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Autore: PerseoeAndromeda    25/06/2018    7 recensioni
Il ragazzo non rispose, non singhiozzava neanche più, ma il respiro peggiorava.
Cristal lo fece sdraiare. Il pallore si era mutato nel rossore malsano della febbre e il ragazzo continuava a piangere, le lacrime continuavano a scendere silenziose.
La febbre era altissima.
Cristal corrugò la fronte, imprecò con un ringhio che era un misto di disperazione e rabbia: non era ancora fuori pericolo il suo ragazzo, il rischio di perderlo si manteneva concreto.
[Fanfic partecipante alla challenge #26promptchallenge indetta dal gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Crystal Saint, Cygnus Hyoga
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Questa fanfic partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart

#26promptschallenge - prompt 7/26

#CURA
/cù·ra/
sostantivo femminile

1.
Il complesso dei mezzi terapeutici e delle prescrizioni mediche relative a determinate malattie o condizioni fisiche; terapia.

Fandom: Saint Seiya

Ship: Nessuna

Warnings: Morte di un personaggio, sofferenza fisica e psicologica

 

Il ghiaccio nell'anima

 

 

Freddo e buio...

Hyoga voleva supplicare chiunque lo stesse strappando dall'imbarcazione perché lo lasciasse lì. Lo aveva percepito con un frammento di coscienza, l'abbraccio che lo avvolse per trascinarlo via con sé, di nuovo verso la luce.

"Non farlo, voglio restare qui...".

La corrente era così forte che i due corpi avvinti sembravano strapparsi come pezzi di carta, Hyoga lo sapeva, Isaak stava lottando, si era messo in pericolo, perché? Solo per lui?

Che senso aveva?

"Che senso ha? Io sono così inutile, voglio solo restare con la mama".

L'abbraccio all'improvviso lo lasciò, si sentì scagliare, con una forza possente, verso l'alto, dove il sole splendeva ancora e uno spiraglio si era aperto nel ghiaccio.

Ricadde nel buio dell'incoscienza, mentre una domanda si attorcigliava su se stessa, simile a un serpente che si morde la coda, nella sua testa:

"Perché Isaak non è salito? Perchè è rimasto laggiù?".

Un sonno lungo senza sogni terminò sulla calotta di ghiaccio dove Hyoga riaprì gli occhi, le membra gelate e un senso di oppressione sul petto. Faticava a respirare, il corpo scosso da brividi.

Dietro il velo di confusione che rendeva tutto nebbia si materializzò un'ombra, aveva la consistenza di un fantasma alle sue percezioni. Alle sue spalle, man mano che si avvicinava, ondeggiavano scie rosse simili ai capelli di un oni.

Quando gli si fermò accanto era come un gigante, lo sovrastava con la sua maestosa altezza. Hyoga tentò di balbettare qualcosa, tra le labbra irrigidite dal freddo:

"Camus... sensei...".

La figura non si mosse. In mezzo alla scia di fuoco dei capelli, tra i brividi e il torpore dei sensi, Hyoga intravvide due occhi che dal ghiaccio tutto intorno prendevano vita. Alle sue orecchie giunse una serie di parole, impietosa come una condanna:

"Isaak è morto".

No, non era vero quello che aveva udito, non poteva esserlo! Isaak era con lui fino a poco prima, aveva percepito la sua presenza...

Ma poi non c'era più... era rimasto giù, nell'oceano... non era salito con lui...

Isaak era...

"Maestro!".

Questo era Cristal, che correva verso Camus, ma le percezioni di Hyoga andavano spegnendosi, mentre le parole di ghiaccio del maestro più anziano accompagnavano il suo precipitare in un nuovo limbo di incoscienza:

"Occupati di lui se vuoi, io non voglio neanche vederlo... vado al Santuario, sono stato convocato".

 

 

***

 

Il modo in cui Camus si era riferito a Hyoga era stato come una pugnalata per Cristal, il tutto senza che colui, che prima di essere maestro di Hyoga e Isaak era stato il suo maestro, versasse una lacrima per la sorte toccata ad uno dei due ragazzi.

Ma Cristal lo conosceva, sapeva che, dietro quella corazza di autoimposta indifferenza, il cuore stava andando in frantumi.

Non a lui Camus avrebbe mostrato la propria disperazione, non a coloro cui si era dato come obiettivo di insegnare il dominio assoluto delle proprie emozioni; forse al Santuario c'era qualcuno che poteva arrivare al vero cuore di Camus ed era in grado di cullare il suo dolore.

Cristal stesso era distrutto per la perdita di Isaak, ma non aveva pianto davanti a Camus: si era morso le labbra a sangue, aveva stretto i pugni con tale rabbia da straziarsi i palmi delle mani, ma non aveva versato una lacrima, per quanto i suoi occhi bruciassero dal bisogno di farlo.

Era crollato più tardi, nella piccola casa solitaria in mezzo al ghiaccio, dove aveva portato Hyoga, disperando di poter salvare almeno uno di quei due discepoli che amava teneramente.

Camus aveva capito cos'era accaduto: da tempo Hyoga era instabile e il santo di Aquarius se n'era reso conto... tutti loro se ne erano resi conto, anche lui, anche Isaak che, in effetti, non lo perdeva d'occhio...

E si era preso cura di lui fino a sacrificare la propria vita...

Isaak era il prediletto di Camus, non era un segreto per nessuno...

Camus odiava Hyoga?

L'avrebbe odiato da quel momento in avanti?

E Cristal?

Lui che amava il maestro e i due ragazzi con tutta la dedizione di cui il suo cuore era capace, che li considerava il fulcro intorno a cui ruotava tutto il senso della sua esistenza...

"Come posso pensare di odiare uno di loro? Ma Hyoga... tu... tu... lo hai portato via... ci hai privato di Isaak".

Le sue parole erano singhiozzi, sollevò una mano ad asciugare l'ennesima ondata di lacrime, mentre con l'altra attizzava il fuoco perché più calore possibile giungesse al corpo gelido di Hyoga.

Aveva dovuto fare tutto da solo, Camus gli aveva fatto capire che non aveva alcuna intenzione di occuparsi della faccenda.

Sarebbe stato davvero capace di lasciar morire il ragazzo senza nulla tentare?

Cristal scosse il capo, non voleva accettare che Camus sarebbe giunto a tanto.

Si avvicinò al letto sui cui giaceva Hyoga; lo aveva spogliato e avvolto in tutte le coperte calde che aveva trovato in casa, sperando che esse ed il fuoco riuscissero a salvarlo dalla morte per assideramento. Per quanto durante l'addestramento avesse acquisito notevoli capacità sul controllo delle energie fredde, era rimasto immerso in acqua probabilmente troppo a lungo e ciò che colpiva Cristal era che il ragazzp non dava l'idea di aver voluto combattere per salvarsi dal gelo e dalla mancanza di ossigeno.

"Volevi morire, Hyoga? Per questo Isaak è morto? Perchè tu volevi morire e lui non te lo ha permesso?".

Cosa stava accadendo al suo animo? Cos'era quella rabbia che sentiva nascere dentro di sé?

Il colorito di Hyoga era livido e non aveva ancora ripreso i sensi.

Prese posto su una sedia che aveva portato accanto al letto e gli scostò un ciuffo troppo lungo dalla fronte.

"Reagisci, Hyoga, se non ti svegli non so che altro fare per te".

Gemette e affondò il volto nelle mani: aveva perso un allievo, perderli entrambi era inconcepibile per lui.

"Isaak" singhiozzò.

Quando abbassò le mani, incontrò ancora il viso pallido di Hyoga, così giovane, bello come un angelo, ma con un cuore talmente pieno di cicatrici da voler smettere di battere.

"Hyoga... che cosa hai fatto?!".

Cosa aveva fatto?

Aveva ucciso Isaak, era colpa sua, colpa di quell'angelo biondo... Camus aveva ragione ad odiarlo. Per colpa di Hyoga, lui, Cristal, era destinato dunque a restare senza allievi?

Fallito come sacro guerriero, saint senza cloth e maestro senza allievi...

Cosa gli restava?

Colto da un impeto di disperazione si gettò sul ragazzino e lo scosse con brutalità.

"Svegliati, maledetto! Mi hai tolto Isaak, non puoi privarmi anche di te stesso, svegliati, me lo devi!".

Si immobilizzò, gli occhi sbarrati sul viso di Hyoga, terrorizzato da se stesso, dal proprio gesto, dalle proprie parole, dall'astio che stava riversando su quel povero ragazzo... un bambino di appena tredici anni la cui unica colpa era quella di possedere un cuore troppo tenero per la loro identità di guerrieri.

Ma era davvero una colpa, come sosteneva Camus?

La morsa delle mani si allentò, ma solo per permettere alle braccia di allargarsi e richiudersi intorno al ragazzo, in una stretta che, questa volta, conteneva solo angoscia e tanta tenerezza.

"Perdonami" singhiozzò Cristal, affondando il viso nei capelli scarmigliati del ragazzo, "perdonami, non pensavo quello che ho detto... io sono come te... io sono così pieno di paure, di fragilità e adesso ho paura di perderti. Voglio solo che non mi lasci anche tu".

Non vi era odio in lui, svanita anche la rabbia rimanevano solo l'affetto e la pena infinita che provava nei confronti di Hyoga... e di se stesso.

Il suo orecchio venne accarezzato da un sottile lamento.

"Hyoga...?".

Guardò il ragazzo e si accorse che le sue labbra bluastre tremavano e, a tratti, ad esse sfuggiva un suono leggero.

Lo rimise giù, rimboccò le coperte meglio che poté e gli parlò ancora, con delicatezza:

"Hyoga... apri gli occhi... coraggio...".

Lo ripeté più volte, finché percepì un piccolo movimento delle palpebre che, dopo diversi tentativi, rimasero socchiuse; Cristal poté così rivedere quei due occhi così bellissimi, a mandorla come quelli degli orientali, ma di un azzurro così straordinario da sembrare specchi plasmati nel ghiaccio.

Cristal sorrise: Hyoga si era svegliato, era buon segno.

Lo sguardo era speduto e vagava senza risoluzione intorno a sé.

"I... Isaak...".

Il cuore di Cristal perse un colpo...

Hyoga ancora non sapeva... o non poteva ricordare...

"Adesso stai tranquillo, hai rischiato di morire assiderato, devi stare calmo e al caldo".

Gli mise un braccio intorno alle spalle e lo sollevò un poco, per accostargli alle labbra una tazza di té bollente.

"Bevi, il tuo corpo ha bisogno di tornare ad una temperatura accettabile".

Hyoga fece una smorfia, sorseggiò appena un goccio, ma il suo organismo era talmente irrigidito dal freddo che gli costò uno sforzo immane: venne scosso da un violento colpo di tosse e Cristal si affrettò a posare la tazza per sostenerlo. Poi lo aiutò a sdraiarsi e sollevò le coperte perché nessuna parte del suo corpo potesse prendere freddo.

Hyoga agitò il capo da una parte all'altra, come se volesse cacciare un insetto molesto: probabilmente combatteva contro la confusione che obnubilava i suoi sensi.

"Isaak... dove... dov'è... cosa...?".

Cristal si morse il labbro e gli posò una mano sulla fronte.

"Shh, non devi agitarti o starai peggio".

Gli occhi di Hyoga si posarono su di lui, era la prima volta che lo guardava; fino a quel momento, probabilmente, non aveva avuto neanche la consapevolezza di dove si trovasse.

"Se... sensei...".

Cristal si concesse un sorriso: Hyoga lo aveva sempre chiamato così, lasciando che in lui la parte giapponese prevalesse, nonostante in Giappone avesse passato a malapena un anno. Una volta gli aveva spiegato che sua madre amava il giapponese e gli aveva sempre parlato in quella lingua oltre che in russo.

"Cosa... è successo? Io...".

Era confuso, era tornato ad essere quel bambino sperduto aveva visto scomparire la madre nell'oceano.

Gli premette con forza la mano sulla fronte.

"Dormi adesso, andrà tutto bene".

E Hyoga si addormentò. Era ancora debole e il suo corpo non faceva nulla per combattere, desiderava cedere, spegnersi... era così evidente alle percezioni di Cristal.

Continuò ad osservarlo, finché anche i suoi occhi si fecero pesanti: la tensione accumulata, la perdita con la quale ancora doveva fare i conti, desiderando solo di accantonarla, non pensare...

Dimenticare...

Dimenticare almeno per un po'...

Ma non poteva, doveva vegliare su Hyoga, controllare che il fuoco non si spegnesse, che il suo allievo stesse al caldo.

Ma si sentiva così stanco, la testa era così pesante...

Non voleva pensare... non voleva ricordare...

Isaak... Isaak...

"Isaak!".

La testa di Cristal si sollevò di scatto: Hyoga era seduto, gli occhi spalancati e colmi d'orrore guardavano fisso davanti a sé... o forse il nulla o un barlume di terrorizzante ricordo.

"NOOO!" urlò e Cristal fece in tempo ad afferrarlo, prima che si precipitasse fuori dal letto. Non riuscì tuttavia a tenerlo fermo, il corpo di Hyoga era un fascio di nervi. Non era più freddo adesso, emanava un calore malsano.

"Isaak!".

Continuava a chiamare l'amico.

Qualche ricordo si era affacciato alla sua mente?

L'abbraccio di Cristal si fece più energico e saldo. Lui stesso faticava a controllare la propria disperazione, ma era il grande, era il maestro, doveva essere lui a trasmettere controllo e sicurezza.

Oltre che confortare, con il suo abbraccio tentava di bloccare il ragazzo, perché non si facesse del male e non rischiasse di peggiorare le proprie condizioni di salute.

Scottava: l'assideramento si era trasformato in febbre e Cristal era certo che lo stato mentale di Hyoga contribuisse a quell'evoluzione del suo stato.

Le mani di Hyoga si aggrapparono al suo petto, cercarono di spingerlo via, poi, dopo quella che sembrò un'eternità, i movimenti del ragazzo si fecero meno convulsi, le membra si arresero all'abbraccio e i singhiozzi, per quanto in apparenza più tranquilli, non erano per questo meno dolorosi.

Il viso di Hyoga affondò sulla spalla di Cristal.

"Mi odia...".

"Cosa?".

Di chi stava parlando?

"Io l'ho ucciso... ho ucciso il suo prediletto... mi odia...".

Cristal sgranò gli occhi mentre, instintivamente, l'abbraccio si fece più intenso.

Dunque Hyoga, dopo essere tornato in superficie, in un barlume di coscienza aveva udito le parole di Camus?

"Hyoga...".

Il ragazzo non rispose, non singhiozzava neanche più, ma il respiro peggiorava.

Cristal lo fece sdraiare. Il pallore si era mutato nel rossore malsano della febbre e il ragazzo continuava a piangere, le lacrime continuavano a scendere silenziose.

La febbre era altissima.

Cristal corrugò la fronte, imprecò con un ringhio che era un misto di disperazione e rabbia: non era ancora fuori pericolo il suo ragazzo, il rischio di perderlo si manteneva concreto.

"Hyoga... ti scongiuro... non ci provare...".

Il respiro del ragazzo era rantolante, l'aria entrava a fatica nei polmoni, le labbra arse dalla febbre tentavano di formulare parole sconnesse:

"Isaak... mama...".

Cristal gli posò una mano sulla guancia sperando che il gesto potesse in qualche modo allentare quell'espressione di dolore.

"Mi odia... lui... lui mi odia...".

Il maestro lasciò cadere il capo, in preda allo sconforto.

Tutto quel che poteva fare era assisterlo, adottare tutti i mezzi che conosceva per contrastare la febbre, con i mezzi di fortuna che il nulla in cui erano immersi consentiva...

E, oltre a questo, poteva solo sperare.

Per l'ennesima volta si portò le mani agli occhi, si sentiva solo e impotente.

Sbuffò con un moto di rabbia nei confronti di Camus, che aveva abbandonato Hyoga e anche lui.

Non ne aveva il diritto.

Serrò le mani sulle cosce e cercò di trattenere il pianto, che risalì di nuovo dalla gola, stringendo i denti fino a farsi male.

"Camus...".

Avrebbe desiderato che fosse al suo fianco: si sentiva lui stesso un bambino sperduto come Hyoga, privato del supporto di cui aveva bisogno.

"Sensei..." gli fece eco Hyoga.

Nell'incoscienza, il ragazzino tese un braccio verso l'alto, la mano aperta, probabilmente nel tentativo di trattenere chi lo aveva lasciato solo.

"Isaak... mama... portatemi con voi...".

Cristal seppe immediatamente cosa potesse significare una tale supplica: Hyoga desiderava raggiungere chi non c'era più, non voleva restare in un mondo nel quale non avrebbe saputo affrontare il peso dei sensi di colpa.

La mano del maestro si mosse, andò ad intrecciarsi a quella del discepolo, la strinse forte: era l'unico modo che aveva, adesso, per trattenerlo, per impedirgli di andarsene.

Fargli sentire che qualcuno era rimasto e aveva bisogno che anche lui rimanesse.

"Non lasciarmi anche tu, Hyoga...".

Il ragazzo delirante rabbrividì, Cristal sentì le sue dita contrarsi, per poi aggrapparsi alla sua mano con una foga tale che le unghie gli graffiarono la carne.

Non provò dolore, ma commozione: erano diventate forti quelle mani, l'addestramento aveva dato i suoi frutti, ma lo stesso Hyoga non se ne era ancora reso conto: lui si riteneva debole, indegno...

"Per questo non riesci a vivere nel presente, Hyoga?".

Il ragazzo emise un gemito prolungato, che mise in allarme il cuore di Cristal e lo spinse a gettarsi in ginocchio, la sua mano divenne una morsa su quella di Hyoga, l'altra sul viso del ragazzo, ad asciugare una scia di lacrime sempre più abbondante.

"Hyoga... non te lo permetto...".

"Ma... mama... Isaak...".

Gli lasciò la mano e gli premette con forza le dita sulle tempie:

"Ascolta me! E' un ordine, Hyoga, non ti permetto di mollare adesso!".

Quasi non ci sperava Cristal, ma gli occhi del ragazzo si schiusero, finalmente, anche se impiegarono parecchio tempo prima di mettere a fuoco il viso che avevano davanti. Li richiuse, li riaprì di nuovo e gemette ancora, mentre il corpo si inarcò in un moto che doveva essere di dolore atroce.

"Hyoga... che cos'hai?".

"Non voglio... non voglio...".

Cristal non se lo aspettava e non riuscì a trattenerlo nel momento in cui Hyoga si alzò con uno scatto violento e lo respinse. Cristal barcollò all'indietro e rimase, sconvolto, ad osservarlo mentre, seduto, Hyoga si ripiegava in avanti, tramutandosi in un bozzolo di dolore puro, le mani tra i capelli, le membra un unico, interminabile tremito senza controllo. Il giovane maestro si sentì ancor più impotente, gli ci volle uno sforzo immane per reagire a quelle manifestazioni di sofferenza dell'allievo e gli sfiorò una spalla, senza riuscire a mostrarsi sicuro, timoroso di peggiorare la situazione.

"Hyoga... non fare così, devi calmarti".

La reazione fu di nuovo inattesa, il ragazzo si ritrasse e Cristal allungò una mano ad afferrargli il braccio sotto la spalla, per impedirgli di cadere dall'altra parte del letto. Con uno strattone lo riportò più vicino a sé e, non riuscendo in alcun modo a controllarlo, gli bloccò poi i polsi in una stretta che si fece vigorosa: doveva tornare ad essere il maestro, la guida, per se stesso e per il ragazzo.

"Hyoga!".

"Mi lasci!".

"Devi smetterla!".

Lo spinse a forza con la schiena contro il materasso e, per impedirgli di sgusciare via, gli si sdraiò quasi del tutto addosso.

"Hyoga, smettila!".

"Non lo sopporto!" strillò il ragazzo, alternando grida e singhiozzi, le gambe che scalciarono con tutta l'energia che neanche l'organismo malato riusciva a contenere. Ma Cristal aveva ritrovato il controllo di sé e riuscì a non perdere neanche il controllo sull'allievo, la sua stretta rimase salda e alla fine, non riuscendo con le parole, si trovò costretto ad un gesto che in quel momento non avrebbe mai desiderato compiere: schiaffeggiò una guancia del ragazzo, con abbastanza forza da stordirlo e costringerlo alla calma.

I loro occhi si specchiarono, anche se quelli di Hyoga cercarono di fuggire da una parte all'altra, nel viso contratto dal dolore, non dello schiaffo, lo sapeva Cristal: era una lotta interiore la sua, sapeva cos'era accaduto e non lo accettava... come si poteva biasimare un ragazzino che non riusciva ad accettare simili eventi nella sua esistenza senza pace?

Tra di loro, per parecchi istanti, ci fu solo l'intrecciarsi dei loro respiri affannati.

Cristal era esausto almeno quanto Hyoga: non dormiva e non mangiava da ore, ancora non aveva potuto fare i conti lui stesso con la perdita subita, troppo intento a dare a Hyoga, che di tale perdita era responsabile, tutte le attenzioni e le cure di cui aveva bisogno.

Certo, ogni rabbia nei confronti di Hyoga era svanita dal suo cuore: gli sembrava di vederlo, Isaac, di sentire la sua preghiera, pronunciata con la sua espressione fiera e sorridente:

"Maestro... abbia cura di lui, sarà un degno santo di Cygnus... io lo so...".

Cristal deglutì e mormorò in un soffio:

"Anche io lo so...".

Lasciò i polsi di Hyoga e continuò a guardarlo, il rossore era accentuato sulla guancia colpita e questa volta Cristal la accarezzò.

"Lo so...".

Quel gesto gentile strappò a Hyoga un sussulto, gli occhi azzurri si fecero più grandi e, dopo tanto, riuscirono a fissarsi su di lui.

"Sensei...".

Cristal annuì:

"Sono qui...".

"Perché?".

Cristal corrugò la fronte, incerto sul senso di quell'interrogativo.

"Perché non mi lascia andare?".

Lo sguardo del maestro si fece severo... o triste... neanche lui sapeva se prevalesse la rabbia o la malinconia che la domanda di Hyoga gli procurava.

"Perché non me lo posso permettere... e neanche tu".

Hyoga distolse lo sguardo.

"Ne andrebbe del suo onore... se perdesse entrambi gli allievi?".

Il cuore di Cristal perse un colpo: a che punto arrivava il senso di vuoto che affliggeva lo spirito del suo discepolo?

"Ma io... sensei... non servirò al suo onore, non porterà a nulla... non lei è fallito... ma io...".

Cristal chiuse gli occhi, quasi non potesse più guardare in faccia colui che si era trasformato nell'immagine stessa di tutta la sofferenza del mondo: Hyoga si stava riducendo in un guscio vuoto di ogni speranza, riempito solo di oscurità.

Si lasciò andare e rotolò via dal suo corpo, trovandosi sdraiato, supino, al suo fianco; solo allora riaprì gli occhi sul soffitto di pietra della minuscola casa.

"Non c'entra niente l'onore, Hyoga" parlò, con tono che si mantenne più calmo di quanto avesse sperato, "non c'entra niente il senso di fallimento... non puoi accettare che, semplicemente, io non voglia perderti?".

"Lo so che anche lei mi odia... non può essere altrimenti. Io vi ho privati dell'allievo più promettente, del futuro santo di Cygnus e io sono destinato a non essere nulla...".

"Isaak non era il futuro santo di Cygnus" lo interruppe bruscamente Cristal.

Hyoga non rispose, alle orecchie del più anziano giunse solo il suono roco del suo respiro febbricitante. Cristal voltò il capo a guardarlo, poi si sollevò, puntellandosi su un gomito.

"Non sarebbe morto altrimenti, questo ti è chiaro?".

Da parte di Hyoga ancora assoluta immobilità e mutismo.

Certo, era comprensibile: come poteva, il destino, rivelarsi un valido argomento per alleviare il dolore della perdita e i sensi di colpa?

Lui stesso faticava a concepire quel concetto così astratto e, tanto spesso, così crudele: ma doveva farlo, era il solo modo per sopravvivere in una realtà come quella dei sacri guerrieri... sopravvivere senza impazzire.

"Anche io mi sento in colpa, sai, Hyoga?".

Si sedette e fece scivolare i piedi a terra, senza tuttavia distogliere del tutto lo sguardo dall'allievo che, tra i sensi resi opachi dalla febbre, sembrava essersi fatto più attento.

Posò le mani in grembo e abbassò su di esse il proprio sguardo.

Adesso che gli dava del tutto la schiena si sentì più leggero nel parlare:

"Perché ho mancato come maestro... non ho saputo vedere cosa stava accadendo... e sicuramente Camus adesso è adirato anche con me. Vi aveva affidati a me e...".

Un abbraccio si avvolse intorno alla sua vita, la fronte di Hyoga si posò sulla sua schiena e Cristal ammutolì, occhi sgranati e labbra spalancate in una muta esclamazione di stupore.

"La smetta" fu la sottile preghiera di Hyoga. Le mani del ragazzo si intrecciarono sul suo petto e si aggrapparono alla sua tunica.

Cristal rimase con il viso basso, a guardare quelle mani, al momento incapace di qualunque reazione.

Il silenzio scese di nuovo, la scena era ferma su quell'abbraccio, tra le mura solo i respiri e il battito dei loro cuori.

Infine il petto di Cristal si sollevò in un respiro più profondo, il capo si fece più basso e una sua mano si posò sull'intreccio delle dita di Hyoga.

"Capisci, adesso, come ci si sente?".

Un brivido più forte scosse Hyoga, sentì la sua fronte staccarsi dalla schiena e, pur senza vederlo, seppe che Hyoga lo stava guardando.

"A udire una persona amata denigrarsi e darsi del fallito senza poter fare nulla per impedirlo".

Le mani di Hyoga scivolarono sul suo petto, l'abbraccio si sciolse e Cristal si voltò ad osservarlo.

"É... diverso..." balbettò Hyoga, "lei non lo merita... io... io...".

"E allora aiutami a convincermene".

Cristal posò le mani sulle guance di Hyoga, in modo che i loro occhi potessero continuare a specchiarsi e Hyoga non perdesse nulla della volontà che muoveva i pensieri del maestro.

"Perché se tu non rimani... io non potrò fare altro che sentirmi un fallito. Perderei ogni speranza di compiere qualcosa di buono...".

"Ma... io...".

L'espressione di Hyoga si fece vitrea, confusa, la lotta dentro di lui stava giungendo al culmine.

"Io non ho mai avuto un prediletto, Hyoga... avevo bisogno di entrambi... e adesso ho bisogno di te...".

"Come posso...?".

"Sopravvivi" la voce di Cristal era ridotta a un soffio. "Permettimi di portare avanti il nostro percorso... ti chiedo solo questo".

"Mi... mi chiede molto".

"Ti chiedo quello che so tu potrai compiere".

Hyoga scosse il capo, nonostante la stretta di quelle mani e lo abbassò.

"Ti è così difficile credermi?".

Le spalle di Hyoga tremarono, per via del risolino amaro che le scosse.

"Come posso credere a qualunque cosa, ormai?".

Si abbandonò in avanti e la testa cadde contro il petto di Cristal, che affondò il viso nei suoi capelli. Hyoga aveva perso i sensi.

Gli ultimi minuti erano stati troppo per il fisico debilitato e, semplicemente, si era spento. Il maestro lo fece sdraiare, tirò le coperte fino al mento e rimase a guardarlo per un tempo che sembrò eterno. Nemmeno sapeva come sentirsi, anche lui era sopraffatto dalla stanchezza e con due dita si stropicciò gli occhi doloranti per le lacrime e il sonno arretrato.

"É la fine?" si chiese.

Si alzò e camminò fino alla finestra, per guardare fuori; non era neanche più consapevole dello scorrere del tempo. Fuori era buio, ma la lunga notte nordica non permetteva di distinguere il susseguirsi delle ore: sapeva solo che sia lui che Hyoga erano a stomaco vuoto da tempo e avrebbe dovuto costringere il malato a mangiare qualcosa perché le speranze di guarigione aumentassero.

"E io dovrei mangiare per non ammalarmi, anche se ho lo stomaco chiuso".

Era forse il modo migliore per distrarre la mente tenere le mani occupate, così si dedicò alla preparazione di una zuppa con i pochi ingredienti che aveva in casa.

A tratti si avvicinava al letto, per controllare che le condizioni di Hyoga non peggiorassero e per contrastare ogni possibile ulteriore innalzarsi della febbre.

Rinunciò a sedersi, temendo che, se l'avesse fatto, non sarebbe più riuscito a tenersi sveglio. Così passò minuti interminabili a passeggiare per la stanza, dal letto alla zuppa che bolliva, in un'atmosfera che ormai sfiorava l'irrealtà: la testa era pesante e gli girava, tutto era avvolto in una bolla dai contorni sfumati.

Quanto tempo un essere umano poteva resistere senza dormire, anche se si trattava di un sacro guerriero dai poteri inimmaginabili? Era dunque possibile addormentarsi mentre si camminava?

Appoggiò una mano al muro accanto alla porta, ormai gli era difficile distinguere le forme degli oggetti intorno a sé.

Davanti a lui si materializzò una figura, sfocata ma riconoscibile alle sue percezioni.

"Isaak... tu... cosa...".

La figura allungò una mano, fino a sfiorargli una guancia e lui tremò per il brivido che lo colse.

"Maestro... grazie di tutto... andrà tutto bene...".

Cristal scosse il capo, confuso, chiuse gli occhi e, quando li riaprì, tutto era tornato normale, i contorni molto più distinti, la stanza quella che ricordava e davanti a lui non c'era nessuno... né in carne ed ossa, né come spirito.

"Isaak!".

Sussultò e si voltò in direzione di Hyoga, ora seduto, gli occhi sbarrati.

"Era qui!".

Cosa doveva rispondergli?

Che non era vero?

Cristal lo raggiunse, le gambe malferme: non sapeva dire se tutta quella debolezza fosse dovuta a stanchezza, esaurimento, fame, emozione... un insieme di tutto quello e di tanto altro. Permise al proprio corpo di abbandonarsi e di sedersi accanto a Hyoga e non poté fare a meno di notare come, nel suo discepolo, ci fosse qualcosa di diverso.

"Era... un sogno?".

Cristal scosse il capo.

"Non possiamo saperlo".

Il viso di Hyoga si abbassò.

"Lui... loro... potranno mai perdonarmi?".

"Isaak lo ha già fatto... Camus lo farà".

Il ragazzo scosse il capo, ma non disse nulla e Cristal gli accarezzò una tempia, spostando una ciocca di capelli: la sua pelle non sembrava più scottare troppo.

A quel tocco Hyoga sobbalzò e tornò a guardarlo: Cristal si disse che sembrava davvero piccolo in quel momento, un ragazzino in cerca di sicurezza... ma chi avrebbe mai potuto dargliela?

Cristal si sentiva così insicuro lui stesso, ma teneva così tanto a quell'angelo biondo ed era il suo maestro, gli restava solo lui... ognuno di loro aveva solo l'altro su cui appoggiarsi e fare affidamento e lui era il più grande, lui doveva essere la guida, insegnare a Hyoga come fare per trovare la propria strada.

"Sensei" mormorò Hyoga dopo parecchi istanti.

"Dimmi, figliolo...".

"Lei... mi perdonerà?".

Cristal sorrise: finalmente una certezza che poteva dargli, senza remore, senza ripensamenti.

"Non ti devo perdonare nulla... se non il pensiero di voler morire anche tu... fattelo passare, te ne prego".

"Vorrei... diventare forte...", il ragazzo sollevò una mano e la strinse a pugno, per quanto quel pugno tremasse, "ma non so come fare...".

"In questo, forse, potrò aiutarti io...".

Hyoga lo guardò ancora e questa volta i suoi occhi erano più intensi, più vivi... più sani, forse?

"Sensei...".

"Dimmi...".

"Cos'è questo profumo?".

Il maestro avrebbe volentieri riso, il cuore si svuotò di colpo, si fece leggero, così leggero che Cristal non credeva possibile gli sarebbe più accaduto.

"La nostra cena, direi. Hai fame?".

Sul volto ancora arrossato, ma non più così congestionato dalla febbre, comparve un sorriso, piccolo, appena accennato, sotto gli occhi che restavano intrisi di malinconia... ma non si poteva pretendere altro, non per il momento.

"Credo di sì... sensei...".

 

   
 
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