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Autore: shilyss    01/07/2018    23 recensioni
Dopo l'attacco degli Elfi Neri, Asgard sta provando a leccarsi le ferite e fa la conta di chi è sopravvissuto e di chi, invece, non ce l'ha fatta. Al termine di un turno estenuante, una delle guaritrici è chiamata a occuparsi dell'ennesimo paziente grave. Uno recuperato nella spedizione che Odino ha mandato su Svartálfaheimr.
E si era messo a raccontare, con voce incantata e sguardo brillante, rapito, di come l’esercito nemico si fosse ritirato, il loro comandante giacesse prigioniero nel loro accampamento, e lui stesso avesse evocato una nebbia fittissima, che aveva permesso a suo fratello di portare in salvo tutto l’esercito.
[post Thor: The Dark World] [Loki/Sigyn]
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Sif, Sigyn, Thor
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Coincidenze mancate

 

 

È un sonno senza sogni, quello in cui è caduta Sigyn. Di quelli pesanti, che ti avvolgono come una coperta spessa: ma non è ristoratore, non concede nessuna tregua alla veglia. Se sognasse, probabilmente rivivrebbe frammenti della giornata appena trascorsa, ripeterebbe frasi che ha pronunciato poche ore prima. Vedrebbe il sangue, le ossa spezzate, gli organi lesi. E poi sentirebbe le grida di dolore, i pianti. Invece, galleggia nell’oblio.

Il suo turno è finito solo da qualche ora quando una mano nervosa l’ha scossa, svegliandola. Ha aperto gli occhi a fatica, riemergendo da quel tunnel oscuro che l’ha inghiottita e finalmente riconosce Ingrid, la ragazzina che le hanno messo come praticante, scuoterla con aria contrita.

“Signora, hanno portato un ferito molto grave. Dovrebbe venire a vedere, per favore.”

Sigyn si tira su dal pagliericcio improvvisato su cui si è gettata nemmeno quattro ore prima, dopo essersi sciacquata dal viso, dalle mani, dal corpo, il sangue che le imbrattava i vestiti, la pelle, la mente, dopo l’attacco degli Elfi Neri.

“Perché chiami me, dove sono gli altri?” domanda, mentre si getta acqua fredda sul viso delicato. La ragazza cerca le parole. “Nessuno vuole occuparsene, Sigyn,” dice a bassa voce. Alza gli occhi e vede che, dietro ad Ingrid, c’è una guardia.

La donna alza un sopracciglio. Adesso è perfettamente sveglia. Se si specchiasse, vedrebbe ombre scure sotto gli occhi grigi, tracce di stanchezza sul viso diafano, i biondi capelli arruffati in un raccolto disordinato. Ma non ci bada, perché nell’ovale riflettente di fronte a sé cerca Ingrid, che si affanna a spiegare: le altre guaritrici, dice, hanno visto il ferito, ma si sono spaventate, non lo vogliono toccare nemmeno con un bastone.

Per cosa, ruggisce lei, gettandosi un mantello bordato di pelliccia sulle spalle sottili. Segue l’apprendista per le volte scure di Asgard. È notte fonda, tira un ventaccio gelato che penetra nelle ossa, graffia la faccia. Sigyn cammina svelta, continuando a interrogare l’apprendista che trema e risponde concitata. Le dice che il paziente è grave ma che, se anche si rifiutasse di curarlo, nessuno gliene farebbe una colpa. Lei è infuriata: ha giurato di assistere il prossimo, chiunque esso sia, in qualunque condizione si trovi. Non mancherebbe mai alla parola data. Nota vagamente, capirà solo dopo, non appena entrerà nella stanza, di essere giunta nell’ala del palazzo adibita alla schiatta di Odino. Le guardie sono ferme a ogni angolo, rigide e immobili, e paiono non vederla nemmeno. Poi varca la soglia della stanza quasi di corsa; le fiamme, nei candelabri, tremano appena al suo passaggio. Illuminano fioche una stanza riccamente affrescata. Per terra, sul marmo roseo, sono stati gettati stracci imbevuti di sangue, frammenti di abiti scuri, stracciati. Sul letto giace un corpo cereo, un braccio penzola abbandonato oltre le coltri. Ha linee eleganti, il polso e le dita sono affusolate. Sigyn fa un altro passo avanti. Il cuore perde un battito. Lo conosce, quel corpo, l’ha toccato, quel braccio.

 

***

 

Nornheim era un tripudio di fiamme, di torce che brillavano, di canti di soldati felici di tornare a casa. La battaglia finale si era conclusa. Avevano vinto. Il principe Thor era riuscito a sconfiggere le armate nemiche ricacciandole giù, nel mondo di tenebra da cui erano uscite, anche se c’era voluto il trucco di una nebbia fitta e invalicabile, un incantesimo potente davvero, per tirar fuori tutti i guerrieri da quella mattanza.

Il figlio di Odino beveva idromele di fronte ai falò scoppiettanti e la sua risata fragorosa si udiva in tutto l’accampamento: la tensione dei giorni passati era scomparsa, annegata dal vino, dai canti, dalle risate. Solo Sigyn e le altre guaritrici quella sera non festeggiavano. Nelle loro tende ampie si muovevano rapide tra i feriti, cucendo, disinfettando, bendando i soldati. A uno donavano una parola di conforto, a un altro il sollievo di un unguento sulle ferite. Loki era davanti a lei, e celava in un sorriso tirato la smorfia di dolore che gli causava quella medicazione fastidiosa.

 

Era apparso nell’infermeria scortato da un paio di guardie, con una coppa stretta tra le dita, gli occhi color di bosco accesi dal vino e un sorriso sbieco sulle labbra sottili. Si era fermato davanti a lei e alle altre guaritrici e aveva alzato il calice pieno di idromele. “Brindiamo alla vittoria, mie belle signore! I bardi già stanno componendo un canto che celebrerà questa giornata!”

E si era messo a raccontare, con voce incantata e sguardo brillante, rapito, di come l’esercito nemico si fosse ritirato, il loro comandante giacesse prigioniero nel loro accampamento, e lui stesso avesse evocato una nebbia fittissima, che aveva permesso a suo fratello di portare in salvo tutto l’esercito.

Ma se un braccio era alzato verso il cielo stellato, l’altro gli penzolava a un fianco, e una fascia imbrattata di sangue gli stringeva il bicipite nervoso. Il giovane principe pareva non accorgersi della brutta ferita che aveva riportato. Non si era reso conto, mentre creava l’illusione spettacolare, che un guerriero nemico lo aveva intercettato, gli si era avventato contro e poco c’era mancato che gli staccasse di netto l’arto.

Lo avevano assegnato a lei, giovane e volenterosa, e Loki aveva gradito tale scelta: le aveva rivolto un ghigno da gatto soddisfatto e l’aveva seguita, esultando con le guardie per la fortuna toccatagli.

Era bello, il giovane figlio di Odino. Alla luce della candela che rischiarava i loro volti, lei si incantò sul suo profilo affilato, sugli occhi verdi in cui brillava ora una luce divertita, ora un lampo sagace, sul nero dei suoi capelli così insoliti per un Ase. Lui parlava, mentre lei gli tagliava la manica inzuppata di rosso, tirava via con delicatezza la stoffa che si era appiccicata alla ferita.

“È stato un incantesimo davvero meraviglioso,” commentò mentre con mano gentile iniziava a pulire la profonda lacerazione.

Loki sorrise. Thor e Sif avevano minimizzato, l’avevano definito un espediente. Ma erano servite astuzia, intelligenza, e una grandissima quantità di seiðr per ricoprire il campo di battaglia di vapore ottenebrante, come nemmeno su Niflheim ce n’era uno uguale; aveva compiuto una grandissima impresa, e se quegli sciocchi idioti dei suoi compagni non se ne erano accorti, anzi, non lo avevano voluto ammettere, ciò era dovuto solamente all’ottusa, irragionevole, avversione alla magia propria degli Aesir.

“Ti piacciono, le magie?” domandò lui, e un guizzo divertito gli attraversò gli occhi verdi.

“Mi piacciono le trovate intelligenti, e il tuo è stato un colpo di genio,” rispose la ragazza sostenendo quello sguardo indagatore e vivace. Si morse le labbra. “Ci sono delle schegge, per estrarle ti farò molto male” aggiunse.

“Sono il figlio di Odino, non posso mettermi ad urlare” ribatté Loki rivolgendole il suo sorriso più bello.

 

***

 

Nornheim è un ricordo lontano. Sbiadito, passato, che Sigyn credeva di aver dimenticato, ma che ora riemerge prepotente. Nornheim è anche un rimpianto, ma a questo ora non può pensare. Loki è riverso su quel tavolaccio freddo come se fosse una bambola rotta. La ferita è quasi certamente mortale. Bisogna tamponare, disinfettare, cucire. Deve riuscire a farlo vivere. Se le morisse sotto agli occhi, non se lo perdonerebbe mai. Lavora per ore, sperando che lui non collassi, che la ferita non si infetti. Fa tirare giù dal letto un altro paio di apprendisti, li fa lavorare accanto a lei, finché non si rende conto che ha fatto tutto ciò che può. Allora lo fa trasportare sul letto e si lascia andare, stanca e sfinita, su una sedia accanto a lui. Nessuno è venuto a trovarlo. Nessuno chiede come stia. La luce dell’alba, fredda e glaciale, filtra dai vetri smerigliati. Sigyn si è avvolta nel suo mantello, si è rannicchiata sulla sedia e fissa il braccio pallido di Loki. C’è un piccolo segno, una vecchia cicatrice. La sua.

 

La voce di Loki ogni tanto tremava. Quando lei doveva estrarre le piccole schegge che gli si erano conficcate nel braccio, lo vedeva impallidire, dilatare le pupille verdi, contrarre la mascella. Ma non un gemito usciva dalla sua gola.

“Il figlio di Odino resiste bene al dolore,” osservò lei con un sorriso.

“Sei tu, che hai un tocco delicato,” ghignò il principe senza staccarle gli occhi di dosso. Guardare com’era ridotto il braccio sarebbe stata una tortura inutile. La pelle di lei, invece, alla luce delle candele, aveva un candore quasi lunare, e la consistenza di una pesca.

La medicazione faceva male, era dolorosa. Continuava a sorridere, poiché era certo che se ci fosse stato Thor, al suo posto, non avrebbe sofferto così tanto e, se suo fratello non provava dolore, nemmeno lui era autorizzato a provarne. Avrebbe finto di non sentire nulla finché non fosse diventato vero.

Fu per ignorare il dolore, che iniziò a parlare, e lei, ogni tanto, alzava il capo biondo e scarmigliato e sorrideva divertita. Sigyn pensò che fosse affascinante il giovane principe. Era bello, parlare con lui. Scoprì che amavano le stesse vecchie storie, trovavano buffe le medesime cose, e quando finì di fasciargli la ferita, entrambi si dispiacquero un poco di doversi separare. Ma un guizzo furbo attraversò gli occhi verdi di Loki.

“Non vi fermate mai per una pausa, voi guaritrici? Potremmo passeggiare qui intorno. L’aria della sera è tiepida e fresca.”

“Ci dobbiamo occupare dei feriti, noi guaritrici. Non possiamo lasciare il nostro incarico,” rispose lei.

Un sorriso storto si stampò sul viso affilato del giovane Ase. “Ma allora è perfetto. Io sono ferito, e avrei tanto bisogno di fare due passi fuori. Ma mi sento girare la testa, e forse mi dovresti accompagnare. Sei la mia guaritrice, dopotutto,” insinuò con voce dolce.

Sigyn era ancora una ragazza, e quella era la sua prima vera battaglia. E Loki era bello, e tremendamente affascinante, e lei arrossì vistosamente a quella proposta azzardata. E, poiché erano giovani e spensierati, la sua superiore la lasciò andare, fissando con un mesto sorriso, un rimpianto antico, la figura alta e sottile del giovane Odinson che si faceva teatralmente prendere sottobraccio dall’esile figurina della ragazza.

 

***

 

Il respiro di Loki è flebile. I battiti del suo cuore sono fievoli colpi nel petto massacrato. Sigyn ha dormito forse un’ora, forse due. Su Asgard cade una pioggia mista a neve. Cambia le fasciature con tocco gentile e uno sguardo pietoso. Ha fatto tutto quello che era in suo potere, per salvarlo. Ora dipende da lui. Se Loki vorrà vivere, dovrà iniziare a lottare. Altrimenti, non si sveglierà semplicemente mai più. Sigyn rabbrividisce, non sa se per il freddo o per altro. Vorrebbe parlargli, crede che la sentirebbe, in quel sonno d’oblio in cui è scivolato, ma non sa che cosa dire: le loro vite si sono appena sfiorate, su Nornheim. Con quale diritto dovrebbe parlargli adesso? Sta ancora pensando a questo, alla notte lontana passata insieme, ai canti dell’accampamento, quando sulla soglia arriva qualcuno.

“Riesce sempre a rovinare la serata.” È Fandral, uno dei tre guerrieri che accompagnano sempre il principe Thor. Sigyn gli rivolge un’occhiata severa. “Siete venuto per vegliare il mio paziente?” domanda.

Fandral scuote il capo. “Sono venuto a controllare che non crei casini. O che non stia prendendo tutti noi per i fondelli, come suo solito.”

Sigyn serra le labbra. “L’ho ricucito io stessa. Non può nuocere a nessuno, ve lo assicuro.”

 

***

 

Il cielo era meraviglioso. Una distesa di stelle su una trapunta ora indaco, ora violetta, ora blu cobalto. Era il cielo di Nornheim, tanto bello da mozzare il fiato. Seduti sull’erba umida, coi nasi all’insù, Loki e Sigyn fissavano l’immensa volta celeste. L’aria fresca pizzicava le braccia scoperte della ragazza e il principe, con un gesto galante, le cedette la sua giacca scura. Lei gli sorrise.

Stringendosi più a Sigyn, Loki puntò il braccio sano verso le stelle lontane, sussurrandole il nome e la storia di quello scintillio antico, e fu mentre la ragazza si voltava verso di lui a chiedere spiegazioni che le loro bocche si trovarono improvvisamente troppo vicine.

E lui affondò le dita nei suoi capelli chiari, e sfiorò le sue labbra, stesi sull’erba, in mezzo ai fiordalisi, unici spettatori muti di una notte così bella da non sembrare reale. Ascoltarono i sospiri incerti, osservarono i nasi che si sfioravano e le mani che si cercavano timide, mentre i canti degli Asi vittoriosi diventavano sempre più fievoli.

 

***

 

Quando gli è salita la febbre lei era lontana, e questo non riesce a perdonarselo. Loki ha le labbra riarse, ogni tanto spalanca gli occhi color del bosco e il suo sguardo vaga per la stanza, senza guardare nessuno, nemmeno lei.

Ora Sigyn gli passa una pezza fredda sulla fronte incandescente, gli mormora parole di conforto che lui, forse, non può nemmeno sentire. Ma non ha importanza. Rimane dopo il tramonto, è ancora seduta sulla stessa sedia quando la notte si alza e Sif si affaccia sulla soglia.

“Non voglio che muoia solo,” confessa alla guerriera senza pietà che la fissa, muta, dal vano della porta. La donna non glielo dice, ma se Thor sapesse con quanta dedizione sta curando l’amato fratello, gliene sarebbe più che grato. Sif è colpita da quella guaritrice che, come lei, non si arrende, combatte, cerca fino alla fine di salvare il suo paziente. Vorrebbe chiederle perché tanta ostinazione, tanta dolcezza; non l’ha detto a Fandral, che sospira già per lei, ma crede che la pietà dimostrata da Sigyn abbia un significato diverso, più profondo: teme che Loki, per la donna, non sia un estraneo. Il momento imporrebbe delicatezza, riserbo, ma Sif non è una dama elegante di Godhaimer, è una guerriera; come tutti i combattenti Aesir sfoggia uno spirito indomito ed è sfacciata, irriverente. Così, domanda alla guaritrice se già conoscesse il dio degli inganni.

Sigyn scosta dalle fronte di Loki una ciocca scura e lo fa con una carezza gentile che conferma le supposizioni della guerriera. “Gli curai una ferita, a Nornheim.”

Sif annuisce. Ricorda bene la battaglia e, ora che ci pensa, le viene in mente anche che Loki tornò ad Asgard con il braccio fasciato.

“Fu gentile, divertente,” prosegue la donna.

“Quando non meditava di fare del male a qualcuno lo era, è vero” soffia Sif.

Sigyn si morde le labbra, mentre torna a tamponare la pelle riarsa della lingua d’argento di Asgard. “Si sta lasciando andare,” mormora.

 

***

 

Ci sono notti che dovrebbero essere eterne, non finire mai, pensò Sigyn, stretta tra le braccia del giovane principe degli Aesir. Sopra di loro, il cielo aveva assunto sfumature violacee: l’alba di Nornheim si avvicinava. I raggi del sole avrebbero scacciato via quel cielo incantato sotto cui si erano baciati e scambiati dolci confidenze e, forse, avrebbero spezzato l’incanto di quella notte fatata. Non fu la luce a rompere il loro abbraccio, ma la voce di Thor che rimbombava per l’accampamento. Cercava suo fratello. Loki si tirò a sedere sbuffando e si passò la mano sana tra i capelli scuri.

“Il dovere mi chiama, mia cara guaritrice,” disse, e un sorriso triste gli attraversò il viso magro. Pensò che gli dispiaceva, andarsene. Che sarebbe voluto restare in sua compagnia fino all’alba e anche oltre. Con lei, ogni cosa avrebbe preso la giusta piega, sarebbe parsa più bella.

“Si è fatto tardi. Devo assolutamente rientrare anch’io,” s’affretto a rispondere lei, lisciandosi nervosa le pieghe della lunga gonna.

Si era già incamminata verso la tenda adibita a ospedale da campo, quando sentì la voce di Loki.

“Aspetta. Mio fratello non mi tratterrà molto. Vediamoci qui all’alba.”

Sorrise Sigyn, ed annuì felice.

 

***

 

Ci sono notti che dovrebbero durare per sempre. Ci sono notti che non dovrebbero finire mai. Ci sono notti che ricordiamo per tutta la vita. Per Sigyn, quella notte vuol dire Nornheim e il suo cielo blu e viola, perché è lì che ha creduto, tra i baci di un principe capace d’incantare con i suoi racconti e l’odore dell’erba umida di pioggia, che le favole potessero esistere davvero. Ma non ci pensa adesso, ora che lui è lì, steso di fronte a lei, e sta morendo.

Thor non entra nella stanza. Rimane sulla soglia, fissando immobile e sconvolto il corpo esanime del fratello. Sif è accanto a lui, in silenzio. Il dio del tuono si mette a raccontare, con voce grave e bassa, di come suo fratello gli abbia salvato la vita contro Kurse, l’Elfo Nero, e mentre lo fa osserva la larga fasciatura che copre tutto lo sterno di Loki e gli si riempiono gli occhi di lacrime. Infine, guarda Sigyn.

“Voglio ringraziarti, guaritrice. Sei stata pietosa e gentile con mio fratello.”

Sigyn tiene tra le sue la mano di Loki, la stanchezza le ha segnato il viso.

“Era mio dovere farlo,” mormora lei.

“Sif mi ha detto che hai conosciuto mio fratello a Nornheim.”

 

***

 

L’alba, su Nornheim, aveva delle sfumature d’un rosa acceso impossibile da trovare negli altri mondi. L’aria era pungente e fredda, sulla collinetta erbosa dove Loki e Sigyn si erano messi a guardare le stelle. I raggi del sole, pian piano, scaldarono l’erba umida, sciolsero la rugiada sui fili d’erba e sui fiordalisi.

Loki non l’avrebbe vista mai, quell’alba. In quello stesso momento, era già in viaggio verso Alfheim, come ordinato da Odino, dove lo aspettava un’ambasceria importante. Con la fronte appoggiata al finestrino della lancia veloce e gli occhi persi nel vuoto dell’universo, pensò che non aveva avuto il tempo di avvertirla. Lei sarebbe andata lì, sulla collina, anzi, certamente già c’era, e lo avrebbe aspettato invano. E il rimpianto, per un momento, gli fece male quasi quanto il braccio.

Quando Sigyn giunse alla collina, col fiato corto e la crocchia ormai sciolta, il sole era già alto, l’alba era passata. Non trovò nessuno ad aspettarla e credette che il principe degli Aesir fosse venuto all’ora stabilita e, non trovandola, se ne fosse andato. Sospirò, si strinse nelle spalle, si allontanò mesta. Mentre tornava giù alla sua tenda, sentì dai discorsi dei soldati che i principi erano partiti in fretta, e si avviò verso l’ospedale.

 

***

 

Thor è andato via già da alcune ore quando la febbre di Loki sembra abbassarsi. Apre gli occhi, batte le palpebre, ed i suoi occhi verdi, che Sigyn ricorda acuti e vispi, ora sono vacui, e persi.

A un tratto però smettono di vagare per la stanza e si soffermano appena su di lei. Non può riconoscerla, Sigyn lo sa. Lei per lui non è stata che una sera tra tante, un volto dimenticato e perso. Lui per lei, invece, è stato il ricordo più bello. Un rantolo strozzato esce dalle labbra riarse e screpolate del dio degli inganni che aveva osato ribellarsi ad Odino, che il silenzio della notte tramuta in un grido disperato. E Sigyn, pietosa e gentile, accorre al suo capezzale tremando, gli inumidisce con un tocco lieve la fronte, placa la sua sete.

 

***

 

L’ambasciata su Alfheim durò più del previsto, fin troppo. Loki tornò ad Asgard con un braccio appeso al collo e un rimpianto sepolto nel petto. Provò a mascherarlo con l’idromele e le ragazze, finse di ignorarlo mentre studiava le antiche rune e gli incantesimi dimenticati. Ma poi, una sera, si recò al palazzo dove dimoravano le guaritrici. Gironzolò attorno al perimetro della costruzione, poi entrò tra lo stupore delle guaritrici presenti, e chiese di lei. Dissero che era il suo giorno di riposo. Allora Loki sfoggiò il suo sorriso più affascinante e si fece dire dove fosse la casa della ragazza. Le guaritrici più anziane pensarono forse che un principe degli Aesir non dovesse corteggiare una giovane semplice e spensierata come Sigyn. Esitarono, e fu non senza una certa riluttanza che si decisero infine a rispondere al futuro ingannatore. Perché quel ragazzo dall’aria furba e le labbra sottili sapeva chiedere le cose e ottenerle, e ne era consapevole. Così l’Ase si incamminò per le viottole strette che si stendevano al limitare di Asgard dalle bianche torri. La vide al tramonto. Il cielo arancione sembrava infiammare l’acqua ormai blu del mare. Gli ultimi raggi del sole morente, però, accarezzavano le onde morbide dei capelli biondi di lei. Solo che le sue mani sottili e delicate erano strette tra quelle di un altro che la fissava negli occhi. Un’immagine perfetta, degna di un quadro. Loki Odinson li osservò per un istante di troppo. Poi guardò in basso e inghiottì la sconfitta. Non era bravo ad incassare, non lo sarebbe diventato mai. Si lasciò dietro un mucchio di cenere – un dono mai consegnato? – e non vide le mani intrecciate sciogliersi né Sigyn scostarsi. La voce di lei, ferma e decisa, risuonò forse nel vicolo fino al punto in cui lui, nell’istante sbagliato, aveva sostato. Ma il principe degli Aesir ormai era lontano, e non udì la ragazza dire che l’amicizia non sempre si trasforma in amore.

 

***

 

Loki l’osserva. Fissa ogni cosa. Poi si riaddormenta, lasciandosi sfuggire un sospiro che maschera il dolore. Quando si risveglia, il sole è già alto e Sigyn, i capelli scompigliati sul capo e l’aria stanca e distratta, sta riordinando la stanza.

“Non dovevi lasciare che vivessi.” Le pronuncia con lentezza, quelle parole. Senza guardarla. Lei gli si avvicina. La voce del principe degli Aesir le pare più roca di quella di un tempo, e dura. L’amarezza riempie ogni sillaba, gli attraversa lo sguardo. “Te ne pentirai,” preconizza.

Lei si avvicina. Loki finalmente la guarda, ma è un’occhiata fredda, la sua. La fissa come fosse un’estranea. “Sono una guaritrice. Il mio compito è salvare ogni vita,” ribatte lei. La frase le è uscita fuori dalla bocca in maniera meccanica. Ha immaginato che quelle pupille di cui ricordava la brillantezza l’avrebbero costretta a voltarsi. Che si sarebbe sentita i suoi occhi puntati sulla schiena e avrebbe avuto il tempo di cercare una frase da dirgli, una qualunque. Invece Loki si è svegliato e le ha detto qualcosa, allo stesso tempo, di vero e ingiusto.

L’Ase volge a fatica il capo di lato, verso la finestra. Il cielo arancione sta per diventare blu, le prime stelle si affacciano timide. “Sarei potuto morire in battaglia,” prosegue Loki. “Avrei avuto una bella morte. Una morte da guerriero.” Sigyn si morde le labbra. Sono giorni che a stento mangia e dorme nella poltrona accanto al suo letto. Ha passato nottate intere a ringraziare le Norne per ogni battito del cuore di quell’uomo steso di fronte a lei che non ricorda il suo nome e rimpiange di essere vivo. Le lacrime le inondano gli occhi affaticati. Per un momento, uno solo, è tentata dall’idea di raccontargli di una sera lontana a Nornheim. Ma è passato troppo tempo da allora, e Loki non è più il ragazzo che si vantava delle sue imprese. Lo dice la piega beffarda eppure severa delle sue labbra sottili e il disincanto con cui guarda ogni cosa, persino lei.

Vi ho curato, una volta. A Nornheim. Il dio degli inganni piega il capo di lato, cerca di afferrare un ricordo svanito. Scuote il capo. È una scena che si verifica solamente nella testa di Sigyn. Due volte al giorno, mentre gli lava e cura le ferite e gliele benda con cura. Un pomeriggio si è azzardata persino a sfiorargli quella cicatrice antica, e l’Ase non ha detto una parola. Ma cosa dovrebbe dire, in fondo? Che senso ha rivangare quella vecchia storia? Lei e Loki non sono innamorati, né amanti. Avrebbero potuto esserlo però.

“Aiutami a fuggire.” L’ingannatore non usa preamboli né giri di parole. Va diritto al sodo, interrompendo il flusso di pensieri della donna. Sigyn alza gli occhi stanchi e cerchiati e incontra quella di lui. È una sera come tante, ma negli occhi di Loki scintilla la stessa vitalità che l’ha incantata su Nornheim. Le dita della guaritrice rallentano, si fermano incerte sulla fasciatura appena cambiata.

“Ti prenderanno” dice, e il suo cuore perde un battito. Farà tutto ciò che vuole. Non solo perché lui è l’ingannatore e finirebbe per piegarla comunque al suo volere con il suono incantato della sua voce, ma per il ragazzo che era e ora non è più.

Sebbene inchiodato nel letto, l’Ase alza il mento con fierezza, le labbra si piegano in un ghigno compiaciuto. “Non lo puoi sapere,” sorride fiero. Ma le mani di Sigyn si bagnano di lacrime non trattenute.

“Sei troppo debole. Moriresti fuggendo,” sospira.

Stavolta la voce di Loki si addolcisce, diventa quasi una carezza. “Morirei da uomo libero,” la consola.

 

Non basta. Non basterà mai. Pallido ed emaciato, Loki varca la soglia di Asgard. Uno stivale calpesta già la terra brulla oltre le mura. Un altro, è posato sul selciato degli Aesir forti, feroci e vendicativi. Lei, avvolta in una mantella di lana pesante per proteggersi dal freddo del primo mattino, gli allunga una bisaccia con viveri e medicinali. Loki l’afferra, pare soppesarla. Guarda in basso, fissa la linea di demarcazione tra la libertà e la morte. Confine sottile, che si confonde sotto i suoi occhi appannati. Una smorfia di dolore e la guaritrice solerte subito gli è al fianco per sorreggerlo. Peccato non sorrida più. Rideva moltissimo quand’era ragazza. Potrebbe dirglielo. Rivelarle che il suo tocco ora è più esperto e delicato, ma il suo sorriso dolce era un balsamo potente.

Potrebbero varcare insieme quella soglia e provare a recuperare tutti i momenti che hanno mancato. Basterebbe una parola, ma l’alba è troppo vicina. Così Loki sparisce oltre la soglia senza voltarsi a guardarla. Tornerà indietro, però, e quando gli domanderanno perché, inventerà una bugia subito scambiata per vera.

 

Fine

L’angolo di Shilyss

Cari lettori,

Questa è una shot triste che ho sempre amato moltissimo e che ho scritto diversi anni fa, ma ho revisionato fino a oggi. So che vi aspettavate qualche capitolo legato alle long e non temete: arriveranno tutte, anche quelle aggiornate da meno tempo con i consueti appuntamenti (martedì e domenica). Ma ora veniamo a noi. Il contesto è posteriore a Thor: The Dark World anzi, come avrete senz’altro capito, parte da un What if: cosa sarebbe successo se Kurse avesse realmente colpito Loki ferendolo a morte. Ecco, sarebbe stato salvato in tempo e forse, dico forse, avremmo avuto l’inserimento di Sigyn anche nel movieverse.

Il riferimento alla battaglia di Nornheim è tratto da una celebre scena tagliata del primo Thor, dove Loki si vanta di aver creato una gigantesca illusione e aver permesso, così, all’esercito Aesir di vincere.

L’idea che la dea della fedeltà si occupi di assistere il prossimo è, a mio avviso, abbastanza IC con il suo personaggio mitologico: non è forse assistenza quella che offrirà a Loki quando, nel mito, lo proteggerà con il bacile impedendo che il veleno del serpente gli corroda la faccia?

Il precedente nel mio canon è in Tutte le tue bugie, ma la dicotomia infermierina solerte/amante ferito è un leitmotiv della letteratura di guerra, in particolare di Addio alle armi di Hemingway. Rispetto al mio solito stile c’è un’alternanza tra il passato e il presente piuttosto netta. I ricordi di Sigyn sono al passato, il presente è reso con l’omonimo tempo.

Ci sono riferimenti a De André sparsi per tutto il testo: vi segnalo le canzoni Andrea e a La canzone di Marinella.

Ringraziandovi per essere arrivati fin qui, mi auguro che la Fatina dell’Ispirazione possa spingervi a lasciarmi due righe su cosa ne pensate! Un caro abbraccio,

Shilyss

 

 

 

   
 
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