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Autore: ClodiaSpirit_    06/07/2018    2 recensioni
- Si alzò in piedi, insieme all’onda del pubblico coinvolto dall’esibizione, applaudendo.                                                                                                                                     
[...]  Nonostante quello sguardo fosse lontano, Alec poté indovinare che erano diversi rispetto a quelli che aveva visto tante volte. -
Alec è un ragazzo intelligente, giovane, eppure gli manca qualcosa di fondamentale: vivere.
Ma cosa succede quando Alec comincia a fuggire e a rintanarsi a Panshanger Park, durante uno spettacolo dato dal circo? E soprattutto, chi è l'acrobata che si cela e cerca dietro tutti quei volti?
Cosa succede quando due mondi opposti ma simili per esperienze di vita si incontrano?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Clodia's Spirit: Eccoci qui, aggiornamento un po' rapido questa settimana.
Spero vi stiate rilassando (io peno ancora per un esame e non so quando finirò #chegioia but never mind) e che tutto vada bene.
Ultimamente sono successe un po' di cose che mi hanno distolto dalla scrittura, ma spero di riprendere presto e che tutto vada meglio... mai abbattersi!
Keyword del capitolo: c i r c u s.
Adesso scappo.
Buona lettura guys






Svegliatosi nella piena penombra della stanza, Alec sentiva un forte dolore alle tempie percuotere come casse elettroniche. Si girò su un fianco alzando con un gesto netto delle dita le lenzuola portandosele alla testa. Senza nemmeno sapere se fosse presto o tardi, cercò di riprendere sonno.
Alec sentì il pieno fracasso fargli visita, di nuovo.
No, non era possibile riaddormentarsi.
Cos’è successo.
Che fosse abituato a quello era ormai normale, ma gli risultava ogni volta ricostruire le serate precedenti alla fuga con il ritorno a casa. Frammenti di scene fluttuavano nella sua testa, senza però riuscire a sceglierne solo uno per non confondersi ancora di più. Ricordava vagamente di vedere il viso di sua madre, Helena, urlargli contro per l’ennesima volta che fosse ritornato così tardi mentre suo padre forse già dormiva o se ne stava tranquillamente seduto sul divano a fumare la sua pipa. Peccato che Alec venisse ripreso soltanto in quei casi. E per lo più, con lasciato con un banale vedi di finirla, sei irrecuperabile Alexander, per poi finire lì.
Helena era stata una madre premurosa, non c’era da stupirsi in quello, almeno fino a quando non erano cominciate le liti col marito e viceversa.
Molto spesso, Alec lo trovava a notte tarda a versarsi da bere in veranda e ogni tanto, poteva aver giurato di sentire la puzza e l’alito del fumo mischiarsi nell’aria insieme all’odore di terra umida e bagnata. Insomma, non che servisse a qualcosa. Alec nella sua vita, fino a quell’istante, pensava di aver sempre difeso la madre al posto del padre. Tutto quello era assurdo forse.
Helena era una donna fragile se non si considerava il suo interesse per la bell’immagine sociale e gli affari economici di famiglia. Mai tanto quanto il padre. Aveva fatto carriera come notaio, per un breve periodo della sua vita, prima che Alec nascesse, era stato un noto giornalista nell’ambiente londinese. Poi, aveva trovato in Helena la donna per lui – o almeno così era stato e si erano entrambi trasferiti dalla mondanità di Londra, alla tranquillità della contea. Si vociferava avesse ereditato qualche proprietà, in giro, i signori Lightwood erano noti a Londra e quando avevano deciso di trasferirsi, la gente non aveva potuto far altro se non parlare o infangare. Dipende ciò a cui si voleva credere.
Sua sorella Isabelle, era l’unica a riuscire a tirare fuori la voce in famiglia e a riprendere il padre. Alec ricordava in particolare una volta in cui, durante una cena molto tesa, la ragazza si era alzata rispondendo al capofamiglia scatenando una stortura nella perfetta (all’apparenza) immagine famigliare. Alec era stato fiero di lei. Lui lo era sempre stato, ammirava il suo carattere. Il fratello si era spento col tempo, invece. L’unica fonte di salvezza era anche radicata nella musica e quindi quando proprio voleva chiudere con tutto, se ne faceva interi bagni, bagni di volume alto. Alcune volte aveva assistito anche a qualche cosa di simile, a Hetford Town molti artisti di strada si fermavano, offrivano le loro note e la loro voce a pochi oppure, cercavano di farli sorridere, qualcosa che Alec voleva riuscire a provare di nuovo. Cos’avrebbe dato per vivere in modo diverso forse in modo rischioso ma più vivo di tutto quello, più vero.
Questa volta Alec si girò completamente, la faccia spiaccicata sul cuscino e il silenzio che inevitabilmente contrastava con la sua testa in piena confusione.




Quello stesso tardo pomeriggio, Alec era rimasto da solo a casa ( non che questo lo sorprendesse ovvio) e per qualche motivazione i suoi erano usciti. Separati.
Il ragazzo aveva sentito la porta chiudersi in due momenti diversi. Osservando le lancette correre in due tempi altrettanto diversi. Si sentiva un po’ il giudice, un po’ lo stalker del caso. Ma quanto ti abitui a certe abitudini è difficile scollarsene. Disteso ora, lungo la sedia comoda del soggiorno, si ritrovava a passare una delle dita affusolate lungo la pagina, la mano destra a reggere il libro. Stava leggendo I miserabili e si ritrovava perfettamente nel personaggio di Jean Valjean. Uno dei pezzi che aveva lasciato indietro gli era rimasto impresso:
‘’Dobbiamo invece aver paura di noi stessi. I pregiudizi, ecco i ladri: i vizi, ecco gli assassini.’’
Jean si sentiva vuoto dopo essersi liberato dalle catene, arrestato perché aveva rubato del pane e stava vagando senza una meta. discriminato per il suo passato. Però Jean era stato accolto da un prete che gli aveva offerto un tetto, un letto, del cibo. Lo stesso prete che aveva citato il pezzo preferito che Alec aveva a cuore. E nonostante Jean per la sua indole dispersa e in naufragio nella notte avesse cercato di derubarlo, il mattino seguente Monsieur Myriel fece finta di niente, proteggendolo. Nonostante abbia rubato, viene perdonato. Nonostante sia perso, visto come un emarginato, viene accolto. Alec pensò che pochi avevano la fortuna di incontrare una mano tesa come quella di quel prete nei confronti di una povera anima.
Forse, c’è speranza per ognuno, pensò. Forse era il caso di ritornare alle cose serie: uscire e mettere un punto.
Ed è quello che fece. Mise il segnalibro in mezzo alla pagina, lo richiuse e lo ripose sulla libreria di fronte. Dopodiché si diede un occhiata allo specchio in camera. Si cambiò, mettendo una camicia, era bianca, i polsini erano leggermente merlettati. Era una di quelle poche cose che Alec riteneva belle da vedere. Prese la giacca e uscì.





Arrivato di nuovo ad Hetford Town, Alec decise di cambiare rotta e immergersi in uno spazio ancora più silenzioso di quanto potesse chiedere la sua testa. Trovò la biglietteria dopo alcune traverse. Altri pochi passi e salì per la prima fermata dell’autobus che lo portasse un altro po’ più lontano. Dopo aver mostrato il biglietto al controllore, si sedette. Cominciò ad osservare il paesaggio che cambiava forma via via che il veicolo sfrecciava, ogni tanto fermandosi facendo le dovute fermate. Quello che scorreva davanti agli occhi di Alec era pace man mano che si allontana e si buttava tutto quel peso dietro. Era come riavviare tutto e ripartire. E non importava dove sarebbe andato, qualsiasi posto andava bene in fondo. Il bus andava forse troppo veloce, ma Alec non ci faceva caso, era troppo preso dall’arte fisica oltre il vetro.
Accanto a lui, una madre con un piccolo involucro che teneva tra le braccia, nascondeva un bambino. I suoi occhi erano così vividi che Alec pensò fossero finti. Un’altra delle cose belle che gli capitavano quel giorno.
La madre indossava una lunga fascia al collo, i capelli legati e i tratti del viso stanchi, segnati, in poche parole: una mamma.
Ammassi di immagini sfrecciavano sformandosi: era come un gioco di colori, come se fosse un dipinto schizzato e d’effetto solo, in movimento.
Il bus fece le prime due fermate e il bambino si dimenò nelle braccia della donna. Alec venne catturato dal suo amorevole gesto di portare un dito lungo la guancia di suo figlio, accarezzandola e sussurrando per calmarlo. Inevitabilmente, Alec si sentì gli prudere gli occhi, una riga fredda gli bagnò lo zigomo. Si trovò a deglutire e subito ad asciugarsi subito gli occhi con la mano. Si concentrò subito su altro e continuò a guardare fuori dal finestrino. Gli parve di vedere altro: verde e ancora verde. Un infinità.
Meglio scendere.
Panshanger Park nelle vicinanze. Allora si alzò e appena il veicolo si fermò, scese subito.



In realtà Panshanger Park non era propriamente il nome del parco, ma da una casa di campagna tra Hetford e la città di Welwyn che fu costruita su volere di un alto cancelliere della Gran Bretagna per poi essere ereditata e infine demolita. Alec aveva sempre amato pensare come potesse essere e cosa potesse contenere, se non altro la posizione e il panorama in cui era stata costruita una volta, erano pazzeschi. Magari se fosse nato circa mille o duemila anni prima, sarebbe riuscito a visitarla o quanto meno a guardarci dentro. La visione però, avrebbe battuto qualunque tipo di casa: un immenso spazio verde si estendeva per kilometri. Un fiume vi si snodava in mezzo facendo capolino di tanto in tanto, creando con gli alberi e la vegetazione circostante che si rifletteva dentro, un’altra immagine fantastica. Alec respirò a pieni polmoni, era disteso sull’erba, la testa sollevata, gli occhi chiusi. Si sentì umido… leccato. Abbassò la testa e si trovò davanti un cane di media stazza dagli occhi curiosi. Rise.
E sentirsi ridere quasi lo fece sentire strano, ma anche bene. Si sollevò, accovacciandosi sulle ginocchia.
« Se cerchi qualcosa da mangiare mi dispiace piccolo, » gli portò le mani dietro le orecchie disegnando piccoli cerchi immaginari « Non ho nulla » il cane in tutta risposta uscì fuori la lingua e oscillando la testa leccò una delle mani di Alec. Il ragazzo sorrise un altro po’. Una signora si avvicinò abbassandosi verso l’animale.
« Baston! BASTON! Ecco dov’eri finito, » la voce era ansante, come se avesse corso per metri « Non farlo mai più , hai capito? Mi scusi, » continuò la donna nervosamente, « ma ogni tanto preferisce stare libero anziché al guinzaglio.»
Non ci vuole certo un genio, per capirlo.
Solo adesso Alec si accorgeva del collare rosso porpora al collo del povero animale. I suoi occhi restarono lì per un po’, il sorriso piccolo sulle labbra.
« Non è nulla, si figuri » La signora gli sorrise e con fare rapido si alzò e con il guinzaglio in mano trascinò leggermente il suo animale. Alec seguì la donna con lo sguardo e poco dopo, altra gente si stava dirigendo tutta nella stessa direzione. Cosa ci sarà mai da camminare tutti nello stesso punto, pensò. Con un piccolo scatto si mise in piedi e guardandosi intorno, le mani in tasca, si unì a quelle figure in coppia, con i propri cani o bambini e camminò con loro.


**



Aguzzando meglio la vista, Alec notò una struttura rotonda, ampia, dai colori accesi. O forse erano luci. Non si capiva bene perché distava ancora un po’ camminando, ma lui aveva tempo, tutto il tempo che voleva. D’altra parte, il sole era da poco calato e adesso, il cielo era di un plumbeo intenso e finto. E lui non sarebbe rientrato a casa prima delle undici o mezzanotte. Per riunire tutta quella gente doveva pur esserci un motivo valido, qualche festa? Qualche evento in particolare? Non gli veniva in mente niente. Per fortuna quel giorno aveva scelto delle scarpe comode e avrebbe potuto fare tratte più lunghe. Ad un certo punto si sentì un boato provenire da quel punto in cui tanti omini si stavano dirigendo, farsi sempre più vicino. Sembravano sirene, no…trombe, percussioni e tamburi. Guardò meglio: era un tendone bianco e rosso da circo nel bel mezzo del verde, tra questi e il fiume. Delle luminarie erano appese a due lunghi fili annodati in modo precario, che percorrevano la grande struttura ad arco rovesciato. Da lontano, sembrava molto più piccolo ma occupava uno spazio vasto in realtà. Affianco, un piccolo stand vendeva qualcosa: cibo, pensò Alec. Guardò di più, biglietti, non solo cibo. Il circo stava dando uno spettacolo proprio lì e la gente stava andando per divertirsi, con i propri cari. Alec non ricordava di esserci mai entrato, aveva imparato a scuola cos’era un circo, ma l’unico appellativo che gli venne in mente fu fenomeni da baraccone, immagini di clown e quant’altro ne seguiva. Si toccò la giacca: aveva dei soldi. Pensò bastassero in fondo. E poi era una serata diversa. Si accodò alla fila e venne colpito da chi teneva aperto il tendone: una figura esile e slanciata femminile in un costume attillato e luminoso sfoderava un sorriso a ogni persona. Fu il suo turno e Alec uscì il denaro indicato da un piccolo cartellino:

CINQUE STERLINE PER ASSISTERE. SE VOLETE OFFRIRE UN CONTRIBUTO SIETE LIBERI DI FARLO.

Alec passò oltre, la ragazza lo degnò dello stesso sorriso ed entrò dento. I suoi occhi vagarono per tutta la struttura che se vista dall’esterno sembrava grande, dentro quasi si moltiplicava. Una pista semisferica di legno era al centro e riportava il disegno di tanti spicchi rossi e gialli. Il resto sopra di sé, un manto blu notte, era circondato da quelle che dovevano sembrare luci lungo attrezzature verticali. Un grande drappo rosso scarlatto a sipario chiudeva lo spazio circolare dietro. Ai suoi lati, destra, sinistra, di fronte, delle piccole grate ma più che tali, erano tanti posti gli uni vicini agli altri a creare delle piccole cavee moderne.
Alec aveva studiato e ricordava ancora qualche dettaglio dell’arte greca classica. La cosa che più lo lasciava senza fiato era stata, alzando gli occhi, una lunga fune sospesa in aria, andante da un estremità all’altra del tendone. L’altezza era incredibile e non osava immaginare chi fosse tanto pazzo da salirci sopra. All’improvviso più gente cominciò a prendere posto e così Alec, si mise comodo, decidendo che dalla grata centrale si aveva una vista migliore. Le luci si spensero e lo spettacolo iniziò.




**




Alec non poteva credere a quello che stava guardando.
Due uomini al centro stavano letteralmente giocando a passarsi sul corpo delle piccole aste che esplodevano in cima con piccole fiamme di fuoco. Ci giocavano, lanciandole in aria e prendendole con agilità, girandosi a ritmo della musica in sottofondo mentre se le passavano dietro la schiena, mentre si inginocchiavano e le facevano ondeggiare come degli yo-yo infuocati. A un certo punto calò il silenzio e uno dei due si posizionò al centro, con un solo volteggiò in aria atterrando in spaccata, acchiappando l’asta e portandosi la punta alla bocca. Alec strabuzzò gli occhi. Quell’uomo aveva appena ingerito del fuoco e adesso lo gettava fuori in aria, come fosse un drago. Il pubblico si ritrovò in un grosso boato, applaudendo. Alec rimase senza fiato.
Il prossimo numero era portato da due ragazze, su due cerchi sollevati alla stessa altezza della fune che poco prima Alec aveva adocchiato. I loro corpi sembravano fatti di burro: si contorcevano ed entravano e uscivano dal cerchio, assumendo pose armoniose , simili a statue antiche, appoggiando il bacino e portando il corpo in fuori a piegarsi all’indietro, riproponevano il movimento vorticando su se stesse, tenendo le gambe piegate sull’estremità dell’esile strumento che avevano a disposizione. Sembravano delle trottole umane. Man mano che si andava avanti con i numeri, Alec si rese conto di quanto lavoro ci fosse dietro. Era assolutamente incredibile vedere tutte quelle persone diventare per un attimo qualcos’altro: uccelli, trottole, tutto fuorché esseri ordinari. Appena finì quello, ne cominciò un altro. Una figura piccola in basso, stava facendosi spazio. Era in penombra, quindi Alec non poteva distinguere se fosse un uomo o una donna. La figura era ancora immobile al centro della piattaforma e venne annunciato solo un nome: The flying man.
Ci fu silenzio.
Una musica lenta sfumò via la tensione e quella figura con una mano tirò uno dei due tessuti lunghi, bianchi che Alec non aveva notato prima. Contrastavano per grandezza contro la sua figura umana. Il braccio si tese e la figura si sollevò in aria, arrampicandosi con entrambe le gambe fino in cima. Con l’altra mano si allungò per afferrare l’altra striscia di tessuto e intrecciandovi attorno le gambe cominciò a roteare. La musica si sollevò di un soffio e l’artista cambiò posizione, legò il tessuto all’altezza delle anche e piedi e si ritrovò a fluttuare a testa in giù. Alec sgranò gli occhi: era un uomo. I riflettori puntarono sul suo viso e Alec notò che indossava solo una canottiera e dei lunghi pantaloni viola fluorescente attillati e i piedi rigorosamente scalzi. I suoi occhi forse scuri, con la luce sembravano brillare. I capelli erano sollevati in aria, simili a spuntoni che ricadevano morbidi, con un ciuffo a sinistra, come il suo corpo stesso in quel momento sbilanciato, ma Alec non capiva se lo fossero per natura propria o perché avessero deciso di conciarli proprio in quel modo. La musica incalzò ed era davvero molto incantevole.
Ma mai quanto quell’uomo in quell’istante: legò il tessuto alla vita e con una sola spinta cominciò a srotolarsi in velocità, rientrando perfettamente in sincrono con la musica. Da lì, in quella posizione, sembrava abbracciare l’intero tendone. Le gambe tese ma aperte, il collo sollevato e la mascella pronunciata in evidenza. Le gambe erano a volte in versi opposti, disegnando delle figure. A un altro rintocco incalzante, l’uomo slegò le sue gambe e sempre reggendosi con le mani a entrambi i tessuti, legò questa volta soltanto l’addome lasciando le gambe libere, ricadde di nuovo in velocità ma fermandosi a mezz’aria. Una gamba, la sinistra a toccare le due strisce bianche e la destra piegata e portata alla testa. Si potevano vedere i muscoli della schiena, pronunciata ( Alec pensava fosse minuto ma cambiò idea appena assunse quella posizione) in tensione e il suo leggero voltarsi verso le sedute. La pelle era lucida, olivastra e i tratti del volto non erano inglesi. Lentamente mentre la musica sbiadiva, roteò senza fretta verso il pubblico, liberò la mano non impegnata a tenersi la gamba e la protrasse in avanti, aprendo il palmo. Alec si alzò in piedi, insieme all’onda del pubblico coinvolto dall’esibizione, applaudendo.
I suoi occhi si focalizzarono sul volto dell’artista. Nonostante quello sguardo fosse lontano, Alec poté indovinare che erano diversi rispetto a quelli che aveva visto tante volte. Erano decisi e sicuri fuori, ma dentro nascondevano una fragilità evidente sotto tutto il trucco di scena che li metteva ancora più in risalto.
   
 
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