Libri > Harry Potter
Segui la storia  |      
Autore: Always_Potter    01/07/2018    0 recensioni
Non capisci cosa sia successo, come sia potuto accadere, quando le cose ti siano sfuggite di mano fino a quel punto.
Sai solo di aver perso il tuo migliore amico, tuo fratello, il tuo amore.
Avresti potuto fare di più, parlare meglio, agire prima.
Se solo avessi saputo come salvare una vita.
°*°*°*°
1.
Helga Hufflepuff e Salazar Slytherin.
Albus Silente e Gellert Grindelwald
Sirius Black e Regulus Black
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Had I known

Step one, you say we need to talk
He walks, you say sit down, it's just a talk

Lo rincorse anche quella volta.

Rischiò di inciampare a ogni passo, giù per i dolci pendii del parco di Hogwarts, finché decise di abbandonare le graziose scarpine di raso giallo e di recidere nettamente l’orlo della veste troppo lunga con un Diffindo; poi riprese a correre, la gonna di velluto color topazio che ondeggiava nel vento, i riccioli dorati che rimbalzavano sulla sua schiena.

«Aspetta! Ti prego, fermati a parlarne per un momento!» gridò, mentre la figura alta e slanciata dell’uomo spariva, oltre la fitta boscaglia alla base del fianco del colle.

Senza la minima intenzione di desistere, le guance piene color porpora e gli occhi grandi stretti per la determinazione, accelerò il passo con un altro sbuffo.

«Ti prego, Salaspet-» il respiro le si mozzò a metà quando sentì un vuoto sotto un piede, affondando in una buca; prima che potesse rendersene conto, stava per rotolare giù dalla collina.

Si preparò all’impatto con l’erba secca e la dura terra ghiacciata sottostante, dandosi della sciocca per non aver tenuto la bacchetta a portata di mano.

Improvvisamente, però, la sua caduta si arrestò, e un paio di mani affusolate la presero per le spalle e la trascinarono in piedi. Spalancando gli occhi per la sorpresa, alzò lo sguardo sull’uomo slanciato che le stava davanti: portava una veste nera e un lungo, pesante mantello color smeraldo bordato di pelliccia; sul volto pallido e affilato cadeva qualche ciocca di capelli neri, e la bocca contratta in una smorfia di disprezzo e rabbia era nascosta da una lunga barba nera. Gli occhi la fulminavano minacciosi e malevoli.

Come sempre.

La donna spostò uno dei tanti riccioli biondi e ribelli dietro l’orecchio, con un gesto automatico, e rabbrividì appena nella gelida aria invernale. «Grazie».

«Quante volte ti ho detto di non chiamarmi Sal, Helga?» sibilò lui, la voce venata di velenoso disprezzo.

La strega corrugò la fronte «Iniziai a chiamarti così non appena ti presentasti. Perché dovrei smettere ora?»

«Perché me ne sto andando, Helga, non mi hai sentito prima? Non calcherò questo suolo maledetto e impuro mai più, finchè avrò vita e oltre» disse duramente, con lo stesso tono affilato, irato.

Tentò di farlo ragionare, anche quella volta.

«Sì, ti ho sentito prima, urlavi a sufficienza perché ti si sentisse in ogni angolo del castello» ribattè con tono di rimprovero la bionda. «Hai spaventato a morte tutti gli studenti… o, per meglio dire, abbiamo spaventato a morte tutti gli studenti» ammise, ravviando dietro l’orecchio un altro ciuffo biondo.

Salazar storse la bocca in una smorfia ancora più disgustata.

«Perché mai mi dovrebbe interessare? Quei patetici Sanguesporco non sono più affar mio, non lo saranno mai più» sibilò con cattiveria.

«Adesso stai esagerando, Sal!» lo redarguì, portando le mani sui fianchi come quando rimproverava gli studenti per essersi messi nuovamente a duellare nei corridoi, o quando scopriva Godric a rubare mele dal suo frutteto. «Ora torniamo indietro e ci sediamo con calma a parlarne, risolveremo tutto come abbiamo sempre fatto, e tu e Godric…» lasciò la frase in sospeso, perché in verità proprio non sapeva come sarebbero potuti migliorare i loro rapporti. «… Non andartene, Sal».

Lui rimase lì, immobile e simile a un blocco di ghiaccio, a fissare un punto alle spalle di Helga, un vuoto lontano che la strega sapeva di non poter in alcun modo raggiungere, né colmare.

Ma ancora poteva tentare.

«Sal, io… so che è difficile, da quando Elinor è-»

«No, tu non lo sai» sbottò aspramente il mago, tornando a fulminarla con gli occhi neri come abissi in tempesta. «Né tu, né Rowena, né tantomeno quel tronfio borioso di Godric, sapete cosa voglia dire perdere la propria famiglia!».

L’uomo avanzò di un passo ma Helga non si mosse, pur percependo quelle mute e gelide ondate d’ira e odio: le pizzicava la pelle, tanta era la Magia Oscura che trasudava dall'alto e consumato uomo che era… o era stato, suo amico.

«Erano mia moglie e mia figlia, Helga, dannazione» aggiunse, abbassando il capo di scatto, la voce ridotta a un sussurro spezzato.

Lo sguardo della strega s’incrinò, riflettendo il dolore di Salazar in una muta vicinanza: Godric le diceva di lasciarlo perdere da tempo, diceva che non c’era più speranza, che Salazar era cambiato irrimediabilmente da quel giorno.

Helga non poteva negarlo. Non poteva negare che aver perso loro… aveva divorato Salazar come un veleno, uno di quelli con cui amava tanto giocare nei suoi sotterranei, spesse volte sotto gli occhi ammirati e famelici dei suoi ragazzi, altre con la meticolosa compagnia di Rowena; qualche volta, dopo avergli portato qualche erba particolarmente rara che le aveva chiesto con settimane di anticipo, permetteva persino a lei di assistere a quei piccoli esperimenti visionari.

Ma non succedeva più, non da quando la Caccia aveva preso Elinor e la figlia che portava in grembo; non dal giorno in cui avevano trovato la sua bacchetta spezzata, ai confini della Foresta Proibita, ben al di fuori dei territori di Hogwarts.

Non da quando, sotto tortura, un Babbano aveva confessato di aver catturato la donna assieme a un altro gruppo del villaggio.

Non da quando Salazar aveva spazzato via quel villaggio, trucidando coloro che avevano arso vive sua moglie e sua figlia.

All’inizio pensavano che non ne sarebbe mai uscito, che sarebbe rimasto chiuso nel suo dolore fino alla sua morte; persino Godric si era incupito in quei giorni, e ogni discussione fra gli studenti era cessata.

Ed Helga, silenziosamente, cercava di recargli conforto: davanti alla porta di quercia dei suoi appartamenti, lasciava sempre un cesto. Torta alla melassa, fasci di erbe rare, compendi di pozioni arrivati da terre lontane, persino qualche serpente esotico: se non le permetteva di stargli vicino con le parole, avrebbe fatto di tutto per farlo altrimenti.

Il cesto veniva svuotato ogni volta.

Quando infine il pallido mago era tornato nella Sala Grande, accolto dalle solenni e poderose pacche sulle spalle di Godric, quando aveva ripreso a insegnare, avevano pensato che sarebbe tornato tutto come una volta.

Lo avevano pensato davvero.

Poi erano iniziate le vecchie discussioni, più accanite e aspre che mai; avevano provato, Helga e Rowena avevano parlato a lungo, cercando di riportare la ragione nella sua mente annebbiata dall’ira e da un odio ormai troppo radicati. Ma le liti proseguivano, Maledizioni e Anatemi rimbalzavano nei corridoi ogni volta che Salazar e Godric s’incrociavano; e il laboratorio di Pozioni era sempre vuoto, mentre il suo proprietario spariva per ore, qualche volta per giorni, senza dire a nessuno dove se ne andasse.

Tra gli studenti si vociferava di una camera segreta, nascosta nel castello.

D’un tratto, anche Rowena aveva smesso di parlare con lui.

Ma Helga no, lei continuava a cercarlo, a tentare di distrarlo, di fare breccia in quella barriera impenetrabile d’odio, mentre la coltre di Magia Oscura continuava a pulsare sempre più frenetica e minacciosa attorno al mago; eppure lei non desisteva.

Perché lei era quella che lavorava duro, che non si arrendeva mai, che non si lamentava mai, che faceva sempre del suo meglio. Per sé, per i suoi studenti, per i suoi amici.

Fece del suo meglio, anche quella volta.

«Hai ragione, non potrò aver vissuto quello che hai vissuto tu, non potrò capirlo come puoi fare tu. Non so tante cose, in verità, non sono Rowena» iniziò, tirandosi indietro un ricciolo biondo dagli occhi; occhi che il mago di fronte a lei si ostinava a non guardare. Corrugò la fronte e posò le mani sul petto dell’uomo. «Ma so quanto dolore ti porti qui dentro, Sal. E so che dare la caccia ai Babbani e rifiutare i loro figli che portano la scintilla della magia, non guarirà questo dolore. Non le riporterà indietro» lui continuò ad ascoltarla, in silenzio.

O, forse, aveva smesso di ascoltare da tempo.

«Salazar, hai degli amici qui. Hai ancora una famiglia, qui. Hogwarts è casa tua».

Ma il suo meglio non bastò.

Salazar Slytherin alzò gli occhi neri come la notte sulla bionda, indecifrabili e freddi come non mai; prese le mani di Helga fra le sue e le tolse dal suo petto, lasciandole ricadere lungo i fianchi.

La guardò per qualche minuto, in silenzio.

Poi, prese un ricciolo ribelle che ricadeva sul volto di Helga e glielo spostò dietro l’orecchio.

«Addio, Helga».

Ruotò su stesso in senso antiorario e scomparve con uno schiocco.

Lungo la guancia di Helga, scese una singola lacrima.

Se n’era andato, solo, con l’odio verso stesso e tutto ciò che lo circondava come unica compagnia. Mentre tornava lentamente al castello, Helga Hufflepuff lo faceva portandosi dentro una consapevolezza: che, stavolta, Salazar non sarebbe tornato mai più.

L’aveva perso per sempre.

 

Se solo avesse saputo come salvare una vita…

 

 

He smiles politely back at you
You stare politely right on through

Sorrise, quando lo vide. Un sorriso tirato, più simile a un sogghigno divertito.

Oh, avrebbe potuto prendersi gioco di lui, ne era consapevole; in verità, se solo si fosse saputo, in molti si sarebbero potuti prendere gioco di lui, della sua debolezza.

«Finalmente ci rincontriamo, Albus».

Dritto davanti a lui, il mago non rispose.

Solo qualche attimo, gli serviva solo un ultimo momento per scavare a fondo, trovare quel coraggio che lo aveva spinto fin lì; quel coraggio che lo aveva visto assegnato ai Gryffindor; quel coraggio che, era doloroso ammetterlo, gli mancava da troppo tempo.

Sospirò profondamente, poi piegò la bocca nella pallida imitazione di un sorriso.

«Penso che dovremmo saltare i convenevoli, Gellert»

«Ah sì? Non mi vuoi chieder come sto? Come me la sono passata in tutti questi anni?» sul suo volto il ghigno divenne più marcato e malevolo, gli occhi che brillavano come quelli di un predatore. «Non mi vuoi chiedere se li ho trovati?»

Albus sembrò ritirarsi di scatto a quelle parole, come se fosse stato colpito da un invisibile colpo di frusta.

Gellert, dal canto suo, non trattenne una risata secca e delirante, piegando all’indietro la schiena scossa dai singulti. «Ma certo, ovvio che tu non ti sia più azzardato nemmeno a nominarli da allora, non è vero, Albus? Ma li hai pensati, oh, li hai pensati di certo! Ti sei consumato nel desiderio di riprendere la ricerca, ti sei crogiolato nei vecchi sogni in cui diventi il Padrone della Morte, non è vero? Non mentirmi, Al…».

L’alto mago biondo non ricevette alcuna risposta mentre attendeva la risposta dell’amico di un tempo, gli occhi luccicanti come quelli di un predatore pigramente fissati sulla figura davanti a lui. Annuì lentamente, senza smettere di sogghignare, quasi quel ghigno fosse l’unica espressione che potesse produrre.

«Beh, non ne parlerai, non ne hai il coraggio, rischieresti di piombare nel rimpianto… Il Ministero non voglia, eh?»

«Non ne parlerò perché non è necessario, Gellert» la voce di Albus Silente fu pacata e ferma, sorprendentemente ferma. «Quello che è accaduto, quello che abbiamo fatto…» il rosso si interruppe di colpo, stringendo le labbra come per trattenere quelle parole che, lo sapeva, non si poteva permettere.

Gellert Grindelwald scoppiò in una nuova risata gelida e sferzante, mentre un lampo tempestoso illuminava i corti capelli chiari redendoli bianchi. «Oh, non parleremo di questo, oggi, non ti affliggere. L’ho già visto» disse in tono febbricitante, umettandosi le labbra e picchiettandosi lievemente la bacchetta sulla fronte. «Una volta ti avrei costretto ad affrontare i tuoi demoni, Albus, a sottometterli… ma, francamente, il patetico essere inerme che sei diventato non mi serve più, e non voglio perdere altro tempo!» La Maledizione partì dalla sua bacchetta fulminea e letale come un colpo di frusta ma non riuscì a cogliere di sorpresa l’avversario, che lo parò con un altrettanto rapido e fluido movimento.

Non vi furono altre parole, in quella notte di tempesta.

Non venne lasciato spazio ad alcuna provocazione, ad alcun inganno, a niente che non fosse il violento cozzare d’incantesimi e maledizioni, il ruggire dell’aria che si spostava al passaggio della magia, l’odore di bruciato e distruzione che li circondava. La sua risata secca come un tormento.

Come se non ricordasse la sua risata nella soffitta, a Godric’s Hollow, quella vera.

Albus stringeva i denti, assottigliando lo sguardo dietro le lenti a mezzaluna per non perdersi nemmeno un movimento dello stregone di fronte a lui, che scivolava dietro le sagome fumose dei loro incantesimi come un’ombra che si nasconde nel buio. Mentre parava un potente getto di fiamme, lo intravide muovere il polso come a vergare eleganti lettere nell’aria e, trattenendo appena il respiro, si sbrigò a gettarsi dietro la carcassa di un albero abbattuto dal loro scontro: il fascio ustionante di magia che ridusse in polvere il blando scudo fu il risultato di ciò che la mano avversaria aveva tracciato nell’aria.

Come se non lo avesse visto scrivere, con quelle stesse mani, centinaia di lettere, di prove, di bozze e saggi accartocciati che lui stesso aveva aiutato a produrre, con una dedizione, una convinzione e una fiducia di tali profondità da renderlo ancora più ridicolo, palese stolto e marionetta di un’utopia crudele.

Ricambiò l’attaco con eguale forza, ma si ritirò di scatto dalla linea di fuoco quando sentì la carne del braccio sinistro aprirsi sotto il violento impatto di un incantesimo sfuggito al suo scudo.

Come se quel dolore fosse in qualche modo paragonabile… paragonabile al risultato dei suoi vaneggiamenti, al corpo freddo di Arianna fra le sue braccia, al letale rancore del fratello, alla distruzione di tutto ciò che rimaneva della famiglia Silente.

E il senso di colpa, quello era qualcosa che non se ne sarebbe mai andato via, che nessuna azione eroica o scoperta rivoluzionaria, nessuna opera di bene o saggio consiglio avrebbe mai potuto lavare via dalla sua coscienza e dalla sua solitaria esistenza.

Per Arianna, morta perché era troppo cieco per capire che l’unico Bene che importava era sotto il suo stesso tetto.

Per Aberforth, per la famiglia che aveva tradito così vilmente, lasciandolo a stesso e alle cure della sorellina, mancando alla promessa fatta alla madre, rendendo ancora più inutile l’atto di folle vendetta del padre.

Un Anatema Che Uccide lo sfiorò, scompigliandogli i capelli e la barba, e la sua bacchetta rilanciò con naturalezza un Incantesimo in grado di frantumare il corpo di una persona come fosse un ramoscello.

… Per Gellert.

Un’altra risata di scherno tagliò l’aria mentre il suo tentativo veniva abilmente schivato e fatto tornare al destinatario come un boomerang crepitante di magia.

Perché non aveva avuto il coraggio di affrontarlo fino ad allora, di riparare ai suoi errori, di fermare il suo avanzare distruttivo.

Annullò l’incantesimo con un ampio gesto del braccio ed evocò uno Scudo per quello successivo.

… Perché non era abbastanza forte da salvarlo.

Albus si maledì per essere incapace di concentrarsi solo su quella battaglia furibonda e devastante, imponendosi di aumentare la velocità dei suoi movimenti, la potenza dei suoi attacchi, l’urgenza di farla finita.

Per questo non poteva lasciare il minimo spazio allo stregone dai capelli biondi, non poteva permettersi nemmeno la minima esitazione o avere più alcuna riserva.

Perché il tempo di parlare era passato da molto tempo, troppo.

Ed era stato lui a lasciare che succedesse.

Era ora di finirla.

Lanciò un urlo di frustrazione, Albus, mentre si Smaterializzava a pochi metri di distanza per sorprendere il nemico – il nemicocon una gigantesca detonazione che incendiò e distrusse una buona porzione della strada che presidiava.

Lo ferì superficialmente, ma quello fu il segnale, ben recepito anche da un sogghignate Gellert Grindelwald: era finito il tempo di giocare.

Il loro tempo.

Il duello che ne seguì è storia, è leggenda.

Gellert Grindelwald morì nel 1998 per mano di Lord Voldemort, negli anfratti freddi e disgustosi della prigione magica di Nurmengard, dove venne spedito in seguito alla cattura da parte di uno dei più grandi maghi di tutti i tempi, Albus Silente.

Non ci fu giorno in cui Albus non rimpianse ciò che aveva fatto, non rimpianse di aver agito troppo tardi, non rimpianse l’amico – l’amante, l’amore – che aveva lasciato libero di proseguire lungo quella strada di morte e disperazione finita in quella prigione maledetta.

Un altro peso sulla coscienza, un’altra colpa inespiabile.

 

Se solo avesse saputo come salvare una vita…

 

 


Some sort of window to your right

As he goes left, and you stay right

Between the lines of fear and blame

You begin to wonder why you came

 

Sirius aveva odiato profondamente suo fratello.

Non nel modo peggiore in cui si potesse odiare qualcuno, probabilmente: se avesse dovuto compilare una Top Five delle persone che più aveva odiato nella sua vita, non sarebbe stato Regulus Black quello che svettava in prima posizione.

Beh, magari in seconda o terza sì, però.

Trovandosi in una Casa straripante di puri di cuore e moralisti, prima fra tutti quella saccentella dai capelli rossi che aveva finito per sposarsi James, non era capitato poche volte che il suo continuo ignorare Regulus venisse visto come il risultato di una qualche invidia tra fratelli, di motivi sciocchi come la sua perenne impeccabilità, o la sua aria di pacata e spocchiosa superiorità, o il modo disgustoso in cui soleva convenire sempre con ogni stronzata che uscisse dalle bocche dei coniugi Black, Walburga e Orion (che Merlino li maledisse).

Non che tutte queste cose aiutassero, certo.

Ma il vero motivo era un altro. Il vero motivo era che ti esce difficile andare d’accordo con una persona se quella decide di stamparsi il Marchio Nero su un braccio, specialmente se si tratta di tuo fratello minore e specialmente se ti trovi tra i principali obbiettivi proprio dei cattivoni col tatuaggio sull’avambraccio.

Già, quello era proprio il tipo di dinamiche che minavano il rapporto tra fratelli, lo aveva certamente letto da qualche parte, magari su uno dei Settimanale delle Streghe impilati sul comodino di Marlene.

In verità, sul momento non ci pensò quanto avrebbe dovuto, almeno non quanto una persona normale avrebbe fatto. Fu parecchi anni più tardi, che si soffermò su quello.

Se ne stava lì, in piedi in mezzo a una delle stanze segrete del Ministero, anche se in piedi lo sarebbe stato ancora per poco: la vedeva, quella luce verde, vedeva come si faceva sempre più grande e luminosa ai suoi occhi, quasi come un bizzarro palloncino luminoso che si gonfiava a rallentatore.

Quella sensazione… lo riportò indietro, a una di quelle partite ad acchiapparella con Regulus: non lo prendeva quasi mai, ma quando accadeva ci metteva sempre un paio di secondi a realizzarlo, a realizzare di aver perso per pochi centimetri di pelle rimasti in contatto con le dita del fratellino per la durata di un battito di ciglia.

Sì, fu quasi come una di quelle volte: il lampo verde, bollente, ustionante, poi gelido in un modo che gli fece rimpiangere quel calore ustionante, bussò alla sua pelle per la durata di un battito di ciglia. Preso? Davvero? Lui?

Oh, aveva perso. Però non lo assalì il solito basito e accecante nervosismo, quello fatto di è stato solo per così poco e se solo mi fossi mosso un centimetro più in là o ha barato, sicuramente. No, non successe nulla del genere.

Lui scivolò.

Più come quella volta in cui si era addormentato davanti alla credenza in cui si era nascosto Regulus per sfuggire alle urla furibonde dei genitori che litigavano. In silenzio, senza farsi notare- lui che si faceva sempre notare-, Sirius si era seduto fuori da quell’antina che puzzava di muffa, fingendo di non aver sentito i singhiozzi del fratello, fingendo di non essere neanche lì.

Non pensò solo a lui, a uno di quelli che aveva odiato di più. Ma ci pensò.

Pensò quello che mai aveva voluto pensare, pensò e se…

E se non fossero mai diventati quello che erano diventati? E se… fosse stato più vicino al suo fratellino? Se si fosse accovacciato più volte davanti alla sua porta, se gli avesse permesso qualche volta in più di prenderlo, se avesse resistito a qualche provocazione in più dei genitori per passare la notte a parlare con lui…

Se il suo fratello di sangue fosse stato anche suo fratello vero?

Per un attimo, della durata di qualche fotogramma, lo vide: a scannarsi con James sul risultato dell’ultimo derby Grifondoro-Serpeverde dopo aver scolato qualche birra, ad alzare gli occhi al cielo con Remus, a farsi strofinare il capo con malcelato affetto da Lily.

Accanto a lui mentre trovava i loro corpi esanimi.

In tribunale mentre testimoniava contro Peter.

In prima fila mentre sposava Marlene.

A ridergli dietro mentre cercava di capire da che verso andasse tenuto Harry…

E se.

E se.

E

Se

 

Se solo avesse saputo come salvare una vita…

wvw

LUMOS

Ok, piccolo progetto che sto portando avanti da un po’: "How to save a life"- The Fray, è questa la canzone che per due settimane, aprecchio tempo fa, non sono riuscita a togliermi dalla testa, e attorno a cui ruota questa ff. Fatemi sapere che ne pensate e se vi va di leggere il resto ;3

NOX

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Always_Potter