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Autore: Alba_Mountrel    21/06/2018    2 recensioni
Una ragazza è persa dentro se stessa... ma qualcosa, o qualcuno la salverà
Genere: Generale, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matt, Mello, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Primo capitolo
Addio… figli di puttana!
 
Questi miei pensieri vennero all’improvviso interrotti da una voce a me sconosciuta.
“E dire che ero così concentrata fino a un attimo fa. Penso di stare per buttarmi ma basta un sibilo di vento inatteso e, fuori posto… per farmi desistere, di nuovo. Il mio cuore ha desistito un po’ troppo spesso, finora”.
«Ehi, ciao!». Mi sentii dire dalla voce sconosciuta.
“Chissà perché… ma mi aspettavo una voce spaventata o simile e, parole pronunciate con paura o con un trasporto di altro tipo, sicuramente. Di certo un saluto qualunque non l’avrei mai previsto, eppure di recente non faccio altro che questo… Prevedere. La mia morte, quella ovvia di altri prima che accada, come finirà un discorso eppure non mi è per nulla servito per rifarmi una vita, dopo quel brutto giorno. Questo solo perché sono una codarda, una codarda e basta”.
E di nuovo mi scoppiava la testa.
“Possibile che questo martellamento in me non debba cessare mai? Nemmeno in punto di morte… sul serio fai? Dio… se ci sei ti conviene scappare, non vorrei essere la causa anche della fine del mondo con la tua stessa medesima”.
«Ehi tu tizia, perché sei qui? Io perché ho combinato un bel casino, anzi un bel po’ di casini e questa è l’unica via d’uscita, tra l’altro salverà la situazione in tutti i sensi. Ma scusami, ti ho fatto una domanda e alla fine mi sono risposto da solo». Girai lentamente il capo, ora ero veramente curiosa di vedere in faccia un tale disturbatore e irrispettoso della privacy altrui, in una situazione così delicata. Avevo il cuore sempre più pesante e le tempie sempre meno resistenti alle pulsazioni violente e intermittenti del mio cervello, che quasi mi facevano lacrimare gli occhi, ma il mio orgoglio non mi permetteva di piangere. Il mio sguardo, dopo secondi interminabili si posò su un ragazzo: capelli vivaci, viso magro ma dolce e con la mascella definita ma non troppo sporgente, nasino quasi da donna, un filo di barba come piace a me e… abbaglianti occhi verde smeraldo con un accenno d’azzurro cielo sul contorno, davvero particolari. Purtroppo non avevo più neanche la voglia di guardare oltre, in un essere umano di sesso maschile, da quante delusioni mi sentivo ancora addosso.
“Perché non riesco a dimenticare come tutti? Perché vivere mi è così impossibile? Cosa ho che non va? Perché è evidente che sono io il problema principale della mia vita. Arrivò accanto a me e subito mi sentii sulla difensiva, ebbi paura. Che potesse costringermi a tornare sul balcone e alla realtà”.
«Va bene, senti, ovviamente non siamo qua per far conversazione, però purtroppo non posso farne a meno, anche in un momento come questo, sono un inguaribile chiacchierone estroverso». Mi sorrise in un modo così sereno e dolce che non l’avevo neanche mai visto, in nessun altra persona. Dal suo sorriso, lo sguardo mi cascò di nuovo sui suoi capelli, o meglio sul colore, poi si spostò sugli occhi e facendoci più attenzione: saranno stati, sì abbaglianti ma avevano un colore un po’ cupo.
“Probabilmente ha davvero un motivo per buttarsi nel mare dell’infinto…”.
Poi, di nuovo tornai a fissare i capelli, al contrario dei miei erano mega lisci, meno sfibrati e a caschetto con un taglio regolare.
“Non ho mai amato i tagli irregolari negli uomini”.
Il punto fondamentale del mio interesse però non era il taglio.
“Dai cazzo… un po’ di concentrazione”.
Ero così attirata da quel particolare che decisi istintivamente e senza remore di: espormi diciamo.
«Hai i capelli rossi».
“Ma va là? Che genio che sono. Ecco perché mi trovo in questa situazione: da sola”.
«Già. Sai, non sapevo se, insieme al colore era bene o no accompagnare anche un bel taglio corto oppure asimmetrico, sbarazzino e alla moda, ma alla fine ho capito che sarei sembrato un bambinetto o, ancora peggio… gay, così li tingo e basta. Non che mi faccia schifo sembrar un po’ diverso dagli altri, ma sai com’è, se sembro gay non attiro di certo le donne, cioè ciò che mi interessa». Mi rispose serafico e ironico. Intanto io continuavo a scervellarmi su come quel tizio potesse essere così allegro, dolce, spensierato e quant’altro, in un momento come quello.
“Io, che probabilmente ho una vita molto meno piena di cose da abbandonare della sua, sono con l’umore sotto terra, neanche sotto le scarpe come si suol dire. Probabilmente questo è solo il suo modo di vivere gli ultimi momenti, per non sprecare neanche un attimo, reputando la vita troppo preziosa per passarla a… rispettar regole su regole, farsi problemi su cosa pensano gli altri, rinunciare al coraggio, lasciarsi cullare dal dolce veleno dell’orgoglio e della rabbia repressa, mantenere la calma e non esternare nessun sentimento. Lui non vuole morire, ma sembra più deciso di me”.
Questo mi fece rabbrividire, per mille motivi che si sovrapposero l’uno con l’altro ma uno fra tutti prevalse.
“Lui non merita di morire. Mi sento quasi una sciocca a pensare questo…. ‘In un momento come questo’”.
Queste parole mi riecheggiarono nella mente.
“Ha detto la stessa cosa di se stesso, che ho pensato io poco fa di me. Siamo sulla stessa barca, eppure… io mi sembro una vecchia di ottant’anni che non ha nemmeno il coraggio di posare lo sguardo sul suo corpo troppo bello da far quasi male, mentre lui sembra una luce abbagliante e sfavillante nel pieno della vita e, mai e poi mai si penserebbe che stia per togliersela così, in un soffio”.
«Perché sei qui?». Quasi sputai quelle parole, quindi mi morsi subito il labbro perché non avrebbero dovuto uscirmi così quelle parole.
“Stupida! Dovevano uscire caute e rassicuranti, soprattutto riflessive. Decisamente non così dirette e invadenti”.
Mi guardò, con aria quasi interessata ma sempre mantenendo quella nota di allegria e oserei dire, sfrontatezza verso la morte che lo attendeva.
“No, decisamente non ha il profilo di chi si vuole buttare e di sicuro non è pazzo, beh magari solo un po’ ma in senso buono. Allora, cosa c’è che lo spinge a fare un gesto simile?”.
Mi ripetei ancora una volta che forse era solo il suo modo di affrontare la cosa.
“Sì, dev’essere così. Eppure giurerei di scorgere quasi paura ma non cieca: consapevole e malinconica. Lascia qualcosa che non vorrebbe abbandonare. Non ha veramente alcun senso. Forse è un uomo d’affari che si è messo nei guai con la finanza. D’altronde, se io all’età di trent’anni non ho ancora un lavoro né una vita in generale, tutto può essere”.
Fissai di nuovo il mio sguardo sui suoi capelli.
“Se non avessi la fiducia sotto le scarpe giurerei che siano praticamente uguali ai miei, è mai possibile? E gli occhi sono di un verde azzurro un po’ cupo, come i miei. E… wow che belli quegli occhiali, con lenti riflettenti e rilucenti e, quell’effetto vintage rovinato… chissà perché prima non ci avevo fatto caso. E dire che occupano tutta la testa”.
«Che guardi, bellezza? Ti piacciono i miei occhialoni da nerd? O anche in un momento come questo mi stai ridendo dietro? Cosa plausibile, tanto che ti frega? Tra poco sarà tutto finito, ah la vita. Non sai mai dove ti porterà e cosa ti deve riserbare. Io, per esempio un giorno fa non mi aspettavo minimamente di arrivare a questo punto». “Incredibile”.
Il suo tono mi apparve allegro nel dire certe parole, sognante.
“Questo tipo deve veramente avere un’autostima di ‘Vibranio’ … o solo tutte le rotelle al contrario piuttosto. Ma allora, se non avevi programmato niente del genere… con il carattere che ti ritrovi, come mai sei qui? Se è per…”.
«Non sarà per una ragazza, vero? Però, in effetti mi sembri troppo intelligente e spensierato per arrivare a una conclusione del genere… e poi, mi hai detto che fin ieri non sapevi dove saresti arrivato…». Nella mia testa continuava a non avere senso.
“Chi sei strano ragazzo super figo e… nerd, come ti sei definito tu? Cosa che a me non sembra affatto, ma tant’è”.
«Pff, no, ma che ragazza… scherzi, vero? Il mio cuore è forte come una roccia … o come il Vibranio» rise con una risata dolce e allo stesso tempo un po’ arrochita dal fumo «Te l’ho detto che sono una specie di nerd? Il Vibranio è un metallo inventato dalla Marvel per uno dei suoi…».
“Ha detto proprio Vibranio? Cioè, io penso al Vibranio e lui lo nomina? Ma stiamo scherzando? Cos’è, mi legge nel pensiero?”.
Dovevo stare fissandolo particolarmente imbambolata, come mi capitava quasi sempre con i ragazzi carini, perché non finì la frase e mi sorrise interrogativo. A quel punto mi accorsi della pessima figura che avevo fatto e con molta calma mi apprestai a spiegarmi.
«Scusami».
“Ma che cazzo mi scuso a fare con un completo estraneo? Alla faccia dell’orgoglio, ma lo so da sempre che i bei ragazzi mi fanno l’effetto ‘Oca tarda’”.
«Hai parlato del Vibranio e… fatalità, poco fa ho pensato la stessa cosa».
“Non dovrei fare conversazione… l’ha detto lui stesso. Pur essendo molto più giovane, almeno all’apparenza, è molto più avanti di me. L’ho capito che il problema risiede solo nella mia testa e in me in generale… ma non credevo che anche in punto di morte, il destino amasse sbeffeggiarmi in questo modo”.
Rivolsi lo sguardo nuovamente al pavimento, il quale a qualche metro da me si sarebbe potuto far sfocato e accogliermi con un dolce e finale tonfo, ma non successe nulla. Anche in quel disastroso momento l’orgoglio prevalse, non una lacrima o un mutamento. Solamente guardai il marciapiede con odio e risentimento, più verso me stessa che verso tutto il resto.
“Provo risentimento per come mi sono giocata la vita, per come mi sono auto condotta verso questo punto… che poi, non lo sappiamo veramente: sarà veramente così buio e terribile dall’altra parte? Più di questa merda di vita? No, non credo. Questa vita in cui, ora ti giri per strada e vedi coppie felici, ora ti giri e vedi gente con macchinoni o case bellissime, ora ti giri e rigiri nei social e vedi super modelle e super modelli di qua e di là, in spiagge sempre più belle e sempre a divertirsi e o, sicuramente a scacciare la tristezza e i problemi. Io, nemmeno in questo ho il coraggio di agire… Orgoglio… ormai, arrivata a questo punto non si tratta più certo di questo. Oramai, sono solo un mare di scuse su scuse, per nascondere la mia incapacità e la mia svogliatezza”.
Ringhiai, e un solo spostamento d’aria sarebbe bastato a far terminare tutto quello che stavo passando. Il pavimento avrebbe potuto bruciare per quanto lo guardavo incavolata.
«Ma dai, sul serio? Che figo, siamo in sintonia, eh? Quindi, hai visto quel fantastico e super tecnologico film? Forse l’ennesimo su super eroi e fantascienza, ma a me fa venire i brividi dall’emozione ogni volta che vedo quel materiale così freddo, impersonale e incolore, diventare qualcosa di straordinario, come per esempio un treno. Uno ad altissima velocità, che però non causerà incidenti in nessun caso perché, sempre grazie allo stesso materiale e alla fisica applicata, è contornato da una barriera invisibile resistente persino al suono» dicendo la frase fece un plateale gesto a descrivere le proprie parole «Dovrebbero decidersi a trovare un metodo per applicare tale tecnologia. Càpitano un po’ troppi incidenti con i mezzi per i miei gusti e poi, sono sempre in ritardo e di una lentezza inesorabile. Però, se nemmeno io so come fare, figurati quei cretini di falsi fisici: teorici, pratici e chiropratici». Affermò gonfiando il petto in segno d’orgoglio ma con un sorriso sul volto che quasi mi sciolse, e sentii le spalle rilassarsi senza però farmi perdere l’appiglio con il parapetto su cui ero pericolosamente seduta.
“Questo mi prende in gir…, sul serio. O ha una paura matta e cerca di darsi coraggio, o non ha la benché minima intenzione di saltare, oppure non ci capisco più nulla. Quanti interrogativi ancora dovrò pormi per mettere fine alle mie sofferenze?”.
Quasi leggendomi nel pensiero, smise di pavoneggiarsi e tornò serio, senza però mollare quella punta di consapevolezza e sfrontatezza. Come avesse dovuto fregare la morte stessa, in qualche modo.
«Scusami, ti sto solo annoiando con tutte queste chiacchiere inutili. Immagino non te ne freghi più niente di quegli stupidi treni, ora che…».
“Già, ma sembra che a te invece, importi anche troppo per uno che sta per suicidarsi, però… non posso che porla solamente come una semplice supposizione nella mia testa, niente di più”.
«Ma senti, dove abiti di bello?». A questa domanda nei suoi occhi passò un lieve sensore di divertimento e furbizia. Come lo sguardo che attraversa gli occhietti vispi dei bambini quando hanno combinato un pasticcio, non grave ma pur sempre un pasticcio.
“Immagino che non gliene freghi niente, e mi ponga la domanda come pura distrazione per farsi una risata. Magari penserà che io viva nei bassi fondi...”.
«Qua a Padova, vicino alla grande piazza ‘Prato della valle’».
“Voglio proprio capire cosa ci trova di tanto divertente”.
«Ah, capisco. Che bel posto, anch’io fino a poco tempo fa avevo in mente di trasferirmi in quel quartiere lì. Piccolo, pieno di vecchi criticoni ma immerso nel verde e isolato dalla criminalità» la nota di furbizia nel suo sguardo si accentuò «e poi, c’è il bello di dover arrivare almeno fino al centro per raggiungere un po’ di vita, quindi sei costretto a muoverti almeno un po’. Io, al contrario sto molto più in periferia rispetto a te, diciamo che non amo il casino quando mi rinchiudo in me stesso, ecco». Capitolò in un’altra tenerissima risata, che non riuscii a ignorare.
“Mi fa quasi male dover lasciare anche solo questa bella cosa, per finire… non nel nulla, non in paradiso o nell’inferno o nel limbo come tutti pensano, ma finire e basta. Se solo non fosse andata in questo modo... forse potrei anche dare una possibilità a quella risata: dolce, rasserenante, esorcizzatrice di tristezza, fiera. Ma… come al solito, non ho il coraggio neanche di continuare a vivere, non ce l’ho… mi sento svenire… sto per svenire…
Stavo per cadere, ancora mezza cosciente sentii il mio corpo che si staccava dalla ringhiera, cioè l’unica cosa che mi tratteneva dal cadere e, chiudendo gli occhi spensi la mente abbandonandomi all’idea di ciò che mi sarebbe accaduto. Neanche il tempo di lasciarmi andare del tutto che mi sentii afferrare da delle possenti e calde braccia, che mi tirarono verso l’alto e, mi sentii cadere sì, ma non dove avrei sperato…
«Ma che?». Profilai imbambolata e disorientata. Fu lui a prendermi.
“Perché? Perché l’hai fatto? Ero a un passo dal perdere tutto il dolore che mi pervade secondo dopo secondo. Perché? Perché ho esitato? Perché sono rimasta ad ascoltarti? BASTARDO!”.
«Bastardo!» lo ammonii decisa «Ma che vuoi da me? Mi sentivo quasi felice e leggera al pensiero di quello che mi stava per accadere… quasi una cosa bella, una cosa eccitante, diversa dal solito e infinita, dopo una vita di infelicità e inutilità!». Quasi gridai, anche se il mio cervello non connetteva ancora tanto bene per permettermi di utilizzare appieno le corde vocali.
«Finito?».
“Maledetto! Questa stoccata non me la doveva affatto fare, cosa ho fatto di male nella vita? COSA?”.
«Come? No… Non ho FINITO! Sono stanca, triste, sola, voglio un po’ di pace!».
“Perché non te ne vai a fanculo da dove sei venuto, eh?!”.
Pensai in preda all’ansia.
«Senti, non voglio separarti dal tuo amato marciapiede ma se cerchi la felicità forse, non è il modo adatto… non credi?!».
“Non credo? Come sarebbe a dire? Ma cosa ne può sapere questo di me?”.
Risi con fare ironico.
«Ma cosa ne sai di me? C’eri quando, pur ribellandomi mentalmente agli sbeffeggiamenti a scuola, non riuscivo a tirar fuori neanche una parola per difendermi? Quando mi facevo remore pure a mandare a fanculo la gente che mi rovinava la giornata? Eh? O quando mi approcciavo per la prima volta al fantasticissimo mondo del lavoro, così eccitante e pieno di varietà, dove poi mi sono ritrovata con solo porte sbattute in faccia e la derisione negli occhi, velata dalla falsa tristezza per non poter tenere un’incapace come me? C’eri? E c’eri quando mi approcciavo le prime e, anche ultime volte alle storie, cosiddette d’amore, che alla fine di amore non hanno avuto proprio niente? Senza amore, senza lavoro, senza famiglia, senza più passione per niente, stanca di tutto, mentalmente incapace di alzare un dito per far qualsiasi cosa, a parte ragionare e ragionare, su cose che per la vita di tutti i giorni non hanno alcun significato o importanza…». Mi interruppe.
«Tipo cosa?».
“Si aspetta davvero una risposta? Era un concetto generale e troppo ampio da spiegare… Rompi Coglioni!”.
«Come, tipo cosa? Non capisco se mi prendi in giro o fai sul serio… tipo tutto! Le previsioni di varie cose che però sono alquanto ovvie, e nella mia contorta mente in mezzo a pensieri importanti e intelligenti, a completare e… complicare il tutto, passano anche immagini che non mi servono proprio a nulla… proprio a nulla!». Continuai urlando a pieni polmoni, non mi interessava di essere sentita, stavo per lasciare il mondo fino a prova contraria.
«Che immagini? Il discorso sta cominciando a piacermi di più… prima era un po’… smorto». Mi rifilò un sorrisetto divertito e quasi canzonatorio ma sempre dolce e rassicurante.
“Come fa a restare così perfetto? Io ho i nervi a fior di pelle”.
Gli ringhiai contro infastidita dalla sua insinuazione, che per altro era vera.
“Non sono mai di compagnia, rinchiusa nel mio mondo come sono, quando esco faccio anche uno sforzo immane per non risultare pazza o cose così. Cosa che per esempio a lui non sembra minimamente interessare, o forse è solo il più spigliato che io conosca”.
«Ma fatti i cazzi tuoi… stavo per buttarmi e, adesso dovrei raccontarti gli affari miei, come una sorellina minore un po’ triste per la prima cotta andata male?». Risposi sempre urlando.
«Se ti fa sentire meglio…». Mi disse con tono incoraggiante per invogliarmi a continuare e ad approfondire il discorso.
“Non lo voglio assolutamente approfondire. Non ne ho mai parlato con nessuno, nemmeno con il migliore psicologo che ho incontrato nella vita. Cosa dovrei dire a uno sconosciuto? Guarda, non riesco mai a concentrarmi perché nella testa di tanto in tanto mi passano le canzoni dei cartoni, le scene degli stessi, che mi distraggono e riempiono la testa anche durante cose a cui tengo molto, e mi passano inesorabili immagini dei personaggi che amoreggiano e fanno cose che nel cartone non farebbero mai, vorrei che la mia vita fosse dentro ai miei cartoni preferiti, scrivo, immagino e sogno cose molto improbabili sempre sui cartoni e ormai il quaranta per cento del mio cervello è occupato da cose così. Ah, ciliegina sulla torta… mi dimentico quasi tutto, senza avere l’Alzheimer però eh, non sia mai. Bello, proprio bello. Mi internerebbero sul serio stavolta. Meglio star zitta, va”.
«Non ho alcuna intenzione di dare motivo a qualcuno di ridere di me, o peggio…».
«Che c’è di peggio di ridere dietro a qualcuno che ne potrebbe soffrire?». Mi guardò serio ma rilassato.
«È una cretinata in confronto ai problemi del mondo».
“Non riesco proprio a mettere al primo posto un sentimento così stupido come questo… sentirsi derisi… certo che ne ho risentito, ma non è niente in confronto alla fame che sentono nei paesi poveri e tutto il resto.
«Ma tu come ti sei sentita? E comunque, l’ho provato anch’io. È esattamente come la fame che circola nei paesi poveri».
“Questo mi prende in giro… lo ammazzo…”.
«Come osi paragonare due cose così diverse? Quanto puoi essere ignobile per paragonare i morsi della fame che durano tutta la vita per qualcuno, con una semplice derisione alle età di quindici anni per altri? Idiota!». Non mi stupii di sentire la gola che piano piano diventava sempre più riarsa per le eccessive grida e la troppa energia che infondevo in quello che dicevo.
«Vuoi sapere cosa mi spinge ad andare oltre, oggi? Eppure ho una paura matta di perdere tutto quello che ho. Mi spinge il sapere che grazie a me tutto il resto del ‘mondo’ trarrà una grande vittoria… ma soprattutto la salvezza».
“Ok, ora mi sta canzonando alla grande e, anche usando un tono serio… Figlio di puttana!”.
«Ma chi ti credi di essere? Non prendermi per il culo». Stavo per piangere.
“Me lo stai proprio sbattendo in faccia il tuo menefreghismo, eh vita? Eh, mondo? EH, natura?”.
«Non ti sto prendendo in giro. Ma comunque, l’hai detto anche tu… non sono affari tuoi» continuò sempre con tono serio, ma c’era solo serietà, non rabbia o risentimento o ironia «Ad ogni modo, perché non credermi? Non ti ho nemmeno detto i particolari, solo che il mondo…»
«Ma sta zitto, fighettino viziato di merda! Il mondo senza di te sarebbe salvo? Starebbe meglio? Senza di me starebbe meglio semmai, sono solo un peso per la mia città… in tutti questi trent’anni non sono riuscita a cavarmela in niente. IN NIENTE!». Piansi sul serio perché mi aveva abbandonato anche l’orgoglio.
“È finita, finita… Finita”.
«Fighettino viziato di merda? Ma come, credevo d’essere un nerd poco fa». Mi sorrise nuovamente con un sorriso così dolce che, in quell’istante a mala pena potei vedere, con tutte le lacrime che mi riempivano gli occhi e mi bruciavano l’anima.
«Perché?». Sussurrai tra i singhiozzi.
«Perché cosa, bellezza?». Sembrava avere il controllo di tutta la situazione, sembrava già sapere come avrei reagito ma io contavo sulla mia stupida e inappropriata imprevedibilità: finsi di indietreggiare solo di qualche passo, con le mani sugli occhi a coprire le lacrime.
“Voglio solo non vedere più niente, lasciarmi andare al nulla e dire addio a tutto”.
Lui doveva aver intuito tutto questo, perché lo sentii sussultare di paura e balzare verso di me per afferrarmi. Sentii di nuovo le sue braccia: calde, buone, forti, rassicuranti ma che quasi mi portavano via ogni proposito o resistenza, che ancora albergavano nel mio contorto cervello. Cominciai a scalciare e a dimenarmi come una pazza incatenata in camera di isolamento, mi sentii veramente pazza, ma non mi importò un fico secco di cosa sembravo o, di cosa sarei diventata… per l’ennesima volta mi veniva negata la possibilità di raggiungere la felicità, o la pace.
“Forse sono io la bambina viziata qui. La felicità la si crea. Me lo avrebbe insegnato la vita stessa, in teoria. Ma no. No, non devo cascarci ancora”.
Continuai a scalciare e quant’altro ma non ottenni molto.
“Quanto forte è, per la miseria?”.
All’improvviso, riuscii a colpirlo con il gomito destro sullo stomaco e lo sentii gemere di dolore ma non durò poi molto, e non mi liberò nemmeno di un millimetro.
“Voglio solo farla finita, solo questo! Perché? Perché dev’essere così difficile?”.
Urlai dentro di me e, nel frattempo fuori continuai a piangere e a lamentarmi, come una vera pazza che si rispetti e in effetti non ero nemmeno tanto normale, per quello mi rinchiudevo spesso in me stessa, perché sarei stata un pericolo e basta.
Sentii piano, piano le forze abbandonarmi e, tentai fino all’ultimo di togliermi di dosso e di ribellarmi da quella pericolosa sensazione di sicurezza che le sole braccia calde di quel perfetto sconosciuto riuscivano a infondermi. Non sentivo più le membra, quindi rassegnata mi fermai ma per lo stress accumulato non potei fare a meno di sfogare le ultime energie in un forte e straziante urlo disumano: come mi stessero cavando il cuore. Quello, che non era più al suo posto da molto tempo. Il mio cuore era da un’altra parte, non che non ci fosse e non si sentisse ma era distante, inespressivo, inesperto, disinteressato, stanco, rassegnato. Lo sentii di nuovo gemere di dolore, probabilmente per l’urlo a cui lo stavo sottoponendo senza alcun ritegno, sia di petto che di gola. Lo feci nella speranza di finirmi da sola, di far uscire ogni briciolo di energia e di vita dal corpo ma soprattutto dalla mente.
“Non voglio più sentir nulla. Queste braccia rassicuranti, questo venticello fresco nei capelli, la gioia di assicurarsi ogni mattina che la natura non si è fermata insieme a te, la bellezza dei ragazzi per strada, quella interiore delle persone che ti vogliono bene, e delle persone sagge. Ogni volta. Ogni mattina rinunciare a tutto questo senza però poterne abbandonare il ricordo, che mi tormenta come una bufera di sabbia nel deserto… non lo voglio più sentire. Basta. BASTA!”.
All’improvviso sentii le corde vocali incrinarsi e come a esprimere il mio precedente desiderio, il buio prese il sopravvento sui miei occhi e sulla mia mente così all’improvviso, neanche mi avessero dato un forte colpo in testa. Cosa che non mi era mai successa in tutta la vita perché quando mi addormentavo, anche in quell’occasione restavo sempre cosciente e, infatti ricordavo molto bene tutti i sogni che avevo fatto, salvo poi dimenticarli per un ovvio sovraccarico di memoria, infondo non era poi così importante ricordarsi i sogni. Il buio totale mi avvolse, quindi ero morta forse; mi sentivo avvolta da leggerezza e calore, consapevolezza e il nulla.
“Sì, ora posso finalmente dirlo. Non sono più un’anima in pena, ma un’anima salvata dal fuoco terreno. Lo stesso fuoco: malvagio, infido, silenzioso e invisibile, che serpeggia dentro di te e non ti lascia tregua, fino a che non ti capita qualcosa o non decidi di sfuggirgli: appunto, abbandonando tutto quello che hai, lasciandoti andare alla morte. Addio”.

   
 
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