Incontri ravvicinati del terzo tipo
Se
c'era una cosa che Fango detestava più della capo-area e
delle sue
assistenti, quella era il baccano.
Non
che le due cose si svincolassero l'una dall'altra – in fin
dei
conti la signorina Eliza disponeva della
straordinaria
capacità di gettare benzina sul fuoco con il suo perpetuo e
martellante starnazzare, otto ore al giorno per cinque giorni a
settimana, pausa pranzo inclusa – ma per sua sfortuna non si
trattava altro che di una clausola del contratto; faceva parte del
pacchetto e non se ne sarebbe liberato fino alla fine del semestre.
Ci avrebbe fatto l'abitudine, l'aveva incoraggiato un suo collega tra
un nugget e un sorso di birra; come tutti.
La
seconda cosa che Fango detestava, direttamente proporzionale alla
prima, era essere trascinato in eventi sociali per i quali lui non
provasse alcun tipo di interesse. Speed dates,
serate in
discoteca per trentenni single, partite di football e scemenze varie:
no, non avrebbe sprecato il fine settimana a ridicolizzarsi
così. Il
weekend era sacro dopotutto, e nessuno poteva biasimarlo per questo.
La sua scusa migliore per scoraggiare qualsiasi compagnia sgradita
era menzionare l'arrivo della bella stagione che, ormai alle porte,
avrebbe presto riempito i parchi... di genitori e marmocchi urlanti,
per non parlare del fracasso dei cani a passeggio. Quindi quale
occasione migliore di un tristo pomeriggio di fine febbraio per
andarsene a commissioni, evitando accuratamente qualsiasi contatto
umano?
Fango
si calò la sciarpa dal naso, sistemandosela attorno al
collo, e fece
il suo ingresso nel minimarket. La temperatura parve abbassarsi di un
grado, complice la vicinanza del reparto frutta, ma non si stava poi
così male. Lasciatosi il traffico newyorchese alle spalle,
oltre le
porte scorrevoli, Fango afferrò un cestino e
iniziò il suo giro.
Nel
corso del tempo aveva appurato che la domenica pomeriggio fosse il
momento migliore per fare rifornimento senza correre il rischio di
essere continuamente travolto da carrelli, matrone stizzite e madri
frettolose o, peggio ancora, rimanere bloccato in coda alla cassa: la
maggior parte delle coppiette sprecava il sabato mattina tra una
corsia e l'altra e le famiglie preferivano passare una giornata
insieme, anziché minacciare una crisi isterica davanti al
reparto
merendine.
Fango
esaminò un cartone del latte, controllandone la scadenza
prima di
passare alla corsia successiva, e quando l'ebbe riposto nel cesto si
preparò a svoltare in direzione dei biscotti. I suoi cereali
preferiti se ne stavano proprio sullo scaffale di sinistra, gli
sarebbe bastato allungarsi un attimo per―
«Cazzo!»
L'avesse
mai fatto.
La
ruota di un passeggino, sbucato da chissà dove, aveva
pensato bene
di fare del suo piede farina per gallette. Di riflesso Fango
mollò
la presa sul cestino, come scottato, e nello stesso istante una voce
acuta dall'altra parte della corsia lanciò un grido di
sorpresa,
prima che la proprietaria del trabiccolo ritraesse la carrozzina con
un colpo secco.
Una
bimba iniziò a singhiozzare poco distante, innervosita dalla
collisione della sua spesa contro il pavimento, e Fango
sbuffò
spazientito, alzando lo sguardo verso il responsabile di quel
disastro. O, meglio, la responsabile.
Una
chioma tinta d’azzurro invase la visuale di Fango, agitata
tanto
quanto lo sguardo della donna che, ora, lo fissava mortificata. Il
suo primo pensiero fu che non l’aveva mai vista da quelle
parti, ma
New York era grande e non teneva conto dei suoi abitanti; il secondo
fu che la bambina piagnucolante era quella che reggeva la sconosciuta
tra le braccia mentre il terzo, ben più spiacevole dei
precedenti,
fu constatare che la confezione di zucchero s’era aperta e
svuotata
per metà nell’impatto contro il suolo. Fango
mormorò un
improperio, chinandosi a raccattare le sue cose. A sua volta, la
donna iniziò ad armeggiare freneticamente con il passeggino.
«Scusi,
scusi, scusi! Mi perdoni, mi sono
distratta...»
Fango
non l’ascoltava, troppo occupato a risistemare quella
confusione
per notare la sconosciuta inginocchiarsi accanto a lui. Riemerse dai
suoi pensieri solo quando la mano di lei sovrastò la sua,
già
poggiata su una confezione di mozzarelle. Al che la donna rispose
sorridendo allo sguardo indispettito di Fango, che si scostò
bruscamente da lei.
«Mi
scusi» ripeté la fiordaliso in un pigolio
abbacchiato.
«Lo
so, era distratta» ribatté
Fango, alzandosi e riafferrando
il proprio cestino senza degnarla di uno sguardo.
«L’ha già
detto.»
Lei
ridacchiò della propria goffaggine, seguendolo a ruota e
accostandosi al passeggino. Colta l’amara comicità
della
situazione, anche la marmocchia sembrava essersi calmata. Con un
ulteriore sorriso di scuse la giovane si disse dispiaciuta
dell’accaduto, Fango annuì per
l’ennesima volta e finalmente
ognuno poté riprendere la propria strada.
Quando
ogni articolo della lista fu accuratamente barrato, Fango si diresse
alle casse. Lì iniziò a depositarli con gesti
automatici,
consolidati, osservando distrattamente il cartone del latte ammaccato
che gli era capitato tra le mani. Della fiordaliso non c’era
traccia, probabilmente se n’era già andata. Fango
estrasse il
portafogli.
Meglio
così.
❀
Riemerso
dal minimarket con le mani piene di sacchetti, un po’ si
maledì
per non essere stato più conciliante con la ragazza. Ora,
con l’aria
fredda a cozzargli contro il viso, l’irritazione era man mano
sfumata in un blando senso d’imbarazzo. Infossò il
collo nel
tessuto caldo della sciarpa, rafforzando la presa sulla spesa, e
decise di non pensarci più.
Stava
avviandosi verso casa – non c’era veramente fretta,
i freddi si
sarebbero conservati comunque – quando un sonoro trillo di
clacson
lo fece sobbalzare. Poco ci mancò che un sacchetto gli
sfuggisse di
mano. Ancora.
Fango
si voltò, perché chi non spererebbe di
riconoscere un viso amico in
un saluto frettoloso?, scostandosi sul lato interno del marciapiede
per evitare che un’utilitaria bianca lo travolgesse per la
seconda
volta quella giornata.
Prima che potesse imprecare contro quel
parcheggiatore abusivo e allontanarsi il prima possibile da chi,
probabilmente, stava attentando alla sua vita, il finestrino dal lato
del passeggero si abbassò e un visino contornato da lunghi
capelli
azzurri vi fece capolino.
Doveva
essere il karma, o il destino, o chissà quale altra
diavoleria.
Questa volta Fango non poté evitare di tenere le proprie
considerazioni per sé. Dunque «Ancora
lei!», esclamò incredulo. E
tanti saluti all’essere conciliante.
La
donna ridacchiò, aprendogli la portiera con una spinta della
mano.
«Mi sembrava in difficoltà con tutti quei
sacchetti» ammise
vivacemente. «Accetti un passaggio! Per farmi
perdonare.»
Un
altro clacson emerse dall’arteria stradale, infastidito da
quella
macchina riversa per metà sul marciapiede. Fango
nicchiò. In quel
momento avrebbe volentieri gradito che una crepa nel terreno
l’inghiottisse e non lo rigurgitasse più, ma a
quanto pare quella
era un’opzione da scartare. A quel punto, gliene rimaneva
soltanto
una.
«E
va bene!» sbottò. Con gesti rapidi e decisi
raccolse in un colpo
solo tutti i sacchetti in grembo, infilandosi
nell’utilitaria. A
portiera chiusa, Fango riconobbe con rammarico di aver vissuto
momenti migliori.
La
donna tolse il piede dal freno, pompando sull’acceleratore.
«Si
parte!» e sgommò, reimmettendosi senza troppe
cerimonie nella
circolazione. La bimba alle sue spalle rise mostrando una bocchina
sdentata e un sorriso luminoso che doveva sicuramente aver ereditato
dalla madre, mentre Fango si aggrappò alla maniglia sopra la
sua
testa fino a farsi diventare le nocche bianche. Una borsa gli si
afflosciò sul ginocchio, ma la ignorò. Un
pomodoro gli accarezzò
la scarpa. Doveva darsi delle priorità, si disse. E
rischiare di
volare fuori dal parabrezza per recuperare uno stupido ortaggio non
rientrava sicuramente tra quelle.
«Io sono Rein, comunque» si
presentò la fiordaliso senza distogliere lo sguardo dalla
carreggiata, «Direi che ormai possiamo saltare i convenevoli,
eh?»
«Fango» si limitò a rispondere lui,
adocchiando per
caso la fede sull'anulare sinistro di lei,
«Sì». Dunque era
sposata.
«E
in che via abiti?»
«Eh?»
Una
risatina le sfuggì dalle labbra nel controllare la bambina
attraverso lo specchietto retrovisore, prima di riproporre la
domanda. «Dove abiti? Sai, uhm, non possiamo girare in
eterno.»
Quella
constatazione sembrò farlo rinsavire, tanto che Fango
distolse
repentinamente lo sguardo dalle mani candide di Rein per concentrarsi
sulla strada. «A-a giusto un isolato da qui. Alla prossima
gira a
destra» balbettò come uno scolaretto impettito.
Lei
annuì senza notare il suo imbarazzo, o evitando con cura di
menzionare l'argomento. «Okay!»
Il
silenzio, scandito solo dalle altre auto intorno a loro,
attraversò
l'abitacolo e lì si mise a stagnare, interrotto solo dai
borbotti
della piccola assicurata al sedile posteriore. Rein fece arrestare
l'auto al semaforo rosso, abbassando appena il finestrino e
volgendosi sorridente nella sua direzione con le mani ancora strette
al volante.
«Allora»,
iniziò, «vivi a New York da molto?»
Fango
fissava la strada, ma all'ultimo momento decise di riservarle
un'occhiata di cortesia. «Ci sono nato.»
«Immagino
sarai abituato a tutta questa confusione, allora»
rifletté lei,
dando gas al primo baluginio della luce verde, «Io e mio
marito ci
siamo trasferiti da poco per via del suo lavoro, non è
male.»
«Suppongo
di no» asserì Fango, intendendo il completo
opposto di quanto aveva
appena affermato. «Ora prosegui lungo la via e alla
precedenza
svolta a sinistra. Casa mia è la prima della
strada.»
«Oh!»
esclamò lei nel riconoscere la zona, «Ma allora
abitiamo nello
stesso quartiere!»
A
incorniciare la sorpresa della madre venne il battimano della bimba
alle loro spalle che, entusiasta quanto lei, pareva farsi beffa del
crescente imbarazzo di Fango. Per distrarsi decise di recuperare il
pomodoro sfuggito dal sacchetto un paio di isolati prima, ma nel
chinarsi finì con lo sbattere appena la testa contro il
cruscotto.
Rein aveva gentilmente inchiodato.
«Eccoci
qua» cantilenò tranquilla, sorridendogli radiosa.
Poi, pian piano,
le sue labbra si stirarono in una piega seria. «E scusa
ancora per
prima, non ti ho proprio visto.»
«Non
importa» la liquidò frettolosamente Fango,
recuperando le borse e
aprendo a fatica la portiera. «Non è successo
niente. G-grazie per
avermi accompagnato.»
Il sorriso di lei lo abbagliava, e il
suono della sua voce acuta gli appariva ora nient'altro che
cristallino. Com’era stato possibile venir travolto da un
passeggino allo sbando e uscire quasi indenne
dalla folle
corsa per le arterie newyorchesi di una neo mamma chiassosa e solare
nello stesso pomeriggio? Sceso dall’auto, Fango si chiese se
ciò
che aveva vissuto non fosse altro che uno strano sogno.
Quando
Rein ripartì per raggiungere la sua abitazione, dall'altra
parte
della strada, lo sguardo sorpreso di suo fratello Fingo lo convinse
di non star dormendo. Il sorrisino sornione che ne seguì,
poi,
estirpò definitivamente qualsiasi suo dubbio.
Fango
entrò in casa come un tornado, lanciando un chiaro
avvertimento al
suo caro consanguineo che, appoggiato allo stipite della porta,
ancora lo osservava. Fu abbastanza chiaro.
Non.
Una. Parola.
→ Angolo
dei Ciclamini.
Già,
chi l'avrebbe mai detto che anziché aggiornare la mia long
(lol) mi
sarei buttata a capofitto in una oneshot con protagonista *rullo di
tamburi* nientepopodimeno che Fango?
Nemmeno io, ve l'assicuro, ma tornando a casa dal lavoro oggi
l'ispirazione mi ha folgorata... complici le mie acrobazie con il
carrello quando vado a fare la spesa, che sono sempre uno spasso da
guardare e una vergogna da mettere in scena. Ah, imparerò
mai? (Fun
fact: una
volta stavo per volare giù per un garage sotterraneo
trainata del
peso del carrello strapieno e, beh, non è stata
un'esperienza
esattamente
piacevole.)
In
ogni caso questo siparietto è stato il trampolino di lancio
per
inaugurare una serie di opere tutte unite dal filo rosso del modern
au su
questo fandom, della quale questa
storia è
la principale fautrice. Dunque aspettatevi di tutto e di più
da
questo mio nuovo progetto, sia farina dal sacco della prima che della
seconda serie... sebbene quest'ultima sia il più OOC degli
universi
alternativi. Sì, mi sento ancora molto bitter
al
riguardo.
Detto
ciò, alla prossima e buona serata!
❀ daniverse