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Autore: eleuthera    06/07/2009    2 recensioni
«Quando sono per sempre, gli addii dovrebbero essere rapidi.» (George Gordon Byron)
SPOILER sul finale dell'ottava stagione.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clark Kent
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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AVVISO AI NAVIGANTI: CONTIENE SPOILER FINO AL TERMINE DELL’OTTAVA STAGIONE.
Leggete a vostro rischio e pericolo.


Premessa: ho sempre pensato che avrei dovuto smettere di seguire Smallville alla fine della quarta stagione. Perché non l’abbia fatto rimane tuttora per me stessa un mistero (a dire il vero un’ideuzza ce l’avrei, inizia per Tom e finisce per Welling), ma tant’è. Ho imparato negli anni ad aspettarmi sempre il meno possibile da questo telefilm; ciononostante, questo finale di stagione è stato, per usare un eufemismo, deludente sotto ogni possibile aspetto.
Le cose brutte mi’ispirano, evidentemente. Diciamo che questo è, in un certo senso, la sorta di teaser che mi sarebbe piaciuto vedere alla fine dei titoli di coda.

Enjoy!

Airborne



Non è difficile.
Un passo dopo l’altro.
Un respiro dopo l’altro.
Senza guardare in faccia nessuno.
Attento a non incontrare i loro occhi, i loro volti.
Sforzandosi di non udire le esclamazioni, le risa, le mezze frasi di circostanza, i cenni di saluto scambiati davanti ad un’edicola.
È più facile, così.
Deve solo camminare.
Respirare l’aria gelata.
Passare oltre, e guardare avanti.
Sottrarsi ai ricordi che lo assaltano ad ogni passo, ad ogni fiato.
Dimenticare il mondo intorno a sé, la sinfonia di suoni e colori e profumi che invade ogni suo senso e riempie i suoi pensieri.
Il sussurro ondulato delle foglie lungo i viali alberati.
Verdi, vibranti, come la scintilla di divertimento nei suoi occhi.
Il pettegolezzo bisbigliato in un orecchio indiscreto.
Regola numero uno: controlla l’affidabilità delle tue fonti.
L’urlo del vento che sfiora la terra, spazza le strade, s’incunea fra gli angoli retti e le infinite linee verticali che le pareti lisce e splendenti dei grattacieli ritagliano nell’aria.
Lo strascico svolazzante della sua sciarpa in una chiazza di luce.
Una goccia di gelato che incontra il ruvido cotone di una maglietta.
Cioccolato fondente, torrone e caramella morbida. La panacea di ogni male.
La risata birichina e le braccia spalancate di un bambino che corre sul marciapiede imitando il rombo di un’aeroplano, e in alto, sopra le loro teste, il ruggito potente del motore di un boeing che sfreccia in direzione di Gotham.
Le vibrazioni che attraversano il cielo e la terra sotto l’impulso di quella spinta poderosa.
Lo sguardo splendente e il muto, lunghissimo abbraccio con cui l’ha accolto il giorno dopo l’incidente.
Il ritmico, frusciante staccato di una carta di caramella che rotola lungo l’asfalto sospinta dal vento.
La smorfia esasperata sul viso pieno di lentiggini di un giovane scout, e gli occhi brillanti dell’arzilla vecchietta al suo braccio, che lo trascina in mezzo alla strada subissandolo di chiacchiere.
Riesce quasi ad immaginarsela, una cinquantina d’anni più in là, lo stesso brio gioioso e la stessa arzilla loquacità riversate con allegra inconsapevolezza sul suo sventurato accompagnatore.
Lo scampanellio forsennato di una bicicletta che per poco non travolge l’improbabile coppia sulle strisce pedonali.
Le poesie e i vecchi adagio dispensati al crocchio di clienti occasionali dall’uomo degli hot-dog, abbarbicato sul suo sgabello di legno dietro al vetro opaco di condensa del baracchino del take-away, all’angolo fra la sesta e la ventitreesima.
“Già in caccia di prima mattina?” le avrebbe chiesto sporgendole una bottiglia di minerale. “Una bella fanciulla come lei dovrebbe coltivarsi delle relazioni.”
Lei avrebbe alzato gli occhi al cielo e sfoderato la sua espressione decisa di donna in carriera. “Vita sociale? Chi ne ha bisogno?”
“Nessun uomo è un’isola,” l’avrebbe ammonita il venditore con un sorriso.
Lei avrebbe scosso la testa facendo danzare i riccioli scuri. “Dovrebbe conoscere Clark.”

Il melodioso struscìo di un archetto sulle corde tese di un violoncello.
Le rose bianche profumate fra le mani di una ragazza, il battito accelerato del suo cuore nel momento in cui si volta a scoccare un bacio affettuoso sulla guancia del giovane che l’accompagna. Un sogno, una fantasia gelosamente custodita in un recesso recondito della sua mente.
In ogni respiro, in ogni sorriso, in ogni esplosione d’entusiasmo c’è lei.
La sua voce, il suo profumo, la sua cascata di boccoli castani. La sua risata allegra, dilagante, contagiosa. Il verde dorato dei suoi occhi in una giornata di sole.
Ogni sorriso, è il suo sorriso.
Ogni sguardo, è il suo sguardo.
Ogni volto, onesto, aperto, solare, è il suo volto.
E se si azzarda solo a guardare, anche di sfuggita, anche solo per un istante, sa già che non avrà la forza di lasciarla andare.
Perciò cammina rapido, risoluto, lo sguardo dritto di fronte a sé.
Cammina e respira.
È più facile, così.
È più facile dire addio.

Si ferma solo una volta, per sfilarsi il pesante cappotto di lana blu scuro e depositarlo, accuratamente ripiegato, ai piedi di un vecchio che chiede l’elemosina sul bordo della strada.
A lui non serve, comunque, e adesso gli sarebbe soltanto d’intralcio.
L’uomo solleva su di lui gli occhi colmi di sorpresa, e prima che possa incontrare il suo sguardo, lui ha ripreso a camminare.
Non ha bisogno di guardare per sentire su di sé le occhiate interrogative delle persone che oltrepassa lungo la strada. La vista di qualcuno in maniche di camicia nel freddo ghiacciato di questa mattina dev’essere uno spettacolo insolito.
È esattamente il tipo di scrutinio cui ha cercato di sfuggire per tutta la vita.
Ma adesso non gli importa.
Ha smesso di fingere.
Il sole già alto, velato di nubi sottili come carta di riso, gli solletica la pelle e gli imporpora le gote. Il freddo non lo sfiora nemmeno.
Davanti a lui si apre la maestosa prospettiva della Quinta Avenue, una striscia di asfalto splendente contro il blu profondo del cielo. Decine di cantieri stanno sorgendo lungo i suoi margini, sulle rovine degli edifici crollati, e i lunghi bracci ortogonali delle gru s’innalzano al di sopra dell’orizzonte simili a steli piegati dalla tempesta, chini su se stessi a riprendere fiato. In lontananza, il globo del Daily Planet compie la sua lenta rotazione attorno al proprio asse, mandando bagliori dorati.
Tutto ciò che contava, se l’è lasciato alle spalle.
Gli affetti, i desideri, il suo nome d’adozione.
E i segreti, i sotterfugi, la finzione che ha portato avanti per così tanto tempo, nell’assurda convinzione di poter appartenere davvero a questo mondo.
Ad un certo punto, stupidamente, si era illuso che tutti quei ridicoli, elaborati espedienti, tutte quelle bugie e diversioni fossero qualcosa di più di una fragile, malcelata disguisa.
Ma si sbagliava.
Lui non è, non sarà mai uno di loro.
E finalmente, non c’è più niente che lo leghi alla terra che calpesta. Salvo una cosa.
Non ha dimenticato. Per tutto questo tempo ha custodito la tremenda, spaventosa bellezza di quella sensazione come uno dei suoi tesori più preziosi. E insieme, inestricabilmente aggrovigliata a quel grumo confuso e pulsante di ricordi –

Hai una definizione piuttosto elastica del concetto di “star bene”.

Lieta che abbiamo superato lo stadio della relazione in cui i vestiti sono opzionali.

Io sono Lois. Lois Lane.


Serra le palpebre, abbassando la testa di scatto. Non adesso.

Meno lamentele, più collaborazione!

Non adesso.

Oh, ma fammi il piacere. Non sei poi così complicato.

Non può permettersi di esitare adesso.

Dammi un biglietto da venti e incontriamoci sul retro.

Stringe i pugni e fissa lo sguardo avanti, ma i ricordi traboccano come l’onda di piena alla rottura degli argini, ed è impossibile ricacciarli indietro.

Non puoi rompere con me, Clark, non siamo neanche una coppia.

Sparisci per un mese e ritorni con il senso dell’umorismo?

L’unica cosa che mi piace di te in questo momento, è tua madre.

Oh, siamo amici, adesso?

Non fare quella faccia, Smallville, sono note d’incoraggiamento!


Detesto che tu mi conosca così bene.

Che fine avremmo fatto se fossi stato tu a dover rispondere a quella domanda?

Allora resta e combatti!


Lois.

Lois, mi dispiace.
Non le ha nemmeno detto addio.
Non le ha detto niente.
È rimasto in silenzio, impassibile e rigido, terrorizzato all’idea di incontrare il suo sguardo, certo che sarebbe bastata una sola parola a farlo crollare. E ha lottato con tutto se stesso contro l’impulso di prenderle le mani, e accarezzarle e baciarle, e confessare ogni cosa, convinto che tacere fosse l’unico modo di proteggerla.
Bel lavoro davvero.
Ogni sua decisione, ogni scelta che ha fatto nei riguardi delle persone che gli erano vicine ha finito per coinvolgerle in qualcosa di terribile.

Situazioni che, perdonami l’espressione, ma… gli esseri umani, semplicemente, non possono comprendere.

E nessuno dovrebbe chiedere loro di farne parte.

Tutto quel che ho fatto, nel bene e nel male, l’ho fatto per te.

Le persone cambiano, Clark. È tempo che lo faccia anche tu.

Sempre, C.K.

Questa volta era diverso.


Inspira a fondo, gli occhi chiusi, tremando.
È ora di compiere l’ultimo passo. È ora di rompere l’ultimo legame con questa gente meravigliosa e crudele che non è come lui, con questo pianeta di erba verde, di rugiada e di grano che ama più di ogni altra cosa, e che non sarà mai la sua casa.
Il vento gli sferza il volto e s’infila fra i bottoni della camicia, gonfiando la stoffa viola come una vela. Alza lo sguardo verso il cielo.

Che cosa si prova?

È… incredibile. Incredibile e terrificante. Perché se sono capace di questo, forse sono capace di qualsiasi cosa.


Mai prima d’allora si era sentito così libero, al di fuori e al di sopra di tutto.
Mai prima d’allora si era sentito così alieno.
E aveva giurato a sé stesso che mai, mai più nella vita, avrebbe provato l’ebbrezza magnifica e agghiacciante dell’onnipotenza.

Clark Kent è ancora saldamente ancorato a terra.

Per quanto possa sembrare ingenuo, e assurdo, e stupido, si era illuso che questo, almeno questo, in qualche modo, lo rendesse un po’ più fragile, un po’ più imperfetto, un po’ più simile alle persone che lo avevano cresciuto e amato, e che aveva giurato di proteggere.
Un po’più umano.
Papà, mamma, perdonatemi, se potete.

Il suo passo si fa più leggero.
Il vento gli indica la direzione, il disco del sole segna la meta.
Spicca la corsa all’improvviso, potente, veloce, proteso verso l’alto, verso l’azzurro, e poi è in volo.
Il muro del suono s’infrange alle sue spalle in un boato portentoso, e intorno a lui non resta altro che il silenzioso fluire dell’aria, serico e impalpabile come l’abbraccio di un bozzolo cosmico.
Raccoglie le braccia lungo i fianchi, fissa lo sguardo nel sole, e nello spazio di un istante è sparito nella distanza.
Oltre le nuvole.
Dentro la luce.
Lontano, sempre più lontano dai passanti rimasti in basso, a testa in su, sul marciapiede, gli occhi e le bocche spalancati verso il cielo.

  
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