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Autore: The Nymph    07/07/2018    1 recensioni
« I look inside myself and see my heart is black »
«Voldemort è stato ucciso» le sussurrò all’orecchio, accarezzandole il braccio. Quelle parole erano calde.
«Anche Harry» rispose. «Anche Harry è stato ucciso.» Queste parole, invece, erano bollenti.

In un dopoguerra di tensione e paura, l’unica possibilità di salvezza per i Nati Babbani e i Mezzosangue è sposare un membro delle Sacre Ventotto. Hermione ha due opzioni: scegliere Ron e chiudere gli oscuri capitoli della sua vita con un “e vissero felici e contenti”, o scegliere Draco, e porre fine alla dittatura dei Purosangue una volta per tutte. Nel frattempo, la morte di Lord Voldemort per mano di Neville Paciock viene messa in discussione da un ultimo, flebile Horcrux: le immagini di un giovane Tom Riddle all’interno del Pensatoio. E come si fa a uccidere un ricordo?
«Perché devi sempre sistemare tutto, anche quando non c’è più niente da sistemare? […] Non sei un soldato, Hermione, smettila di combattere.»
«Sono un soldato da quando avevo undici anni» ribatté, gli occhi che bruciavano. […] «Questa guerra non ha mai avuto fine.»
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Ron Weasley, Tom Riddle/Voldermort, Un po' tutti | Coppie: Draco/Astoria, Draco/Hermione, Ron/Hermione
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Colonna sonora: Paint it black – cover degli Hidden Citizens
 
«Non ci riesco» confessò, in un sussurro. Non aveva fatto altro che sussurrare per un anno pieno: sussurrava per non svegliare Harry, sussurrava per non farsi scoprire, sussurrava perché odiava la sua voce e le parole che doveva dire. Si voltò dall’altro lato e tirò la coperta fin sopra il mento, come per sperare di scomparire. Ron la abbracciò da dietro, con la testa affondata nei suoi capelli: diceva di adorare il profumo della sua chioma riccia, ed Hermione poteva sentirlo inspirare ogni volta che la stringeva a sé. Era trascorso un mese dalla fine della guerra, e per un mese non si erano scambiati nemmeno il più asciutto, breve dei baci. In fondo, per Hermione la guerra non era mai finita. Alcune volte riusciva ancora a sentire quei rumori assordanti, e le urla più gelide che avesse mai udito, riusciva a sentire le sue cicatrici bruciare, e a vedere i corpi. Tanti corpi, sparsi come polvere sul suolo.
La ragazza si mise seduta, e tirò fuori da sotto il cuscino un biglietto stropicciato, ingiallito, macchiato di inchiostro. Lo spiegò, e iniziò a rileggerli tutti, lentamente, ad uno ad uno: “Abbott, Avery, Black, Bulstrode, Burke, Carrow, Crouch”. «Hermione…» “Fawley, Flint, Gaunt, Greengrass, Lestrange, Lumacorno, Macmillan”. Sentì il sospiro pesante di Ron alle sue spalle. “Malfoy, Nott, Ollivander, Paciock, Parkinson, Prewett, Rosier”. «Hermione, non ce n’è bisogno». “Rowle, Selwyn, Shacklebolt, Shafiq, Travers, Weasley, Yaxley”.
«Loro c’erano» mormorò infine, dopo qualche minuto di silenzio. «Questi nomi, Ron. C’erano tutti, nella Battaglia di Hogwarts. Lo hanno visto morire tutti.» Tirò un intenso respiro, prima di nascondere quel foglio sotto il cuscino. «Potrei finire per sposare chi ha contribuito alla sua morte.»
«Hermione» si affrettò a dire lui, gattonando sul letto per sedersi accanto a lei. «Sposa me.» I suoi occhi brillavano, le sue dita vagavano alla ricerca delle mani di Hermione, che continuavano a sfuggirgli.
«Ron» sibilò, voltando il viso quanto bastava per guardare le sue labbra. Ti amo, avrebbe voluto dire, ma non riuscì a produrre alcun suono. Forse perché aveva paura della risposta, forse perché non lo amava, forse perché sapeva che, una volta dette quelle due parole, non si sarebbe potuta sottrarre dall’avere un anello al dito. «No» disse infine, voltando di nuovo lo sguardo.
«Perché no?»
«Perché…» sospirò profondamente, serrando le palpebre. Molte volte aveva pensato a Smaterializzarsi e non farsi vedere mai più, specialmente in quel momento. «Perché voglio che finisca. Tutto questo. E se sposo te… non avremo risolto niente.»
«Non c’è più niente da risolvere, Hermione» le disse dolcemente. «Voldemort è stato ucciso» le sussurrò all’orecchio, accarezzandole il braccio. Quelle parole erano calde.
«Anche Harry» rispose. «Anche Harry è stato ucciso.» Queste parole, invece, erano bollenti.
Ron si allontanò di scatto, ed Hermione poté sentire che il suo respiro si era fatto più faticoso. Le aveva ripetuto centinaia di volte che non voleva sentire quel nome, e, soprattutto, che non voleva sentirlo accanto alla parola “ucciso”. Dopo la morte di Harry, il suo migliore amico non aveva fatto altro che fissare il muro per una settimana, suonare note a caso al pianoforte e fare sogni sul suo ritorno, senza volersi svegliare più. Ron si mise in piedi, camminando avanti e indietro per la stanza, con la testa affondata nei palmi delle mani.
«Riprenderai a stare in silenzio?» chiese Hermione, fissandosi le gambe. Come aveva immaginato, lui non fiatò. «Ron, ti prego!» esclamò, esasperata. «Non puoi fare così ogni volta. Devi accettare la realtà!»
«Allora perché non riesci ad accettarla tu?» sbottò lui, la voce spezzata da quelle che dovevano essere lacrime. «Perché devi sempre sistemare tutto, anche quando non c’è più niente da sistemare?» La ragazza si lambì le labbra, spostando lo sguardo sul muro, per non far notare a Ron che stava piangendo. «Non sei un soldato, Hermione, smettila di combattere.»
«Sono un soldato da quando avevo undici anni» ribatté, gli occhi che bruciavano. Aveva combattuto sin da quando lei e i suoi due amici avevano trovato l’enorme cane a tre teste con le zampe su una botola, aveva combattuto per scoprire chi fosse l’Erede di Serpeverde, per fermare Sirius Black, per fare in modo che Harry sopravvivesse al Torneo Tremaghi, aveva combattuto con l’Esercito di Silente, aveva combattuto per cercare gli Horcrux, aveva combattuto tutte le sue battaglie per proteggere Harry da Voldemort. E aveva fallito. «Questa guerra non ha mai avuto fine.»
«E cosa pensi di fare, precisamente?» chiese Ron, addolcendo di più il tono.
«Distruggerli.» Persino lei si sorprese di come quella parola contenesse odio, rabbia e paura insieme. «Uno ad uno» continuò, stringendo i pugni fino a sentire le unghie trafiggerle la pelle. «Harry non ci avrebbe voluti così.» Finalmente, riuscì a guardare il ragazzo negli occhi. «Non ci avrebbe voluti fermi in una camera da letto, Ron. Lui non stava mai con le mani in mano, lui agiva sempre.» Ron iniziò a torturarsi le labbra con le dita, come per risucchiare le parole che non poteva pronunciare.
«Allora…» sospirò, guardando il pavimento. «… chi sposerai?»
Hermione tese la mano verso il cuscino, come per prendere di nuovo il biglietto, ma finì solo per sfiorarlo. Non aveva bisogno di rileggere i nomi: aveva già preso la sua decisione. «Malfoy» disse con un filo di voce, come per non farsi sentire da Ron. Ma Ron la sentì, forte e chiaro.
«E credi che accetterebbe di sposarti?» chiese lui, cercando di placare il furore che gli stava infiammando il torace. «Vorrebbe dire salvarti… credi che ne abbia voglia?» Il modo in cui pronunciò quella frase mostrava alla perfezione l’opinione che aveva di Draco Malfoy: “non ne aveva voglia”, come se salvare la vita a una persona fosse semplice come scegliere cosa mangiare a colazione.
«Credo che sia una persona migliore di quello che vuole sembrare» rispose lei. Si mise in piedi, scacciando con un gesto del braccio la coperta che le copriva le gambe, infilò le scarpe e afferrò il cappotto che aveva lasciato sulla ringhiera del letto. Mentre cercava di lasciare la stanza, Ron la trattenne per un polso, tirandola a sé. I loro volti erano vicinissimi, tanto che un ago non sarebbe potuto passare senza trafiggere la pelle di uno dei due.
«Hermione…»
«Lo so» lo interruppe lei.
 
 
 
Villa Malfoy.
 
Hermione restò immobile davanti al cancello per svariati minuti, con le mani avvolte alle sbarre, come se fosse all’interno di una cella. Un elfo domestico che non aveva mai visto prima arrivò gongolando, aprì il cancello e le permise di avanzare, esibendosi in un inchino teatrale. «Grazie» sussurrò lei, come se avesse paura che qualcuno, in quel vuoto tetro, la sentisse.
«Rabin non accetta ringraziamenti, signora» si limitò a rispondere l’elfo. La piccola creatura la scortò fino alla cupa entrata della villa, e lì la fece entrare per prima. Hermione rimase ferma alla vista del lungo corridoio, immaginando se stessa a vivere lì dentro per il resto della propria vita. Ignorando il groppo che le si era formato in gola, fece qualche passo avanti, fino a raggiungere un’enorme sala dalle luci soffuse in cui erano seduti Draco e i suoi genitori. Hermione, con la sua coda di cavallo e la camicia a quadri, si sentì totalmente fuori posto: i Malfoy erano sempre elegantissimi, con un’aria di superiorità che avrebbe potuto far tremare anche il Ministro della Magia.
«Signorina Granger» scandì Lucius Malfoy, indicando, con un pigro gesto della mano, una sedia davanti a lui. Il padre era, appunto, al centro, di fronte al posto che prese la ragazza: alla sua sinistra era seduta Narcissa Black, una donna dallo sguardo gentile, l’unica presenza che rendeva Hermione meno nervosa; alla sua destra vi era Draco, con un volto spaventosamente serio, cosa a cui non era abituata: Draco Malfoy aveva sempre qualcosa di cui ridere quando si trovava davanti alla “Sporca Mezzosangue”. «Credo che tutti sappiamo perché tu sia qui, oggi» disse Lucius, lentamente.
«Sì, io…»
«Perché noi?» la interruppe. Hermione non poté fare a meno di notare che avesse usato il “noi”, come se ignorasse il fatto che fosse Draco l’unico interessato a quella faccenda.
«Perché» iniziò, spedita. Aveva predetto una domanda del genere. «né Ron Weasley, né Neville Paciock sono disposti a sposarmi. Dopo la fine della guerra, i nostri rapporti si sono… raffreddati.»
«E perché dovremmo acconsentirti a sposare Draco?»
Aveva predetto anche quella domanda. Sfortunatamente, non era riuscita a preparare una risposta convincente. Sospirò, e cercò di rivolgersi il più possibile a Narcissa, per placare la sua tensione interiore. «Voi siete la mia ultima possibilità. Se non lo sposo, sapete bene che fine farò… la stessa di tutti gli altri Nati Babbani e Mezzosangue. Vi chiedo in ginocchio di salvarmi la vita.» Dovette fare uno sforzo enorme per pronunciare quelle parole così umilianti, così false.
«Non siamo un centro di carità, signorina Granger» riprese Lucius Malfoy, ancora inespressivo, ma sempre più velenoso. «Hai qualcosa da offrirci in cambio?» Hermione deglutì. Non aveva niente, assolutamente niente. E in quel momento si rese conto di quanto assurda fosse la situazione: non poteva aspettarsi che i Malfoy avrebbero salvato la vita a una Nata Babbana, la razza peggiore, in cambio di nulla. «Ebbene?» domandò Lucius. Hermione abbassò il capo e lo scosse, lentamente. «Allora, credo che questo incontro sia stato pressoché inutile» constatò. «Rabin! Accompagna la signorina Granger all’uscita!»
«Aspettate!» esclamò Hermione d’istinto, senza effettivamente sapere cosa dire. «Draco.» Si voltò verso di lui. Quella era, probabilmente, la prima volta che lo chiamava con il suo nome di battesimo. «Per favore. Lo so che non mi hai mai sopportato, ma devi salvarmi la vita!»
«Rabin!» insistette Lucius Malfoy. Draco si sforzava di non guardare la ragazza, ma lei riusciva a intravedere il suo sguardo combattuto e… pentito. L’elfo domestico iniziò a tirarla per un braccio, ed Hermione si stupì della forza che possedeva.
«Harry l’ha salvata a te, ricordi? Nella Stanza delle Necessità. Fallo per lui, Draco!» Rabin continuava a tirare, ed Hermione veniva trascinata via, sempre di più, ma continuava a urlare. «Ti prego!» furono le sue ultime due parole, prima che venisse sbattuta fuori dalla villa.
Aveva iniziato a piovigginare. Hermione era in ginocchio, davanti all’ingresso, con i vestiti che si inzuppavano incessantemente a ogni goccia, e con le lacrime che si univano, fastidiose. Odiava piangere. Specialmente, odiava piangere per persone viscide come i Malfoy. In un attimo, si Materializzò all’interno di Grimmauld Place, e, senza considerare Ron che le chiedeva cosa fosse successo, si chiuse all’interno della stanza e si gettò sul letto, fissando un’altra volta i nomi delle Sacre Ventotto. Un urlo di frustrazione uscì dalla sua bocca, a denti stretti: nessuna famiglia di Mangiamorte la avrebbe accettata, dopo esser stata rifiutata dai Malfoy. Una parte del suo cuore echeggiava: «Va bene così, Herm. Sposerai Ron e sarai felice.» Ma un’altra parte, quella più nera e gelida, diceva: «Harry è morto, e tu non stai facendo niente per vendicarlo.»
Si tappò le orecchie: non voleva più sentire quelle voci, non voleva più scegliere, non voleva più prendersi la responsabilità di qualsiasi cosa succedesse. Voleva stare per sempre sdraiata su quel letto, senza dover pensare a niente, dimenticando tutto. Quante volte avrebbe voluto puntarsi una bacchetta alla tempia e pronunciare: «Oblivion». Quante dannate volte.
Si addormentò umida, con ancora addosso scarpe e cappotto, e con le lacrime che si erano solidificate sulle guance. Dormì per un tempo che non avrebbe saputo calcolare, e si risvegliò con il rumore fastidioso di qualcosa che picchiettava alla finestra. Un gufo nero come la pece che, tra le zampe, stringeva una lettera, stava beccando il vetro, chiedendo di farsi aprire. Confusa e assonnata, Hermione andò ad aprire all’animale, afferrò la busta, e sentì un tuffo al cuore quando lesse: “Lucius Malfoy”. La aprì con impazienza, ma la voltò perché doveva prepararsi emotivamente prima di leggerla. Dopo una serie di respiri, si decise a girarla.
Vi erano poche, sintetiche parole incise con l’inchiostro nero. “Il matrimonio sarà fra due settimane”.
   
 
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