, che immancabilmente si ficcava nei problemi più assurdi, capace di cancellare ogni difficoltà con una semplice battuta. Il Sirius irresponsabile, irruente, fedele e terribilmente cocciuto; il dannato bambino che non conosceva le mezze misure.
Il Sirius che, in una sola notte, aveva annullato ogni tensione con un semplice tocco di dita.
Quella notte di tanti anni prima, si era trasfigurato in un animale di passione e tenerezza, trascinandolo in salvo; leccando ogni ferita che il suo corpo e la sua anima erano arrivati a sostenere, senza spezzarsi ancora una volta. Amandosi, si erano denudati di un passato troppo pesante da portare ancora, troppo fragile da abbandonare alla deriva di un futuro anche allora incerto. Le sue parole, sussurrate in un vortice di verità e dolore, così semplici e dirette, avevano penetrato ogni intimo anfratto del suo essere, lasciandolo spossato sia nella mente sia nel fisico.
Quella notte, era diventato lui.
Per un solo istante, avevano fuso le loro essenze, come mai sarebbe più accaduto. Nella loro sola e unica liberazione, Sirius gli aveva aperto una porta sul mondo di serenità e pace che mai avrebbe immaginato.
E quando il mondo entrò a giocare la sua partita, annientando ciò che avevano costruito, sradicando i loro punti di riferimento, distruggendo la realtà in cui – tanto faticosamente – avevano cercato di vivere, si era svegliato troppo tardi.
Si era svegliato troppo tardi e James e Lily erano morti e l’essenza di Sirius era scivolata via, abbandonata a se stessa.
Neanche se n’era accorto, impegnato com’era a respirare.
Credeva che viaggiassero insieme, sostenendo lo stesso fardello, ma non era così; non aveva capito che il suo dolore era più e più volte troppo grande e troppo profondo, perché il suo amore potesse solo lontanamente sperare di salvarlo.
Non gli era bastato.
E quando scoprirono che il loro calore non bastava a riscaldarli e che la sola presenza non riempiva alcun vuoto, semplicemente si erano allontanati.
«Andiamo a prendere il tè?» Domandò Remus, battendo le palpebre. Sirius non aveva mosso un muscolo, non aveva smesso di fissarlo «Dov’eri?»
«Quando?» Replicò lui, perplesso.
«Qualche istante fa, dov’eri andato?» Chiese ancora, curioso.
Alla fine, nonostante tutta la razionalità del mondo, Remus adorava “viaggiare”: avvolgere e rimandare il mondo, all’infinito.
«Non dire scemenze, ero qui» mentì Remus, muovendosi verso la cucina.
Sirius sospirò, poi lo afferrò per un polso «Torneresti indietro, se potessi?» Gli chiese, con una nota quasi urgente nella voce.
Remus ci pensò, ci pensò sul serio, ma non trovò una risposta assoluta.
Tornare indietro… a cosa sarebbe servito? A rivivere nuovamente la propria impotenza di fronte ad un mostro impalpabile, ma tanto tenace da trainarlo verso il basso. A strappargli via qualcuno che non aveva avuto il coraggio di affrontarlo se non per se stesso, almeno per il ricordo.
«No, non tornerei indietro» gli rispose, senza guardarlo.
«Stai mentendo» replicò Sirius, due parole che gli bruciarono la pelle quanto il suo sguardo.
Quella maledetta tensione che gli s’insinuava tra i vestiti, appiccicosa come una membrana invisibile. Remus si girò con un cipiglio «Cosa vuoi che ti dica?»
«Qualcosa!» Sbottò Sirius, lasciandolo. «Non abbiamo mai più parlato, dannazione! Noi potremmo…»
Remus lanciò un’occhiata alla porta chiusa e lo fissò «Cosa? Noi potremmo cosa?»
Il bruno si limitò a guardarlo e Remus sospirò «L’ultima volta che ci siamo visti, eravamo nella casa nascosta di Godric’s Hollow, a pensare chi tra noi potesse essere la spia di Voldemort».
«È questo il problema? Il fatto che io ti abbia accusato di essere una spia? Eravamo tutti sotto accusa, tutti» replicò, furioso.
«Non m’interessa niente che tu mi abbia accusato Sirius! Era più che normale, visto che eravamo gli unici a sapere del Fidelius!»
«Allora, qual è stato il problema? Parlamene, Remus. Non posso leggerti il pensiero!»
«Un giorno ci saresti riuscito» gli fece notare l’altro, appoggiandosi a una poltrona.
Sirius si passò una mano tra i capelli lunghi «Ora è diverso».
«Già, ora è diverso» convenne anche lui.
Il silenzio riempì lo spazio tra loro come un muro di piombo, mentre continuavano a guardarsi da ere diverse. Nonostante fossero trascorsi più di quattordici anni dalla morte di James e Lily, dal tradimento, da Halloween, da Voldemort, i suoi occhi erano gli stessi: occhi pieni di rancore, malinconia e inquietudine; ancorati al passato, sebbene guardassero il presente.
«Da quando sei andato avanti?» Buttò lì Sirius, tanto acido da farlo sussultare. Il passato faceva ancora troppo male, ma viverlo da soli era infinitamente più difficile.
«Sei tu che non mi hai permesso di aiutarti» replicò Remus, come se ogni parola costasse fatica.
«Io… volevo. Forse non hai capito» ma non era vero. Quel dolore era suo, suo e di nessun altro; così come la colpa di aver scelto Peter e non Remus: di essersi fidato di quel verme strisciante e non del ragazzo che, più di chiunque altro, lo aveva cambiato.
«Già, forse è così» replicò lui, allontanandosi.

[Got no feel, I got no rhythm
I just keep losing my beat (losing and losing)
I'm ok, I'm alright
(he’s alright, he’s alright)
I ain't gonna face no defeat
I just gotta get out of this prison cell
One day (someday) I'm gonna be free…]


Non ho più sensibilità, non ho ritmo
Continuo solo a perdere colpi (perdere e perdere)
Sto bene, sono a posto
Non subirò più sconfitte
Devo solo uscire da questa cella
Un giorno sarò libero… 1

Io credo che tu stia sognando.
Ne sono quasi sicuro.
Apri gli occhi.

Sirius aprì gli occhi, guardandosi intorno.
Quella era Hogwarts: il Castello ai tempi dei Malandrini, di James e Peter e di un Voldemort come un’ombra inavvertibile al di là delle spesse mura.
E di lui e Remus in quella dannata stanza, quella maledetta notte.
«Grazie, Sirius…»
«Oh Merlino, Remus! Grazie di cosa
Sirius si girò a fissare l’altro, con un sopracciglio inarcato e il maglione scuro ancora stretto fra le mani tremanti.
Remus arrossì, abbassando il capo «Beh, per… questo…»
Il piccolo letto scarlatto del dormitorio rotondo scricchiolò quando il bruno vi saltò sopra, con un ghigno enorme sul viso «Palla di pelo che non sei altro, non bisogna ringraziare per queste cose!» Sbottò, in realtà per nascondere l’imbarazzo di quello sguardo così genuino.
«Sì, ma…» provò a protestare un impacciato Remus, mordendosi le labbra.
Sirius si avvicinò tanto da sfiorargli il naso «È stato un piacere» gli sussurrò sul viso, prima di sfiorargli le labbra con un casto ma dolce bacio.
Come se tutto quello che era appena accaduto, fosse stato solo un’illusione ardita, Remus arrossì più intensamente, spostandosi all’indietro «Scusa…» balbettò, allo sguardo accigliato dell’altro.
Il bruno sbuffò, rifilandogli un buffetto in testa «Ma la pianti con tutte queste cerimonie? Sei sempre il solito vecchiaccio!» Lo stuzzicò per un attimo, poi lo tirò a se per la camicia «Non avrai intenzione di dimenticarti presto di tutto questo, mh?»
D’accordo, la sua vicinanza gli mandava fuori quadro la bussola, allora? Non lo sopportava. Remus alzò gli occhi al cielo, accompagnando il gesto da una smorfia, ma le mani agonizzavano sul petto nudo dell’altro, senza riuscire minimamente a spostarlo. E come se non bastasse, Sirius reagiva maledettamente bene alle carezze.
«Mmh, abbiamo appurato che questo aiuta a sciogliere le tensioni?» Domandò Sirius, mentre già sentiva i polpastrelli delle sue mani sfiorargli timorosamente la pelle.
«Sì… no…» replicò Remus, mentre la mente vagava per altri lidi. «Forse. Sono confuso» ammise, sotto lo sguardo divertito dell’amico.
«Forse dovremmo riprovare… sai, per esserne sicuri…» asserì Sirius, lasciando scivolare le mani per le braccia magre. L’altro annuì, non riuscendo a fare altro che spostare le carezze verso le spalle nivee.

Non riuscì a non reprimere uno scatto d’ira, quando gli occhi si aprirono sul soffitto cadente e polveroso della sua camera a Grimmauld Place. Sospirando pesantemente, Sirius si girò ad avvinghiare la sveglia magica regalatagli da James una vita prima.
Due e diciassette. Di notte.
La sveglia volò a rompersi contro la parete ammuffita, seguita da un ringhio di frustrazione: pochi mesi in quella casa e già cominciava a dare i numeri.
Uscì in corridoio quasi in punta di piedi, sebbene sapesse che quel piano era totalmente deserto, e si avviò per le scale il più silenziosamente possibile, nonostante gli scalini cigolassero ad ogni passo. L’atrio era immerso nella quiete ma d’altronde, oltre ad alcuni Weasley e a Remus, tutti i membri dell’Ordine erano andati via.
Raggiunse la cucina, riuscendo nell’impresa di non svegliare il quadro di sua madre, e quasi prese un infarto alla vista di un’ombra che si muoveva ai fornelli.
«Chi c’è?» Sbottò, più seccato che altro.
Il viso di Remus si rischiarò alla luce della bacchetta, poi il fuoco si accese sotto al bollitore.
«Neanche tu riesci a dormire?» Gli domandò, sedendosi.
«Incubi» borbottò lui, accasciandosi sulla sedia di fronte.
L’altro lo fissò per qualche istante, poi si passò le mani sul viso, sospirando «Sai, credo che dovrei scusarmi».
«No che non devi» ribatté Sirius, alzando la testa.
«E che sono molto nervoso, in questo periodo…» continuò Remus, come se niente lo avesse interrotto.
«Lo siamo tutti» asserì il bruno, alzandosi al fischio del bollitore in rame.
Remus negò col capo, sorridendo col suo sorriso che nascondeva sempre tutto «No, non tutti per lo stesso motivo».
Sirius posò il bollitore e appoggiò la schiena al mobile, incrociando le braccia «Hai ragione. Il mio è questa casa, il tuo?»
«Oh, anche il mio!»
Si guardarono per un istante, scambiandosi un sorriso, poi Remus si alzò, avvicinandosi tanto da fargli perdere un battito. Ma era solo per quello stupido bollitore che lui aveva già dimenticato; prese due tazze dal ripiano e le riempì, porgendogliene una «Tu sicuramente odierai a stare rinchiuso come… un cane nella cuccia, vero?» Fece, trattenendo la tazza più del necessario.
Sirius lo fissò diritto negli occhi «Già… ma non riesco a immaginare il motivo per cui tu possa odiarla, a parte le orde di Doxy e la muffa, s’intende» replicò, mentre la voce si abbassava di un tono. Qualche secondo di troppo e Remus dovette fare marcia indietro, tornando al sicuro sulla sedia a mezzo metro da lui «Beh…» cominciò, schiarendosi la gola «… diciamo che è un problema logistico».
«Del tipo?» Fece curioso Sirius, tornando a sedersi di fronte a lui. Remus non sembrava tanto entusiasta di spiegargli il suo punto di vista; anzi, per la precisione evitò proprio il suo sguardo.
«Cosa ti passa per la testa?»
«Io sono stato tra quelli a rifiutare questa casa, come base» ammise velocemente, quasi per paura di perdere coraggio. Sapeva quanto Sirius odiasse essere tagliato fuori, soprattutto dal momento che non poteva spostarsi da quell’abitazione; dal momento in cui era stato condannato senza processo per la morte di James e Lily, aveva agognato l’azione. Anche se, ne era sicuro, lui cercava solo un modo, un modo per non pensare.
«Perché?» Gli domandò. Una sola nota gelida.
«Non pensavo fosse giusto usare un luogo così malvisto dalla maggior parte dei membri dell’Ordine, e comunque scomoda o poco curata come ques-» cominciò, drizzando il capo a Sirius che si alzava.
«Capisco…» mormorò lui, stringendo la tazza di porcellana nelle mani nivee.
Remus sospirò, abbassando lo sguardo a fissare quella superficie ambrata: tutte bugie. A lui non fregava niente che la casa fosse stata dei Black o che fosse sporca e polverosa né che fosse sorvegliata dal quel vecchio elfo assetato di sangue.
Merlino, era lui. Lui era il problema.
«Da quando t’interessano le questioni di sangue? Questa casa è mia, l’ho ereditata io e, dal momento che io non appartengo ai Black da ben quindici anni, non vedo quale sia il problema» replicò, gelido come non lo era mai stato.
Remus serrò per un attimo gli occhi, poi si alzò, la sedia che scorreva sul pavimento duro a sottolineare il silenzio tra loro.
«Questo è quello che penso» mormorò, ormai prosciugato dalle stesse falsità che non gli davano scampo.
Sirius lo conosceva bene, talmente bene da leggergli il pensiero senza alcun bisogno di Legilimanzia, tuttavia la voce gli tremava. Era furioso.
«No. Questo è quello che vuoi farmi credere» gli intimò, trattenendo a stento la collera.
Remus riuscì persino a fissarlo negli occhi, quando ebbe il coraggio di sussurrare «Sei tu che vivi in una specie di sogno a occhi aperti. Cresci una buona volta».
Sirius fece un passo indietro, come schiaffeggiato, poi lo guardò con quello sguardo cupo che tanto odiava e amava al contempo «Hai ragione. Dopotutto le persone cambiano. Perché non dovrebbero i sentimenti?» Mormorò, allontanandosi verso la porta.
Il tempo sembrava dilatarsi all’infinito, così il momento della sua scomparsa si allontanava; Remus sembrò avere mille e mille anni per decidere e una sola occasione per mutare il corso del tempo, ma non ce la fece. Ciò che lo legava a Sirius era talmente inafferrabile e impalpabile da sembrare illusorio, se si riusciva ad avere gli occhi aperti. Così, se la loro storia viveva e cresceva nei sogni, la realtà richiedeva qualcos’altro. Il mondo esigeva un sacrificio ben diverso, che strappava entrambi dal passato.
Sirius viveva nel passato, era il passato. Lui, lui avrebbe voluto seguirlo, avrebbe voluto lambirlo e sfiorarlo come un tempo, ma non poteva, non ci riusciva.
Un tempo, Sirius era riuscito a lasciarlo fuori dal dolore che pervadeva entrambi fino alle ossa, che li percuoteva fin dentro l’anima. Ora reclamava qualcuno, qualcuno che potesse aiutarlo. Lui.
Avrebbe potuto farlo, come lui lo aveva fatto quella notte, strappandolo alle preoccupazioni e alla sofferenza. Avrebbe potuto essere il suo sostegno, il suo legame con il passato.
Ma no, non gli bastava.

 

   
 
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